Lost
(and found you, today)
Di N
Chapter
4 - Right, Do'aho
Sono passati alcuni giorni. La caviglia mi dà poco fastidio e io mi sono
integrato almeno un po’ nel tran tran di questa famiglia. Sakuragi lo
vedo poco, impegnato com’è tra negozio, allenamenti dei bambini e suoi.
Con Midori ho fatto amicizia. È una persona molto gentile, che sa
rispettare i miei silenzi e coinvolgermi in simpatiche
pseudo-conversazioni che includono suoi interi discorsi e mie brevi
risposte.
Kaede è stupendo. Una
forza. Testardo, buffo e incredibile come il “padre”. Mi ha disegnato
tutto il gesso… nonostante i continui rimproveri di Midori e di Sakuragi.
Però, ancora un po’ mi
colpisce, quando sento Midori che per sgridarlo urla il suo nome
completo… “Kaede Sakuragi!” fa impressione! Di solito avviene quando lo
becca fare qualche marachella. Se io sono nei paraggi, lui spesso mi
guarda e mi lancia un sorrisetto complice. Quando è a casa, passa i tre
quarti del tempo a tirare al piccolo canestro. E io ormai gli faccio da
allenatore, facendogli vedere la posizione delle braccia e come deve
muoversi. So che ha solo 4 anni e che non ci riuscirà mai, ora come ora.
Ma le basi sono importanti!
La prima settimana e il
primo controllo sono andati. E io mi sento meglio e più rilassato. Anche
se ancora c’è qualcosa che mi turba . Non ho mai trascorso cinque minuti
da solo con la scimmia. Lui sembra evitare un’occasione del genere come
la peste. Forse perché sa, che se capitasse, non lascerei perdere e mi
farei spiegare molte cose. Più lo osservo, più noto i piccoli e grandi
cambiamenti che il tempo ha prodotto in lui. Chi sa, se ha operato così
tanto anche con me. È sempre allegro e vivace, ma. Ma è anche parecchio
più maturo e responsabile. E, a volte, ho notato tristezza nel suo
sguardo. Sguardo che, in più di un'occasione, ho trovato addosso a me,
di sottecchi. Come per studiarmi.
La scorsa domenica c’è
stato il torneo per dilettanti. Non ci sono andato, perché non era il
caso mi sforzassi, ma da quel che ho saputo da Midori e Kaede, la sua
squadra l’ha vinto. Quando l’ho saputo, sono stato molto orgoglioso,
però. Non ho potuto evitare di pensare che lui potrebbe vincere
qualcosa di molto più importante che uno stupido torneo domenicale…
È il tramonto. Sakuragi
e Kaede si stanno rotolando in giardino, mentre Midori cucina. Ad un
certo punto, il piccolo sfugge alla presa del Do'aho e al suo solletico
e mi si catapulta in braccio, ridendo…
“Adesso non mi prendi.
Kitsune mi protegge! Lui è il più forte! Vero, Kitsune?”
Non ho capito male. Non ha detto male. Ha detto ‘Kitsune’. Io vorrei
fare mille domande, ma. Ma ora lui mi guarda con quell’espressione
sicura e felice, che lo fa assomigliare tanto ad Hana ed io mi sciolgo.
Quel “vero, Kitsune?” quante volte l’ho sentito dire? Per ogni
miglioramento, per ogni vittoria… “Siamo i migliori, vero?” “”Visto che
canestro, Kitsune?” “vinceremo il campionato, vero Kitsune?”
per un anno, quella
domanda ha riempito ogni mia giornata in mille diversi modi e forme…
“Si, è vero.” Dico
sorridendo e scompigliandogli i capelli. Così, forse, avrei sempre
dovuto rispondere a quelle domande. Così, almeno, rispondo ora. Lui si
volta per fare una pernacchia festosa al padre. Che però fissa me. Non
riesco a capire cosa gli passi in mente, ma è solo un istante. Poi si
riscuote, la vita riprende e lui si avvicina per acchiappare il piccolo
che si stringe a me un momento, e poi veloce, guizza via.
