Disclaimers: i personaggi appartengono alla
Namco ed io li uso solo per divertirmi, anche perché se Kazuya sospettasse che
voglio fare soldi sfruttando la sua immagine finirei in guai seri!
Note: Ava è un personaggio di *mia* creazione, indi per cui ne faccio ciò che
voglio; il background di Lee e Kazuya rende questi due personaggi MOLTO ambigui:
nel foglietto illustrativo del Tekken 2 si racconta che il piccolo Lee è rimasto
sempre *fedele* a suo fratello adottivo, anche se, quando Heihachi è *tornato*
(sembrava proprio che Kaz fosse riuscito a sbarazzarsi di lui, gettandolo da un
dirupo alla fine del primo torneo... Bella famigliola, eh?!?!) lui non ha
esitato a mantenere contatti anche con lui. E' anche vero che nel finale di Lee,
sempre del Tekken due, si vede il bel fratellino di Hong Kong sognare ad occhi
aperti di far finire dietro le sbarre sia Kazuya sia il paparino dolce...
Insomma, contorsioni mentali di un ragazzo virtuale che spingono una ragazza
reale a slashare alla grande! *_______*
*Lee: e poi il contorto sarei io... -____-
*Choco: non tu! Kazuya! ^////////^
*Lee: guarda che gli specchi sono scivolosi...
*Choco: BASTA! Adesso voglio serietà! Stiamo per leggere una storia TRISTE!!!
Abbassiamo le luci... Facciamo silenzio... Ed immergiamoci nella melassa!!!
Lost Angels
Parte II
- Inside my father's heart
di Chocolat
L'ampia sala da pranzo, ingombra di antichi mobili occidentali, era cupa e
silenziosa quella sera, come sempre.
Heihachi Mishima ed i ragazzi solevano cenare lì, seduti ad un lungo
tavolo di pregiatissimo legno di noce.
Da quanto raccontavano i domestici, sembrava che Heihachi avesse fatto
costruire quella casa e l'avesse arredata con quel gusto per assecondare i
desideri della povera Kasumi-san, la sua prima moglie; era noto a tutti
che Heihachi Mishima era un tradizionalista convinto e sembrava davvero
strano vederlo girare in kimono e geta dentro ad una casa che ricordava
tantissimo le ville degli stati americani del Sud di metà ottocento...
Eppure, per la sua bella, dolce e fragile moglie aveva rinunciato
all'amore assoluto per l'estetica giapponese... Salvo poi, si diceva,
farla morire di crepacuore. Ma quelle erano, per l'appunto, dicerie.
Mangiavano lentamente, in silenzio, senza nemmeno guardarsi l'un l'altro;
la mancanza di Ava pesava su tutti e tre: il suo buon umore e la sua
vitalità, che rendevano i pasti di casa Mishima un momento *quasi*
piacevole avevano lasciato il posto all'aura aggressiva e severa del
padrone di casa.
Dopo qualche minuto da che avevano iniziato, Heihachi cominciò a chiedere
le sue domande di rito, com'era solito fare ogni sera.
"Ebbene... Avete avuto una buona giornata, ragazzi? Tutto bene, a scuola?"
Kazuya regalò a suo padre uno dei suoi 'mh' affermativi, con i quali usava
rispondere a Heihachi e perfettamente consapevole di quanto lo
infastidivano.
Lee avvertì immediatamente l'atmosfera appesantirsi e decise di correre ai
ripari.
"Si, Outosan," rispose, sorridendo; "Tutto bene. Oggi Yoshimoto-sensei ha
detto che il mio giapponese è quasi perfetto, ora. E' molto orgogliosa di
me, sai? Sei anche tu orgoglioso, *daddy_sama*?" Chiese, con il tono di
voce adulatorio in cui era abituato a parlare quando si rivolgeva a suo
padre.
Lee era sempre stato quello loquace; era il *bravo figliolo*, mentre
Kazuya era *il ribelle*; era quello con il buon carattere, l'estroverso,
mentre suo fratello maggiore era chiuso, silenzioso e un po' *selvatico*,
nonostante la rigida educazione ricevuta da Heihachi avesse sviluppato in
lui una sorta di fredda compostezza.
Heihachi sorrise con indulgenza a suo figlio adottivo.
