Lost (and found you, today)

 

Di N

 

Chapter 6 - Interview

“Vieni con me, in America.” È un sussurro nella notte, il mio.

Siamo sdraiati sul mio letto, l’uno accanto all’altro. Non lo tocco, ma sento il suo calore al mio fianco. Almeno fino a quando non pronuncio questa frase.

Lui si alza di botto a sedere.

“Stai scherzando, vero?”

“no”

Mi guarda stravolto; poi si alza e va alla finestra, come per prendere aria.

“No” infine dice, guardando fuori.

“Perché?”

“Come ’perché’? Perché non posso! … per cosa, poi? Seguire te?”

“Sarebbe poi così schifoso?” chiedo un po’ incazzato.

“Andiamo… non posso mollarli così.”

So che si riferisce a Kaede e a Midori… ma temo non solo a loro…

“E rinunci così all’NBA?”

“Ma per favore! Come se avessi veramente qualche possibilità…”

Non credevo che avrei mai sentito parole del genere uscire dalla sua bocca…

“Potresti almeno provarci!”

“sì certo… -scusa Midori, mi assento un attimo… vado in America a tentare di entrare in NBA.. se non riesco a sfondare, torno… tra qualche mese… a Kaede ci pensi tu, no?- ”

“Potrebbero venire con te!”

“Sì… trasferiamo un bambino di 4 anni e una anziana che non sa nemmeno l’inglese, in un continente nuovo, a seguire la mia disfatta… che, tanto, se va male torniamo qui… ops…e il negozio?”

Mi rendo conto di una cosa, dalla prontezza delle sue risposte. Che ci ha pensato. E molto. Che magari è da tempo che si chiede quanto sarebbe fattibile, il piantare tutto e venire negli States…

“Ci hai pensato a lungo vero?”

… non mi risponde… appoggia la testa allo stipite e la brezza notturna gioca con i suoi capelli…

“Ogni notte che mi allenavo da solo. Ogni volta che vedevo una tua partita. Ogni volta che il sonno non veniva… io pensavo di mollare tutto e di venire da te. E venire a giocare, per sentirmi vivo, come solo vincere il campionato mi aveva fatto sentire… ma… c’erano un bambino e una signora che avevano bisogno di me, perché erano la mia famiglia… e non un miraggio lontano…

Non verrò in America. Tu ci tornerai. Direi che la situazione è chiara, no? Non c’è bisogno di dire altro.”

“Chiaro.”

Lui prende la sua roba ed esce. Anzi: scappa.

E io rimango a fissare la finestra, lì dove prima c’era il suo capo, facendo di tutto per non gridare. O piangere.

 

 

Giornata calda, oggi. L’ennesima. La caviglia mi prude, il gesso mi dà fastidio e il caldo è insopportabile. Kaede è stato particolarmente assillante e noioso; per fortuna, ora è al parco con Hana. Non è una gran giornata, oggi. È pomeriggio tardo, ma fa ancora molto caldo. Non vedo l’ora che scenda definitivamente la sera.

La notte scorsa ho dormito poco. La conversazione con Hana mi ha tolto molto del sonno… buffo, la kitsune in letargo perenne che non riesce ad addormentarsi...

Ora sono in giardino, a leggere. Ormai so tutto sulla situazione mondiale…

“Il Sig. Rukawa, suppongo!”

Mi volto e mi trovo davanti uno sconosciuto. Lo guardo impassibile e non accenno a dirgli niente…

“Sì, sì, è proprio lei! Salve! Sono Uesugi del ***. Posso farle alcune brevi domande?”

I giornalisti, razza inutile… qualcuno mi ha trovato, alla fine. Non lo faccio entrare, ma lui non sembra scoraggiato da questo… continua a parlare imperterrito.

“Hn”

“Lo prendo per un sì!”

Continuo a stare sulle mie e a dare risposte monosillabiche, ma il tipo non demorde. Sembra che fosse preparato a questa mia reazione… e, per nulla intimidito, macina domande sulla caviglia, sui tempi di guarigione…

“E così ha deciso di fermarsi in Giappone da…?”

… non rispondo.

“Amico di vecchia data?”

“Hn”

la mia espressione si fa ancora più impenetrabile. Non voglio parlare di Hana, Midori o Kaede.

