L'inquisitore
capitolo 6
di
Kia
Tra
il prima e il dopo c’era un taglio netto. Quello che era stato prima non era
più ora e Francisco se ne era accorto subito quando si era risvegliato in
quella stiva umida, piena dell’odore asfissiante di salsedine e muffa che
aveva notato solo in quel momento. In piedi accanto a lui c’era una figura
alta, gli era sembrato che lo stesse osservando da parecchio, scuro e
rivestito, ma non ne aveva avuto la certezza. Appena aveva ripreso coscienza
Alejo lo aveva fissato con i suoi occhi blu, densi nell’ombra rischiarata
dalla lanterna.
“Addio. Che il vostro Dio vi assista.”
Solo questo aveva mormorato con la voce stranamente rotta, roca, poi se ne
era andato, risalendo rapido le scale. Era un addio dunque, per l’ebreo
tutto quello che andava regolato tra di loro era stato concluso quella
notte.
Lui si era sollevato a sedere fissandosi le gambe, le ginocchia e le
braccia, le mani: gli sembrava quasi di guardare il suo corpo chiaro da
lontano, come se lo rivedesse per la prima volta dopo tanto, ma in un certo
senso lo stare nudo, seduto in quella stiva dopo quello che era accaduto,
gli dava una sensazione di rappacificazione con esso. Anche se lo conosceva
poco, quel suo corpo, aveva provato per la prima volta l’impulso ad
esaminarlo meticolosamente per capire se era tutto a posto.
Aveva guardato il polso sporco di sangue secco e aveva seguito con gli occhi
la scia scura fino in alto, dove il taglio era ancora caldo e rosso. Si era
rivestito lentamente, sollevandosi e sondando ogni segnale che gli
provenisse dal suo fisico, esaminandosi nelle zone che prima non aveva mai
guardato, nemmeno quando faceva il bagno. Si era sentito leggermente strano,
molto indolenzito, ricoperto di umori non suoi, estranei, eppure non ne era
schifato, solo sentiva l’esigenza di lavarsi. Strano per un uomo attento
all’ordine e schizzinoso quale sapeva di essere.
E subito, inflessibile e ossessionato, aveva ripensato alla colpa appena
commessa, ma non aveva provato la terribile disperazione che aveva creduto.
Alla sua ansia di giudizio la voce dell’inquisitore, quella che cercava, non
aveva risposto che un borbottio sconnesso, vuoto e ripetitivo, come se non
fosse più in grado di imporsi, zittito dai gemiti folli di quella notte. Di
colpo invece aveva sentito una voce nuova, schietta e decisa, autoritaria in
lui: sembrava quella del Francisco bambino, ma ora era quella di un uomo, e
allora, stupito, il giudizio lo aveva chiesto a lui.
La risposta era stata semplice: sono solo un essere umano, ho cercato con
tutte le mie forze di non farlo, ma non ci riesco. Se Dio vorrà punirmi lo
farà.
Che sfacciataggine! Eppure l’autorità sincera di quel pensiero sembrava non
avere rivali nella sua anima: non era possibile, dovevano emergere la
vergogna e il dolore terribile per il peccato, come sempre... forse più
tardi, aveva pensato risalendo quelle scalette con la lanterna in mano. I di
La Guardia sembravano dormire tutti nel loro angolo. Si era disteso nel suo.
Da lì aveva iniziato a recepire che qualcosa era fortemente cambiato. Più
tardi il mattino seguente, di nuovo dritto sul ponte a fissare il mare dopo
essersi in un certo modo ripulito, con il braccio destro fasciato con la
stoffa della camicia priva ora di entrambe le maniche, si era di nuovo
confrontato con se stesso e si era scoperto sensibilmente diverso.
Non era una cosa che potesse essere definita, ma era presente in ogni parte
del suo essere, a cominciare dal modo in cui guardava quella distesa
d’acqua.
Ampia, liscia, smossa da quelle rapide e mutevoli increspature: da quel
lato, quello dove si metteva di solito, si vedeva la costa violetta in
lontananza, ma si era girato, andando dall’altra parte, e di là non c’era
niente a delimitare il mare che sembrava immenso. Si era chiesto con una
certa eccitazione quanto lontano si potesse andare solcandolo, fin dove si
potesse arrivare senza che niente o nessuno sapesse, praticamente in una
nuova vita. Era un pensiero strano per lui, stranissimo. Fino al giorno
precedente quella massa lo aveva intimorito con la sua grandezza, e un’idea
simile non gli sarebbe mai venuta in mente.
In seguito aveva passato giorni a rimuginare in sé, chiuso come in un
guscio, e intanto aveva visto quell’uomo fissarlo spesso, divorarlo con gli
occhi, ma non si erano quasi rivolti la parola e lui non se ne era
rammaricato perché non avrebbe saputo più cosa dire, nemmeno pronunciare una
frase. Era troppo preso da se stesso per interessarsi all’altro.
Le cose più importanti non erano cambiate: il suo amore e la sua fede in Dio
erano sempre lì, come prima, ma ora erano un po’ lontani, rassegnati. Il suo
peccato li aveva allontanati per sempre, aveva capito che mai più si sarebbe
levato col viso sgombro verso Dio innalzando con tutta la fiducia e la
serenità possibili la sua preghiera, il suo ringraziamento, la sua anima. La
certezza di essere un figlio giusto, obbediente, assolutamente sincero del
suo Signore non sarebbe mai più tornata, perché quell’uomo non era più lui.
Questo gli aveva causato un grande dolore, e una paura terribile. Ora era
solo, solo come non era mai stato.
Quando da bambino era giunto al convento si era sentito disperato e
abbandonato per la mancanza di sua madre, ma nonostante tutto aveva avuto un
posto e un ruolo precisi. Da quando aveva scoperto la fede il centro
assoluto del suo essere era stato Dio, e ora, come in passato da sua madre,
ne era stato allontanato. Ma questa volta non aveva un posto in cui stare,
non un ruolo da svolgere, nessuno a cui rendere conto, non aveva più niente.
Era solo.
Dopo tanto temere, pensare, tormentare e dolersi, il peccato racchiuso in
lui si era infine concretizzato e stranamente, ora che era concreto, ora che
lo aveva sperimentato, gli sembrava meno terribile. Era un’abiezione
perversa, ma aveva dentro un qualcosa di disperatamente umano, debole e
sincero, che spazzava via quell’idea maligna, demoniaca, che aveva
immaginato. Era il peccato di un essere fragile, vergognoso ma umano quanto
l’avidità o la paura della morte o... l’amore terreno.
