Note: Questa storia mi è stata ispirata da un racconto breve di Dylan Dog
intitolata 'Lo specchio'... Spero che vi piaccia...
Nota2: L'introduzione non c'entra quasi una mazza con il resto della storia, ma
mi è venuta così :PPP
NOte3: La storia è ambientata nel 1999, quindi c'erano ancora le lire...
Lo specchio di
Seimei
La camera immersa in un'aspra penombra
lasciava intendere appena i contorni quasi eterei dei mobili e degli
oggetti presenti nella stanza.
Nel letto al centro, una luce fioca proveniva da sotto le coperte.
Attraverso il tessuto pesante del piumone caldo, si intravedevano appena i
raggi sommessi della torcia elettrica che lui usava per leggere di
nascosto, mentre in realtà avrebbe dovuto dormire.
Paolo sfogliava quel libro con riverente attenzione.
Cosa mai contenevano quelle pagine di tanto esaltante da non lasciargli
prendere sonno fino alla fine della lettura????
Teneva salda la torcia con una mano, mentre con l'altra sfogliava le
pagine color panna, divorando le parole con un ansia tale da sembrare
quasi innaturale.
<<Difatti non è necessaria 'l'operazione' per sviluppare quella
particolare abilità: qualsiasi essere umano è in grado di farlo. Cioè, se
si cerca di rompere una noce con un martello, e la noce è disposta su un
cuscino, si dovrà usare molta forza. Però se si mette la stessa noce sul
pavimento, il minimo urto la romperà. Infatti, quando la noce è sul
cuscino, l'energia esercitata dal martello è 'diffusa'. E ciò spiega
l'apparente debolezza dell'immaginazione umana..." [tratto da 'Specie
immortale' di Colin Wilson, edito da Mondadori su Urania, 2001]
Lui, la razionalità fatta persona, traviato e trasportato lungo un'immensa
giostra di fantasia da un libro di fantascienza.
Un'incredibile girandola di episodi al limite del paranormale, in cui lui
si era ritrovato catapultato senza nemmeno darsi il tempo di realizzare
cosa stesse succedendo.
Ringraziò mentalmente sua zia per avergli regalato quel libro.
Gli si erano aperti orizzonti nuovi, in cui tutto ciò che lui credeva
impossibile stava per avverarsi.
Gli era servito quello stranissimo libro, quell'accozzaglia mistica di
ricerche sui progenitori psichici dell'uomo mortale, per capire che il
mondo non è impregnato da nessun genere di normalità predefinita.
Normale è ciò che la massa ignorante definisce tale per non sentirsi sola
di fronte all'immensità dell'universo.
Grazie alla parole del protagonista, che, presa come vera l'ipotesi
dell'esistenza di una parte assopita del cervello, procede al suo
risveglio, il giovane Paolo aveva per la prima volta aperto la sua mente
all'idea che la realtà va sondata passo passo, senza cercare di imporsi
nessun percorso logico, prendendo la vita come viene e non incanalandola
in stupide corsie obbligate, perdendo così la maggior parte delle
esperienze corollarie che rendono una vita degna di essere vissuta.
Paolo chiuse l'ultima pagina del libro, che si concludeva con un dubbio su
un possibile risveglio anticipato dei padri dell'umanità, che sarebbe
stata colta impreparata all'avvento degli anziani.
Un risolino salì alle sue labbra.
Se davvero esistessero degli esseri sovrannaturali, dei quali noi siamo i
derivati, sicuramente non vorrebbero aver niente a che fare con una razza
di animali stolti, egoisti e approfittatori quali noi siamo.
Posò con lentezza la testa sul cuscino, sperando in cuor suo che nessuna
esperienza paranormale si interponesse sul suo cammino.
Non sarebbe stato in grado di affrontarla nel modo giusto.
Non in quel momento per lo meno.
Cullato dal vento che muoveva gentile le fronde degli alberi appena fuori
la sua finestra, Paolo entrò di soppiatto nel mondo di Morfeo, quasi lo
spazio fra la veglia e il sonno si fosse dilatato in un attimo senza fine.
E, come sempre quando si va a dormire tardi, il mattino giunse inaspettato
e mal voluto, e con esso il suono fastidioso della sveglia, che gli
ricordava che doveva andare a scuola.
Scaraventò una manata sul fastidiossissimo oggetto, che smise di suonare,
mentre con malavoglia estraeva una gamba assonnata da sotto le coperte.
"Che palle" disse, uscendo completamente dal tepore accogliente del
piumone azzurro, e trascinandosi verso il bagno, per prepararsi alla
mattinata di novità che lo attendeva nel suo liceo.
Prese il suo yogurt e salutò la madre con un bacio, mentre correva verso
la fermata dell'autobus, per non perderlo come capitava molto spesso in
quel periodo in qui la veglia sostituiva quasi del tutto le otto ore di
sonno necessarie ad un essere umano per ricaricare le proprie energie.