Dopo cena ci sistemiamo
tutti in salotto. Anche Hana per una volta si unisce a noi. Niente
allenamenti, stasera. Kaede si spalma come suo solito su di me. Midori
l’avrà sgridato milioni di volte, ma lui si è dimostrato sempre più
tenace. Puntuale ogni sera, dopo cena e il bagnetto, passava la sua
oretta prima della nanna a tentare di arrampicarsi in braccio al
sottoscritto.
Alla fine ho ceduto e
lui ha preso l’abitudine di passare il tempo davanti alla tv
concessogli sdraiato su di me. Io non amo il contatto fisico, ma con
lui… beh, o passavo per l’uomo nero di turno, o imparavo a non temerlo.
All’inizio si accontentava di potermi restare in braccio, ora si lamenta
se non gli accarezzo i capelli o non guardo i programmi che piacciono
anche a lui. Tutto suo padre, non si accontenta mai…
Sbuffo, mentre questo
rituale si compie anche stasera, ma sotto sotto sono divertito da questo
suo comportamento fiducioso. E mi piace.
Il Do'aho ci guarda e
si appoggia sul divano di fianco a me. Presto Kaede inizia a sentire il
sonno e inizia a chiudere gli occhi. Sakuragi se ne accorge e lo incita
a staccarsi da me, per andare a dormire. Ovviamente lui, testardo, nega
il sonno.
“Se fai il bravo ti racconto una storia!”
“Va bene…”
“ok. Allora di sopra… a nanna.”
“anche Kitsune con
noi.” Dice lui, stringendosi a me. Suo padre lo guarda e poi gli spiega
per l’ennesima volta che io non posso salire le scale
“Uff… storia qui.” “no
Kaede, non voglio che ti addormenti qui… ho detto di sopra!”
“GnnnoOOOOO!”e inizia a
frignare…
Sakuragi pare
resistere, ma Midori è intenerita e intercede.
“Dai, Hana-chan! Per
una volta... Se a Rukawa-san non dà fastidio, lascialo lì. Lo porteremo
di sopra dopo!”
Il Do’aho sbuffa e mi
guarda in cerca di appoggio.
“Per me è ok.” Rispondo. E lui mi tira un'occhiataccia con fare tradito.
E buffo.
“Ok, ok. Sono in
minoranza. Allora, Peste! Che storia vuoi?”
“Scimmia e Kitsune
contro il Sonno!”
Sembra il titolo di una
fiaba qualsiasi, ma. Ma temo di conoscerla molto bene questa fiaba. E da
come mi guarda imbarazzato Sakuragi, ho ragione a crederlo.
“Ma dai, l’avrai sentita tante volte… scegline un’altra!”
“Noooo. Kitsune e Scimmia amici. È la mia preferita!”
Alzo un angolo della
bocca in un mezzo sorriso. È anche la mia, di preferita, piccolo. Hai
ottimi gusti. Mi rilasso e lui con me. Il plaid leggero che ci copre è
piacevolmente tiepido e il divano comodo. Sentiamo la storia, Do’aho.
“Ok… dunque: questa è
la storia di quella volta in cui…
e io chiudo gli occhi e mi lascio trasportare dalla voce di Sakuragi
che racconta la storia della partita in cui Scimmia e Kitsune scoprono
il valore della solidarietà e in cui crescono un po’. E, a darsi un
clamoroso cinque finale, dopo la vittoria giusta e meritata…
Sento il viso rilassarsi in un sorriso e non mi accorgo della lacrima
di malinconia che mi sfugge. Poi, cullato dalla voce e dal quieto
ronfare di Kaede, mi addormento anch’io.
Mi sveglio immerso nel
buio della stanza. Sono solo. Stranamente, la cosa mi infastidisce un
po’. Mi guardo intorno e sento parlottare in lontananza. Mi volto e noto
che la luce della cucina è accesa.
Quando vi arrivo, vedo
Midori seduta al tavolo che ridacchia per una battutina di Sakuragi. Lui
è appoggiato al piano dei fornelli, con addosso solo il paio di
sfilacciati pantaloncini di jeans che porta sempre in casa e si diverte
a tentar di far girare un’arancia su un dito. Idiota.
Mi nota e, sempre
sorridendo, mi dà il benvenuto.
“Oh, la brutta Kitsune
addormentata sul divano s’è svegliata!” è la prima volta che mi chiama
‘Kitsune’, da quando ci siamo rivisti. E io mi sento di nuovo pieno di
energie.