L’evento di quella notte, quella cosa violenta e sensuale che, tagliando il
legame uterino che lo legava al suo Dio, gli aveva fatto sfiorare
inconsciamente l’ebbrezza della sensazione di libertà quella mattina sul
ponte della nave, in seguito lo aveva gettato nella paura e nella solitudine
più orribili che avesse mai sperimentato.
Aveva infine guardato seriamente alla sua vita come a quella di un qualsiasi
uomo imperfetto, non come a quella di un prescelto servo del Signore come
aveva sempre fatto, e vi aveva trovato un vuoto. Non aveva nessuno, non
aveva una vita e non sapeva se sarebbe stato capace di viverla.
Peccare come tutti, peggio degli altri, e vivere con questo peso, trovarsi
il pane, guardare gli altri esseri umani da pari a pari, senza avere indosso
un abito che era un muro, sapere a cosa pensare ora in quella stiva.
Non era più lì per convertire qualcuno, non era davvero più un emissario di
Dio, quell’uomo, quell’ebreo, non era più
sotto la sua tutela. L’anima dell’ebreo riguardava solo l’ebreo, lui
sentiva già troppo il peso della sua, ora.
Così era rimasto a rimuginare in se stesso, cercando di ritrovarsi in quel
marasma.
E la nave aveva solcato rapida il pelo dell’acqua.
In quello stato cupo e impaurito in cui si trovava era venuto infine a
prenderlo Adàn.
Il bambino si era tenuto alla larga da lui per parecchio, recependo
l’atteggiamento del padre, ma con il passare dei giorni e il protrarsi della
navigazione non poteva non diventare sempre più insofferente, solo, senza lo
spazio e il permesso per giocare liberamente. Nonostante i rimproveri si
sottraeva al controllo paterno e passava la mattinata sul ponte, tra
l’equipaggio, girando ovunque e ficcanasando. A volte infastidiva, ma in
generale era benvoluto e qualcuno si soffermava a parlargli dei venti, o
delle rotte, o di cose più o meno fantasiose viste in posti lontani. Adàn
ascoltava rapito, eccitato, e poi ripeteva tutto al padre che ascoltava
pazientemente cercando di convincerlo a non dar noia a nessuno. Invano. Non
si può tenere rinchiuso un ragazzino di quell’età, e in queste sue scorrerie
che dopotutto erano l’unico, grato segnale di vita e allegria in quella
stiva piena di una tensione cupa e inespressa, si era sfacciatamente
riavvicinato sempre più a Francisco senza che il giovane se ne accorgesse o
che il padre trovasse la decisione e una ragione per proibirgli di farlo.
Le braccia di Francisco erano bianche, e ora che le maniche della camicia
non le ricoprivano il giovane biondo passava ore a fissarle mentre fluttuava
nella sua mente. Guardava la pelle chiara, i peli biondi, pochi e quasi
invisibili, che diventavano semplice peluria già all’altezza del gomito, il
polso non molto forte, sottile e ossuto, le sue mani bianche e le dita
lunghe che sembrava stessero accumulando la sofferenza di quel viaggio con
la pelle del dorso seccata e irritata dall’umidità e dalla salsedine.
Stranamente non guardava le sue braccia da anni, perché erano anni che non
restava abbastanza a lungo con le braccia scoperte, l’ultima volta che ci si
era soffermato erano quelle di un ragazzino.
A un tratto dei piccoli piedi nudi, con le dita arrossate, si erano inseriti
nel suo quadro visivo che fissava da giorni solo le braccia appoggiate sulle
ginocchia e lo scorcio delle sue gambe piegate, dei suoi piedi e del
pavimento di legno su cui era seduto.
Aveva rialzato gli occhi, come svegliandosi da uno stato di sonnolenza, e
aveva visto il bambino che gli sorrideva con i suoi grandi occhi castani e
le guance arrossate anch’esse. Aveva i piedi nudi e i pantaloni arrotolati
fino alle ginocchia schizzati di scuro, sembrava che intorno a lui l’aria
fosse più fresca, come se l’avesse portata con sé in una corsa sfrenata.
“Cosa fate Signore?” aveva chiesto curiosa e ancora lievemente affannata la
vocetta appena i suoi occhi si erano alzati, come cogliendo al balzo la sua
preda.
Francisco non si era sentito infastidito, gli era sembrato anzi che qualcuno
avesse aperto una finestra per permettergli di prendere una boccata d’aria,
almeno per un po’. Si era guardato rapidamente intorno e aveva visto che
ancora una volta il bambino aveva colto un momento in cui l’uomo era fuori
sul ponte. Aveva sorriso.
“Nulla. E tu cosa fai scalzo Adàn?” aveva risposto sentendo la sua voce
risuonargli quasi estranea nelle orecchie dopo tutto quel silenzio.
Gli occhi scuri si erano animati luminosi e il bambino aveva tirato un
sospiro come se stesse per lanciarsi di nuovo in una corsa, perché a
giudicare dal visetto arrossato, i capelli arruffati e l’aria ancora
leggermente affannata, doveva aver corso fino a poco prima.
“Oggi c’è maretta, il ponte è pieno dell’acqua che schizza dentro e così mi
sono tolto le scarpe e ci ho messo i piedi, è fantastico correre mentre la
nave ondeggia sapete? Sembra che se si cade non ci si fa male!! E mi hanno
detto che una volta un uomo è caduto da uno degli alberi più alti ma non si
è fatto niente e si è rialzato ed è andato a bere una birra!! Non è
incredibile? E dicono che era un giorno così, con il cielo fatto tutto a
nuvole piccole piccole e un vento leggero di contro.”
Si era fermato a rifiatare e Francisco aveva continuato a guardarlo
sorridendo, divertito, fissando l’eccitazione in quel visetto concitato.
“Suppongo sia una storia un po’ fantasiosa Adàn, non devi prendere sul serio
quello che ti dicono, un uomo che cade da quell’altezza muore sul colpo o
rimane paralizzato o diventa pazzo, comunque farai meglio a lavarti i piedi
con dell’acqua pulita, la salsedine quando si asciuga poi irrita la pelle e
da prurito.”
Il bambino si era avvicinato con un’andatura irruenta e decisa buttandosi a
sedere al suo fianco e stendendo le gambette magre fissandosi i piedi.
“Vi fa male il braccio?” aveva chiesto di colpo.
“No, non molto... sta guarendo.”
“Come vi siete fatto male?”
Francisco era rimasto in silenzio per un attimo, poi aveva mormorato
qualcosa in merito a una caduta a cui il bambino aveva risposto dicendo che
la sua cavalletta purtroppo era morta e l’aveva gettata in mare.
Di nuovo erano stati per un attimo in silenzio.
