Lost
(and found
you, today)
Di N
Chapter 2 - Hospital
Mi risveglio piano.
Sono un po’ intontito e ci metto un poco, prima di capire che sono in
una stanza bianca, solo. E chi ci dovrebbe essere con me?
Mi guardo intorno e
capisco che è un ospedale. E la cosa non mi piace nemmeno un po’.
Istintivamente il mio
sguardo corre immediatamente alla caviglia e con terrore fisso
l’involucro di gesso che la ricopre.
M***@,
K’so, shit!
Inizio a maledire tutto e tutti, in tutte le lingue che conosco… e,
giocando in NBA, non impari solo l’americano… sto per chiamare
l’infermiera, quando la porta si apre.
“Ah, bene ti sei
svegliato! Sempre a prendersela comoda, eh?”
Adesso l’ammazzo.
Adesso mi alzo e distruggo quel suo bel faccino ridente. Perché diavolo
non l’ho fatto prima?
“Vattene.”
Lui mi guarda stupito.
Cielo, sei patetico. Come ti aspettavi che ti accogliessi? Sei sparito
da anni…e, per colpa tua, sono in un letto d’ospedale con una caviglia
immobilizzata.
“Ohi,
Rukawa! Non rivolgerti a me in questo modo,
non è mica colpa mia! Sei tu che hai voluto giocare, nonostante ti fossi
fatto male nella partita di ieri!”
“Hn?”
e lui come fa a saperlo? Mah… avrà parlato con i dottori…
“Inutile che fai il
finto tonto… ti sei fatto male nel contrasto di ieri. Avevo ragione io,
a non voler giocare… eh già, il Tensai ha
sempre ragione!”
Le mie pupille si
allargano impercettibilmente. Lui non voleva giocare con me per via
dell’infortunio? Non perché si sentiva svantaggiato… lui NON si sentiva
svantaggiato…
“Do’aho.
Vattene. Hai già fatto abbastanza. Non voglio rivedere mai più il tuo
brutto muso, sono stato chiaro?”
Lui tentenna e, in quel
mentre, entra un uomo che pare proprio essere un medico.
“Salve, sig.
Rukawa. Vedo che si è ripreso e immagino che
il suo amico le abbia già spiegato la situazione”
“No.”
“Ehm, ecco… si è appena
ripreso e non ho ancora… esco, vi lascio soli”
Io sento un brivido
freddo corrermi lungo la schiena. Finora l’intontimento e la rabbia
verso il do’aho non mi hanno permesso di
pensare, ma. Ma in realtà non so che cavolo abbia la caviglia, quindi
potrebbe essere qualcosa di grave…
Istintivamente stringo
gli occhi per ridarmi un contegno. Qualunque cosa sia, io la supererò.
Tornerò a giocare, tornerò in America, tornerò a non esser nel suo
stesso continente…
“…dovrà riposare un
po’……
Sig. Rukawa?”
“Hn?”
Il medico mi sorride,
comprensivo. E inizia a parlare.
“Dunque, come le ho
appena detto, la sua caviglia ha preso una bella botta, sig.
Rukawa. È rotta. Dovrà stare a riposo un po’
e cercare di muoverla il meno possibile.”
“quanto un po’?”
“quattro settimane.
Dovrebbero bastare. Poi potrà tornare ad allenarsi e, fra sei o sette, a
giocare.”
Due mesi di fermo. Due
interi, lunghissimi, eterni mesi. Tra un mese e mezzo saremo alla fine
della preparazione pre-campionato. Le prime partite saranno all’inizio
di settembre. E io ci arriverò fuori forma e in panchina, grazie a
questa stupida caviglia, questo stupido gesso, quello stupido
Do’aho. Stringo un pugno e la mascella, per
impedirmi di lasciarmi andare all’ira.
Al medico non sfuggono
i miei piccoli gesti.
“E’ stato fortunato.
Poteva andarle peggio, visto che l’ha volutamente trascurato in partita.
Ora basteranno un po’ di riposo e attenzione… e pazienza. Altrimenti
potrebbe peggiorare. E di molto.”
Nel dire queste ultime
parole, il suo tono si fa deciso. Come se potesse veramente farmi
timore. O tenermi lontano da una palla da basket.
“Ho telefonato alla sua
società riferendo di questo incidente. Ho suggerito di lasciare che lei
restasse un po’ qui in Giappone, il tempo della sua convalescenza con il
gesso. Così la gamba non dovrà sopportare lo stress del lungo viaggio e
lei potrà rilassarsi e magari rivedere i vecchi amici…”
Qui??? Devo restare
qui??? MAI. E come crede di farmici
rimanere? Legandomi? Non esiste uomo che mi possa fermare quando ho in
testa una cosa. E io voglio tornare in America, ora! Non me ne frega
niente dei vecchi amici, anzi, ne ho rivisto uno di troppo. E per la mia
gamba non sarà affatto uno stress, il viaggio, lo sarebbe restare qui!
“No.” Sibilo, ma quello
stolto fa finta di niente.
