L'inquisitore
capitolo 5
di
Kia
Aveva fallito. Definitivamente fallito.
Il suo peccato lo aveva infine sconfitto, piegato, travolto completamente, e
lui ci si era gettato dentro non solo senza remore ma con un impeto
violento. Le sue braccia avevano stretto quell’uomo, le sue dita avevano
spalancato la stoffa cercando la sua pelle su di lui, la sua bocca si era
aperta per permettergli di entrarvi, di possederlo, non era stato lui a
fermarsi, non lui a fuggire: era stato l’ebreo.
E tuttavia la sua mente era confusa, incerta come non mai. Il volere di Dio
che per poco gli era sembrato tanto chiaro, tanto netto, ora era di nuovo
indecifrabile. Li aveva fatti fuggire ma ormai lui non era in grado di
convertire quell’uomo, e quindi non restava che la seconda alternativa,
quella che fin dall’inizio aveva saputo esserci nel caso di un suo
fallimento ma che aveva preferito ignorare: ucciderlo. Compiere di sua mano
il lavoro che l’Inquisizione non aveva potuto portare a termine.
Ma... se Dio sapeva che avrebbe fallito, se sapeva che lui, essere indegno,
era ormai schiavo dei suoi sensi, perché li aveva fatti fuggire? Perché di
quello era certo, che la mano del Signore fosse presente nella loro fuga in
modo evidente era fuor di dubbio…
Perché ucciderlo ora se prima lo aveva salvato?
La risposta come sempre era in lui, chiara e semplice: nonostante la sua
incapacità di convertirlo quell’uomo era stato comunque messo alla prova, e
aveva rifiutato Dio per la seconda volta, quindi ora la sua vita andava
recisa senza remore.
Sapeva che andava fatto, eppure un dubbio, un unico, impalpabile dubbio, gli
attraversò per la prima volta l’anima davanti a un dovere: il dolore, le
parole vergognose che aveva gridato quella mattina, in quel letto, al suono
delle campane. Aveva paura di quel dolore, anche se cercava di dimenticare
ciò che aveva provato al pensiero della morte di quell’uomo, esso era sempre
presente in una parte del suo animo, anche se non sapeva cos’era e quell’impeto
folle lo spaventava.
Il suo cuore era nero di peccato e di vergogna, e questi si allargavano
sempre più investendo ogni sua dote, ogni sua purezza, presto avrebbe
dubitato di tutto preso da quella follia infernale! Così doveva sbrigarsi ad
agire prima di essere completamente corrotto.
Questa era la sfera razionale di Francisco d’Avalos, quella fredda,
implacabile, la superficie liscia come l’olio, mentre al di sotto di essa,
nel corso delle ore che lo portarono, avvolto nel sonno, dalla notte
all’alba, le emozioni più varie e furiose continuavano a ribollire.
Rabbia, dolore, vergogna, odio, disgusto: tutto si accavallava confuso, in
un tramutarsi rapido da un aspetto all’altro. Quell’uomo aveva preso il suo
desiderio, l’abbandono più assoluto che avesse mai vissuto nella sua vita, e
poi lo aveva gettato via. Lo aveva respinto.
LUI si era ritratto da quella vergogna, lasciandolo lì, unico responsabile,
il solo ad essere davvero preda di quel morbo incontrollabile, perché lui
sapeva controllarsi, lui era un padre, lui doveva badare a suo figlio: non
erano più in quella cella, ora tutto era diverso, ora che non era a un passo
dalla morte certe lordure non facevano più per lui, ora sapeva bene
staccarsi da quella disgustosa perversione, del resto ora la sua vita era
altrove, una vita nuova, con suo figlio.
Dannato bastardo.
Gli aveva rovinato l’esistenza e ora pretendeva di ritrarsi schifato da ciò
che lo aveva reso: l’ebreo si sarebbe redento, con l’amore per il suo
bambino, mentre a lui non restava niente; lui era dannato per sempre perché
era caduto in quell’oblio non sotto la disperazione della morte ma nel pieno
della vita, nel pieno del suo avanzare nei doni che il Signore gli aveva
dato, perché lui non riusciva a ritrarsi: lui non aveva la volontà per
smettere di desiderare quel piacere disgustoso. Dannato ebreo. Era sveglio
da un pezzo anche se le sue palpebre erano ancora chiuse. Sentiva un calore
su una mano, probabilmente, pensò, un raggio di sole dal tocco impalpabile e
sempre più bollente che lo accarezzava. Se c’era un raggio di sole tanto
diretto voleva dire che la botola in cima alle scalette che portavano nella
stiva doveva essere aperta. In effetti l’aria che le sue narici inspiravano
quiete e regolari, come se fosse ancora placidamente addormentato, era
fresca, priva di quel sentore oppressivo di chiuso e viziato che c’era la
notte precedente. Probabilmente quell’uomo doveva essere salito sul ponte.
Riaprì gli occhi di scatto già irato per quell’impossibilità di
controllarlo, per quell’agire rilassato da parte dell’ebreo che ormai si
sentiva libero, tranquillo, e poteva fregarsene della sua presenza e di
quello che era successo quella notte. Probabilmente se ne era liberato con
una scrollata di spalle e un sorriso di quel suo ragazzino.
Si bloccò sgranando ancora di più gli occhi e Adàn schizzò indietro con un
singhiozzo spaventato, inciampando nei suoi piedi e finendo a sedere per
terra, in una miniatura del gesto di suo padre quella notte.
Francisco rimase immobile con gli occhi sbarrati, aperti di colpo, a fissare
quella piccola figura a due passi di distanza che lo guardava terrorizzata.
Dopo un attimo capì che il bambino si era avvicinato a lui pensando che
dormisse profondamente e si era messo a fissarlo, quando aveva aperto gli
occhi si era ritrovato quel visetto aggrottato a due palmi dal suo. Non si
aspettava che lui aprisse gli occhi di scatto a quel modo e si era
spaventato finendo a gambe all’aria, strano che il suo premuroso padre non
fosse già accorso a raccattarlo, ma si rese conto che la botola era aperta
davvero e che l’ebreo non era nella stiva.
Fissò il bambino davanti a lui. Aveva chiuso la bocca, la teneva serrata,
con le labbra tremolanti, probabilmente cercava di impedirsi di piangere per
il dolore della caduta, infatti in uno degli occhioni scuri tremolava una
lacrima.
Non voleva che piangesse, quindi era il caso di distrarlo perché se
continuava a pensare a quanto gli dolesse il piccolo fondoschiena avrebbe
iniziato a singhiozzare nel giro di qualche attimo.
“Dov’è tuo padre?” chiese severo sollevandosi meglio a sedere e fissandolo
con le sopracciglia aggrottate.
Gli occhi castani si spalancarono e le labbra si schiusero, ora era molto
impaurito e il pianto scomparve rapido dal suo visetto affilato.
“ È... è... s... sul... p...ponte... Signore.” balbettò con la sua voce
sottile e infantile.
Francisco sbuffò appena e guardò per un attimo verso le scalette.
“E come mai non sei con lui?” chiese distrattamente mentre in realtà
rimuginava se fosse il caso di lasciare circolare troppo quell’uomo tra
l’equipaggio, se lo avessero preso in simpatia quando lo avesse ucciso
avrebbero potuto mostrarglisi ostili.
“C’ero... io... Signore...” il bambino deglutì aggrottando la fronte e
cercando di ritornare calmo. Si rialzò in piedi con una piccola smorfia di
dolore e passandosi una mano sul didietro.
Francisco, che aveva riportato vagamente l’attenzione su di lui quando aveva
ricominciato a parlare, alzò un sopracciglio sorpreso. Era un ragazzino
notevole, molto intelligente e deciso anche se forse timido.