“Voi a volte parlate come mio padre, ma queste storie sono belle anche se
non sono vere come dite.” aveva borbottato poi Adàn riprendendo di colpo il
discorso di prima, sempre con un sorriso irrequieto sulle labbra.
“Sì, hai ragione, le storie sono belle comunque, e a volte anche nelle
storie più strane si può trovare molta verità da imparare.” aveva risposto,
suscitando l’interesse del ragazzino che infatti lo aveva subito fissato
attento con la luce della curiosità selvaggia e infantile negli occhi.
“Quali storie? Voi conoscete delle storie?!” gli aveva chiesto con una certa
impazienza.
E così si era messo a narrargli una storia, una breve storia sulla vita di
un santo di tanto tempo prima che aveva sentito tante volte, come centinaia
di altre. Adàn lo aveva ascoltato quasi ipnotizzato, divorandolo con lo
sguardo castano, annuendo rapido a tratti e agitandosi nel porre domande e
domande, bevendosi ogni parola. Alla fine era rimasto in silenzio per
qualche attimo, come rianalizzandola tutta insieme o memorizzandola.
“È una storia molto bella, e voi raccontate tanto, tanto bene. Nessuno che
ho mai ascoltato racconta bene come voi, nemmeno mia nonna, anche se a volte
dite delle parole strane.” aveva detto serio tornando a fissarsi i piedi.
“Se dico delle parole che non conosci basta che tu me lo chieda e te ne
spiegherò il significato.”
Subito Adàn si era sporto verso di lui attento: “Allora vuol dire che me ne
racconterete altre di storie? Promettete! Quando mio padre non c’è voi mi
racconterete una storia!!” aveva pregato.
Francisco si era sentito felice. Felice a vedere quel ragazzino chiedergli
tanto intensamente di raccontare ancora, e così aveva annuito anche se una
parte di lui aveva pensato con apprensione a due ostili, furiosi occhi blu,
nello stato in cui si trovava l’ultima cosa di cui aveva bisogno era uno
scontro con quell’uomo.
Adàn si era alzato rapido sgambettando come un cucciolo.
“Allora avete promesso!! Promesso!!” aveva ripetuto battendo impulsivamente
le mani sulle gambe come per suggellare la cosa, poi era scappato di nuovo
fuori.
Quella boccata fresca gli era rimasta dentro, girando vorticosa e felice nel
marasma che aveva nell’animo, e alla fine ci si era piantata con forza,
trasformandosi in qualcosa che non avrebbe immaginato: una cosa da fare, una
cosa che probabilmente avrebbe potuto e voluto fare in una vita da uomo
normale. L’aveva sentita stranamente come una specie di vocazione, anche se
più fresca, gioiosa e semplice rispetto a quella divina che aveva servito
fino a poco tempo prima: ma era un desiderio tanto chiaro che gli era
sembrato quasi già realizzato.
Poteva insegnare. Forse non poteva insegnare alle anime la strada verso Dio,
ma poteva insegnare ai ragazzi il latino, il greco, a far di conto, la
storia: tutto ciò che conosceva. Aveva ripensato allo sguardo luminoso di
Adàn mentre gli raccontava una semplice storia, e aveva deciso che
probabilmente, anche se potevano nascere in lui mille ragioni per non farlo,
quello sarebbe stato ciò che avrebbe fatto.
Così era iniziata la nuova vita di Francisco D’Avalos, non più inquisitore,
non più frate, non più devoto figlio di Dio.
Le labbra dell’uomo risalirono di colpo sulle sue, baciandolo furiosamente,
e Francisco sentì la lingua invadergli la bocca, aveva un sapore che non era
quello dell’uomo, recepì vagamente che doveva essere il
suo, di sapore, il sapore del
godimento che quell’uomo gli aveva dato fino a un attimo prima. Il desiderio
si faceva sempre più intenso e lui non fece che succhiare quella lingua con
tutto il suo essere mentre una mano di Alejo, che torreggiava su di lui,
continuava a toccarlo. Di nuovo si avviava verso quella perdita di coscienza
e pudore dell’altra volta...
Era stato terribile, l’altra volta. Quando alla fine gli aveva fatto piegare
le gambe, e quel dolore contro natura che gli era sembrato farlo morire,
lacerare il suo corpo lo aveva invaso; e allora quell’uomo gli aveva davvero
usato violenza, perché quando lui aveva cercato di ribellarsi, lo aveva
preso con la forza. Gli aveva fatto male.
Ci aveva pensato a lungo, dopo, a quel dolore terribile, ma anche a quello
che ne era seguito. Di colpo il dolore era svanito e allora quel senso di
pienezza straziante era diventato paradisiaco, si era stretto a quell’uomo
che era diventato il centro e il tutto del suo universo e aveva perso ogni
identità, ogni ricordo, aveva goduto nell’estasi, vivendo solo nell’essere
riempito da lui. La sensazione di congiungersi con qualcos’altro, di esserne
parte e dipenderne completamente, come l’unione di un'anima con Dio e il
perdersi in esso, nella sua immensità estatica. Il paragone era non solo
assurdo, ma blasfemo, quasi di idolatria verso quell’uomo! Così lo aveva
spazzato via con rabbia e vergogna.
Aveva cercato di ripensare solo al dolore, cercando di odiare l’ebreo per
quella violenza e umiliazione ma non gli era stato possibile. La violenza
c’era stata, ma quello che aveva generato non poteva certo scordarselo.
L’ebreo. Gli aveva detto addio. Alla fine era riuscito a pensarci.
Aveva ripensato a quello che gli aveva fatto, a quello che avevano fatto
insieme, a quello che gli aveva detto in quell’attimo fatale in cui era
stato sul punto di ucciderlo. A quello non poteva credere assolutamente...
che lui lo amasse... e poi in che senso? Quale amore?
Amore. Per lui era un problema complicatissimo, che cosa significava amore?
L’unico vero amore era quello per Dio, il sentimento umano era carnale,
egoistico e imperfetto. Anche nell’amore per sua madre, per quanto casto,
aveva riconosciuto in passato una forma di deviazione: quell’attaccamento
troppo forte faceva perdere di vista la misura, portava quasi a idolatrare e
dipendere completamente da un altro essere umano quando invece ciò era
assurdo. Non era la madre a mettere al mondo il bambino ma Dio, a lui andava
l’amore supremo.
Tutto gli era sembrato assolutamente chiaro allora, adesso che arrivava a
sfiorare l’idolatria per l’uomo che lo aveva iniziato al sesso, tra l’altro
nel modo più brutale ed errato possibile, la cosa era molto più difficile da
definire.