Ma il destino ce l’ha con me, oggi… anzi, questo mese.

La porta di casa si apre e appare Midori…

“Ru-san, è arrivato Hana?… Salve! Scusate, ho sentito delle voci e pensavo fossero rientrati  i miei nipoti…”

Il giornalista si illumina. E, con un sorriso, si presenta e spiega che è venuto per intervistarmi…

“Ma allora, perché non si accomoda?? Entri! Vi porto qualcosa da bere! Ru-san! Non devi stare troppo in piedi, lo sai…”

Io mugugno qualcosa, e il tizio gongolante entra. Questa donna è decisamente troppo ospitale…

Quando Midori torna, lui la trattiene.

“Se non ha da fare, perché non rimane con noi a fare due chiacchiere?”

Lei accetta.

“Allora, stavo chiedendo a Rukawa-san: come mai si è fermato qui? È un amico di vecchia data?”

“Conosce mio nipote maggiore… sono stati a scuola insieme, per un certo periodo…” sembra prepararsi a un racconto lungo…

“già, sono passato a salutarlo. Presto tornerò negli States per la riabilitazione” tendo a tagliare, per evitare che diventi troppo curioso. Certo che fermarsi un mese qui non è proprio ‘passare a salutare’…

“Bene, così sarà di nuovo in forma. E questo suo compagno è forse..”

“I Tensai sono qui!!” un urlo gioioso lo interrompe. Hana, con Kaede sulle spalle, irrompe dal cancelletto in giardino. Il Tensai, il mio compagno, è ridente e bellissimo nel sole del tardo pomeriggio. Per un attimo mi perdo nell’ammirarlo. Il mio compagno. Suona bene. Troppo.

“Salve! Sono Hanamichi Sakuragi e lei?”

“Sono Uesugi, un giornalista del ***, piacere! Lei è l’ex compagno di scuola che sta ospitando Rukawa-san, vero?”

Man mano che il giornalista parla, vedo il sorriso del Do’aho spegnersi. Alla fine risponde di sì, con quella che è una lontana imitazione dell’espressione con cui è comparso…

Io e Hana cerchiamo di rimanere sul più vago possibile… e il giornalista alla fine ci lascia in pace.

Non dopo aver detto che comparirà un articolo sul mio infortunio, sull’inserto sportivo del sabato.

Sabato, tutto il Giappone saprà che sono qui. Da lui… improvvisamente ho un flash.

“Hn… spero tu abbia voglia di rivedere gli altri…”

Lui mi guarda senza capire, per un attimo. Poi… i suoi occhi si allargano e il suo viso acquista un colorito quasi trasparente…

“Non vorrai dire che… non leggeranno mica… non verranno mica!?!?”

“Io dico che domenica mattina ti ritroverai qui mezza Kanagawa…”

“E io dico che per una volta hai parlato fin troppo, Kitsune…”

e se ne va in casa… e io non capisco se si sia riferito all’ultima battuta a o a tutta l’intervista…

 

 

Finalmente è scesa la sera.

Ho voglia di stare solo, così mi siedo nel giardino buio.

Mi rilasso.

All’improvviso sento la porta-finestra dietro di me aprirsi, e mi preparo ad un ennesimo incontro-scontro con Hana. Ma non è lui.

“Ti disturbo, Ru-san?” è Midori, con il suo buffo modo di chiamarmi… con il diminutivo e il san…

“No. Stavo solo prendendo un po’ di fresco…”

mi si affianca e la studio con la coda dell’occhio. Pare voglia chiedermi qualcosa. Ma non sappia come affrontare il discorso… continuo imperterrito a godermi il silenzio e il buio.

“Così ripartirai presto per gli States.” Un’affermazione che non ha bisogno di riposte.

“Così hai detto al giornalista”

altra affermazione…

“E non tornerai, qui?” domanda.

“certo. Non credo a breve, però.”

“Breve due settimane o breve cinque anni?”

Breve mai più.

“hn. Non so”

“e con Hana?”

”Nani?”

“Come farete?”

“come abbiamo sempre fatto” se fossi una persona espressiva, avrei assunto un tono ironico condito da un sorrisino sghembo.  Ma sono solo io. Quindi, rimango impassibile e atono.

Lei accoglie la risposta in silenzio. E mi guarda. Pare stia riflettendo su qualcosa. Di molto importante.

