Lost ( and found you.....
)
Di N
Chapter 0
- Lost
Un chiacchiericcio allegro riempiva lo spogliatoio dello
Shohoku. Una voce si alzò sulle altre:
“Che
ne dite se, domenica pomeriggio, andiamo al cinema?”
Tutti assentirono. Tranne uno. Il solito, si
potrebbe aggiungere.
“Kitsuneee!
Non fare l’asociale!! Devi venire anche tu!”
Il grido proveniva dall’unico essere umano che poteva paragonare
l’etereo Rukawa all’animale fulvo;
dall’unico, d’altronde, che possedeva tanta potenza vocale da far
tremare i vetri dello spogliatoio: Hanamichi
Sakuragi.
I
compagni lo guardarono ridacchianti, mentre il diretto interessato
fingeva -non poteva non averlo fatto- di non sentire.
Questa tattica, in passato rivelatasi vincente, ora -ahi lui!- non
funzionava più. Il rossino non
si infuriava, ma continuava imperterrito a
elencargli le proprie ragioni e a cercare di convincerlo.
Mitsui
ridacchiò al monologo del compagno e si mise a fissare ogni reazione di
Rukawa. Come, d’altra parte, stavano facendo
tutti gli altri.
Era uno spettacolo unico.
La prima volta che vi avevano assistito erano rimasti stupefatti.
Attoniti.
Oramai era un’abitudine divertente vedere come, inevitabilmente, le cose
sarebbero andate a finire.
Rukawa,
dicevamo, finse di non sentire e continuò, imperterrito, ad asciugarsi.
A
questo punto, ci si sarebbe aspettati una reazione furiosa di
Sakuragi e un pestar pugni a destra e
manca. Invece
no.
Era proprio qui, che qualcosa si era rotto nel consolidato tran
tran dei due.
Chi sa, poi, perché.
Questo si chiedevano tutti, o, perlomeno, se lo chiedeva sicuramente
Rukawa, mentre il rosso lo subissava di
parole. ‘Perché non mi meni e la finisci di
parlare?’ Sarebbe stata certamente questa, la sua espressione, se fosse
stato tipo da farne trapelare qualcuna.
E
invece no.
“Dai, Kitsune spelacchiato! Devi venire!
Sceglieremo sicuramente quel nuovo film fichissimo!!
Non vorrai stare a casa a dormire o a giocare
a basket tutto il giorno?!”
“Hn”
“No, no, inutile! Devi venire, a costo di venire a prenderti a casa!”
“Uff”
e
così via. La faccia di Rukawa prima
indifferente, poi leggermente infastidita e incuriosita –il sopracciglio
alzato ne era testimone- e infine ‘apertamente’
esasperata –entrambe le sopracciglia alzate, come pure gli occhi- era
uno spettacolo, per i compagni di squadra. E
Sakuragi continuava a parlare…
La prima volta avevano quasi fatto il conto alla rovescia per il pugno
che si aspettavano partisse dal moro, a questo punto.
Eppure. Eppure il
pugno non c’era stato e Rukawa aveva
capitolato.
“Ok.
BASTA. Vengo.”
Ancora. Incredibile.
Una volta anche Miyagi ci aveva provato, con
questa tattica. Ma, alla seconda frase,
Rukawa era già lontano. Con
Sakuragi, invece, qualcosa lo tratteneva.
O, meglio, lo inchiodava al posto, costretto
da qualcosa di superiore ad ascoltarlo. A spiare,
con la coda dell’occhio, l’entusiasmo del suo sguardo, la determinazione
della sua bocca. La vita che si agitava in
lui. E che, nuovamente, era esplosa,
al suo cedimento.
“E vai!!! Vedrai che ci divertiremo!!”
rispose Sakuragi, come se non fosse per
nulla stupito della capitolazione dello spelacchiato volpino.
“Ma
perché hai insistito tanto, Hana?” chiese un
ridacchiante Miyagi.
“Si vede che non riesce a separarsi da lui…” suggerì, malizioso,
Mitsui.
“Baka!
