L’ISOLA

Parte I

Di CastaliaRimu

 

Lisola  era  solo un ammasso di pietre che arrostivano sotto il sole, l’acqua verde dell’oceano sembrava una colata di inchiostro che pareva volerla rodere pezzo per pezzo col suo moto perpetuo.

L’elicottero produceva un suono insopportabile, rimbombava nelle orecchie e sembrava aver  tutta l’intenzione di voler rimescolare il cervello ad ogni movimento delle pale nel fendere l’aria cruda delle cinque e trenta in cui si libravano.

-Signor Ruark si sente bene?-

Urlò nel frastuono il delegato per quell’ esplorazione assurda in cui avevano incastrato Max per l’ennesima volta.

-No, per niente!- Rispose il moro trentatreenne, urlando in risposta ma l’altro parve farsi perplesso.

-Cosa ha detto?!-

-NO, PER NIENTE!-

L’omino mingherlino sorrise questa volta bonariamente, sistemandosi gli occhiali dalle spesse lenti che gli ingrandivano gli occhi in maniera grottesca.

-Oramai ci siamo, resista.-

Max non rispose, si limitò a cambiare posizione alle gambe per l’ennesima volta, stringendosi al petto la sua ventiquattro ore con rabbia.

Il capo gli aveva detto che si sarebbe trattato di un viaggio breve, senza imprevisti e che non doveva preoccuparsi di nulla! Ma come di nulla accidenti a lui?! Avevano fatto il viaggio da Philadelphia a quel paesino che si azzardavano chiamare “tappa fondamentale” in cinque tappe diverse, il che voleva dire ben CINQUE aerei da cambiare! All’ultimo avevano perso anche un paio di coincidenze ed avevano dovuto addirittura dormire in aeroporto, una cosa assolutamente allucinante. Per non parlare del fatto che non aveva potuto lavarsi nemmeno una volta in tutto il viaggio, e, quando finalmente avevano raggiunto quell’elicottero che li avrebbe scaricati in quel posto dimenticato da Dio, avevano preso la pioggia con relativo mezzo-uragano tipico delle fascia tropicale e avevano passato un’altra notte in una catapecchia in cui erano più gli scarafaggi che le sterpaglie che componevano le mura.

In due parole, l’inferno in terra.

Ed ora erano lì, tutti e  cinque i membri della squadra destinata alle ricerche archeologiche della cultura Ighinnak, di cui si erano recentemente scoperte le tracce sull’isola dove stavano atterrando proprio in quel momento.

Il vento gli scompigliò i corti capelli neri, cacciandogli alcune ciocche negli occhi. Max si premette una mano sulla testa,nel tentativo di fermare quello scompigliamento impazzito.

Si sentì tirare per una manica, e, voltandosi alla sua sinistra, lo stesso omino occhialuto di prima tese un braccio indicandogli la direzione in cui dovevano muoversi.

L’elicottero ripartì subito e finalmente intorno a loro fu il silenzio.

Il paesaggio era piuttosto monotono, solo piante e rovi, perlopiù, qualche sasso e un rigagnolo piccolo e fangoso che gli scorreva a pochi metri di distanza.

Ruark camminava dietro a quell’omuncolo, che in quel momento avrebbe ucciso con soddisfazione, almeno una, in tutto quell’inferno..

Arrivarono ad una spianata, un largo spazio che gli diede per la prima volta l’impressione di qualcosa di pulito, tante piccole case di cemento dai colori variopinti, segni di una certa colonizzazione, gli colpirono gli occhi ed inconsciamente emise un sospiro di sollievo.

-Signore, il capovillaggio ci accoglierà senza problemi, non si preoccupi. Elauk è un uomo brusco, ma è molto ospitale.-

Quell’uomo, il cui nome era Scott, mal interpretò il suo sospirare, pensando che fosse per una certa naturale ansia di aspettativa.

Ma non aveva capito proprio un cavolo.

Se fosse per l’ansia, a quest’ora lo avrebbe mostrato in tutt’altro modo, per esempio mandarli tutti al diavolo e tornarsene a casa.

Lasciando qualche occhio nero, ovvio.

-Nh.-

Fu tutto quello che Scott ottenne da lui in risposta.

Raggiunsero la casa meno malmessa, quella del capo, quell’Elauk.

Il loro interprete, un altro membro della squadra, Eleanor Iggins, farfugliò una serie di parole apparentemente intelligibili in quella lingua assurda, compiendo una serie di inchini strani davanti alla tenda fatta di lunghi fili di perle nere che prendeva il posto di una più ovvia porta.

Altre frasi farfugliate gli arrivarono in risposta da una voce indiscutibilmente maschile, bassa e graffiante, quasi avesse difficoltà a emettere qualsiasi tipo di suono.

Eleanor si voltò verso il gruppo e sorrise.

-Adesso possiamo entrare.Ma vi prego di non fare nessun tipo di rumore o commento su quello che vedrete. Per loro il silenzio è fondamentale quando si è ospiti.-

Le perle tintinnarono e tutti entrarono.

La stanza non era buia, anzi, sembrava esserci anche fin troppa luce.

Pelli di animali di cui non seppe farsi venire in mente il nome ricoprivano il pavimento e in un angolo, quello a destra, stava un uomo anziano, dalla muscolatura ancora poderosa e piena di cicatrici molto profonde e pallide, che creavano un fortissimo contrasto con la pelle scura che gli si dipingeva addosso.