Corse come un matto nel giardino bagnato dalla pioggia notturna, ed arrivò
appena in tempo, mentre l'autobus stava arrivando.
Non appena salì li avvertì netti puntati su di lui.
I suoi occhi.
"Paolo" disse una voce argentina, mentre una mano sventolava verso di lui.
"Ciao Andrea" rispose lui con un sorriso, mentre andava a stendersi accanto
all'amico, a cui apparteneva anche quello sguardo che lo penetrava fino al
midollo.
Era un po' di tempo che con Andrea si sentiva a disagio.
Non capiva da dove provenisse quello strano sentimento, ma sapeva che era
qualcosa di curioso e di indefinibile.
"Allora Paolino, sei pronto per stamattina?" chiese Andrea con il suo
solito sorriso disarmante, di fronte al quale nessuno era in grado di
resistere.
Non lo avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura, ma a Paolo piaceva ricevere
quel sorriso solare ogni mattina, sempre lo stesso, immutabile nel tempo.
Da cinque anni a quella parte, ogni volta che saliva sull'autobus, ad
accoglierlo c'era il sorriso miracoloso di quel suo strambo compagno di
classe, che lo liberava da qualsiasi tensione.
Però quello strano senso di disagio rimaneva.
Come se dovesse dire, o fare, qualcosa per cui Andrea sarebbe diventato
immensamente triste e incapace di sorridere.
Scosse con violenza la testa, e cancellò quel brutto pensiero: quella
mattina iniziava l'occupazione di protesta per l'introduzione ex-novo di
un tipo diverso di esame di maturità.
E lui e Andrea, in quanto rappresentanti degli studenti, dovevano darsi da
fare.
Nello zaino quella mattina non c'erano libri, ma un sacco a pelo, viveri
d'emergenza, due bottiglie d'acqua, la sua inseparabile torcia elettrica,
carte da gioco e una clandestina bottiglia di vodka alla menta.
"Tu che hai portato di bello?" chiese all'amico, mentre gli mostrava
orgoglioso il furto appena compiuto ai danni del minibar del padre.
Andrea, in sequenza e con cautela, estrasse furtivo dalla cartella due
scatole da 24 di preservativi, circa 50.000 lire di fumo buono, lo
strumento per fumare, un pacchetto di tabacco Drum blu per la fonda e una
wedra, o pallina, nuova di zecca.
L'ultima che avevano si era completamente rotta.
"Cazzo sei uno spacciatore" disse Paolo sgranando gli occhi " e anche un
sessuomane... quante hai intenzione di fartene???" aggiunse poi indicando
le scatole con uno sguardo di malizia non voluta, che però dentro di lui
doleva come se fosse una pugnalata.
Andrea arrossì di brutto, farfugliando che non erano tutti per lui, e che
comunque c'era un'unica persona con cui li avrebbe voluti usare.
Paolo si sentì morire a quelle parole, ma non capì perchè.
L'autobus raggiunse la loro scuola, e lui cercò di dimenticare quella
strana sensazione, relegandola in un angolo remoto della mente e del
cuore, anche se quella tornava a battere contro le pareti del suo stomaco,
ogni volta che incrociava lo sguardo azzurro perlato di Andrea.
Prese posizione sul lungo tavolo sul palco nel fondo dell'aula magna,
gremita di studenti eccitati per la protesta, che li avrebbe privati di
una settimana di lezioni, cosa molto gradita alla stragrande maggioranza
delle persone presenti.
Chiese per qualche minuto il silenzio, finchè anche l'ultimo eco di
bisbiglio si spense, per poi iniziare a parlare.
Ma qualcosa si inceppò
Nella sua mente c'era il discorso, ma le corde vocali non ne sapevano di
voler collaborare.
Era abituato a parlare di fronte a tanta gente, ma quella mattina si
sentiva pregno di sensazioni nuove e insolite, che lo stavano bloccando.
Sentì un rumore provenire da un lato della prima fila.
Girò lo sguardo in quella direzione, e il coraggio ritornò prepotente a
scorrere nelle sue vene.
Le parole arrivarono alla bocca come un fiume in piena, mentre il sorriso
ritornava ad aleggiare sul suo viso fino ad allora ombroso come non lo era
mai stato.
E la fonte della sua rinata forza aveva un nome.
Andrea.
Il ragazzo alto e magro, dai capelli scuri e dagli occhi dolcissimi era
seduto nella terza sedia della prima fila, e lo guardava con attenzione,
infondendogli quella sicurezza di cui si era sentito momentaneamente
privato.
Il discorso, breve ma denso di significati, terminò con uno scroscio di
applausi, mentre cedeva la parola al rappresentante per i contatti con il
ministero della pubblica istruzione.