"Ma *certo*, Lee-kun. Suppongo che i tuoi progressi abbiano qualcosa a che
fare con tuo fratello... So che state studiando insieme, da un po' di
tempo."
Heihachi stava parlando tra un boccone e l'altro, tenendo gli occhi fissi
sul piatto, ma *sapeva* ugualmente che Lee era arrossito; lo sguardo di
Kazuya lo trafisse come un pugnale, anche se il ragazzo non disse una
parola.
Lee era un po' a disagio; c'era stata un'inflessione vagamente sarcastica,
nella voce di suo padre.
Erano trascorsi cinque mesi dalla morte di Ava e lui e Kazuya erano
diventati due *veri* fratelli... Anzi, due veri amici. Forse di più... Lee
sapeva soltanto che, dopo la scomparsa di sua madre, nonostante tutta la
tristezza ed il dolore che provava anche un altro sentimento aveva
cominciato a farsi strada nel suo cuore, alleviando dolcemente la sua
sofferenza.
Lui e Kazuya non si erano mai conosciuti davvero: c'erano così tante cose
da scoprire, l'uno dell'altro... Lee si ricordò della sorpresa che aveva
provato nel venire a sapere che Kazuya amava passare buona parte del suo
tempo libero a prendersi cura dei cani da guardia della villa; rammentò
anche la faccia divertita di suo fratello maggiore quando aveva scoperto
che Lee si recava furtivamente in cucina verso mezzanotte per fare razzia
dei biscotti che Midori preparava per colazione, solo per godersi, la
mattina dopo, l'espressione perplessa della donna.
Lee aveva anche avuto modo di constatare che Kazuya in realtà era molto
popolare tra le ragazze a scuola, ma loro non osavano avvicinarlo a causa
della sua faccia eternamente incupita; Lee per le sue compagne di classe
era il ragazzo carino con cui parlare e scherzare, ma Kazuya sembrava
inaccessibile e quindi molto più affascinante ai loro occhi: il ragazzo
ideale con cui trascorrere una notte di passione, insomma... E Kazuya non
replicava nulla, limitandosi a sorridere, quando suo fratello si
lamentava: "Le ragazze guardano *te*, quando mi parlano!"
Avevano anche cominciato a studiare insieme, certamente: Lee aveva sempre
avuto qualche problema con il giapponese, dato che era vissuto ad Hong
Kong fino ai dodici anni; d'altra parte, Kazuya non era bravissimo con
l'inglese e la matematica.
E così, mantenendo la loro promessa, si erano aiutati a vicenda,
sviluppando allo stesso tempo una sana rivalità che li aveva spinti a
migliorarsi in ogni cosa che facevano.
Heihachi sembrava piuttosto soddisfatto da come si erano messe le cose tra
loro due; aveva concesso ai ragazzi di combattere l'uno contro l'altro,
durante gli allenamenti di Karate, quando prima non era mai stato
d'accordo; era infatti solito dire che non era possibile combinare nulla
di buono, allenandosi con un partner in cui non si aveva la massima
fiducia.
Eppure...
Eppure, quella sera la voce di Heihachi aveva tradito un pizzico di
*fastidio*, nel constatare quanto i due ragazzi si fossero avvicinati...
Lee venne strappato a questi pensieri quando sentì suo padre continuare:
"Beh, so che anche Kazuya ha tratto qualche vantaggio da questa
situazione. Non è vero, ragazzo?" Domandò, guardando Kazuya diritto negli
occhi, restituendogli così lo sguardo penetrante che lui gli aveva
lanciato prima.
"Si, è così", rispose freddamente il giovane.
Lee cominciò ad avvertire un'ansia crescente farsi strada dentro di lui.
La grande sala cadde di nuovo nel silenzio assoluto, interrotto soltanto
dal ticchettìo delle posate sulle stoviglie.
Dopo qualche secondo, Heihachi parlò di nuovo, incrociando le braccia sul
torace possente e guardando dall'uno all'altro dei suoi figli, sorridendo
in un inquietante miscuglio di malizia e soddisfazione intrinseca.
"Bene, ragazzi! Devo informarvi che ho deciso di mandare Lee a studiare in
America. Frequenterà un college molto prestigioso in cui verrà preparato
adeguatamente per poter lavorare nelle mie imprese... Partirai appena
quest'anno scolastico finirà, Lee-kun."