È semplice. Primo: lo faccio per lo spirito di squadra; lui ne fa parte,
anche se non è fondamentale… e mi sembra giusto che lo sviluppi un po’.
Secondo- e qui la sua faccia assunse un ghigno che a suo avviso doveva
essere astuto- se lui è al cinema, non si allena.
Se non si allena, non migliora. Se non
migliora, io lo raggiungo e lo batto!!!”
“Do’aho”
“Ehi, baka Kitsune,
come ti permetti??!!”
e
qui sì, i pugni. Che certe abitudini mica si
possono completamente perdere, no?
“Rukawa!
Chi perde offre la cena!”
“Grazie”
“Di che?”
“Della cena che, ovviamente, mi offrirai…”
“Baka!
Vedremo… gioca!!”
Ovviamente, la cena la dovette offrire lo sfidante…un certo
Hanamichi Sakuragi,
pare.
Che
prima, però, costrinse il rivale a fare un giro per cercare un paio di
scarpe nuove, un salto alla sala giochi per salutare gli amici e un giro
immenso per arrivare ad una bancarella ‘che faceva un
ramen favoloso’.
Ma, stranamente, Rukawa
non si lamentò nemmeno un pochino.
Forse perché, ormai, s’era abituato a passare le domeniche in questo
modo.
Tutto perché, due mesi prima, aveva deciso di
cambiare orario e di andare al campetto un po’ prima.
E aveva deciso di rimanere, benché il suo
canestro preferito fosse occupato dal Do’aho.
E, infine, cosa peggiore di tutte, aveva
deciso di accettare un one on one… e ancora si ritrovava a dover
gironzolare metà della propria giornata libera, invece che dormirsela…
“Ho perso solo di due, Ru. Inizia a
tremare!”
Ru?
Kaede alzò lo sguardo dal proprio vassoio
per piantarlo addosso al Do’aho. Era la
prima volta che lo chiamava così. Era la prima volta, in generale, che
qualcuno lo chiamava con un diminutivo.
E
vide solo le guance di Sakuragi, rosse per
l’imbarazzo. Gli occhi non li vide.
Erano bassi sul cibo posto sul tavolo. Probabilmente non si sarebbero
mossi di lì, nemmeno se lui avesse iniziato a gridare che il locale
stava andando a fuoco. Ma in fondo non gli
dispiaceva. Che lo chiamasse ‘Ru’.
E che, in quel momento, non lo guardasse.
Avrebbe visto anche le sue, di guance, arrossate.
“Ehm, ragazzi…” un insolito tono timoroso coloriva questa frase di
Sakuragi.
Erano da poco finiti gli allenamenti. Le matricole pulivano; e loro, i
veterani, si godevano le docce.
“Che
c’è, Hana? Un’altra
genialata?” chiese allegro Miyagi.
“No… ecco, mia sorella trasloca. Il suo fidanzato è stato trasferito per
lavoro. E presto si sposeranno.” Si fermò
Sakuragi. E tutti
si chiesero il perché. Non era nulla di strano, in molti avevano parenti
sparsi per il Giappone, a causa del lavoro.
E allora? Si chiesero tutti.
E lui lo notò, dalle loro espressioni che si
fecero attente. Pure quella di Kaede.
Ad Hana venne
quasi da sorridere, vedendo il compagno, inconsciamente, tendersi verso
di lui. Inconsciamente, certo. Che, se se ne
fosse reso conto sarebbe, piuttosto, scappato… o forse
no. Ma non era questo il punto.
Anche se sarebbe stato bello perdersi dietro
a questo, di pensiero.
“Allora?” Mitsui vocalizzò il pensiero di
tutti e lo distrasse dal suo divagare.
“Allora, io vado con lei.” Buttò fuori tutto di un fiato.
Perché era come una lama che taglia,
quell’affermazione.
E che, se si doveva tagliare, meglio farlo
tutto in un colpo, che almeno avrebbe sentito meno male.
Rimase tutto un po’ in sospeso in quel momento. Solo
l’acqua delle docce che ancora scrosciava.