Paolo scese di corsa verso la platea, prese Andrea per una mano, e lo
portò fuori di corsa, come se non esistessero altro che loro due in quel
momento.
Entrarono nei bagni vuoti dei maschi, e Paolo si fermò, il fiatone che gli
impediva di parlare, la mano grande che ancora avvolgeva quella più
piccola dell'amico, gli occhi appannati, e la mente completamente sgombra.
Si guardò per un attimo allo specchio.
I capelli neri gli ricadevano scomposti lungo il viso, e gli occhi chiari
rilucevano dietro le lenti a contatto.
Indossava una maglietta nera, che sottolineava ogni suo muscolo e le sue
spalle larghe, che gli avevano regalato una certa fama fra le donzelle
della scuola.
Quelle stesse spalle che ora erano curve sotto il peso di una tensione mai
sperimentata prima..
Si voltò verso Andrea e lo strinse fra le braccia, sussurrandogli un
flebile 'grazie', all'orecchio, solleticandogli la pelle sensibile con il
fiato alterato dall'affanno.
Andrea si limitò ad alzare le sue braccia minute, e a circondare con esse
la sua schiena ampia, stringendolo in un abbraccio tanto dolce quando
strano.
Si staccò un poco da lui, per guardarlo negli occhi.
E fu allora che accadde l'irreparabile.
Andrea si sporse quel tanto che bastava perchè le loro labbra si
sfiorassero.
Paolo si lasciò trasportare dal vortice dei sentimenti provocati in lui da
quel misero contatto, per poi perdersi nel bacio profondo che nacque
immediato da quel primo, semplice tocco.
Sentiva la lingua di Andrea esplorare la sua bocca, mentre avvertiva le
proprie mani percorrere lente il corpo esile dell'amico.
All'improvviso si rese conto di cosa stava facendo.
Si staccò da lui bruscamente correndo lontano, sbattendo la porta con
violenza dietro si sè.
Avvertì appena l'urlo straziato di Andrea che scoppiava in un pianto
irrefrenabile, ma abbastanza nitidamente perchè gli rimanesse impresso
nella memoria a tormentarlo.
Correva Paolo.
Correva verso l'unico posto in cui sapeva nessuno sarebbe mi andato a
cercarlo.
Percorse come un fulmine lo spazio che separava la sua scuola dalla vecchia
villa abbandonata, nella quale, tanti anni prima, era stato commesso un
terribile ed efferato omicidio.
Entrò dal buco sul retro, scavalcò la finestra che anni prima lui stesso
aveva aperto, mollò lo zaino su una poltrona, ne estrasse la bottiglia di
vodka e si stravaccò sul divano coperto da un lenzuolo polveroso,
iniziando a bere.
Man mano che il liquido infuocato gli percorreva la gola, sentiva che
lacrime calde e copiose scivolavano dai suoi occhi, facendoli bruciare.
Chiuse gli occhi cercando di svuotare la mente, sperando di cancellare da
sè l'immagine di quel bacio proibito, ma che c'era stato e che, cavolo,
gli era piaciuto da morire.
Un ragazzo.
Aveva baciato un ragazzo.
E non uno qualsiasi.
Il suo migliore amico.
Quelle frasi gli suonavano familiari, come se se le fosse già ripetute
all'infinito.
Gettò a terra la bottiglia, che andò in frantumi, impregnando con il suo
odore dolciastro il tappeto sotto di lui.
Si alzò frustrato e iniziò, come suo solito, l'esplorazione della strana
casa.
Quella villa era chiusa da ormai dodici anni.
Nessuno voleva acquistarla, e i proprietari, che l'avevano ricevuta in
eredità, non volevano saperne nulla.
Dodici anni prima un uomo aveva ucciso la moglie e il figlio, per poi
suicidarsi.
Nessuno aveva mai scoperto il perchè di quell'atto abominevole.
La famiglia era ricca e apparentemente felice.
Paolo sapeva che nessuno entrava più in quel posto da almeno un decennio,
e lo aveva eletto a suo rifugio segreto.
Nei momenti difficili, o particolarmente tristi, come quando era morta sua
nonna, se ne andava a nascondersi lì.
E anche stavolta non era stato da meno.
Salì le scale di legno antico, dirigendosi verso il piano superiore.
Tirò una cordicella sospesa nel bel mezzo del corridoio e una scala
comparve dal nulla, aprendogli un mondo nuovo e irreale, portandolo nella
soffitta buia della casa.
Non era mai stato nella soffitta.
Preferiva stare di sotto, dove aveva via di fuga accessibili se mai fosse
stato scoperto.
Ma dalla soffitta era impossibile uscire.
Salì con calma la scala, e si ritrovò in un posto buio e puzzolente,
coperto interamente da una polvere più che decennale, dove tutto aveva un
nonsochè di fluttuante e magico.