L’amore umano era debole e imperfetto ma ora non riusciva più a condannarlo
in quel modo gelido: ci scorgeva dentro una dolcezza, una forza quasi
disperata, una bellezza... e tra l’altro se l’amore di Dio era uno, quelli
tra gli uomini erano infiniti, diversi ogni volta, indefinibili. E lui? Da
uomo normale quale amore poteva provare oltre a quello per Dio? Quello
fraterno era sicuramente il più giusto.
Gli esseri umani andavano amati tutti come fratelli, senza distinzioni, ma
come poteva se quell’uomo era per lui una maledizione? Gli bastava
guardarlo, guardare i suoi occhi blu, i bei lineamenti netti ed eleganti, la
pelle olivastra, il modo in cui parlava col figlio, il suo corpo slanciato,
il tono della sua voce, le espressioni, i suoi gesti usuali, come quell’allontanare
distrattamente su un lato della fronte le ciocche di capelli scuri che non
obbedivano che per pochi attimi, i capelli scuri e...
No, era tutto fuorché fraterno: era... la sua perdizione... e presto non lo
avrebbe più visto.
La nave aveva solcato il mare sempre rapida, avvicinandosi all’arrivo, e
anche se ormai aveva perso il conto dei giorni dai discorsi dell’equipaggio
sapeva che non mancava molto a giungere in porto, la costa che si vedeva
lontana era già quella dei Paesi Bassi. La Spagna, col suo calore, i suoi
odori, i suoi umori violenti e i roghi infiniti era ormai lontana. Aveva
pensato che non avrebbe mai più rivisto la regina Isabella, e questo
pensiero oltre a farlo vergognare per l’accusa di tradimento della Chiesa e
della Corona che probabilmente in patria già pendeva su lui, gli aveva fatto
anche capire quanto ormai l’adorata Spagna fosse svanita.
Una volta arrivati le loro strade si sarebbero separate e non lo avrebbe più
rivisto. Alejo. E non avrebbe più visto nemmeno Adàn.
Aveva iniziato a guardarli di nascosto, spiando quel piccolo nucleo
familiare che dopotutto aveva se stesso e si bastava, che era pieno di vita,
che senza che lui se ne fosse accorto aveva rischiarato quella stiva per
tutti quei giorni e aveva rischiarato anche lui. Si era reso conto del
dolore e della solitudine che era destinato a provare sulla banchina di quel
porto. E quell’uomo, che non avrebbe più rivisto, si girava a tratti, di
scatto verso di lui, e i loro occhi ora si incontravano e restavano fissi
gli uni sugli altri per qualche attimo prima di abbandonarsi. Stava pensando
anche lui, chissà a che cosa. Quelle parole che gli aveva detto non le aveva
più ripetute, perché non dovevano essere state che un’idea folle di un
momento, non sapeva cosa avessero significato davvero, ma, forse qualsiasi
cosa gli sarebbe andata bene, aveva pensato infine desolato, sincero. Forse,
senza che se ne fosse reso conto, lui in mezzo a tutto il desiderio e il
peccato in qualche modo lo amava davvero quell’ebreo.
L’uomo si muoveva su di lui, il suo respiro si stava facendo sempre più
rapido. Francisco ormai era nuovamente impazzito e si avvinghiava all’ebreo
sussurrando di nuovo il suo nome in quel modo che voleva dire amore, senza
nemmeno accorgersene.
Alejo di colpo lo afferrò per la vita e si girò sulla schiena trascinandolo
con sé, facendolo finire disteso su di lui. Francisco singhiozzò tra
l’impaurito e l’esasperato, non capendo cosa stesse facendo e risvegliandosi
bruscamente dal suo stato semicosciente di abbandono. Voleva... non sapeva
nemmeno cosa voleva che facesse, ma doveva dargli quell’estasi,
doveva dargli quell’attimo di
godimento estatico.
Si ritrovò a fissarlo dall’alto. Gli occhi blu erano socchiusi come le
labbra, i capelli scuri arruffati come non mai, con le ciocche sparse sulla
fronte che gli finivano quasi sugli occhi. Una mano dal colorito olivastro
salì e le dita lunghe le scansarono distrattamente da un lato mentre gli
occhi si riaprivano di più fissandosi su di lui.
Quel suo gesto usuale.
La mano si alzava spesso a scansare le ciocche scure e lisce dagli occhi, ma
più che per un fastidio doveva essere un’abitudine, lo faceva anche quando
non era necessario. E Francisco aveva scoperto che gli piaceva.
Al pensiero del distacco, sulla banchina del porto appena fossero arrivati,
si era sentito triste, solo, ma in un certo senso più che altro ansioso.
Un’ansia quasi frenetica di non valutare appieno cosa stava perdendo.
Nella sua mente risuonavano ancora chiare le emozioni e le parole che aveva
gridato quella mattina nelle sue stanze in Spagna, la mattina della pioggia,
e quel terribile senso di perdita improvvisa non voleva più provarlo, mai,
se proprio doveva perdere qualcosa di importante voleva farlo essendone
cosciente e non quando era ormai troppo tardi. Altrimenti sarebbe impazzito
per la disperazione di non aver fatto niente quando poteva, per non aver
riconosciuto qualcosa di importante sprecandolo: ne era certo.
Ma quell’uomo era importante? Quella mattina gli era sembrato vitale come
l’aria; ma evitava di ricordare a se stesso l’attimo in cui gli era sembrato
che lo fosse, temendo di conoscere cosa si era celato dietro a quella follia
improvvisa, tanto più ora che stava per separarsi da quell’estraneo che era
divenuto in quel breve periodo il centro della sua vita. Che cosa strana, un
perfetto estraneo che era divenuto all’improvviso il centro di ogni sua
azione, gli aveva sconvolto l’esistenza, lo aveva cambiato, gli aveva
preso... la verginità, ma che cos’era quell’estraneo?
Le dita lunghe, magre e forti, si erano sollevate sul viso dai lineamenti
pronunciati e avevano scansato distrattamene di lato la cascata di ciocche
scure che gli scendevano sulla fronte, poi si erano ritirate rapide come se
avessero agito di propria volontà. L’uomo, che stava parlando sommessamene
col figlio, era sembrato non accorgersene nemmeno e in un attimo, a un suo
movimento del capo, i capelli erano tornati a ombreggiare gli occhi
esattamente come prima mentre la lucerna accesa ondeggiava lievemente per
uno scossone della nave.