Lee guardò suo padre, a bocca aperta. Kazuya continuò a mangiare, non
sollevando neppure lo sguardo dal suo cibo.
"Allora, Lee-kun?" Chiese Heihachi, sollevando le folte sopracciglia. "Non
mi dici niente? Non ti piace l'idea di partire per l'America? E' una
grande opportunità, per te.. Qualsiasi altro ragazzo starebbe facendo i
salti di gioia al tuo posto, in questo momento! E tu te ne rimani lì così,
con la bocca spalancata, senza dimostrarmi un minimo di soddisfazione?"
"I... Io...", cominciò Lee, incapace di trovare qualcosa di sensato da
dire.
*Partire*?!?
Studiare in America?!?
Andare via da Tokyo... Da suo padre... *Da Kazuya*?!?
"Perché io?" Riuscì a chiedere, dopo qualche istante di sconcertato
silenzio. "Perché non Kazuya? Pensavo... Beh, lui è il tuo *vero*
figlio... Sarà lui a dirigere il Mishima Zaibatsu, prima o poi... Io credo
che sarebbe giusto se fosse lui a..."
"L'hai appena detto", lo interruppe Heihachi, "Sarà il leader dell'Impero
Finanziario Mishima. Ho pensato che sarebbe stato meglio farlo cominciare
a lavorare fianco a fianco con me, il più presto possibile; per questo
motivo, lui frequenterà una sede locale della Mishima University. E poi...
Non è un mistero, che io non mi fidi tanto di questo tuo fratello.
Preferisco che rimanga nei paraggi." L'ultima frase fu pronunciata
scambiando un altro sguardo tagliente tra Heihahci e suo figlio maggiore.
"Comunque, mi aspettavo una reazione più entusiastica da te, figliolo!"
Aggiunse l'uomo, prima di alzarsi dalla sedia. "Non ti voglio costringere,
Lee-kun. Non sei obbligato ad andare, se non te la senti. Ti darò tempo
per pesarci... Fino alla prossima settimana. Adesso mi ritiro nello
studio.. ho del lavoro da sbrigare. Se avete bisogno di me, sono lì. Buona
serata, ragazzi."
Lee alzò una mano per fermarlo e prese fiato per replicare ma, prima che
potesse dire alcunché, suo padre era già uscito dalla sala a passo
spedito, senza voltarsi indietro.
Subito dopo, Kazuya si alzò anche lui, come una furia, afferrando la
propria sedia e sbattendola con violenza contro il muro per poi seguire le
orme di suo padre sul costosissimo tappeto persiano che, pur camuffando il
rumore dei suoi passi, non riuscì a nascondere attraverso essi la rabbia
del ragazzo.
Lee sentì il cuore fermarsi.
'Sei arrabbiato *con me*?' Pensò, senza riuscire a chiederlo a voce alta e
ritrovandosi da solo, con la terribile sensazione che i suoi giorni felici
a casa Mishima fossero definitivamente perduti.
Heihachi era seduto alla sua scrivania nella grande biblioteca della
villa, la stanza che utilizzava come studio; stava rovistando tra alcuni
documenti quando udì bussare debolmente alla porta.
Sorrise tra sé e sé: conosceva i suoi due figlioli anche troppo bene.
"Entra pure, Lee",chiamò.
Il ragazzo entrò nella grande stanza tenendo gli occhi incollati al
pavimento, richiudendo la pesante porta di legno massiccio dietro di lui
con un gradevole cigolio che sapeva di antico.
"Ti... Ti posso parlare, Outosan?" Chiese timidamente.
Heihachi gli fece segno di avvicinarsi.
"E' a proposito del College?"
Lee alzò lo sguardo, puntandolo sul volto di suo padre.
"Non proprio... E' a proposito... Riguardo a *te*... e Kazuya... E'
riguardo a *noi*", rispose.
Heihachi sollevò le sopracciglia.
"Riguardo a *noi*...", ponderò, a voce alta. "Sembra interessante! Bene,
perché non ti siedi e mi dici cosa c'è che ti preoccupa?"