“Anche io ero con lui, Signore, ma poi sono tornato qui perché il sole mi
brucia la pelle.”
Riuscì a scandirlo tutto rapidamente, senza riprendere fiato, concentrato.
Francisco ebbe voglia di ridere, era divertente vederlo balbettare due
parole tutto serio; ed era incredibile questo suo improvviso umore vagamente
rallegrato per così poco.
Esaminò il visetto e le piccole mani che sbucavano dalle maniche, già quasi
corte per quel corpo in rapida crescita. La pelle era più chiara di quella
del padre in effetti, e sulle guance si era arrossata.
“Hai un aspetto diverso da quello di tuo padre Adàn, assomigli a tua madre?”
Il ragazzino ebbe un piccolo sussulto sorpreso a sentirsi chiamare per nome
e lo guardò tra lo sconvolto e il confuso, probabilmente l’ultima cosa che
si aspettava era che lui ricordasse ancora il suo nome.
Francisco lo vide arrivare ad arrossire ancora impercettibilmente sotto il
rossore del sole, e se ne compiacque. Quel bambino doveva essere molto
incuriosito da lui, altrimenti non si sarebbe messo a sbirciarlo, ed era
anche molto intimorito, ma probabilmente questo timore si velava di una
qualche forma di ammirazione: dopotutto era colui che gli aveva imprigionato
il padre, il suo modello, rivelandosi più abile e riducendolo all’impotenza,
e poi lo aveva liberato e li aveva fatti fuggire, anche se nessuno glielo
aveva detto esplicitamente forse ci era arrivato da solo. Quelli che lo
avevano prelevato per portarlo alla carrozza gli avevano detto che era per
ordine dell’inquisitore Francisco d’Avalos: sì, probabilmente una forma di
rispetto ammirato, anche se diffidente, si doveva essere sviluppata in
quella testolina bruna.
Se ne compiacque: anche se si trattava solo di un bambino; e c’era una
strana ironia in quell’ammirazione per l’uomo che era stato sul punto di
fargli uccidere il padre e che lo aveva frustato fino allo sfinimento, ma
questo probabilmente il bambino non lo sapeva, come non aveva potuto non
imputare a un atto di bontà nei loro riguardi la realtà che li avesse fatti
fuggire.
“Io... s..sì, Signore, mio padre dice spesso che assomiglio a lei.” rispose
il ragazzino, poi abbassò gli occhi fissandosi le scarpe. “Ma io non l’ho
mai vista mia madre... ho visto il quadro che c’è a casa della nonna, di
quando era bambina; in effetti aveva i capelli neri come me ma lunghi e con
un po’ di riccioli... Ha un’aria simpatica nel quadro...” concluse
pensieroso. Rialzò gli occhi e arrossì ancora, si era lasciato andare e
aveva dato voce ai suoi pensieri, ma ora si rendeva di nuovo conto della
presenza di quell’uomo terribile davanti a lui che lo guardava con quegli
occhi.
Francisco sorrise, non molto ma sorrise guardando quel piccolo ometto che
rifletteva serio, si diede dello sciocco e provò un po’ di vergogna per
l’odio con cui gli si era rivolto nei suoi pensieri quella notte: era solo
un bambino. Non erano sue le colpe del padre, anche se con la sua presenza
stava diventando un ostacolo ai suoi progetti. Preferiva non uccidere l’uomo
in sua presenza, e poi dopo cos’avrebbe fatto del bambino? Quale reazione
avrebbe avuto Adàn a un simile evento? Arrivati in Olanda avrebbe potuto
magari sistemarlo lì presso un convento, ma il ragazzino non conosceva
nemmeno la lingua di quel luogo e lui stesso non poteva più presentarsi come
un uomo di chiesa...
Questi pensieri si interruppero, il bambino che lo guardava attento
all’inverosimile gli stava timidamente ricambiando il sorriso. Gli occhi
grandi e scuri lo guardavano da sotto le lunghe ciglia nere, incerti, non
sapeva bene cosa fare...
Francisco si sentì strano. Era tanto, tantissimo che qualcuno non gli
rivolgeva un sorriso simile; si chiese se qualcuno gliene avesse mai rivolto
uno. Era un sorriso istintivo, timido e candido, riferito esclusivamente a
lui come... come essere. Alla sensazione che con la sua presenza aveva
provocato in quel bambino in quel momento. Era come se gli sussurrasse:
mi piaci, sai? Ma non so bene chi sei o
cosa fai, e non so se io ti piaccio e se mi posso fidare...
Possibile che si fosse gia dimenticato di tutta la paura che gli aveva fatto
la prima volta che si erano visti? Solo per un suo leggero sorriso? Che
esseri strani che erano i bambini, che esseri incredibili.
Allargò ancora di più il suo sorriso senza accorgersene e il bambino arrivò
a ridacchiare allegro fissandolo negli occhi, come se stessero condividendo
un qualche gioco.
“Con cosa ti piace giocare Adàn?” chiese Francisco senza più pensare ad
altro.
“Oh... mi... mi piace molto catturare i grilli nel giardino di mia nonna.”
disse il piccolo dondolandosi irrequietamente da un piede all’altro e
grattandosi una gamba di sfuggita, ormai tranquillamente preso dalla
conversazione.
“Ah sì? Anche a me piaceva molto catturare grilli da bambino, ero sempre in
giro per il giardino del convento, ma apprezzavo molto anche gli scarabei,
ne avevo una collezione.”
Il bambino sgranò gli occhi allibito.
“Voi avevate una collezione di scarabei?! Ma è fantastico! E dove l’avete
ora?”
Si avvicinò di più divorandolo con gli occhi scuri.
Francisco scrollò le spalle con un’espressione un po’ dispiaciuta, chi lo
avesse visto avrebbe stentato a riconoscerlo, sembrava un ragazzino.
“Non l’ho più, purtroppo quando ho lasciato il convento non ho potuto
portarla via con me.”
“Oh... che peccato...” il ragazzino sospirò deluso, fissandosi di nuovo i
piedi e annuendo con la testa con un’aria di grave comprensione; poi rialzò
il viso con gli occhi castani che brillavano di nuovo divertiti.
“Ma se voi catturavate sempre i grilli nel convento, i monaci vi dovevano
sgridare spesso... a voi che ora siete inquisitore...” disse con un tono
furbo, interessato, con l’aria di uno che la sappia lunga.
Francisco rimase interdetto per un attimo, poi scoppiò a ridere con tutto se
stesso, senza riuscire a fermarsi, fino ad avere le lacrime agli occhi.
“Sì... Sì è vero!! Hai ragione Adàn, mi sgridavano di continuo ed io ero una
vera peste. Per un certo periodo ho odiato stare in quel convento.”
Non diceva una cosa simile da anni, da quando era un ragazzino. Era una
cattiveria e non andava detta, anzi, doveva lodare quel convento in cui era
stato allevato nella fede di Dio, ma nonostante tutto la verità era quella
che aveva appena detto e sentendo le risate del ragazzino tra le sue non
provò il minimo imbarazzo, gli sembrò di aver detto una cosa assolutamente
giusta e naturale.
Continuarono a ridere per un po’, poi Adàn gli si accostò e gli si mise
seduto accanto con la piccola schiena appoggiata alla parete di legno, come
lui.
Francisco lo guardò, leggermente teso a sentire quella fragile presenza così
vicina, in effetti era così piccolo... ma poi lo vide adocchiarlo tranquillo
e si rilassò.
“Voi avete gli occhi come gli angeli dipinti nella chiesa, solo più chiari.”
disse Adàn fissandolo con la testolina bruna reclinata appena da un lato.