Francisco era rimasto ipnotizzato mentre nella sua mente rivedeva
all’infinito il gesto e si rendeva conto che nel giro di un paio di giorni
non lo avrebbe più rivisto. Non avrebbe mai più rivisto quella mano fare
quel lavoro inutile mentre la testa bruna era attenta a tutt’altro. Si era
sentito morire, ed era stato attraversato da una vampata di avidità e
possesso nei confronti di quell’uomo come non mai, non riuscendo ad
accettare di non poterlo più avere intorno a fare quel gesto nel giro di due
giorni. Il sentimento della mattina della pioggia era tornato, era tornato
perché era l’unico vero.
Per quello poco dopo, quando il bambino ormai dormiva e l’ebreo si era già
disteso, si era alzato.
Era avanzato coi piedi nudi verso la figura di spalle, lentamente, sentendo
il pavimento cigolare appena sotto i suoi piedi e una tensione sottile e
dura come una lama scivolargli addosso. Era tutto identico all’altra notte,
quando però avanzava col pugnale in mano.
Come quella notte gli era giunto accanto e l’uomo per un attimo non si era
mosso, poi aveva aperto gli occhi e lo aveva guardato.
“Ho dunque fatto male a lasciarvi riprendere il pugnale?” aveva sussurrato
scrutandolo con le sue iridi scure, ma poi aveva visto che non aveva niente
in mano e si era sollevato a sedere.
“Cosa volete dunque?” aveva chiesto, ma un tremito leggero gli aveva
attraversato quella voce dura quando si rivolgeva a lui.
Francisco non aveva risposto, del resto non poteva certo esprimere il fatto
che guardandolo scansarsi i capelli aveva avuto voglia che fosse suo, quasi
di mangiarlo, che non se ne andasse col bambino appena giunti in Olanda, che
restasse con lui: no. Così era rimasto zitto, cosa che sapeva fare bene
lasciando pesare quel silenzio tagliato dai suoi occhi chiari sull’altro.
Voleva solo interagire con lui, in un qualsiasi modo, fosse anche
insultarsi, aveva un bisogno disperato di sentirsi le iridi blu addosso.
Invece di insultarlo però Alejo si era alzato, appagandolo nel divorarlo con
il suo sguardo vellutato e scuro. Aveva allungato una mano e gli aveva
sfiorato una guancia, Francisco si era sentito rabbrividire ma era rimasto
freddo, senza lasciar trasparire niente come era abituato a fare.
“Allora questa volta sei venuto davvero...” aveva mormorato l’uomo con un
leggero sorriso che poteva sembrare quasi fragile.
Lui non aveva capito, che cosa intendeva? Ma poi l’uomo lo aveva preso per
mano senza dire più niente e dopo aver staccato dal gancio la lanterna lo
aveva riportato verso le scalette che scendevano in basso, gentilmente
questa volta. Il giovane biondo aveva sentito il cuore iniziare a
martellargli freneticamente, rimbombandogli nelle orecchie mentre
scendevano, poi mentre l’ebreo posava la lucerna a terra, e quando le dita
lunghe si erano posate su di lui iniziando a spogliarlo, sfiorandogli le
braccia nude e la fasciatura, si era abbandonato a qualsiasi cosa gli
facesse scordandosi di tutto.
Anche Francisco spalancò gli occhi.
Era disteso sopra all’ebreo e si sentiva le sue mani sul sedere, era sudato,
sentiva il calore umido sotto di sé e vedeva quel viso a un soffio dal suo.
Alejo era bellissimo. Non lo aveva mai visto così, con quell’eccitazione
frenetica e un po’ folle sui lineamenti. Si sentì uno sciocco a non averlo
guardato prima, quasi dall’inizio aveva socchiuso gli occhi o voltato la
testa di lato, un po’ anche per vergogna, concentrandosi sulle sue
sensazioni: che idiozia. Quegli occhi fissi nei suoi ora lo ipnotizzavano.
L’uomo fece un leggero sorriso, strano, un po’ dolce e un po’ furbo,
ricordava quello di Adàn.
“Sei in alto ora, Messer Inquisitore...” ridacchiò tra i sospiri, poi si
passò rapidamente la lingua sulle labbra e si inarcò sotto di lui, premendo
la sua eccitazione contro la sua. Attraversato di nuovo da un’ondata di
piacere Francisco rovesciò la testa all’indietro con un singhiozzo,
spingendo i fianchi in avanti accompagnato dalle mani dell’uomo.
“Quanto sei bello...” sussurrò la voce di Alejo.
Ancora scosso dal gemito il giovane biondo si sentì felice: glielo aveva
detto di nuovo. Ora si sentiva davvero bello, di valore, fiducioso e
appagato del suo essere come non era da tempo, di nuovo più sicuro...
Le mani di Alejo salirono ad accarezzargli la schiena, infilandosi tra i
suoi capelli, seguendo con un dito la linea della mascella fin sul mento e
poi sul collo, sul torace.
“Non devi avere fretta, ora lo facciamo, ma prima lascia che io ti guardi un
po’” continuò la voce dell’uomo mentre sulle labbra gli balenava di nuovo
quel sorriso e le iridi blu sembravano mangiare quello che vedevano.
Francisco si sollevò a sedere a cavalcioni su di lui, quasi senza pensarci.
Ora era un po’ più lucido, voleva che lo guardasse.
Poi lo facciamo.
L’ebreo sgranò ancora di più gli occhi e il sorriso si allargò ancora sulle
sue labbra, come rapito da quel gesto. Passò le mani sul torace bianco del
giovane, e poi più in basso, toccandolo appena e proseguendo lungo le cosce,
come se non sapesse bene da dove iniziare a mangiarselo.
Poi lo facciamo. Cosa facciamo?
Mentre guardava e sentiva quelle mani correre sul suo corpo, i brividi che
gli davano, il giovane biondo rigirò nella mente le parole dell’uomo.
Quello che avrebbero fatto dopo era lo stesso che gli aveva fatto l’altra
volta, senza ombra di dubbio. E in effetti lo sapeva, anche se non ci aveva
voluto pensare troppo; quando lo aveva spogliato ed avevano iniziato a
toccarsi non aveva pensato più a niente, ma ora... non lo sapeva se aveva
davvero voglia di provare di nuovo quel dolore, l’estasi dopo la voleva, ma
quel dolore... se era necessario però l’avrebbe subito ancora anche
all’infinito...
Le dita dell’ebreo gli tormentarono le labbra passando su di esse,
schiudendogliele, accarezzandogliele, allora anche lui fece lo stesso, mise
un dito sulla bocca di Alejo e lo mosse sulle labbra, l’uomo lo guardò
sollevando un sopracciglio con un sorrisetto ironico, poi di colpo le
schiuse e si mise a succhiargli il dito.
Francisco lo guardò affascinato: era decisamente bellissimo, e sensuale, gli
piaceva stare su di lui, guardarlo dall’alto mentre quello gli succhiava le
dita, come dipendendo in tutto e per tutto da lui.