Lee sedette con circospezione su una delle due sedie in pelle poste di
fronte alla scrivania di Heihachi, facendo poi un respiro profondo. "Io...
Io... Ecco", balbettò, non avendo la più pallida idea di come iniziare.
Heihachi attese, scrutando negli occhi di suo figlio; poi, incrociò le
gambe e si accomodò, rilassandosi contro lo schienale della sedia.
"Andiamo, Lee-kun. Non avere paura. Sentiti libero di parlare con me. Sono
tuo padre, dopo tutto...", disse, con la voce più dolce che riuscì a
modulare.
Lee deglutì. Si sentiva già le lacrime pronte ad accumularsi agli angoli
degli occhi: era sempre così difficile, affrontare quell'uomo. Ma *doveva*
essere forte. Era lì per un motivo, e doveva riuscire ad andare avanti.
"Io... Penso che non sia giusto", sentenziò, infine.
Heihachi sospirò piano.
"Che cosa non è giusto? Che tu vada in America e Kazuya rimanga qui? Non
devi preoccuparti di questo; come ti ho già spiegato, anche lui riceverà
la migliore delle istruzioni."
"No... Non volevo dire quello. Penso che non sia giusto il modo in cui lo
tratti."
'Ecco... L'ho detto.'
Dopo qualche istante di pesantissimo silenzio, Heihachi parlò, la sua voce
pacata e morbida come poco prima.
"So che non è facile da capire, Lee-kun... E poi tu sei talmente emotivo e
sensibile che non avresti potuto fare a meno di parlarmene, prima o poi.
Lo *sapevo*." Una breve pausa. "Lascia che ti spieghi, Lee-kun. Kazuya è
il mio primogenito. Erediterà tutti i miei averi, i miei beni, il mio
denaro... Tutto ilmio *impero*. Ed io posso affermare con certezza che non
è facile essere il leader del Mishima Zaibatsu. Non è facile essere un
leader in se e per se. Tu di certo penserai che io sono troppo crudele,con
tuo fratello... Ma sto solo cercando di fare di lui un vero Mishima... Un
capo. Qualcuno che sia in grado di poter governare anche il mondo intero,
un giorno. Ma, per fare questo, io ho bisogno di tirare fuori da lui tutta
la sua forza, la sua aggressività, anche la rabbia... Perché lui diventi
l'uomo che io voglio sia. Non voglio che lui possa rischiare di buttare
via tutto questo, tutto ciò per cui ho lavorato finora."
Lee soppesò quelle parole per qualche secondo, prima di rispondere.
"Posso capire le tue ragioni... Ma sono sicuro che le tue misure educative
siano davvero *eccessive*. Voglio dire... Anche quando ci alleniamo...
Sembra che tu ti *diverta*, a fargli del male... E hai sempre qualche
parola spiacevole per lui. Chiami me *Lee-kun*, ma lui è solo *ragazzo*, o
*figlio sciagurato*... Perché con me non sei mai così rigido?"
Heihachi sorrise; un sorriso *vero*, autentico, non uno dei soliti ghigni
sarcastici che gli si dipingevano sul viso e Lee, per qualche strano
motivo, rabbrividì.
"Non mi interessa essere severo con *te*, figlio mio. Tu non sei Kazuya.
Non riuscirei ad ottenere niente di ciò che mi aspetto da lui, anche se
cominciassi a picchiarti ogni giorno fino a farti perdere i sensi."
Lee aggrottò le sopracciglia, un po' turbato.
Heihachi si alzò, girò intorno alla scrivania e raggiunse la sedia di Lee;
Rimase in piedi dietro di lui e gli poggiò le larghe mani sulle spalle,
stringendogliele un poco.
"Lee... Non è che non ti consideri un vero figlio. No. Semplicemente, tu
sei un'altra persona... Non hai nessuna delle qualità che sto cercando di
sviluppare in tuo fratello. Non ho bisogno di cercarle dentro di te,
perché so che fallirei, comunque."
Lee sollevò le mani, portandole sopra a quelle di suo padre ed alzandosi a
sua volta; si girò ad affrontarlo, mantenendo la stretta sulle grandi,
bellissime mani di Heihachi.