“È perché la famiglia di mia madre appartiene ai Paesi Bassi anche se io
sono cresciuto in Spagna, lei ha gli occhi verdi e i capelli biondi come i
miei.” Lo disse con semplicità, senza problemi, godendosi il parlare con
quel ragazzino, così rilassante e sereno.
Adàn annuì interessato.
“Deve essere molto bella... anche voi siete molto bello.”
Un velo di calore gli scivolò dentro, per un attimo attraverso il bambino
aveva visto quell’uomo, quegli occhi blu quando gli aveva detto la stessa
cosa; ma in quel momento non voleva pensarci e ricacciò indietro quell’idea.
“Voi siete un frate anche se ora siete vestito così, mi ricordo quando vi ho
visto la prima volta con quel vestito bianco. La nonna dice sempre che i
frati e i preti sono gli inviati di Dio e Cristo per noi, è vero?” proseguì
Adàn.
Francisco rimase un attimo in silenzio, sentendo fortemente in quella
domanda il peso del suo attuale distacco da Dio, ma poi rispose.
“Sì, è vero Adàn, e tu cosa ne sai di Cristo?”
Il piccolo rifletté per un po’, poi si stropicciò un occhio con le dita.
“Io so che lui è il figlio di Dio e che è buono... ma non so se io gli
piaccio...”
Francisco lo fissò attento, togliendogli gentilmente la mano dall’occhio
perché non lo irritasse con lo sfregare e con le dita sporche.
“Perché non dovresti piacergli Adàn? Lui ti ama e vuole che tu lo ami, basta
che tu sia buono, e poi anche tua madre ti guarda dal cielo e ti protegge.”
disse con una chiara convinzione che non provava da molto tempo.
Il bambino lo guardò serio, poi sorrise con la sua aria dolce e allegra.
“È quello che dice anche mia nonna... Sapete, voi dopotutto siete buono, mi
piace parlare con voi, spero che resterete amico di mio padre.”
Francisco stava per dire qualcosa, leggermente imbarazzato da quel trasporto
nei suoi confronti, ma in quel momento dei passi risuonarono sulle scalette
e una figura alta scese proiettando la sua ombra nel fascio del sole. Alejo
di La Guardia.
Arrivò in fondo con un’espressione gia adirata, scura, cercandoli con lo
sguardo. Francisco si rese conto che doveva aver sentito le loro ultime
frasi, di colpo fu come se quella strana luce leggera e luminosa legata al
bambino si spegnesse e ritornò ad essere quello di sempre, con il cervello
proteso a pieno nei suoi pensieri aggrovigliati.
“Adàn, vieni qui.” ingiunse duro, severo, fissando invece lui negli occhi.
Aveva una camicia di tela addosso, fuori dai pantaloni. Gli stava
leggermente ampia, qualcuno dell’equipaggio doveva avergliela data.
Il bambino si alzò rapido e andò da lui senza una parola, doveva aver
riconosciuto la nota che non ammetteva repliche nella voce del padre, ma
quando gli fu accanto si girò e guardò il frate con i suoi grandi occhi
castani. Aveva un’aria rammaricata e un po’ mogia.
“Siete pregato di non importunare mio figlio con le vostre prediche
Signore.” disse dura la voce dell’uomo ignorando l’espressione del ragazzino
e continuando invece a fissare lui.
Francisco si sentì ribollire, aprì la bocca per protestare, già con le
labbra piene di parole sferzanti, ma dei passi risuonarono e un ragazzo
magro e lentigginoso, con i capelli arruffati e stopposi di un castano
schiarito e le spalle scure spellate dal sole, scese i gradini di legno. Era
il mozzo, aveva in mano un vassoio con delle ciotole di legno: il loro
pranzo. Quando si rese conto dell’aria tesa nella stiva si bloccò con
un’espressione incuriosita, ma poi finì di scendere e lasciò il vassoio
sull’ultimo gradino andandosene.
Alejo di La Guardia si avvicinò alle ciotole prendendone due e facendo un
cenno al figlio che lo seguì nel loro angolo, sedendosi e iniziando a
mangiare il pane e la carne affumicata.
Francisco rimase in silenzio, fissandoli teso, furioso. Serrò la mascella
divorandoli con il suo sguardo terribile ma l’uomo gli dava le spalle e il
bambino teneva gli occhi a terra.
Infine il giovane frate distolse gli occhi di ghiaccio.
Il mare... quella distesa di un blu profondo, immenso, denso.
Le increspature leggere sulla superficie sembravano brividi sul dorso di un
essere enorme e vivo, lontano una striscia quasi violetta, sbiadita e fina,
sembrava emergere a fatica da quella massa liquida eppure compatta. La
costa.
Francisco non aveva mai visto il mare aperto, non era mai stato su una barca
prima di allora e a fatica si era abituato al continuo e incerto ondeggiare
sotto di lui, perenne, più o meno agitato ma sempre presente, come a
ricordare quella presenza grandiosa da cui erano circondati, rispetto a cui
non erano nulla.
Il vento ora gli accarezzava la pelle, fresco e pieno di salsedine, alle sue
spalle i rumori dell’equipaggio, le grida dei marinai e il suono delle corde
tese, delle vele issate o fermate che lo accompagnava come sottofondo da
quando erano salpati.
Altri tre giorni erano trascorsi.
L’ebreo era sempre chiuso, silenzioso, ossessivamente attento a suo figlio
ed al tenerlo lontano da lui, quasi lui fosse uno spirito maligno; ma del
resto si sforzava evidentemente di ignorarlo, di non rivolgere mai verso di
lui quei suoi occhi blu.
Il bambino avvertiva quella tensione, era silenzioso, obbediva al padre
senza fiatare, ma ogni tanto lo sbirciava ancora, sorridendogli
impercettibilmente quando Alejo non lo vedeva. Era un ragazzino molto dolce.
Erano stati giorni pensosi per lui, passati a scrutare quell’uomo ostile con
cui divideva la stiva, intento a rimestare emozioni, decisioni dentro di sé.
Aveva pensato a quel bambino, alla strana serenità che aveva provato nel
parlargli, alla fresca chiarezza che sembrava comunicare. Era una sensazione
incredibile, ma suo padre ora badava bene dal farglielo avvicinare, come se
lui volesse manipolargli il figlio.
Quell’uomo, Alejo, lo doveva uccidere. Aveva deciso che questo era il volere
di Dio e ciò che aveva provato quella mattina al suono delle campane... era
stata follia, non doveva nemmeno prenderla in considerazione. Alejo. Un’ira
furiosa gli esplodeva dentro ogni volta che formulava quel nome. Quel nome
lo aveva dannato, pronunciando quel nome si era lasciato andare
all’umiliazione più grande della sua vita. Quell’uomo lo aveva respinto
abbandonando in un gesto il peccato morboso che aveva istillato in lui e da
cui lui invece non trovava uscita, per quell’uomo lui era stato un
allucinato delirio in prossimità della morte, ora che era tornato, come
credeva, alla vita, non aveva più spazio per quella follia.
Lo odiava, sempre più ogni volta che rivedeva l’istante in cui si era
staccato da lui, il suo sguardo quasi disgustato: lo avrebbe ucciso!! E non
solo perché quello era il volere di Dio.
Tremò, e non per il vento, ma per quelle parole terribili appena pronunciate
nella sua mente, poi un tocco lieve gli sfiorò un fianco, facendolo girare
di scatto. Alla sua altezza non c’era nessuno, fu costretto ad abbassare lo
sguardo: Adàn. Il piccolo lo guardava con i suoi begli occhi castani
sorridendo al suo fianco.