Tolse di scatto il dito e si tirò più indietro, sedendosi sulle sue gambe e
fissandogli l’inguine che ora era scoperto davanti a lui.
Allungò una mano e lo accarezzò, osservando ancora una volta con una
curiosità morbosa e avida il sesso di quell’uomo che era circonciso. Iniziò
a toccarlo.
Con un gemito e una risata soffocata Alejo si inarcò e reclinò la testa
all’indietro, come offrendogli quel suo corpo perfetto bagnato da un velo di
sudore.
“Impari... in... fretta...” balbettò tra i sospiri mentre lui continuava a
toccarlo fissandolo con i suoi occhi chiari che non si perdevano un brivido
o un movimento di quel viso.
Un sorriso astuto, divertito, quasi predatorio, si allungò di colpo sulle
labbra dell’ex inquisitore.
Le sue mani continuarono e l’uomo iniziò a respirare sempre più
affannosamente, a socchiudere gli occhi, a emettere gemiti sempre più chiari
anche se cercava di reprimersi.
“Così sveglierete vostro figlio.” fu la prima cosa che disse, con un tono
che gli riuscì pacato, quasi indifferente.
Alejo riaprì gli occhi di scatto e lo guardò con un’espressione stranita,
poi allungò un braccio come per afferrarlo ma senza riuscire che a sfiorarlo
visto che stava seduto quasi sulle sue ginocchia.
“Ora... basta... vieni qui...” balbettò con un sospiro e un mezzo sorriso.
Le dita ripresero ad accarezzarlo e l’uomo si inarcò con un gemito più forte
del precedente, tappandosi poi la bocca con una mano mentre riprendeva
fiato. La tolse, e le dita bianche e sottili di Francisco ricominciarono a
farlo godere delicatamente.
“No... basta... as... petta...” sussurrò in un sospiro strozzato l’ebreo
tendendo di nuovo un braccio per afferrarlo.
“Non vi piace?” chiese il giovane biondo di nuovo con quel sorriso sulle
labbra, ma anche questa volta l’uomo aveva gli occhi chiusi e il torace
scosso dai sospiri e non se ne accorse.
“Sì... mi piace, ma... ora ti voglio... vieni qui...” rispose come se non
fosse nemmeno completamente cosciente di quello che mormorava. Francisco si
sentiva sempre più teso, euforico, si beveva ogni gemito dell’altro.
“Capisco...” ridacchiò, leggermente roco questa volta. Aveva voglia di
divorarlo, berlo, era un desiderio frenetico.
Lo lasciò, si sollevò sulle ginocchia e si scansò di lato, fissando quelle
gambe lunghe e snelle davanti ai suoi occhi.
“Sì... vieni... mettiti disteso... Francisco...” lo chiamò dolce e un po’
incosciente l’ebreo ancora disteso, poi si sollevò su un gomito con un
sorriso sulle labbra sensuali e allungò una mano per afferrargli una spalla.
“Vieni qui... che c’è, hai paura?” continuò ridacchiando leggermente più
lucido ma con una certa urgenza.
Francisco alzò un braccio e scansò quella mano protesa verso di lui come se
scacciasse qualcosa che gli desse noia, poi gli afferrò una gamba tirandola
di lato, scavalcandola e afferrando anche l’altra. Mentre Alejo spalancava
gli occhi e balbettava qualche protesta stranita il giovane biondo gli
sollevò le ginocchia pigiandogliele sul petto e spingendoci sopra con le
braccia e il suo peso per bloccargli le gambe in quella posizione. Aveva una
luce un po’ esaltata negli occhi chiari e quel sorriso astuto in faccia, ma
lo esaminava tranquillamente, inginocchiato tra quelle gambe piegate, come
valutando la posizione in cui lo aveva messo.
“Che accidenti fai?” sibilò l’uomo sollevando la testa e guardando
intimorito la sua espressione, poi si lasciò ricadere all’indietro
sbuffando.
“Scherzi? Cristiano... senti...”
Francisco si sistemò provando a muoversi su quella zona del corpo dell’uomo,
eccitandosi.
“Ditemi ebreo... cosa c’è?” ridacchiò roco spingendo i fianchi contro di
lui.
“Sei solo un ragazzo...” balbettò l’uomo con un tono sempre più teso,
risollevando la testa di scatto sentendo quello che stava facendo, ma le
mani del giovane gli lasciarono le gambe prendendolo per i fianchi e
tirandolo ancora di più verso di sé. Alejo fece per divincolarsi ma le dita
bianche scivolarono rapide sulla sua eccitazione ricominciando a
tormentarlo, levandogli la forza.
“No... non è... aspetta...” balbettò, poi guardò il viso del giovane e
lasciò ricadere la testa all’indietro chiudendo gli occhi, arrendendosi.
“Sei... non sai... ah…”
Anche Francisco chiuse gli occhi tendendosi e spingendo i fianchi contro
quel corpo caldo, insoddisfatto, vagamente confuso, poi li riaprì e smise di
toccarlo fissandosi le mani, ne fece scivolare una in basso, sondando,
cercando, accarezzando con quelle sue dita bianche e affusolate. L’uomo
risollevò la testa con un gemito e contemporaneamente lui spinse leggermente
un dito in quel calore stretto e intimo. L’uomo lanciò un singhiozzo roco e
soffocato ributtandosi all’indietro, ansimando febbrilmente.
“No... as...petta... succhia…lo mi fai... male...” supplicò girando la testa
di lato con uno scatto, mordendosi le labbra: bellissimo.
Francisco lo guardò ipnotizzato, fissando quella bocca; tolse il dito, si
allungò in avanti e ci sfiorò la bocca tesa dell’uomo. Alejo riaprì gli
occhi e fissò quella mano.
“Succhia come prima.”ordinò il giovane biondo, e l’altra mano riprese ad
accarezzarlo delicatamente, tormentosa.
“Sei... un... bastardo...” mormorò l’ebreo con uno sbuffo vicino a una
risata disperata, poi iniziò a succhiare e Francisco gli infilò fra le
labbra anche le altre dita, facendosi poi leccare il palmo, il polso,
proseguendo a toccarlo e a sentirlo succhiare freneticamente quando
tormentava la sua eccitazione meno delicatamente per poi sfiorarlo appena.
Alla fine ritirò la mano e Alejo rimase immobile, con il viso girato di
lato, gli occhi chiusi, le labbra umide e il torace che si alzava e
abbassava febbrilmente. Di nuovo si introdusse in quello spazio stretto e
delicato con il dito umido, l’uomo serrò le labbra trattenendo il respiro.