Ma quello che in effetti lasciò Max senza fiato, non fu quell’uomo, ma il ragazzo che sedeva scompostamente di fianco a lui.

Era bronzeo, proprio come l’altro, ma di una tonalità decisamente più chiara e i lineamenti rassomigliavano di più a quelli caucasici, più fini, in un certo senso. Lunghi capelli biondo grano erano raccolti sulla testa solo nella parte superiore, più lunghi della parte che, sciolta, gli ricadeva appena sulle spalle, poiché la punta della coda gli oltrepassava la metà della schiena.

Gli occhi erano di una blu d’oltremare, così scuro che pareva nero, un fisico asciutto, ma non magro, ricco di una vigorosa muscolatura.

L’unico indumento che portava erano una specie di calzoni che però non erano cuciti dai lati, sempre fatti della pelle di qualche strano animale dell’Isola.

Non avrà avuto nemmeno una ventina d’anni.

Una gomitata da parte di Johanne, altra componente del gruppo, lo risvegliò dalla sua contemplazione, mentre anche lui si sedeva dinnanzi ai due abitanti della casa.

Eleanor parlò ancora nella lingua di quel popolo, facendo altri inchini e gesti con le mani, di cui non comprese ancora una volta il senso.

Poi l’uomo anziano, che Max capì essere Elauk, le annui, e per lo stupore generale, l’uomo cominciò con loro un dialogo in un perfetto inglese, sotto tutti gli aspetti.

-Benvenuti nel villaggio di Iskra, figli del vecchio continente. Mi auguro che riusciremo in una perfetta collaborazione, durante tutta la vostra permanenza.-

Ruark vide il giovane al fianco del capovillagio, appoggiarsi al braccio pieno di cicatrici alla sua sinistra, con un sorriso decisamente malizioso e in un certo qual modo maligno, mentre lo osservava diritto negli occhi.

Il biondino mosse le labbra quasi volesse parlargli, ma un’occhiata dura da parte del suo vicino, lo bloccò sul nascere.

Elauk di nuovo parlò.

-Questo è Krusha, il mio successore e Kuniima. Mi auguro che anche lui si comporti cortesemente nei vostri confronti e non vi faccia mancare nulla come tutti noi ci impegneremo a fare.-

Tutti sorrisero, tranne Max, che ancora non riusciva a concepire la stranezza del sentimento che sentiva agitarglisi dentro, dopo aver visto Krusha.

Era un misto di ansia, timore e curiosità.

Si disse di nuovo fra sé, che quel viaggio era certo stato un inferno, ma niente a paragone di ciò che vedeva aprirglisi davanti come una voragine nel terreno.

Una piccola parte di se gli ripeteva a tanti flash nella mente, quello strano termine che Elauk aveva usato, Kuniima.

Appena lo aveva sentito una strana sensazione si era andata mischiando al caos interore che provava, aprendogli nella mente una malsana curiosità.

-Ma, infine, devo pregarvi di una cosa. Qui nessuno vi chiederà nulla, nessuna pretesa né regola. Ma anche da voi, è richiesto altrettanto. Non immischiatevi nelle nostre consuetudini, nella nostra, chiamiamola così, diversità, e tutto andrà per il meglio.-

Sentì gli altri parlare sottovoce, bisbigliare, a quella strana richiesta, ma Eleanor li zittì subito, ricordandogli il silenzio che dovevano a quelle persone ed a quelle mura.

Max cominciò ad agitarsi. Non voleva più rimanere lì, voleva uscire, aveva bisogno di fumare la sua sigaretta e andarsene a letto, farsi un bagno magari.

Esauriti altri quindici minuti di convenevoli, finalmente uscirono di lì.

-Michael, dove sono le tende? Se non dormo vi crepo qui.-

L’ultimo membro del gruppo gli sorrise appena, infilandosi le mani delle tasche della giacca blu che indossava.

-Abbiamo una casa intera, mi pare! Chiedi alla nostra poliglotta.-

Ruark si avvicinò alla loro traduttrice e le chiese di indicargli la casa che avrebbero usato.

Lei, gli segnò una piccola abitazione di cemento color indaco macchiato di chissà che roba ridendo del suo ringhio di disgusto.

-Accontentati caro, questo è il massimo che ci si può permettere qui!-

Crollando le spalle e massaggiandosi poi piano il collo, Max fece cenno affermativo sollevando una mano e scotendola piano, mentre vi si dirigeva, pensando solo alle tredici ore di sonno arretrate che aveva accumulato.

In fondo, chi se ne frega di qualche altro scarafaggio e chissà che ancora?

Tanto, ormai..

Vide un piccolo pagliericcio ricoperto da una grezza stoffa multicolore che doveva essere un letto, o perlomeno la cosa più vicina ad esso e ci si gettò sopra, cadendo addormentato non appena poggiò il capo al materasso pungolante.

 

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Un fruscio strano cominciò a scuotere i suoi sogni, mentre qualcosa di soffice, liscio e caldo faceva sprofondare la paglia al suo fianco.

Un soffio tiepido e uno strisciare lieve lo scossero, mentre gli occhi gli si aprivano di scatto, un viso sopra il suo e un altro corpo, sdraiato al suo fianco che gli premeva per metà sulla gamba destra.

Due pupille chiare e una pelle scura, un sorriso lascivo lo inchiodarono sul posto.

Una liscia cascata dorata gli solleticava i pettorali venendo a contatto con la leggera stoffa della sua camicia.

-Salve, straniero, ti piace, la nostra Isola?-