Francisco assunse un’aria severa, dopotutto non voleva più avere a che fare
con quel ragazzino visto che questo dava spazio alla spropositata
apprensione del suo padre ebreo e visto che presto glielo avrebbe ucciso,
quel padre.
Il bambino però non se ne accorse e portò un ditino alle labbra facendogli
cenno di tacere, poi allungò l’altra mano verso di lui e la schiuse
lentamente.
Francisco avvicinò la testa, malgrado tutto incuriosito e si trovò davanti a
una cavalletta dall’aria tramortita.
Adàn richiuse la mano rapido e la ritirò ridacchiando.
“Dove hai trovato una cavalletta? Siamo in mare...” mormorò Francisco
stupito, sorridendo senza accorgersene nemmeno.
“Era intrappolata nella stiva. L’ho trovata due giorni fa e volevo
mostrarvela, ma ora devo tornare di sotto prima che mio padre si svegli, ora
sta dormendo...” sussurrò il piccolo come se qualcuno potesse stare
origliando, e con un ultimo sorriso corse di nuovo verso la botola, piccolo
e magro, tutto gambe.
Francisco decise che, all’arrivo, fino a che non gli avesse trovato una
buona sistemazione lo avrebbe tenuto con sé quel bambino.
Quel bambino...
Suo padre lo sentì tornare, scendere lentamente le scalette che cigolarono
comunque, gli sembrava quasi di poterlo vedere, immaginandoselo mentre con
un’espressione attenta e gli occhi fissi su di lui tornava dentro. Era stato
dal frate.
Gli sembrava quasi un maleficio: perché era andato da lui? Adàn di colpo
sembrava attratto da quell’uomo di ghiaccio, al punto di disobbedire
implicitamente a lui. Perché?
Continuò a fingere di dormire e il ragazzino tornò a sedere sull’ultimo
gradino, giocherellando.
Quel frate, possibile che nel giro di pochi attimi avesse irretito in quel
modo suo figlio che invece prima mostrava di temerlo? Ma era possibile,
tutto era possibile per quell’uomo terribile e manipolatore, con quei suoi
impressionanti occhi azzurri, gelidi, capaci di scavare nell’anima.
Quelle iridi chiare, demoniache, angeliche tra le sue braccia. Represse un
singhiozzo rivivendo quegli attimi che lo tormentavano. Desiderò che suo
figlio uscisse, che ci fosse un angolo in cui potesse rifugiarsi, solo, per
poter cercare di appagarsi da sé; ma era uno squallido palliativo, e il suo
tormento restava: come aveva potuto lasciare quella visione sola sul
pavimento, tornandosene impassibile nel suo angolo buio? Come?
Ma era stato giusto si ripeteva, lo aveva fatto per il bene di Adàn che non
poteva certo dover sopportare anche quello, che ne sarebbe stato magari...
contagiato... rovinato... Lo sapeva: se fosse rimasto non sarebbe mai più
stato capace di allontanarsene, e così...
Ora però aveva dentro una rabbia infinita, e poi il frate non aveva detto
una sola parola mentre lui si allontanava. Si era sentito come se si stesse
sbattendo le porte del paradiso alle spalle, e al paradiso cosa importa se
un misero uomo decide di andarsene? La sua grazia, la sua bellezza non ne
hanno nessun rammarico, qualunque altra creatura ne sarà attratta e prenderà
il posto di quell’essere che l’ha stupidamente abbandonato. Non riusciva a
farsi una ragione di quella decisione che aveva preso.
Quando lo aveva sentito pronunciare il suo nome aveva capito cosa provava:
amore. Quasi quanto prima, quando lo
aveva sentito pronunciare frasi e frasi orribili su sua moglie, lo aveva
odiato.
Lo odiava, perché quella era la vera essenza di quel giovane biondo: quella
cinica crudeltà, mostruosa perfidia; ma allora chi era la creatura da sogno
che aveva stretto tra le braccia? Quella che amava?
Alejo, Alejo, Alejo: lo aveva ripetuto all’infinito e lui avrebbe voluto che
lo gridasse, che lo ripetesse ancora, avrebbe voluto mangiarlo, possederlo,
amarlo, ma non lo aveva fatto. Aveva fatto l’opposto, lo aveva lasciato lì
sul pavimento dove lo aveva schiaffeggiato, con i vestiti scomposti, gli
occhi chiari follemente sbarrati: si detestava. Sapeva che suo figlio era la
cosa più importante, eppure ora il bambino sembrava voler stare con il
frate!
Un sogno ebbro, folle, gli attraversò i sensi. Poterli avere tutti e due,
suo figlio e il giovane sogno che aveva avuto quella notte, quello simile a
un angelo, quello che era perfetto anche per Adàn e allora lui non l’avrebbe
toccato, si sarebbe limitato a guardarli, a vederli ridere, ad amarli e
proteggerli, senza osare più toccarlo sporcando di carnalità quel sogno e
spaventando e rovinando il suo bambino. Ma non poteva riuscirci, non poteva
riuscire a stare lontano da quella visione, lo desiderava con una forza
brutale, come non aveva mai nemmeno desiderato la sua amata Isabella, che
pure aveva adorato, come non aveva mai desiderato nessuno, non poteva
trattenersi: ma forse non era necessario, lui non era un bigotto, la
carnalità era un espressione dell’amore e non andava soffocata, anche se
quello era un amore malato... Suo figlio non avrebbe saputo, sarebbero stati
attenti, e poi Adàn in breve avrebbe adorato anche lui Francisco.
Dei passi risuonarono sulle scale, ne’ affrettati ne’ lenti. Era lui.
Alejo fu quasi sul punto di alzarsi, afferrarlo, baciarlo: solo un’ultima
volta... e se fosse stato invece quell’uomo gelido e crudele, non l’angelo,
a fissarlo poi? Si rannicchiò su se stesso, i muscoli tesi allo spasmo,
pregando che quel viaggio finisse presto, che scendesse rapida la notte
portando con se un sonno senza sogni.
E la notte infine scese. Ma il sonno no.
Disteso accanto a suo figlio era immobile, la luce fioca della lanterna
lievemente ondeggiante si irradiava per la stiva in una penombra rossastra,
ma lui non la vedeva, teneva gli occhi serrati.
Nessun rumore. Nessun rumore veniva da quell’angolo.
Come al solito il frate aveva mangiato per suo conto, poi si era disteso
dandogli le spalle, la nuca delicata con il suo collo bianco e i capelli
biondi, la chierica coperta dal piccolo copricapo che teneva sempre. Non
poteva guardare quella nuca, così si distendeva a sua volta vicino ad Adàn
che già dormiva e fingeva di dormire anche lui.
Quanto era bello; anche demoniaco, anche crudele, era comunque bello. Non
gli importava niente, lo voleva, che fosse meraviglioso o nero come il
fiele!! Se solo avesse sentito Francisco sollevarsi da terra, se avesse
sentito i suoi passi venirgli vicino, se avesse anche solo sentito un suo
sospiro da quell’angolo, allora si sarebbe alzato e sarebbe andato da lui,
che il mondo finisse in quell’istante o no.
Un sussurro lieve, quasi inesistente risuonò da quell’angolo.
Immerso nelle grida disperate della sua mente Alejo lo recepì
distrattamente, ma subito portò la sua attenzione su di esso, dilatando la
sua percezione verso di esso: poteva aver sentito bene?
Passarono degli attimi in cui l’uomo si sentì soffocare nel vuoto del
silenzio cigolante e del buio dietro i suoi occhi chiusi, quel velo di
rumore sembrava non essere mai esistito, ed invece di colpo lo sentì di
nuovo, più netto di prima, da quell’angolo: un sospiro.