Lui lo guardava rapito, adorando vederlo subire quieto tutto quello che gli
faceva. Spinse dentro anche un altro dito.
Alejo emise un urlo, incapace di trattenersi, una lacrima gli scivolò giù
dalle ciglia nere, rigirò la testa con gli occhi sbarrati.
“No! Smetti!” strillò roco.
Francisco deglutì e tolse le dita, lo prese per i fianchi tirandolo verso di
sé e si spinse dentro di lui con un gemito serrando gli occhi.
Iniziò ad essere tutto confuso ma lo sentì gridare e allungò una mano
tappandogli la bocca, poi si mosse avanti e indietro dentro di lui, un po’
d’istinto, un po’ come aveva sentito fare all’altro la prima volta, sempre
più rapido, perdendo velocemente il controllo della situazione e del suo
essere, ma mentre raggiungeva l’estasi sentì Alejo pronunciare il suo nome
contro la sua mano e gemere. Era un gemito di godimento.
Quando ritornò davvero cosciente era ancora steso sul corpo dell’uomo, con
una guancia poggiata sul suo torace che si alzava e abbassava in sospiri
profondi, lenti. Il cuore gli batteva ancora nelle orecchie ma si stava
calmando, assuefacendosi a quell’abbandono mortale che lo aveva invaso; si
mosse appena e sentì un brivido lungo il suo corpo umido, non era più dentro
quell’uomo.
Una mano gli si infilò tra i capelli della nuca. Sollevò il viso senza
staccare la guancia da quella pelle sudata e vide gli occhi blu che lo
fissavano: Alejo non disse niente. Rimasero così per un po’, mentre le dita
rigiravano i suoi capelli, beandosi ad infilarsi completamente tra di essi.
Era finito.
Alla fine Francisco si sollevò, risvegliando a fatica i muscoli che
sembravano essersi addormentati esausti, si infilò i suoi abiti controllando
la fasciatura un po’ allentata senza guardare l’uomo nudo e bellissimo
ancora disteso accanto ai suoi piedi, ma sentiva quelle iridi scure
fissarlo.
Si riavviò su per le scale.
“Grazie per la scopata Alejo!” disse chiara alle sue spalle la voce
dell’uomo, adirata e con un tono risentito vagamente fanciullesco.
Il giovane si bloccò.
“Non vedo perché dovrei ringraziarvi, forse voi mi avete ringraziato?”
rispose trattenendo la voce in un sussurro. L’uomo non disse niente e lui
fece per avviarsi di nuovo.
“Farete bene a maturare un atteggiamento diverso con i vostri futuri amanti,
questo è pieno della vostra insopportabile arroganza.” proseguì poi di colpo
la voce, più quieta e bassa ma anche più fredda e dura. Questa volta fu
Francisco a restare in silenzio per qualche istante.
“Cosa farete quando giungeremo a terra?” chiese poi di colpo, tanto
bruscamente da sembrare ostile. Quando la pronunciò si rese conto di quanto
quella domanda fosse davvero vitale per lui, ma la sapeva già la risposta,
dolorosa, scontata.
“È ovvio, me ne andrò con mio figlio, non cercate nemmeno di fermarmi o
intromettervi, ne ho avuto abbastanza della vostra follia cristiana.”
minacciò subito la voce dell’uomo, nervosa, mantenendo a stento il tono
basso. Francisco rimase ancora in silenzio, mentre quelle parole gli
scendevano dentro pesanti come l’altro non avrebbe mai potuto immaginare.
“Non temete, vi auguro che il vostro Dio vi assista e che possiate rifarvi
una vita.” disse infine gelido e indifferente raddrizzando le spalle, poi se
ne andò.
Alejo, che mai si sarebbe aspettato quella risposta, rimase impietrito a
fissare le scale.
Rifarsi una vita.
Che gli ho detto? Perché non riesco a
dirgli che lo amo? Si chiese disperatamente.
La prima cosa che lo stupì fu sentire di nuovo il vociare di molta gente.
Aggrappato al parapetto sul ponte della nave che sfilava lentamente tra le
altre nell’acqua sporca del porto, si sporse guardando le strade piene di
persone, di colori degli abiti, di cataste di balle, e casse, e animali.
Rise eccitato, un po’ impaurito, e si girò verso le scale per vedere se il
padre era salito o ancora no. Ancora non c’era.
Poco lontano da lui c’era il frate, con quei capelli chiarissimi nel sole,
silenzioso come sempre e vestito con quella camicia con tutte e due le
maniche strappate; guardava anche lui il porto in cui stavano entrando. Uno
degli uomini di bordo, arrampicato poco più in alto su uno degli alberi,
gridò qualcosa facendolo sobbalzare e alzando lo sguardo Adàn lo vide
agitare una mano verso qualcuno, tutti a bordo erano in un’attività
frenetica, aveva paura a muoversi temendo di finire tra i piedi; ma perché
suo padre non saliva?
Adàn adocchiò ancora il frate, rammaricandosi di non poter andare da lui.
Non gli aveva più raccontato nessuna storia...
Suo padre lo aveva tenuto sempre d’occhio in quei giorni, specialmente negli
ultimi due era stato spesso nervoso e si era adirato con lui per niente,
quindi era meglio stare quieto e non avvicinarsi al frate visto che il padre
poteva uscire dalla stiva da un momento all’altro.
Chissà dove aveva intenzione di andare suo padre… chissà se aveva chiesto
all’uomo biondissimo di venire con loro... lui ci sperava. Non lo aveva
detto ma sperava fosse così, quell’uomo gli piaceva terribilmente, anche se
era un po’ impressionante con quegli occhi come quelli dei dipinti. Chissà
perché suo padre non si fidava di lui… dopotutto li aveva salvati, era stato
lui a portarli via quel giorno che pioveva.
Una mano grande e calda gli si posò su una spalla, Adàn si girò e guardò in
alto, suo padre gli sorrise, ma era un sorriso strano, tirato, forse non
aveva dormito quella notte? Guardò davanti a sé, ma poi lo sbirciò di nuovo
di soppiatto. Guardava verso il frate, lo aveva fatto spesso in quei due
giorni.
Gli occhi grandi e castani del ragazzino si spalancarono mentre si
appoggiava col mento sul legno liscio e umido del parapetto alto quanto le
sue spalle, tra le mani che si aggrappavano ad esso.
Forse suo padre era preoccupato per il frate? Ma come era possibile? Quell’uomo
se ne stava sempre solo in disparte senza fare niente, non poteva avergli
certo dato fastidio. Allora forse suo padre voleva chiedergli di andare con
loro ma non sapeva se avrebbe accettato e quindi non si decideva! Che bello
se era così! Il frate gli avrebbe raccontato tutte le storie e gli avrebbe
sempre parlato con quella voce quieta, narrandogli degli angeli e Dio con
cui stava sua madre magari, come faceva sua nonna. Voleva davvero che
restasse con loro, gli faceva tanta tristezza pensare che se ne sarebbe
andato via.