Il nano con il sorriso bloccato e Mitsui con
la stessa espressione di prima.
Come se non avesse afferrato.
Hana,
con un coraggio che di solito non possedeva, sbirciò
Kaede. C’era uno strano imperativo a farlo,
dentro di lui. Che non poteva essere contraddetto.
E vide gli occhi di
Kaede farsi un po’ più grandi e un po’ più neri. Lo vide fissarlo
come prima non aveva mai fatto. E gli venne
da imprecare. E da rifiutarsi di partire. Da
dire che era tutto uno scherzo, per vedere quegli occhi
di nuovo indifferenti. Ma
non era uno scherzo e lui non poteva non partire. E
questo lo capì anche Kaede, che si voltò,
buttando la testa sotto il getto.
“Allora faremo una festa”. La voce di Yasuda
aveva fatto riprendere lo scorrere del tempo.
Era sera, quasi tardi. Il cibo era finito e anche le bevande iniziavano
a scarseggiare. Era stata una bella festa, allegra, divertente.
Ma ormai erano rimasti in pochi e fingere non
era, poi, così facile.
“Raga,
devo andare. Devo ancora finire la valigia e domani partiamo presto.
All’alba”
“Ok.
Non ti preoccupare. Qui mettiamo a posto noi” disse
Ayako, per rassicurarlo.
Che
in realtà volesse un po’ piangere, quasi non si capiva.
“Ok.
Allora è il momento. Ciao.” E fece per
voltarsi e andarsene.
Ma
mica era un addio degno di un eroe, questo. E
nemmeno di un amico.
Così si ritrovò fuori dalla sala, nel buio
della sera. Con pochi attorno a lui. Akagi,
maestro. Kogure, appoggio.
Mitsui e Miyagi,
complici. Ayako, madre.
Kaede,… Kaede.
Che era tutto quello che in quel momento voleva
ricordare, perché altrimenti avrebbe fatto cose di cui si sarebbe,
sicuramente, pentito. O forse
no. Ma era troppo tardi, ora.
Così li abbracciò tutti. E tutti ebbero
parole per lui.
Infine, Kitsune. Rimasero così, a guardarsi.
Come se il rimandare un qualsiasi gesto avesse il
potere di fermarli lì, in quell’istante.
Con gli occhi dell’uno puntati in quelli dell’altro.
E
poi solo un abbraccio. E nessuna parola.
Che tanto, non sarebbero mai bastate.
Nella sera, se ne uscì dalle loro vite Hanamichi
Sakuragi. E
Rukawa, guardando quella schiena
allontanarsi, provò per la prima volta una sensazione. Una sensazione
che la maggior parte dei bambini, almeno non quelli indifferenti a tutto
ciò che li circonda, impara a conoscere e ad accettare già alla fine
della prima classe elementare, quando si rende conto che, forse, non
avrebbe più riavuto al proprio fianco, l’anno successivo, i compagni con
cui aveva condiviso le sfuriate degli
insegnanti e le piccole scoperte di ogni giorno.
Lì, in piedi, perso nel buio, Rukawa capì
che un’epoca della sua vita era appena finita e che, quella successiva,
sarebbe stata molto diversa. Senza il rumore di
quell’uragano, senza le sue trovate.
Le sue sfide. La sua vitalità, unica che
aveva il potere di scuoterlo dal suo torpore.
E
la sensazione si intensificò.
Lì, di nuovo bambino -stavolta, però, più che mai attento a ciò che
stava accadendo- Rukawa, per la prima volta,
trovò in sé il significato delle parole “senso di perdita”, mentre
ancora fissava il buio dove Hana era
sparito.
Solo dopo molto tempo, rientrò. E, ironia, venne
accolto da una canzone americana di cui capì bene le parole.
Maledicendosi per questo…
“Maybe if I told you the right words at the right time, you’d be mine…”*
End chapter 0 - Lost
I
personaggi appartengono al loro creatore.
*la frase è tratta da "baby, can I
hold you" di
Tracy Chapman.