Deglutì. Il battito del suo cuore gli rimbombava nelle orecchie. Aveva
sospirato.
Sospirato... Il suono dell’aria che entrava e usciva rapida da quelle belle
narici, da quella bella bocca era un sospiro soffocato, perché sospirava?
Era... come se avesse ascoltato i suoi pensieri, che cosa assurda. No, non
poteva alzarsi e infrangere davvero le sue stesse decisioni, per non parlare
di quegli occhi, come li avrebbe affrontati dopo quello che gli aveva detto
quella notte? Non poteva...
Ma erano scuse. Il desiderio si era impossessato di lui come una droga.
Dietro le palpebre serrate scivolavano i ricordi di quel corpo chiaro, di
quelle labbra, del suo nome sussurrato da esse.
Un rumore più netto si levò dall’angolo opposto, un tramestio rapido, come
un frugare dentro qualcosa, e poi il cigolio del legno sotto il peso della
figura che si era lentamente alzata in piedi.
Senza volerlo schiuse per un istante gli occhi, il tempo di vedere solo la
sua sagoma in piedi nella penombra, poi li richiuse immediatamente. Rimase
scioccato. Si sentì morire.
Francisco si era alzato! Perché? Non poteva essere vero, non poteva!
Sembrava che stesse obbedendo ai suoi desideri. Il suo angelo, possibile?!
Allora forse era davvero un angelo, e veniva da lui perché aveva sentito la
sua disperazione.
No, non era possibile. Si costrinse a restare immobile e a soffocare quell’idea,
era pazzo, probabilmente quell’uomo di ghiaccio doveva solo urinare,
nient’altro; ma perché indugiava dritto in piedi? Cosa guardava? Che...
stesse guardando lui?!
Subito un passo leggero, lento, risuonò nelle sue orecchie, seguito da un
altro, e poi un altro; diretti verso di lui.
Sta venendo da me.
Rimase immobile, incapace di articolare un pensiero. Ormai la gioia lo
sommerse al punto di stordirlo: stava venendo da lui, Francisco! Il suo
Francisco, il giovane biondo e incomprensibile ma angelico e fanciullesco
esisteva allora! Stava venendo da lui! Le sue labbra si schiusero appena,
tremanti mentre teneva ancora gli occhi chiusi, quasi temendo che quel sogno
svanisse.
“Francisco... vi amo...” formularono le sue labbra senza emettere un suono,
appena prima che i passi si fermassero accanto a lui.
Non lo vedeva ma era come se lo vedesse: alto, dritto, teso, in piedi
accanto a lui con la camicia stropicciata, i piedi nudi, i capelli
lievemente arruffati dallo stare disteso anche se con quel piccolo copricapo
immancabile sopra; i suoi occhi chiari smarriti, titubanti, adirati per
quello che stava facendo e che trovava vergognoso, ma non poteva non
farlo...
Alejo sentì il cuore mancargli un battito. Avrebbero fatto l’amore. Quello
che sarebbe venuto dopo non importava niente, niente.
Di nuovo un sospiro gli giunse alle orecchie dall’alto, un sospiro secco,
tormentato: era tesissimo il suo giovane angelo, ma non lo avrebbe fatto
arrovellare ancora, basta con le finzioni, basta. Lo desiderava più della
sua vita e non aveva che da dirglielo, ora.
Si mosse sollevandosi a sedere e voltando il viso verso di lui prima ancora
di aprire gli occhi, nell’istante in cui le sue orecchie avvertirono un
lieve spostamento d’aria su di lui, come qualcosa che si fosse mosso di
scatto, ma non poteva badarci, ormai era già seduto e stava fissando
Francisco, sulle labbra dischiuse quelle parole che gli aveva detto senza
voce poco prima.
“Vi amo Francisco.” le pronunciò, in un sussurro chiaro e quieto. Poi sbarrò
gli occhi raggelandosi, fissando ciò che aveva di fronte.
L’inquisitore. I suoi occhi gelidi anche se tormentati, quasi folli, le sue
labbra distorte in una smorfia d’ira raggelata, il suo braccio alzato,
pronto a calare, con un pugnale saldamente tra le dita.
Alejo non capì cosa vedeva, intanto su quel crudele volto di marmo si
infranse come un’onda lo stupore, cancellando quello che c’era prima e
lasciando uno sconcerto assoluto. Il braccio sollevato rimase così,
dimenticato a mezz’aria mentre negli occhi chiari e spalancati si leggeva
solo confusione.
Poi Alejo tornò in sé e capì. Capì cosa era davvero venuto a fare quel
giovane demonio presso di lui credendo che dormisse. E l’ira lo invase.
Lui non era un frate, non era un inquisitore, ed era stato addestrato alle
armi come aspetto tra i più fondamentali nella sua educazione. Schizzò
rapido in piedi, senza emettere nemmeno un suono se non lo spostamento
d’aria, lasciando tranquillo nel sonno suo figlio, e afferrò quella mano
sottile storcendola facilmente e afferrando il coltello prima che cadesse.
Il frate emise un gemito impaurito, più per il veder sorgere di botto quella
figura davanti a sé che per il dolore alla mano, ma già le dita forti
dell’ebreo gli serravano la bocca con violenza e il braccio che teneva il
pugnale gli passava intorno alla vita serrandolo nella stretta tra quelle
spalle ampie.
Alejo fissò rabbioso quegli occhi spalancati.
“Dannato cane del Papa, volevi uccidermi nel sonno? Figlio di cani, ora
basta, ne ho abbastanza dei tuoi giochi crudeli, del tuo veleno. Per te la
mia vita non conta nulla, sei sempre pronto a massacrarmi, tanto sono solo
un ebreo... Bene ora vedrai!” sibilò sputandogli in faccia il suo odio.
L’ira dentro di lui era immensa, feroce. Era stato un’idiota. Quale follia
aveva pronunciato? Amore? No, assurdo, voleva veder soffrire, supplicare e
contorcersi nell’agonia questo fottuto vigliacco! Non lì però…
Senza dargli modo di riprendersi dalla sorpresa e dal terrore si sistemò il
pugnale in vita, infilandolo nella corda che gli avevano dato per tenere
meglio i pantaloni, poi fece girare il frate e gli torse un braccio dietro
la schiena, costringendolo a stare leggermente piegato in avanti, incapace
di muoversi per il dolore. Gli afferrò una delle maniche della camicia,
bianca e di ottimo tessuto, la prese e tirò. Un rumore di stoffa strappata,
gliela sfilò rabbiosamente dal braccio.
“Cosa fate? Siete impazzito, lasciatemi!!!” gracchiò stridulo l’inquisitore,
ma con un sogghigno Alejo gli lasciò un istante il braccio e gli passò il
pezzo di stoffa sulla bocca, infilandolo tra le sue labbra e
stringendoglielo dietro la testa fino a fargli male. Il frate emise un
gemito soffocato, terrorizzato, e cercò di arrivare a toglierselo con le
mani, ma questa volta lui gli prese entrambe le braccia torcendole
all’indietro, se solo avesse provato a muoversi gli avrebbe slogato le
spalle senza pensarci due volte.
“Andiamo santo padre, voglio fare due chiacchiere in privato con voi...”
sibilò accostandosi al suo orecchio, e lo trascinò con sé, spingendolo verso
il fondo della stiva, la zona più buia tra le casse. Là c’era un’altra
scaletta, che scendeva invece di salire. Sapeva che doveva esserci, sotto i
loro piedi doveva riposare il vero e proprio carico di merci, perché quello
che vedeva non poteva essere che un quarto.