Intanto la nave si era fermata e stava attraccando. Si dimenticò della cosa
per un po’ seguendo quell’operazione e ascoltando per la prima volta il
suono di una lingua che non era la sua, gridata dagli uomini di terra,
strana e un po’ dura da sentire. Era come se cercasse di capire le parole
senza riuscirci, non riuscendo a separarle una dall’altra in quello strano
fiume di suoni; e ora come avrebbero fatto a farsi capire?
“Padre, che lingua è questa?” chiese girandosi e guardando in alto.
“La lingua d’Olanda Adàn.” rispose la voce paterna, e una mano gli accarezzò
distrattamente i capelli, ma lo sguardo era sempre girato verso l’uomo
biondo.
“E noi come faremo a capirli padre?” chiese ancora.
Questa volta l’uomo lo guardò e sorrise.
“Impareremo Adàn, un poco alla volta, ma per ora andremo a cercare il ghetto
degli ebrei o il quartiere dei mercanti, lì ci saranno sicuramente degli
spagnoli come noi o gente che sa parlare lo spagnolo per commercio, stai
tranquillo.”
E stette tranquillo per un po’, fino a che non fu il momento di scendere e
vide l’uomo biondo avviarsi rapido verso la passerella di legno, aspettando
poi che una cassa venisse trasportata a terra per passare.
“Padre! Va via!” disse tirandolo urgentemente per una manica e indicandogli
il frate.
“Lo so...” sentì la voce dell’uomo esitare un attimo “Lui ha da sbrigare i
suoi affari, non viene con noi.” concluse con una nota strana, roca.
“Ma padre!! Voi non glielo avete nemmeno chiesto!!! Magari lui viene per un
po’ se glielo chiedete!!” gridò il ragazzino attaccandosi alla sua camicia e
tirando.
“Smettila di urlare. Perché dovrei chiedergli una cosa simile? Non
verrebbe...”
Adàn si zittì. Suo padre era adirato, molto, forse non l’aveva visto mai
tanto cupo eppure lui aveva solo detto una cosa... Gli faceva paura. Si girò
di nuovo verso il parapetto, triste, il labbro inferiore iniziò a tremargli.
Dopo un istante, esattamente mentre una lacrima gli scivolava lungo una
guancia, la mano del padre gli accarezzò i capelli e l’uomo si accovacciò
sui talloni facendolo girare verso di sé.
“Adàn, smettila di piangere. Non... non potevo chiedergli di venire con
noi...”
“Perché? Io gli voglio bene, voglio stare anche con lui...” singhiozzò il
figlio.
Alejo deglutì, poi fissò a terra evitando di guardarlo.
“Lui… lui nel ghetto non potrebbe venire, sai? Lui è cristiano...”
Il bambino puntò su di lui i suoi occhi scuri.
“E questa è una cosa che non ci permette di volergli bene?” chiese piano,
tirando su con il naso.
Il padre rialzò il viso e lo fissò, sbigottito come se si fosse appena
svegliato. Scosse leggermente la testa e guardò verso la passerella, il
frate non c’era già più.
Un’espressione allarmata, quasi di panico si dipinse sul volto dell’uomo
anche se il ragazzino non se ne accorse, ma di colpo, incredibilmente, suo
padre fece quello che lui voleva: gli disse di restare lì e si precipitò
verso la passerella, scendendo e facendosi largo tra la gente, correndo.
La testa bionda aveva quasi raggiunto un vicolo laterale quando l’ebreo la
raggiunse, afferrando il frate per un braccio.
Adàn ancora tirava su con il naso ma era stupito, si attaccò al parapetto
cercando di vederli meglio.
Vide suo padre esitare, poi dire qualcosa. L’uomo biondo lo stava a sentire
in silenzio, dritto davanti a lui e con quegli occhi terribili immaginò Adàn;
infine rispose qualcosa e suo padre si adirò; lo vide dai gesti, dal modo in
cui avanzò di un passo verso il frate che si girò per andarsene. Il bambino
sentì di nuovo il pianto aleggiargli in gola. Se ne stava andando, suo padre
aveva ragione, non voleva venire...
Poi suo padre afferrò l’uomo per un braccio facendolo voltare di nuovo e lo
colpì con un pugno allo stomaco.
Adàn sgranò gli occhi e ridacchiò teso, era forte suo padre, il più forte
anche se quel frate chiacchierava bene. Anche qualcuno dei passanti si girò
a guardare la scena mentre il giovane biondo si accasciava in avanti addosso
all’uomo alto e bruno, ma nessuno si fermò. Sembrava stessero litigando per
qualcosa.
Suo padre prese un braccio del frate facendoselo passare intorno alle spalle
e sostenendolo, l’altro lo fissò tenendosi lo stomaco con una mano, poi
cercò di divincolarsi, di allontanarlo, ma l’uomo lo strattonò di nuovo
verso di sé. Si guardarono ancora e a quel punto suo padre alzò per un
attimo il viso al cielo sospirando profondamente, poi si chinò avvicinando
le labbra all’orecchio del frate e sussurrando qualcosa.
Adàn si sporse ancora, divorato dalla curiosità di sapere cosa gli stava
dicendo...
“Stai attento ragazzino, non voglio doverti ripescare se cadi!” disse
qualcuno passando alle sue spalle ma non ci badò.
Il frate si era immobilizzato, guardava fisso in viso suo padre. Adàn pensò
che era proprio bello il frate biondo, come i santi nelle chiese; chissà
cosa gli aveva detto suo padre, a quel frate che sapeva parlare tanto bene
per farlo restare così.
“Madre, fallo venire con noi, voglio che viene...” sussurrò dando un calcio
distratto al parapetto.
Alejo si avviò di nuovo verso la nave e il giovane biondo lo seguì docile,
appoggiandosi a lui.
Finalmente glielo aveva detto.
Poi ad un tratto, mentre camminavano, una mano bianca salì verso il suo viso
e mentre lui si bloccava gli scansò di lato i capelli sulla fronte.
L’uomo guardò il frate che sorrideva, in modo impercettibile ma sorrideva
quasi con un’aria soddisfatta.
“Volete che mi tagli i capelli?” chiese attonito.
“Assolutamente no, Alejo di La Guardia” rispose guardando a terra, mentre il
sorriso gli si allargava e riprendeva per primo ad avanzare.
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fine -
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