L'inverno
di ieri
di 8° elevazione
Nuvole. Soffici
consistenze che odorano di fuga.
Tremanti al tatto,
forse. Sempre sul mio capo, attirate dall’inconsapevolezza di questa terra.
Spingo su pedali quasi
inesistenti ai miei occhi chiusi, addormentati. Conosco la strada, le curve,
la piccola salita prima del cavalcavia, il semaforo che rimane rosso per due
minuti e quaranta secondi, il cancello della scuola alla mia sinistra dopo
pochi metri. Apro gli occhi, stacco gli auricolari. Silenzio. Maledetto
silenzio.
Adorabile constatazione
di un attimo appeso al sole.
Mi giro, mi cerco in un
altro volto, ma nulla mi compiace, nulla sa assaporare il mio dolore.
Solo… nuvole.
Quelle nell’aria,
quelle che sfilano dalla mia bocca… ecco.
Un gruppo di teste, un
altro gruppo, altri sguardi, altre mani che hanno a che fare con questo
posto.
Geni, stupidi,
simpatici, cattivi, rumorosi, riservati, idioti. Categorie.
Stamane la tua figura
appare distintamente, nonostante l’amalgamazione totale che cerca di
raggiungere il tuo abbigliamento.
Ma sono in quei
capelli, in quelle braccia, nelle gambe slanciate… il petto o torace
circondato.
Una visione, solo una…
Io, capelli neri dimenticati su un collo roseo. Un viso bianco inchiodato ad
un insieme di labbra ustionanti ed ancora una volta non capisco. Niente.
Realtà. Nulla si tradisce e tutto si mente.
Unica cosa certa, sei
qui e le frustate di un corpo si dissipano, li saluti.
La mia pelle incomincia
come a dilatarsi e a restringersi, le mani si inondano di oceani e paure
atroci, le dita gelano, quasi si staccano, i miei occhi tremano cercandosi…
sto morendo.
-Volpe- alzo il viso
rimanendo immobile… un sussurro, cattivo, di una dolcezza disarmante. –Ciao-
sembri quasi sincero, non hai il dono dei sogni… forse.
-Nh- ferito. Quello che
potresti essere ed io vorrei vedere in te, eppure fa male, dissacra la mia
unione col cielo, oggi. Stanotte. Ieri sera…
-Nulla, eh?-
-Perché?- gli chiedo
sfottendo questa sua patetica ricerca di un cenno positivo da parte mia.
Memoria.
-…Non posso occuparmi
di te?- una domanda che assomiglia più ad un’agonia. Da parte di chi, non
so. Non mi interessa, è assordante… realmente.
-No- sono il mio stesso
omicida. Divertente.
-Per chi?- ed ora
zittisco le mie cellule che urlano. –Per far comodo a chi?- scandici...
Affondi.
-Stammi lontano- sbatto
altrove la follia momentanea che si è insinuata nelle mie orecchie. Ti
lascio lì, solo, stavolta. Di nuovo. Cosa c’entri, tu, ora, col mio essere?
È inscindibile dal mio
modo di respirare, essere il tuo amante e capire che non sei come gli altri.
Non è quello. Non è quello! Su cosa posso concentrarmi?
Perché è mediocre. Sei
così superiore ai colori marci del popolo intorno a noi due… e parli così.
Non è giusto, credi? Ossessionante… il profumo, il discorso, l’indivisibile
dei nostri organi interni. Ho cellule che ribollono al pensiero del tuo
inguine, delle tue dita… ho bevuto dalle tue braccia e sto decadendo.
Salire, voltarsi,
entrare nell’aula. Le urla, i compianti, lo scherno di chi invidia. Ho
sonno.
Fuori fa bianco. Ieri.
È forse inverno, magari con un po’ di neve e di sogni banali, poche accuse,
proclamazioni d’affetto ed effusioni pubbliche. Senza senso.
Sogno. Sogno.
Sogno. à
Hai voglia di toccarmi?
-Hai voglia di
toccarmi?-
-Stai dormendo Kaede-
-Cosa c’entra?
Lasciami…-
-Sei tranquillo.
Amabile, ti posso parlare, senza che tu ricada nella tua disperata
autodifesa. Perché hai alzato quel muro stamane?-
-…-
-Non mi hai fatto del
bene-
-Lo so-
-Vai là-
-Non vuoi toccarmi?-
-Stanotte, Kaede.
Senza paura. Vai là-
C’è comodità qui. C’è un lusso senza forme, i
ritagli di carta non hanno importanza, neppure i denti più crudeli possono
lacerare queste tende chiare con il cielo dipinto sopra. Perché poi?
C’è il rintocco dei
miei passi intorno a me, mi abbraccia come farebbe il tutore responsabile di
un abbandonato. Sono orfano del buio. Da te.
-Hanamichi- chiamo.
Chiamo Dio. Un semplice fluire di sangue in questo luogo asettico e distante
dalla smorfia della bimba.
-Guarda che ci sono-
risponde, con la solita affabilità. È segreto. Un segreto. Il suo segreto.
L’amarezza è infilata nelle mie tasche –Osservami, Kaede-
C’è per terra, un
corpo. È un corpo scuro nel suo pallore. Ha tracce di pelle in qualche
angolo, i capelli sono addormentati su una testa impermeabile alla
sofferenza. Sei tu. Rosso. Morente. Vivi angosciato dal timore che un giorno
il tuo buonumore si incrini, per la crepa che potrà essere scorta da tutti.