“Scendete.” ordinò, e quando il giovane inquisitore si mostrò riluttante lo
spinse, facendolo quasi cadere e storcendogli sempre più le braccia. Era
buio, freddo, umido. C’era un odore di chiuso e muffa.
Dopo qualche attimo si abituò all’oscurità e si rese conto che non era
totale, la luce della lanterna nel loro angolo di stiva filtrava non solo
dalle scale, ma anche dalle fessure in alto, che corrispondevano a quelle
sul loro pavimento. Scorse le sagome scure delle casse che iniziavano quasi
subito come un muro invalicabile, c’era uno spazio libero solo nella zona
intorno ai gradini di legno, poi tutto era occupato da sacchi e merci. Lo
spinse avanti ancora un po’, allontanandosi il più possibile dall’apertura,
poi lo fece inginocchiare per terra, con la faccia china verso il basso,
premendo sulle sue braccia serrate in quella posizione terribile e facendolo
gemere di dolore.
“Bene Messer Inquisitore, qui siamo un po’ più riparati, ma vi consiglio di
non gridare molto forte o mio figlio sentirà comunque e allora dovrò
infilarvi quello straccio direttamente in gola e non sarebbe piacevole per
voi.”
“Lasciatemi!!!” singhiozzò stridulo e vagamente comprensibile il frate
contro lo straccio che aveva tra le labbra come un morso.
“No.” indifferente, lapidario.
La testa bionda cercò di voltarsi per guardarlo ma il dolore alle spalle non
glielo permetteva. Alejo prese il pugnale dai pantaloni e glielo infilò
sotto la gola.
“Allora, cosa si prova, bastardo? Cosa si prova a sentire che qualcuno con
un gesto della mano può scannarvi come una bestia? Allora? Lo avete fatto
tante volte ad altri e non ci avevate mai pensato? Ora potrei affondare e
morireste soffocato dal vostro stesso sangue; ma sarebbe troppo rapida come
morte, voi dovete capire cosa significa soffrire.” Concluse con un sogghigno
feroce mentre il respiro del giovane inginocchiato si faceva sibilante.
Ritirò il pugnale dalla gola e fece passare il piatto freddo della lama
sulla pelle nuda del braccio privato della manica, quando raggiunse la
spalla riprese a scendere verso il basso, sempre leggero, ma questa volta
con il filo della lama, lasciando un lungo segno rosso da cui iniziò a
uscire il sangue.
Il frate emise solo un gemito impaurito, non capendo bene e provando poco
dolore, il vero dolore sarebbe venuto dopo, amplificato quando avesse
provato a muovere il braccio. Alejo fermò la lama appena sopra il gomito.
“Allora, Messer Inquisitore, volete sapere quanto sia piacevole essere il
giocattolo della crudeltà di qualcuno, di qualche verme simile a voi? Bene,
pensate che bello se io ora vi tagliassi i tendini del gomito... Posso, mi
basta premere un po’, ma forse rigirerò anche il pugnale così lo sentirete
meglio e poi perderete l’uso del braccio e resterete così per il resto dei
vostri giorni, sempre se vi lascio in vita... Peccato, è il destro.”
ridacchiò feroce iniziando a premere anche se solo con il piatto della lama.
“NOOO!!!” gridò roco il giovane soffocato dalla stoffa cercando di
divincolarsi, ma quando lui spinse di nuovo sulle braccia si accasciò con un
gemito di dolore.
“Vi ho detto di non urlare, se lo fate ancora vi farò molto più male. Allora
riprendiamo il nostro discorso.”
“No!! Nooo...” singhiozzò isterico mordendo lo straccio.
“Ma allora non lo capite che dovete tacere? E poi non vi comprendo, cosa
volete? Volete che smetta? Ma come, se fino a un attimo fa eravate pronto a
trucidarmi nel sonno, vigliacco. Mi avete frustato fino allo sfinimento, mi
avete reso un cane, non un uomo in quella vostra fetida cella, e ora? Ora
osate chiedermi pietà? E io dovrei accordarvela? Forse potrei, ma dovreste
rinnegare il vostro Cristo e abbracciare la vera fede... Sì, fatelo! Dite
che Cristo è solo un imbroglione e che volete essere ebreo, magari vi
risparmio! Altrimenti vi farò lo stesso lavoretto a tutti gli arti, non
potrete più muovervi, sarete solo uno scarto, uno schifoso reietto. Nessuno
vi darà aiuto perché non avete nessuno, chi mai pensate che potrebbe
volervi? Il vostro ordine? No, avete commesso un crimine orribile, mi avete
fatto fuggire e poi siete un invertito non dimenticatelo. Nessuno vi aiuterà
perché la gente disprezza quelli come voi, vi teme e vi odia, solo questo.
Allora ditelo, dite che Cristo non è il figlio di Dio!”
Il corpo inginocchiato tremava violentemente; Alejo buttò a terra il
pugnale, gli afferrò la testa gettando via il copricapo e bloccandogli i
polsi con l’altra mano, lo fece girare verso di sé stringendogli la nuca.
“Ditelo!” ringhiò furioso.
Gli occhi chiarissimi erano spalancati, febbrili e lucidi nell’ombra, le
guance erano rigate di lacrime. Nel tremito, a fatica, il frate riuscì a
scuotere leggermente la testa in un cenno di diniego. No.
Alejo fissò quelle lacrime che probabilmente dovevano essere di orgoglio, di
odio, non lo avrebbe mai detto, lo sapeva bene, ma sapeva anche di stare
fingendo. Non avrebbe mai fatto una cosa simile a un uomo, tantomeno per
motivi religiosi, l’accanimento di quel frate verso il convertire,
assolutamente convertire, gli sembrava semplicemente assurdo. La sua ira era
stata semplice e chiara: gli aveva detto di amarlo e si era ritrovato
davanti un uomo pronto ad ucciderlo.
Mentre guardava quelle lacrime e quegli occhi il suo rancore si stabilizzò
quieto, lasciandogli modo di pensare: e provò compassione.
Quel giovane aveva dedicato tutta la sua vita a qualcosa che era una follia,
era un mistico, un invasato; non faceva ciò che faceva per ipocrisia, il
rapporto che aveva col suo Dio era quello: una servitù assoluta,
inarrestabile. Credeva assurdamente di sapere cosa Dio volesse e lo faceva,
anche contro se stesso, anche se significava liberare un condannato, andare
contro l’inquisizione e rovinarsi così la vita. Era assurdo. Un giovane
tanto bello, tanto dotato, di un’intelligenza soffocante, predominante in
ogni scontro mentale, ridotto a uno strumento di convinzioni distorte che
gli dovevano essere state inculcate da quando era un bambino.
Sapeva cosa significava prendere i voti per un figlio minore di una famiglia
nobile quale doveva essere questo: significava essere portato in un
monastero a sei anni e non uscirne che prete. Che assurdità, chissà
cos’avrebbe fatto questo ex inquisitore una volta che la nave fosse giunta.
E in tutto ciò lui e suo figlio quale colpa avevano? Avevano dovuto subire
quell’incubo, vedere la loro vita distrutta per delle idiozie, ma questo
giovane invasato non lo capiva, non lo vedeva. Doveva pagarla, che capisse o
no, ormai era un uomo, non un bambino, quello che faceva ormai lo faceva di
sua volontà e basta, qualsiasi fosse l’origine di quell’agire folle.
Rancore vendicativo, unito a una certa pietà, e di nuovo quell’insorgere di
desiderio in lui che annullava tutto: non lo amava, era assurdo pensarlo,
ora lo aveva visto per ciò che era davvero e al massimo poteva provare
compassione, ma il desiderio di lui restava, ossessivo, al solo guardarlo
così, imbavagliato, con le guance rigate di lacrime, stravolto, si sentiva
crescere dentro un'onda calda e tesa di eccitazione.