"C'è... C'è qualcosa di *terribile* in tutto questo, Outosan. Non
capisci... Non lo sai che Kazuya quasi non è capace di sorridere? Non lo
sai..." Lee si fermò un attimo, soltanto per deglutire dolorosamente. La
voce gli tremava e non era sicuro che sarebbe riuscito a trattenere le
lacrime ancora a lungo. "Non lo sai quanto è triste, quanto ha bisogno
della tua considerazione... Quanto necessiti di essere *amato*?!?
Guardalo! Non stai insegnandogli ad essere un leader... Gli stai
insegnando ad *odiare*. Odierà *te*, un giorno o l'altro, se non metti
fine a tutto questo! Ed io non sarei in grado di accettarlo... Io ti
voglio bene, Outosan. E voglio.... E *tengo* molto a Kazuya. Io... Io
vorrei solo vedervi andare d'accordo... Ogni volta che vi vedo
discutere... O quando tu cerchi di umiliarlo a tutti i costi... Mi fa così
tanto male..."
GLi occhi di Heihachi sembrarono riflettere una vaga ombra di quella che
avrebbe potuto essere tristezza; liberò le mani dalla presa di Lee,
appoggiandole ai lati del viso delicato del ragazzo.
Lee si irrigidì leggermente; era... *strano*, venire toccato da suo padre
in quel modo... Anche se non sapeva spiegarsi bene il perché.
"Vedi, Lee-kun... ", iniziò Heihachi, guardandolo diritto negli occhi,
"Non tutti, a questo mondo, sono destinati ad essere amati. Qualche volta,
in qualche luogo della Terra, nasce qualcuno il cui fato è quello di fare
qualcosa di *davvero* speciale... E, solitamente, questa persona deve
sacrificare tutto, per riuscire a raggiungere il suo scopo..." Heihachi
accarezzò piano il volto di suo figlio con i pollici, prima di concludere:
"Kazuya è nato per essere un Mishima. E' proprio uguale a *me* e questo è
anche il motivo per cui mi odia così tanto. Ma non può fuggire al suo
destino... Ed è mio *dovere* aiutarlo ad affrontarlo nel migliore dei
modi:"
"Aiutarlo?!? Facendolo diventare un bastardo senza cuore?!?" Lee aveva
quasi gridato, dimenticando per un secondo il rispetto reverenziale nei
confronti di suo padre.
"No, Lee... Aiutandolo a diventare l'uomo che prenderà il mio posto, un
giorno."
"Anche se questo significasse essere odiato dal tuo stesso figlio?"
"Se servisse... Si, anche fino a questo punto."
Lee cercò di liberarsi da Heihachi, mentre si sentiva dilaniare da un
miscuglio di indignazione, confusione e tristezza; le mani di suo padre,
però, gli si chiusero attorno agli avambracci, tenendolo fermo.
"Lee... Tu sei proprio come *lei*. Come tua madre... Troppo emotivo e
gentile per sopravvivere in questo mondo... E questa è la ragione per cui
ho deciso di mandarti all'estero. Non devi abituarti a contare troppo su
tuo fratello... Sei così insicuro... Penso che le arti marziali ti abbiano
un po' aiutato, ma non abbastanza. Devi imparare a badare a te stesso, o
nessuno ti rispetterà mai come *uomo*." Heihahci aveva particolarmente
accentato quell'ultima parola. "Inoltre... Ava... Tua madre... Ha
ammorbidito questo mio vecchio cuore davvero troppo. Ho... Ho perduto il
controllo che esercitavo su Kazuya; non sono stato abbastanza forte, negli
ultimi cinque anni. Ed averti qui... Mi riporta alla mente troppi ricordi.
Quando ti guardo, mi ricordo di lei... E dei suoi dolci rimproveri
riguardo al modo in cui ho tirato su Kazuya. Non posso permettermelo... E
non posso permetterlo nemmeno a *lui*."
Lee ascoltava con gli occhi sgranati, quasi ipnotizzato dalla voce calda e
profonda di suo padre.
"Lee... Se pensi che tuo fratello abbia bisogno così tanto di ciò che tu
chiami *amore*, allora sentiti pure libero di amarlo. Come se fossi il suo
angelo custode... Come è stata tua madre per *me*. Ma devo metterti in
guardia: non sarà facile. Soffriresti... Molto più di quanto potresti mai
immaginare. Io non sono la persona adatta a dare a Kazuya quel tipo di
*amore* e sono comunque sicuro che lui, da me, non lo accetterebbe."