In quel punto, tu, piangerai. Hanamichi. Non vorrei.
Nell’inverno, desidero
la tua vita senza un peso.
-Ci toccheremo
stanotte, Kaede-
-Grazie-
Sogno.
à Grazie
-Devo andare- non
ronzatemi intorno, imbecilli ed insensate. Siete la futilità resa palpabile,
resa al senso del tatto. Siete una tristezza che si muove e la sua
insipidità con lei. Personale.
Vi piace il mio collo
diafano, l’insenatura del petto, la lunghezza delle mie vene, la quantità di
sangue che mi scorre nella testa? No. Lui le adora. Vorrebbe disegnarle come
fa con i miei lineamenti… da Ieri notte. Abbastanza? No? Lo voglio.
È fermo. Io sono fermo.
Solamente che lui riposa i muscoli, i nervi non si tendono, gli occhi
restano sigillati nelle parole del sonno.
Mi accovaccio, stringo
le ginocchia al mento ed osservo, oltre la muraglia di capelli scuri, che
dovrei tagliare, che dividono il suo corpo in piccoli frammenti soporiferi.
È … che cos’è?
Dolce forse? Tenero…
morbido, così morbido, che potrei masticare la sua immagine con i miei
ricordi e plasmarlo nuovamente, senza mutare nulla. Dolce, forse?
Che cosa può portare un
essere inesistente come me a tormentarsi per le sue parole?
In che stato posso
ridurmi, semplicemente sognandolo, rimanendo infisso come una scultura, a
delineare le urla mute che fuoriescono dal suo organismo duro? Sta dormendo.
Mi siedo al suo fianco,
stacco gli occhi dalle cose intorno e mi compiaccio di quanto vuoto sia
intorno a queste due figure… siamo io… e te. Dolce forse? Tenero. Direbbero
così.
A me non piace.
Preferisco la voragine,
l’incubo di una tortura, al sorriso mellifluo che nasconde la plastica
bruciata. L’odore rimane. Il tuo odore rimane.
C’era una volta il mio
cervello, ed ora, è nella tua tasca, come un pezzo di sangue e qualcosa del
miocardio. Sembra essersi dimenticato dell’ossigeno.
-Hanamichi… sto…
trattenendo il respiro…-
-Basta che non ti
uccida e va tutto bene- gli occhi restano chiusi.
-Sono così
indispensabile?- stavolta rido alla tua affermazione. Alla mia.
-Certamente-
-Facciamo un giro- la
città è intorno. La città. Grigio che mette luce. Ci alziamo dalla nostra
immagine di studenti. Potremmo diventare, qualunque cosa… -Ti ho sognato-
-Volevi toccarmi?- stai
masticando qualcosa. Bevi un sorso di qualcos’altro. Cosa sei? Ma stai
ridendo e capisco che mi prendi in giro. Rimani interdetto alla mia
reazione. Occhi aperti.
Alzo le spalle. Deve
bastarti.
-Camminavo. Ho visto il
tuo corpo quando eri bambino-
-E’ una bella cosa-
-Perché?- il parco
verde e bianco si dimena nella sua immobilità, senza sapere che siamo qua.
Senza volerci. Probabilmente, ci sta respirando senza averne l’esigenza.
-Sognare l’amante
quando è bambino, è un chiaro segno di possedimento. O se preferisci, di
desiderio di possedere…-
-E perché la consideri
una bella cosa?- mi guardi. Mi guardi senza capire il nesso tra le mie
domande ed il mio corpo. Sto esistendo per colpa tua e sembri non volertene
prendere la responsabilità. Dovresti.
-Mi deve far piacere il
fatto che… tu mi voglia, o no?-
-Non lo so… se ti
voglio-
-Ah…- tiri. Siamo nel
campetto. Perseguita anche te, adesso. Da soli, giochiamo. La goccia di
sudore attraversa la carne per giungere fino alle mie labbra. Siamo stoffa
che si muove. I tendini stendono le proprie esigenze al centro nervoso, ed
il contrario si brucia. –E… allora… che cos’è che vuoi? Se me lo dici, posso
provare a dartelo…-
Mi fermo. Penso.
-Voglio capirlo… se ti
voglio, intendo- allora la lingua si divide e diventa due lingue che si
coniugano in un matrimonio si sentimentalismi senza voce. È il gemito che
pulsa nella gola ad indurmi ad afferrare le tue spalle. Sono spalle così
larghe da impedirmi di avvolgerti più di una volta. Vorrei girarti intorno
sussurrando un segreto dopo l’altro al limite delle tue orecchie e morirci
dormendo, se possibile. Ti voglio. –Grazie-
Sai solo sorridere, tu?
C’è una vecchia davanti
a casa mia.
Hanamichi gioca con le
mie lenzuola.
-Che freddo!-
-Ti assicuro, che
faceva molto più freddo nell’inverno di Ieri…-
-Chi era?-
-Ieri? Un maledetto!
Dannato nell’affetto per cui si struggeva, per l’unica cosa che non poteva
possedere. Pensava… e sognava nel suo interminabile dormire, finche non
impazzì e cercò la morte! Ringrazia il cielo, ragazzo!-
-Grazie-
I personaggi sono stati
creati ed appartengono a Takeiko Inoue.
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