“No, anche se vi terrorizzo o vi torturo voi non capirete mai il male che
fate, siete un invasato, e quindi sarebbe inutile. La mia soddisfazione però
voglio prendermela, vi farò soffrire nell’unico modo che vi tocca davvero:
vi farò peccare, vi farò male, e contemporaneamente soddisferò gli istinti
che provo per voi. Ve ne ricorderete finché avrete vita di questo ebreo e di
questa notte...” mormorò ora pacato, con un tono amaro che non ammetteva
repliche.
Gli occhi chiari si spalancarono ancora di più mentre Alejo gli liberava i
polsi pronunciando quelle parole. Con un gemito Francisco riportò le braccia
in avanti e alzò le mani per togliere il bavaglio, ma l’uomo lo fermò.
“No, questo lo terrete, e non cercate di scappare o reagire, sono più forte
di voi e voi siete molto intelligente, se lo fate vi riprendo con la forza e
alla fine vi sgozzo sul serio.”
Il giovane frate sembrava stranamente ipnotizzato: lo fissava e tremava ma
non faceva il minimo accenno a una qualsiasi reazione, in effetti lo spogliò
senza che opponesse la minima resistenza.
Sotto le sue dita i vestiti spiegazzati scivolarono via da quel corpo
sottile e bianco lasciandolo nudo, bellissimo, imbavagliato e immobile con
gli occhi sgranati. Alejo sentì il cuore martellargli nelle orecchie,
accarezzò lievemente quel torace piatto, magro, delicato. Si ripeté ancora:
non lo amo come se prendesse fiato
un’ultima volta prima di tuffarsi in acqua, poi si abbandonò ai sensi.
Lo desiderava tutto e in ogni singola parte, non sapeva dove e come iniziare
ora che finalmente lo aveva, non sapeva nemmeno se voleva farlo soffrire o
godere. Gli passò una mano sul braccio sporco del sangue che colava fino
alla mano, passando le dita sul taglio che ora doveva pulsargli
dolorosamente e che era bollente, spinse appena e lo vide sobbalzare con un
singhiozzo soffocato dallo straccio. Spinse ancora, attratto dal vederlo
soffrire, poi risalì sulla spalla lasciando per un po’ dei segni rossi con
le dita sporche di sangue, accarezzò le scapole, riscese sul torace e
raggiunse uno dei capezzoli chiari, delicati. Non li aveva mai visti bene e
anche ora, con quella penombra pesante, li distingueva a stento. Lo
distingueva tutto molto vagamente. Guardò di colpo verso la scala…
Slacciò la corda che aveva in vita, i pantaloni gli ricascarono sui fianchi,
lenti e sbrindellati, prese le mani del frate e gliele legò dietro la
schiena, ignorando il suo gemito di protesta e dolore per essere costretto
di nuovo a sforzare le braccia doloranti, poi legò la corda alla scala.
“Non provate a muovervi.” ordinò, e rapidamente salì verso la parte alta
della stiva seguito da quegli occhi sbarrati. Prese la lanterna, diede
un'ultima occhiata al figlio che dormiva e poi riscese immediatamente,
mentre il suo desiderio si faceva sempre più opprimente.
Il frate non si era mosso. Quando Alejo riscese la luce inondò diretta
l’ambiente e poté vederlo finalmente con chiarezza.
Era immobile in piedi, nudo, con le braccia magre e affusolate legate dietro
alla schiena, la testa china in avanti. La sua pelle era di un chiarore
luminoso, bagnata dal sangue che colava dal braccio sempre meno
abbondantemente e si andava rapprendendo scuro, i capelli riflettevano la
luce rossastra, luminosi, interrotti brutalmente nella loro bellezza dalla
chierica. Era sottile ma i muscoli accennati disegnavano elegantemente quel
corpo, rendendolo meno etereo e più sensuale. Le spalle magre e ossute,
dritte, i fianchi stretti, le gambe affusolate, lunghe, le ossa del bacino,
il suo sesso: era perfetto, era bellissimo ovunque, e Alejo si rese conto
che era lievemente eccitato. Un sorriso un po’ maligno gli si disegnò sulle
labbra vedendolo, il vergine frate, chissà cosa sapeva, cosa pensava...
quali fossero le immagini che la sua mente impregnata di religione da cima a
fondo evocava ora…
Posò la lucerna sul pavimento, badando che il piccolo sportello di vetro
fosse ben chiuso nel caso cadesse, ma il mare era calmo quella notte; la
nave sembrava quasi immobile e dal ponte non veniva quasi nessun rumore.
Riportò la sua attenzione sul giovane che ora fissava ostinatamente a terra,
e gli si avvicinò. Gli passò le braccia intorno al corpo, avvicinandosi fino
a premersi contro di lui; lo sentì rabbrividire ma non alzò il viso chino
che ora era quasi affondato nel suo torace: Alejo si sentì euforico, poi
iniziò a sciogliere le corde e lo slegò.
Lo spinse disteso per terra, piuttosto rudemente, e allora gli occhi chiari
si alzarono su di lui furiosi, stretti in due fessure, ma non cercò di dire
niente, serrando tra i denti il bavaglio mentre l’uomo gli si inginocchiava
sopra, sedendosi a cavalcioni su di lui, bloccandogli le mani sotto le
ginocchia come aveva fatto quella notte passata, ignorando il dolore che
poteva causargli al braccio ferito.
Si piegò su di lui e iniziò a leccarlo, a leccargli il collo, la gola, il
torace mentre quel giovane restava immobile, fissando il vuoto, con
un’espressione di ghiaccio sul viso. Quando raggiunse uno dei capezzoli che
vedeva chiaramente ora, pallido e roseo, e lo sfiorò con la punta della
lingua iniziando a tormentarlo, e finalmente sentì il corpo sotto di sé
irrigidirsi, poi tendersi. Iniziò a succhiare prendendolo tra le labbra. Un
gemito impaurito, sconvolto, le braccia sotto le sue ginocchia cercarono di
ritrarsi. Lo morse, con delicatezza ma lo morse e lo sentì urlare soffocato,
divincolandosi e tremando. Lo guardò: aveva chiuso gli occhi, li aveva
serrati, aveva rovesciato la testa all’indietro, sul viso di marmo ora c’era
un’emozione impaurita, sognante, stupita... eccitata.
Non gli lasciò le braccia e riprese a succhiarlo, iniziando ad accarezzare
con le dita anche l’altro capezzolo, e il respiro del frate si fece sempre
più roco, impedito dallo straccio che aveva sulla bocca e che rendeva i suoi
singhiozzi un mugolio soffocato. L’eccitazione del ragazzo aumentava,
rapida, febbrile; Alejo si raddrizzò di colpo e si tirò a sedere più
indietro, sulle sue cosce, liberandogli le braccia e facendo scivolare
rapido una mano sul suo sesso, iniziando a toccarlo. Il ragazzo biondo
rialzò per un attimo gli occhi, impaurito, afferrandosi alle sue braccia,
poi quando vide e sentì quelle mani su di sé si lasciò ricadere all’indietro
con un sospiro rotto, inarcandosi all’indietro senza cercare di più di
nasconderlo, gemendo confusamente dietro il suo bavaglio.
Alejo si chiese vagamente cosa stesse facendo: non voleva farlo soffrire?
Scoparlo come un insulto da lasciargli addosso? Non lo sapeva più. Avvertiva
il suo desiderio tendersi fino allo spasmo, ma cercò di reprimerlo ancora un
po’, godendosi quel corpo pallido che si contorceva sotto il suo tocco.