"Come... Come posso riuscirci, se tu ci separerai?!?" Chiese Lee,
sull'orlo del pianto.
'Debole... Ecco cosa sei, Lee. Come fai ad essere così debole?'
Heihachi sollevò una mano e lasciò scivolare le dita tra i sottili fili di
seta che erano i capelli di suo figlio, ridendo piano.
"Lee... Sei così bambino, a volte. Credi davvero che l'amore possa essere
ostacolato dalla distanza fisica? Se sei sicuro dei tuoi sentimenti,
allora Kazuya potrà certo contare su di te, dovunque tu sarai." Passò il
dito indice sulle labbra di Lee e lui rabbrividì leggermente, spaventato
da qualcosa a cui non riusciva a dare forma... Era a sua madre a cui
Heihachi stava parlando, non a *lui*... Lee aveva visto quella particolare
luce sul volto di suo padre soltanto quando guardava Ava...
Eppure, il suo sguardo e la sua voce lo stavano letteralmente inebetendo,
al punto che era incapace di muoversi; riusciva solo a fissare gli occhi
di suo padre, che sembravano così stranamente dolci...
"Amavo *davvero* tua madre", continuò Heihahci, come se fosse stato in
grado di leggere nella mente di Lee, "E amo *te*, Lee-chan. E, che tu ci
creda o no, amo anche tuo fratello, a modo mio. Ma..." L'uomo indugiò un
attimo, lasciando vagare l'indice sul viso attonito di Lee. "...Ma,
proprio perché mi preoccupo per te... Ho bisogno di farti andare via. Per
il *tuo* bene. E anche per quello di Kazuya."
Lee guardò suo padre, incapace di fare altro. Non riusciva a rispondere,
non riusciva a muovere un solo dito. Una verità disturbante si stava
facendo strada nella sua mente e, anche se lui cercava con tutte le sue
forze di ignorarla, era comunque *terrorizzato* dalla sensazione che gli
dava il dito di suo padre sulla guancia...
Poi, improvvisamente, Heihahci cessò le sue carezze e chiuse un abbraccio
intorno al corpo tremante di suo figlio.
"Vai a dormire, adesso", disse dolcemente, "Vai a dormire, Lee-chan. E'
tardi."
Lasciò il ragazzo e si precipitò nuovamente alla sua scrivania, senza più
guardarlo, ricominciando a leggere le sue carte.
Lee rimase impalato, fissandolo. Heihachi non faceva più caso a lui, come
se non fosse successo niente, come se non si trovasse più lì... Il ragazzo
si voltò, incamminandosi come un automa, terrorizzato e confuso come non
lo era mai stato.
"O... Outosan...", chiamò, dando le spalle all'uomo, "E'... è *questa* la
ragione per cui continui a tenermi in questa casa con te? Perché ti
ricordo Ava... Perché hai *bisogno* di qualcuno da amare, dato che non
puoi, o non vuoi, amare Kazuya?"
Il ragazzo attese qualche secondo la risposta di suo padre, con le dita
strette spasmodicamente intorno alla maniglia della pesante porta delle
biblioteca.
"Vai a letto, Lee-kun. Sei turbato, ora... dovresti riposarti."
Non c'era più nulla da dire... Almeno, per quella sera.
Una volta lasciata la stanza, Lee si appoggiò alla porta, con il respiro
tremante e gli occhi pieni delle lacrime che era riuscito a trattenere
fino a quel momento.
'Ho promesso...' , cercò di fare ammenda a se stesso, 'Ho promesso a
Kazuya, quel giorno, che non avrei più pianto... Le lacrime sono per le
ragazze... Gliel 'ho promesso...'
"Gliel'ho promesso...", disse infine a voce alta, mentre due ruscelletti
bollenti e cristallini gli si riversavano sulle guance.
Nel suo ufficio, Heihachi Mishima guardava la bella donna che gli
sorrideva dalla foto in una delle cornici d'argento appoggiate sulla
scrivania.
"Ava... Perdonami. Ti prego...", disse, in un sussurro, prima di coprirsi
il volto con le mani.
Fine secondo capitolo - tsuzuku
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