Sapeva che la polizia non era salita nella soffitta durante le indagini, e
che quindi tutto era rimasto come era prima del delitto.
Spostò alcuni bauli, curiosando in essi.
NOn c'era nulla di interessante lì.
Vide una vecchia poltrona, che, al contrario del resto della soffitta,
sembrava quasi pulita, dato che invece di essere monotamente grigia
polvere come il resto, era di un verde acceso chiaramente visibile.
Si sedette e si mise comodo.
Si guardò intorno, e fu allora che lo vide.
Era alto come la soffitta stessa, coperto da un lenzuolo macchiato.
Ma non ci voleva un genio per capire cosa fosse.
Era uno specchio enorme.
Come attratto da una strana forza, Paolo si diresse verso l'oggetto.
Alla base notò una scritta, come nel libro di Harry Potter sullo specchio
dei desideri.
C'era scritto: "Questo è uno specchio assolutamente sincero, poichè non
riflette le persone ma le loro anime"
Li per lì Paolo si disse che era una grandissima cazzata.
Però notò che esitava a sollevare il lenzuolo e a guardarsi.
In un angolo vide una specie di pagina di diario.
La raccolse e iniziò a leggere le parole scritte in fretta, come se la
persona che le aveva tracciate fosse in preda ad un insano delirio.
"Perchè l'ho comprato? Perchè? quello specchio è maledetto!!! Devo
assolutamente fare qualcosa... i nostri riflessi, o mio dio, quei
riflessi... tre mostri, ecco cosa siamo, mostri insulsi e paurosi...
cattiveria fatta persona... ora scappiamo, tutti e tre, ce ne andiamo
verso un mondo diverso... se mai leggerete queste righe, NON SCOPRITE LO
SPECCHIO, NON FATELO!!! Perchè può essere terribile, il momento in cui la
tua anima ti guarda negli occhi..."
Paolo gettò a terra il foglio, spaventato a morte.
Aveva fra le mani la risposta al perchè di quell'omicidio compiuto anni
prima.
Ora lui era l'unico a sapere.
Qualcosa dentro di lui gli disse che avrebbe fatto meglio ad andarsene, ma
voleva vedersi dentro lo specchio.
Forse sarebbe impazzito come quell'uomo, o forse avrebbe scoperto un lato
di sè che gli era sconosciuto.
Si avvicinò tremante al lenzuolo e chiuse gli occhi.
POi lo sollevò, levandolo dallo specchio.
Quando li riaprì davanti a lui c'era Andrea che lo guardava, e gli
sorrideva.
Paolo si girò di scatto, ma c'era solo lui nella stanza.
Si avvicinò allo specchio e mise una mano sul vetro freddo, accarezzando il
viso riflesso di Andrea.
Allora era quello il vero aspetto della sua anima?
"Sei tu la mia anima?" chiese allo specchio, come se questo potesse
rispondergli.
"Sì"
Paolo trasalì.
Guardò nello specchio, e vide se stesso avvicinarsi al riflesso di Andrea.
Si voltò e vide il SUO Andrea, quello reale, in carne ed ossa, che si
dirigeva verso lo specchio.
"Vedi?" disse il ragazzo "le nostre due anime combaciano perfettamente".
"Ma.. tu come? Come lo sai?"
"Una volta mi avevi detto che questo era il tuo rifugio segreto, ma che
non salivi mai in soffitta.. e così la soffitta è diventata il MIO posto
segreto." rispose Andrea con uno sguardo così dolce che Paolo sentì che
stava per soccombere.
Ora aveva una spiegazione a tanti perchè.
IL perchè dell'omicidio.
Perchè la poltrona non era sporca come il resto della soffitta.
Perchè lo sguardo di Andrea lo metteva a disagio.
Perchè Andrea sembrava sempre cosa fare al contrario di lui.
Il fatto era che Andrea sapeva.
Sapeva che le loro anime erano legate.
E ora lo sapeva anche lui.
Si voltò e strinse il ragazzo in un abbraccio così forte, che per un attimo
ebbe paura di stritolarlo.
E poi le loro bocche si unirono in un bacio nuovo, più profondo, più
consapevole, più vero.
Le lingue duellavano senza sosta per ottenere il predominio su quel bacio,
ma senza che la lotta vedesse ne vincitori ne vinti.
"Ti amo" bisbigliò Andrea, non appena si staccarono per prendere fiato.
"Ti amo" sussurrò Paolo di rimando.
Ripresero il bacio, mentre nello specchio il loro riflesso diventava
un'unica immagine, chiaro segno che le loro anime si erano in quel momento
legate per sempre.
Fine^^
PS: O____O Non ho messo la lemon!!!! Mi toccherà fare un seguito pwp!!!!!
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