L’inquisitore si trasformò in un ragazzino impudico, smanioso, avido e
impaziente, dimentico di colpo di qualsiasi remora.
Alejo, stupito e incredulo, lo vide mettere le mani sulle sue e spingerlo a
continuare, ad essere meno delicato, fin quasi a fargli male. Gli si
aggrappava alle braccia, attraversato dalle ondate di quel piacere assoluto
e tormentoso, affondandogli le unghie nella carne e mandando gemiti che
erano una supplica e un urlo di gioia pura, libera. Il ragazzo si lasciò
scivolare le mani sul torace arrivando ai capezzoli ancora rossi e iniziò a
toccarsi da sé.
Alejo pensò che doveva essere impazzito, o lui o quel frate... era una
visione, la più bella ed erotica visione che avesse mai guardato: quel
giovane bigotto, un inquisitore. Ma non era più lui, o meglio, era lui ma
era diverso, ora era anche l’angelo dell’altra notte e insieme qualcosa di
nuovo, l’immagine stessa del desiderio, della sensualità, aveva l’egoismo
avido di una vergine e l’abbandono, la mancanza di ogni pudore di una
prostituta. Quell’essere era stupendo.
Tolse le mani interrompendo quel gioco sfrenato e gli occhi chiari lo
fissarono rabbiosi, disperati, mentre le dita smettevano di tormentare i
capezzoli ma non si staccavano da essi, poi il giovane biondo ributtò la
testa all’indietro e singhiozzò tormentato inarcandosi, in quello che era
insieme una richiesta disperata e un invito erotico a continuare.
Alejo si passò la lingua sulle labbra sentendole aride e afferrò i
pantaloni, sollevandosi sulle ginocchia e abbassandoli. Le mani del ragazzo
si allungarono su di lui, afferrandogli la camicia rozza, aprendola e
spingendola via, febbrili, poi si fermarono, scesero adagio e accarezzarono
la sua eccitazione, titubanti, lente...
Alejo sospirò roco come se gli avesse bruciato la pelle e fissò quegli occhi
chiari che lo guardavano: erano spalancati, fissi, sembravano un po’
impauriti ma curiosi, morbosamente curiosi. Quel piccolo perverso di un
vergine fraticello.
“Come hai fatto a resistere e a restare vergine per tutti questi anni? Tu
sei un ragazzino impudico e pieno di voglie, il tuo corpo sembra fatto per
fare sesso.” disse con un sorriso rapito e un po’ cinico fissandolo, e il
ragazzo biondo lo guardò di sfuggita con un’aria ostile, risentita.
Immediatamente però, riportò gli occhi chiari sul suo sesso e lo accarezzò
ancora con le dita sottili, incerto. Alejo si sentì scoppiare, se lo toccava
ancora, anche se in quel modo incapace, non sarebbe riuscito a trattenersi,
non ci sarebbe riuscito comunque molto a lungo.
Gli tolse rudemente le mani e gli prese le gambe sollevandogliele, il frate
lo guardò senza fiatare ma con la domanda e il timore negli occhi: non
capiva cosa stesse facendo, perché gli avesse sollevato le ginocchia fin sul
petto facendolo come rannicchiare su se stesso...
Alejo sorrise divertito, capendo che non sapeva assolutamente cosa stavano
per fare ma che era incapace di reagire, stordito dalla sua eccitazione che
pretendeva, implorava di essere soddisfatta, qualsiasi cosa gli facesse
purché lo appagasse.
Nonostante tutto era impaurito, e allora si spinse contro di lui premendosi
tra le sue gambe sollevate e aperte; gli vide spalancare gli occhi chiari
allarmati ma fece scivolare di nuovo le mani su di lui riprendendo a
toccarlo, e lo vide perdere di nuovo la ragione e afferrarsi alle sue
braccia tra il mugolio indistinto e convulso della bocca tappata.
Continuò, muovendosi contemporaneamente contro di lui per eccitare anche se
stesso, e sentì il giovane biondo iniziare a muovere impercettibilmente i
fianchi anche in quella posizione, respirando sempre più affannosamente, non
era più cosciente di nulla.
Alejo continuò a portarlo all’estasi con una mano, ma scostò i fianchi da
lui e con l’altra scivolò oltre, accarezzandolo al di sotto del suo sesso e
seguendo fino a introdurre le dita tra i suoi glutei, muovendole. Il ragazzo
non se ne accorse, teso fino allo spasmo, implorante, appeso alla sua mano
che indugiava a dargli quel piacere che non aveva mai provato.
Alejo tolse le dita e se le passò rapidamente in bocca, bagnandole, poi le
rimise rapidamente sul ragazzo biondo: lo guardò per un attimo, fissando la
sua espressione rapita, spasmodica, poi infilò un dito dentro di lui,
spingendosi rudemente in quel calore stretto e opprimente.
Gli occhi chiari si spalancarono di scatto, un grido soffocato interruppe
l’onda dei sospiri e dei gemiti, il ragazzo lo guardò terrorizzato e accennò
a divincolarsi, cercando di tirare giù le gambe, ma Alejo tolse il dito
ritirando la mano e lo afferrò per i fianchi tenendolo fermo, poi si spinse
dentro di lui e lo penetrò, chiudendo gli occhi e dimenticandosi di fare
lentamente, risucchiato da quel bollore opprimente e soffocante,
dall’eccitazione che non riusciva più a ritardare e dal desiderio folle di
possederlo. Un urlo di dolore gli risuonò nelle orecchie, roco e violento.
Alejo allungò una mano e gli tappò la bocca anche con quella, tenendolo
fermo con la forza, iniziando a muoversi dentro di lui tra i suoi stessi
gemiti convulsi che stentava a riconoscere, prima in modo impercettibile,
poi sempre più violentemente man mano che si dimenticava di tutto,
risucchiato nel piacere. Il corpo che possedeva cercò disperatamente di
sottrarsi a quel dolore, a quell’invasione violenta e terribile, ma ad un
tratto smise, mentre i movimenti dell’uomo gli facevano esplodere dentro il
godimento e quel dolore si trasformava in un piacere brutale, soffocante e
sfrenato, anche il giovane biondo venne, offrendosi spasmodicamente all’uomo
che lo possedeva e che in quell’istante era il suo unico Dio.
Mani, respiro, odore, sudore...
In quell’avviluppata essenza umana se ne stava con gli occhi chiusi, avvolto
in se stesso e nell’altro, incapace di distinguersi da lui; mentre l’umido
della bocca dell’uomo gli passava sulla pelle del collo e le dita lunghe e
forti gli leccavano il torace nudo coi polpastrelli, tra i loro sospiri.
Francisco pensò che era come se gli stesse imprimendo sopra il suo marchio,
la forza del suo essere, un segno di possesso.
Un gemito, con gli occhi socchiusi mentre lo sentiva scendere piano con la
bocca sul suo ventre, e più in basso, fino a fargli ciò che non osava
nemmeno nominare ma che gli dava l’estasi, non sapeva se il gemito fosse suo
o di quell’uomo circonciso.
Il calore bagnato di saliva, carezzevole e morbido di lingua, si chiudeva
sul suo sesso, scese con le mani tra i capelli neri e ci immerse le dita
attirandolo a sé. Che cosa impudica.
Serrò del tutto gli occhi rovesciando la testa all’indietro e mordendosi le
labbra per non gemere con troppa forza, altrimenti il figlio avrebbe
sentito, e mentre lo sommergeva l’incoscienza frenetica di quella cosa che
chiamavano godimento, ma che era troppo violenta per avere un semplice nome,
la sua mente rigirò per un'ultima volta la parola
impudico...
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fine capitolo 5 -
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