“Do’aho”
“Ehi… un po’ di
rispetto per chi ti ospita!”
“Takahashi-san ha tutto
il mio rispetto…”
“Brutto… non fare il
finto tonto!” il suo è un grido trattenuto. Kaede starà già dormendo da
un pezzo.
“hn!”
Lo sento ringhiare e lo
vedo stringere i pugni e un po’ mi dispaccio che abbia tanto
autocontrollo, ora. Avrei voglia di una bella rissa con lui…
“Non riuscirai a
provocarmi, Rukawa; perché so che in realtà hai solo voglia di finire in
rissa…” mormora come conferma. E io non posso fare a meno di fissarlo.
Ha un sorrisino sghembo, ironico.
“Hn” continuo.
Midori ridacchia e spezza così l’incanto della scena. Poi si alza e ci
dà la buonanotte, lasciandoci soli.
Ci siamo, Do’aho. Sei
ancora coraggioso o scapperai? Chiederò o sono ancora la solita kitsune
artica?
Lui giochicchia con
l’arancia, poi l’appoggia. È nervoso. Lo sono pure io.
“E’ tardi; forse è il
caso che andiamo a dorm…”
“perché non ci hai detto dove eri? Perché sei sparito? Avevi promesso di
farti sentire! Perché non sei un professionista? Perché..” mi hai
abbandonato?
Lo fisso deciso. Ma lui
non mi risponde. Anzi, mi fissa di rimando, con cipiglio.
“Non credi che potresti darmi almeno qualche risposta? Almeno per
scusarti per come sei sparito…”
“io non sono sparito..
e non vedo perché dovrei scusarmi con te.. che, come minimo, avrai
organizzato una festa, il giorno dopo la mia partenza!” spara lì. Vuole
farmi incazzare. Ci riesce.
“Non dire cazzate, sai
benissimo che non è così! Avevi promesso che avresti mandato il tuo
indirizzo, appena sistemato! E non l’hai mai fatto!”
“Forse perché non mi
sono mai sistemato…” fa lui, ironico.
Mi alzo dalla sedia su
cui ero franato appena entrato e mi avvicino a lui. La caviglia mi dà un
po’ di fastidio, ma non m’ importa.
“Smettila.” Ti prego…
Ci stiamo fissando, in
silenzio. Ma ho la sensazione che da lui non otterrò nulla. Non ho mai
ottenuto nulla, in fondo.
Mi
giro e faccio per uscire dalla stanza.
“È
una storia lunga. Hai sete?”
“della storia, sì.”
“Allora. Sai perché
sono dovuto partire”
“Hai detto a tutti che
tua sorella, la tua unica parente, si stava per sposare con uno di
un’altra città e che vi sareste trasferiti…”
“Infatti, partii
proprio per quello. Sai… mi è dispiaciuto tanto lasciare lo Shohoku,
così; lasciare gli amici, i rivali…” te.
Ma questo non lo dice.
E non credo lo pensi. Lo spero.
“Avevi promesso…”
“lo so, Ru, cosa avevo
promesso. So anche cosa avevo programmato: pensavo mi sarei iscritto in
una scuola con una buona squadra qui, che l’avrei portata al campionato
e che ci saremmo scontrati e rivisti. Poi sarei andato all’università e
avrei continuato a giocare e a migliorare… e tante cose simili…”
“cosa è successo?”
“all’inizio, niente…
mia sorella era incinta e vivevamo qui con suo marito e sua suocera:
Midori. Io mi ero iscritto in una buona scuola e la squadra non era
male. Mi ricordo ancora la festa che abbiamo fatto per la nascita di
Kaede…”
“immagino la tua
faccia, quando ti hanno comunicato come si sarebbe chiamato…”
lui arrossisce. “Perché
sei arrossito? C’entra forse il fatto che il nome l’hai scelto tu?” lo
vedo sgranare gli occhi e puntarli nei miei, sorpreso.
“Cooosa?” “me l’ha detto Midori, l’altra sera” dico, alzando le spalle.
“E cos’altro ti avrebbe
detto?”