“Lo ami?”

questa domanda non me la sarei mai aspettata da lei. Mi volto a guardarla

“Oh, andiamo! Pensi che non lo sapessi, che non me ne fossi accorta? So da anni che Hana è gay. E, da altrettanto tempo, so cosa ha sempre provato per te. Perché credi che suo nipote si chiami come te? Quello che mi manca è cosa provi tu, per lui. Fino a stasera, avrei detto di avere un’idea precisa e molto probabilmente esatta… ma ora…allora, lo ami?”

 

Passa del tempo. Passano le risposte possibili nella mia testa. Dalla più articolata a quella non data. Ma alla fine mormoro un “sì” leggero e soffiato. È la prima volta che lo ammetto da moltissimo tempo. Io stesso mi ero sempre rifiutato di rispondermi, quando nella mia testa si formulava questa domanda. Ma ora, che senso avrebbe? Guardo ostinatamente avanti a me.

 

“E quindi?”

che razza di domanda è? E quindi? Quindi…

“Niente. Io partirò alla fine della prossima settimana e lui rimarrà qua. E le nostre vite continueranno come se nulla fosse accaduto.”

“E pensi di riuscirci?”

“Certo”

“Bugiardo” ha ragione. Ma. Siamo due orgogliosi e responsabili egoisti che non possono abbandonare ciò che hanno, per tuffarsi in questo vago ‘poter avere insieme’

“Lui vorrebbe… partirebbe, se… mi spiace Kaede. È tutta colpa mia e del piccolo.”

Il suo tono è quello di una madre addolorata. Mi ha chiamato Kaede e, per un attimo, mi è riecheggiato in testa il tono che usava anche mia madre quando da bambino mi doveva spiegare che mio padre non sarebbe venuto a casa per il mio compleanno, a causa del lavoro.

“No, Midori. Non è colpa di nessuno. A volte le cose non vanno come vorremmo, tutto qui.”

Le dico sorridendo, con un angolo della bocca.

La mia parte cattiva sta gridando che invece sì, è colpa loro e che li dovrei odiare… hanno tolto a me, il do’aho; e a lui, me e il basket…

“Sai… lui è veramente bravo a giocare, ora. Quando lo facevamo insieme… si vedeva che aveva talento, ma era troppo inesperto. Anche se verso la fine, il periodo subito prima la sua partenza, era la cosa più bella del mondo giocare con lui. Anche ora, non so cosa darei per un one on one. O meglio, per giocare in coppia…  sarebbe uno dei migliori dell’NBA e te lo dico io, che non ho mai apprezzato nessuno…”

un nuovo silenzio ci avvolge. Ma questa volta non facciamo nulla per spezzarlo. Io mi perdo nei miei pensieri e Midori nei suoi. E la notte ci avvolge, con il suo profumo.

 

 

Rientro piano. Midori è rincasata da tempo. E io sono rimasto a costruire puzzle, di cui mancava sempre un pezzo.

La casa è avvolta nel silenzio. Mi sposto senza accendere le luci, perché ormai conosco tutti gli angoli di questo posto. Anche i giochi sparsi nelle stanze…

Arrivo nella mia camera.

E ci trovo Hana. È davanti alla finestra aperta e guarda fuori. Mi viene in mente la nostra ultima conversazione notturna come se fossero passati secoli… e in bocca sento un gusto amaro. Ma non posso fare a meno di ammirarlo. Il mio sguardo lo percorre, dai capelli corti e caotici come lui, al fisico asciutto che io so essere caldo e profumato. Si volta e ci fissiamo.

Per minuti. Ore?

Forse solo pochi attimi.

Mi viene incontro. So che potrei leggere tantissime cose nei suoi occhi, ora, se ci fosse più luce. Ma siamo al buio. E forse è meglio così.

Sento il suo calore sfiorarmi in una carezza ipnotica, mentre è a un passo da me. Appoggia il capo alla mia spalla.

Le sue labbra solleticano la mia pelle mentre inizia a parlare.

“Solo fino alla tua partenza. Lasciami al tuo fianco, solo fino ad allora. Ti prego.”

E io non posso che stringerlo a me.

 

La finestra aperta lascia entrare la brezza della notte. Sulla mia pelle sudata è una piacevole sferzata gelida. Hana ci copre con la coperta leggera, quando accarezzandomi piano si accorge della mia pelle d’oca.