“A questo proposito, ho
parlato con il sig. Sakuragi, che si è detto
felice e disponibile ad ospitarla in casa propria, durante questo tempo.
O almeno fino a che i suoi familiari non la raggiungeranno. A questo
proposito: non abbiamo trovato nessun riferimento nel suo portafoglio,
dove possiamo rintracciarli?”
Quest’uomo dice toppe
cose tutte insieme. Ha appena detto che dovrò andare a casa della
scimmia e che, probabilmente, questa ha guardato nel mio portafoglio. E
che dovrò stare con lui e la sua famigliola felice… questo è l’inferno.
“Non ho familiari in
vita. Gli unici che devo avvertire sono quelli della squadra. Se l’ha
già fatto lei, è tutto a posto. Ma io non mi fermerò mai qui in
Giappone.”
“Vedremo. Ora si
riposi. Domani mattina la dimetteremo. Buonanotte, sig.
Rukawa.”
E se ne esce. Quel
‘vedremo’ un po’ mi ha inquietato. Mi sa che, sotto all’apparenza
gentile, quel medico sia un gran testone… ma non sa chi si è trovato di
fronte.
Piano, la porta si
riapre. E una testa rossa spunta.
“Ciao,
Rukawa. Scusa, ma devo correre. Ci vediamo
domani mattina. Buon riposo!”
E poi la porta si
chiude.
E io rimango solo.
Rimetto in ordine i pensieri. La caviglia, il dottore che vuole farmi
rimanere qua, il Do’aho che si è offerto di
ospitarmi. Chi sa dove doveva correre. A casa, dalla sua famigliola… mi
viene in mente il bambino dai suoi occhi. E dal mio nome. Ma perché il
figlio del Do’aho ha il mio nome?
Mattina. Finalmente. Ho
passato metà nottata ad aspettare che albeggiasse. Non ho mai avuto
problemi a farmi delle belle dormite, ma stanotte proprio non ci
riuscivo. La scomodità della gamba e mille pensieri me lo impedivano.
Ho già fatto colazione
e ora attendo impaziente un qualsiasi evento che spezzi la monotonia di
queste ore.
“Buongiorno, sig.
Rukawa! Dormito bene?”
“Hn.”
“Eh, la prima notte è
un po’ difficile. Vedrà che si sentirà meglio, già da oggi!”
“Hn.
Quando mi dimetterete?”
“Oh, stamattina. È già
arrivato il suo amico a prenderla. A proposito: è arrivato questo, dalla
sua squadra.”
Mi porge un fax. Io lo
leggo: è uno scherzo!
“Non è affatto
divertente.” “non è uno scherzo.”
Lo rileggo. È breve e
conciso, nello stile del coach. Dice
semplicemente: “se torni prima di togliere il gesso, sei fuori per tutto
il girone d’andata”. E so che sarebbe capace di farlo veramente. K’so.
“Ci vediamo per un
controllino tra sette giorni. Le mando un infermiere per aiutarla a
vestirsi, o preferisce chiamare il suo amico?”
Io ringhio qualcosa e
inizio ad alzarmi.
Quando esco dalla
stanza sorretto dalle stampelle, lo vedo. È appoggiato con le spalle
alla parete tra due finestre, lungo il corridoio. Pare sprofondato in
chi sa quali pensieri e, per un attimo, la mia mente viene invasa dai
ricordi. Un attimo. Solo un attimo.
“Do’aho.”
“Buongiorno,
Rukawa. Vuoi una mano?”
“No. E nemmeno la tua
presenza.”
“mi spiace per te, ma
quella la dovrai sopportare.”
“posso benissimo
tornare in albergo e lì stare.”
“hai bisogno di aiuto.
O vuoi che la caviglia peggiori?”
“non ti importava poi
così tanto della mia caviglia, ieri.”
Lo vedo diventare rosso
di rabbia e contrarre mani e mascella per non infuriarsi. Chiude un
attimo gli occhi e, quando li riapre, ha ritrovato la calma. Ancora si
incazza per un nonnulla. Però ha imparato a
dominarsi, almeno un po’.
“Andiamo. Ti accompagno
a casa mia. Prima passeremo dal tuo albergo a prendere le tue cose.”
“Hn.”
Ed è tutto quello che
ci diciamo nel tempo che trascorre tra il nostro incontro e l’arrivo a
casa sua. Eppure di cose ne avrei da dirgli, da chiedergli. Dove è
stato, cosa ha combinato in questi anni. Chi è
Midori, anche se lo sospetto, e come mai non è un giocatore
professionista. Ho sempre pensato lo sarebbe diventato. E come mai guida
un furgoncino di un negozio di frutta e verdura??
Ma rimango in silenzio.
E lo fa pure lui. Un silenzio imbarazzato, carico di domande anche sue.
Ma nessuno dei due ha voglia di dare delle risposte e così ci
accontentiamo di non finire schiacciati da noi stessi.
End
chapter 2 - Hospital
I personaggi
appartengono al loro creatore.