“Nulla. Solo di
chiederne il motivo a te…”
“non ci sperare, Rukawa…”
“hn. Continua” non
voglio sapere. Ho un sacro terrore di sapere il perché della sua scelta.
“Non c’è molto altro da
dire. Poco dopo la nascita di Kaede, ci fu un incidente stradale… un
frontale… i suoi genitori morirono. In una giornata di primavera come
tante: io ero ad allenarmi e Kaede con Midori… Ci ritrovammo una signora
e un ragazzino a dover mandare avanti un negozio e tirare su un bambino.
Il negozio non era così fiorente e non ci potevamo certo permettere dei
commessi... così…”
“abbandonasti il basket
e la scuola, per diventare un bravo padre di famiglia…”
“No. La scuola la
finii. E al pomeriggio aiutavo in negozio… e all’università rinunciai.
Il resto venne da sé…”
Fa
un mezzo sorriso e afferra una mela dal cesto sul ripiano.
“Tu invece sei andato
in America.” Non è una domanda.
“già. E sono diventato
'Kitsune nera' in racconti per bambini…”
Sbuffa divertito e dà
un morso alla mela. Un po’ di succo gli cola sul polso e lui lo
raccoglie, accostando le labbra alla pelle, continuando a guardarmi.
Mai mi è parso così
forte e allo stesso tempo indifeso. Mai, come in questa calda cucina,
con addosso solo un paio di pantaloncini sdruciti e un sorriso
malinconico e allegro. Un altro sorriso diverso… contraddittorio.
Proprio come lui.
Lo fisso e mi passano
davanti, in un lampo, le nostre mille scene di un anno vissuto insieme,
dopo la partita con il Sannoh: le liti, le discussioni serie. Quelle
piccole cose da “non rivali” che sono arrivate piano e inaspettate. Come
la neve in una serata d’autunno.
“Non è andata come
avevo previsto, ma non importa. In fondo è andata bene così. Cosa potrei
volere di più?” la sua voce mi arriva decisa. Lo guardo e lo vedo un
uomo. Un uomo bellissimo.
“Vero, kitsune?” mi
chiede con un sorriso, dando l’ennesimo morso al frutto che ha in mano.
Ancora, un rivoletto si forma sul suo palmo, pronto a scivolare in
sentieri caldi e dolci. Lo avvicina alle labbra, ma viene fermato dalla
mia mano che si stringe al suo braccio.
Lo guardo come
ipnotizzato e avvicino la bocca al suo polso, baciandolo piano. Poi
risalgo al palmo. E infine lo guardo.
E' sorpreso, confuso. Ma non solo. Mi aggrappo a questo e alle sue
labbra. Finalmente, dopo anni, ho dato la giusta risposta alla sua
domanda. ‘Vero, Do’aho.’
La tua bocca. Il tuo
profumo, il tuo sapore. È tutto quello che riconosco ora, tutto quello
di cui ho bisogno. Sbaglio. Ho anche bisogno delle tue mani su di me. E
loro ascoltano la mia preghiera. Il mio corpo le accoglie riconoscente e
trova risposte alle sue mute richieste in te, nelle tue mani, nel tuo
odore, nella tua bocca.
Non ti guardo, ti
respiro. Mi lascio cullare dalla tua pelle calda, addosso alla mia.
Non capisco nulla, solo
te. Mio bisogno primario e ultimo.
Vedo attraverso te,
respiro attraverso la tua bocca.
Vorrei urlare, ma tu mi
zittisci con la tua lingua. Vorrei correre ovunque, pazzo di gioia, ma
tu mi inchiodi qui con tutto te stesso.
La mia pelle più non mi
appartiene, è tua. Come tutto il mio essere. Il mio sentire e divenire.
Il calore è
insopportabile e cerco scampo in te, che ne sei sorgente.
Ci sfioriamo bramosi e
assetati. Frenetici e paurosi che tutto questo finisca in fretta, troppo
in fretta. Ma non facciamo nulla per rallentarlo. Le carezze non
bastano, i sospiri non pagano il desiderio di te che in me ho covato. Da
sempre. Il tuo sapore è gioia. La tua voce casa.
E tutto il resto non
conta.
Ora conta solo il tuo
respiro nel mio.
End chapter 4
- Right, Do'aho
I personaggi
appartengono al loro creatore.