“Kitsune sconsiderata, stai prendendo freddo, copriti! Altrimenti ti ammalerai!” dice, con voce leggera e allegra.

In questo momento, in cui è tranquillo e accoccolato addosso a me, sembra aver ritrovato molto del suo aspetto di Do’aho di un tempo… e io non resisto nel farglielo notare.

“Do’aho. Non sono tuo nipote. E non posso aver certo freddo, con te spalmato sopra!”

“Ehi, io ti evito di prendere il raffreddore, o peggio, e tu mi insulti??”

“Che spirito caritatevole, Do’aho…”

“Certo… dovresti ringraziarmi e riconoscere la mia superiorità…”

“Sì… la tua superiore stupidità…”

“Baka kitsune!!”

le parole sono quelle d’un tempo… il tono proprio no. Stiamo sussurrando nella notte e lui trattiene a stento le risa. E pure io non riesco a reprimere un sorrisetto.

“Ora ti dovrò dare una lezione!!! Così imparerai a non offendere il Tensai”

“Ma per favore!”

“Maledetto!!” e inizia a farmi il solletico…

io non posso difendermi come vorrei per via del gesso, così dopo poco sbotto a ridere.

Solo dopo che grossi lacrimosi mi hanno rigato il volto, lui si ferma.

“Avrei dovuto sperimentare questo metodo di attacco molto tempo fa”

non è solo divertito, ora. Di nuovo la malinconia si è intrufolata nei nostri pensieri, nei nostri gesti. Nelle nostre parole.

“Eri troppo stupido… e troppo timido…”

Arrossisce. “Non sono timido…” “Se non ti avessi baciato… tu l’avresti mai fatto?” chiedo con un sopracciglio alzato.

“Non lo sapremo mai.” Risponde lui, con fare filosofico…

“Do’aho”

“Ehi, si vede che la lezione non ti è bastata!” e riparte…

“Basta, ti prego!” fatico a respirare, dalle risate che devo soffocare per non svegliare l’intera casa…

“Finalmente, l’algida Kitsune si arrende!!” trionfa lui…

sto per rispondergli a tono, quando mi blocco. Tutto perché ha improvvisamente cambiato espressione. Mi accarezza piano e, con sguardo dolce, mi dice: ”Sei bellissimo”

e poi si china a baciarmi.

 

“Di cosa parlavate prima, tu e Midori?”

“Prima, quando?”

“Non fare il finto tonto, Kitsune. Prima in giardino, al buio.”

“Di noi.”

“Noi chi?”

“Noi, io e te, Do’aho!”

“Ah… e cosa vi siete detti?”

“Mi ha chiesto conferma della dichiarazione rilasciata al giornalista, circa le mie intenzioni future…”

“Ah.”

Cala il silenzio. Lui è appoggiato con la testa sul mio petto e mi abbraccia mollemente. Come si fa con un cuscino comodo, subito prima di addormentarsi.

“Sa che sei gay.”

“Già.”

“Come mai?”

Sento che sorride. “È una storia buffa… anni fa, si era messa in testa di trovarmi una brava ragazza per farmi mettere la testa a posto, come diceva lei… al decimo appuntamento al buio, che non sapevo come evitare, ho preso il coraggio a due mani e le ho detto la verità… e sai cosa mi ha detto lei?

Che lo sospettava, perché solo un pazzo o un omosessuale avrebbe rifiutato la figlia del sarto… ma  che, per fortuna, questa aveva un fratello… non sapevo se ridere o piangere…”

“alla fine riuscii a farle capire che… oh, che avrei trovato qualcuno da solo!”

Che l’avevi già trovato qualcuno, Do’aho. Era questa la frase giusta, vero?

Solo che lui era lontano e non potevi raggiungerlo e abbandonarla… ma lei l’ha capito comunque. Penso che l’avesse intuito anche da prima e che gli appuntamenti al buio fossero un modo per cercare di alleviarti il dolore… in fondo, Midori si è rivelata essere una persona molto intuitiva.

Mi perdo nel ragionamento… sento il respiro di Hana riscaldarmi il cuore e piano scivolo nel sonno.

 

End chapter 6 - Interview

 

I personaggi appartengono al loro creatore

 

 



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