L'inquisitore
capitolo 4
di
Kia
Un cigolio sinistro, come di legno prossimo a spezzarsi. Una
trave passava proprio lì sopra nell’oscurità rischiarata di bagliore
rossastro, unico punto fermo in quel rollio che trascinava ogni cosa.
Sentì un ennesimo conato di vomito soffocato e si girò a guardare verso
l’angolo in cui la figura era inginocchiata per terra davanti a un catino.
Di nuovo un fremito teso attraversò quelle spalle mentre la gola emetteva il
suo rumore soffocato seguito dall’annaspare in cerca d’aria.
Alejo sentì la sua lingua serrarsi contro il palato e deglutì per ricacciare
il senso improvviso di nausea evocato da quel suono. Guardò suo figlio che
gli dormiva rannicchiato vicino e gli sfiorò i capelli attento a non
svegliarlo.
Di nuovo un rollio e la lanterna appesa a un gancio che scendeva dal
soffitto basso oscillò, facendo volare sparse ovunque le ombre allungate che
le obbedivano. Iniziò a dondolare riprendendo lentamente la sua parvenza di
stasi e sembrò che quelle forme scure guizzassero vive ovunque, o che la
stiva cambiasse continuamente aspetto. Di nuovo i tonfi di passi sopra di
lui, un cigolio sinistro, ma non lo innervosì più di tanto, non era la prima
volta che si trovava su una barca.
Nell’angolo la figura inginocchiata sospirò, un sospiro vicino ad un
rantolo, e si mise seduta appoggiandosi esausta alla parete di legno. Lo
fissò con i suoi occhi di ghiaccio.
Bello. Bellissimo. Terribile e affilato come una lama, come sempre.
Alejo deglutì ancora, non per il senso di nausea, ma perché vedere quell’uomo
vestito in abiti normali, con dei pantaloni scuri e una camicia, lo
ipnotizzava. Ma quell’essere gelido non aveva certo perso la sua dimensione
di ferreo potere o crudeltà disumana, solo forse sembrava ancora più bello,
ancora più giovane eppure più virile senza quell’abito ampio e lungo,
bianco. Lo aveva riposto nella sacca da cui aveva tirato fuori quei vestiti
con una reverenza assoluta.
Com’erano snelle le sue gambe, i suoi fianchi, le spalle dritte e il collo
sottile, pallido, l’immagine di quel corpo nudo gli offuscò la vista
ottenebrandogli i sensi e lui si trovò a cercare di controllare il respiro,
per resistere impassibile a quella disputa di sguardi. Alla fine però,
abbassò il suo distrattamente, risucchiato da quel vortice di immagini e
sensazioni che la memoria gli faceva fluire addosso. Vide suo figlio e si
bloccò, colpevole, come se temesse che quel desiderio oscuro contagiasse,
irradiandosi da lui, quel piccolo essere perfetto e candido rannicchiato nel
sonno.
“Dorme ancora... perché non si è svegliato?” chiese di colpo con la voce
stridente in quel silenzio velato di strani rumori. Trovò il coraggio di
rialzare lo sguardo sulla figura impassibile.
“Sta bene. State tranquillo, domani mattina si sveglierà.”
La voce era sempre quieta, freddamente distaccata.
“Vorrei comunque sapere perché dorme così tanto.” puntiglioso e ostinato
come un bambino quando qualcosa riguardava suo figlio.
L’uomo di ghiaccio sospirò appena e serrò impercettibilmente le labbra,
seccato come solo un nobile sa essere, e girò la testa di lato.
“Si è spaventato quando ho mandato a prenderlo ed è svenuto, poi sulla
carrozza deve essere passato dall’incoscienza al sonno. Ora probabilmente
dorme perché è esausto, una paura molto grande stanca fortemente, ma se non
ritenete che ciò che dico sia vero: svegliatelo.”
Alejo serrò la mascella. Quell’uomo sapeva essere insopportabile in ogni sua
azione, non solo nell’adempiere al suo ruolo inquisitorio. Non rispose e si
ristese sul fondo di legno della stiva, tra le balle di merci coperte e
accatastate intorno.
Chiuse gli occhi e rivide senza sapere perché l’arrivo della carrozza al
porto, l’acqua dal cielo e per le strade, le navi ormeggiate, l’odore del
mare; l’inquisitore che frugava in una sacca prelevando qualcosa e poi
scendeva, infilandosi in un piccolo vicolo laterale tra due case con le
imposte sprangate, senza badare alla pioggia, e poco dopo ritornava con
quegli abiti indosso, già bagnati di gocce fitte, con un involto bianco che
riponeva nella sacca appena risalito: senza una parola, ignorandolo. Lui
intanto pensava di sognare o di essere già morto senza accorgersene
guardando la testa bionda con un piccolo copricapo sopra e quei vestiti.
Si girò lentamente supino passando un braccio intorno alle spalle minuscole
di Adàn, beandosi di quel respiro tranquillo, ma la schiena gli faceva
troppo male e fu costretto a girarsi di nuovo sul fianco. Rivide le navi,
risentì il freddo: quando era sceso ancora e lui non lo aveva visto tornare
subito aveva avuto paura, non sapeva cosa fare ed era terrorizzato per Adàn...
poi seguirlo, la barca ancora mezza vuota, scendere rapidamente in quella
stiva, lui con in braccio il figlio anche se temeva di crollare ad ogni
passo, ma ce l’aveva fatta.
“Cosa accade ora?”
Questo aveva balbettato tremando, incapace di concepire quello che
succedeva, mentre solo una frase gli rimbombava nella testa, una frase che
doveva aver sentito tanto tempo prima, doveva averla detta qualcuno ridendo,
e quindi per assurdo una voce ridente continuava a ripeterla in lui,
grottescamente gioiosa nel dire che nessuno
può scappare all’Inquisizione, nessuno può scappare all’Inquisizione,
nessuno...
“Se Dio vuole che siamo salvi la pioggia si placherà e questa nave andrà
nella Provincia d’Olanda, altrimenti sarà fatta la Sua volontà.”
Questa era stata la risposta di quella voce impassibile, mentre
l’inquisitore vestito da uomo si sedeva quieto fissando davanti a sé.
Si era sentito gelare. Di colpo era stato cosciente di ciò che gli stava
accadendo, quello poteva rivelarsi un suicidio per tutti: presto li
avrebbero cercati, se li trovavano...
Aveva avuto per un attimo l’istinto di ucciderlo, di gridare: quel mistico
stava mettendo a repentaglio la vita di suo figlio in quel modo folle! Il
suo Dio doveva far cessare la pioggia? DIO?!
Ma poi si era accasciato osservando dolcemente il suo bambino.
Era distrutto, esausto; dopotutto così aveva qualcosa in cui sperare;
dopotutto così poteva vedere Adàn almeno un’altra volta: era stato grato di
quello, aveva raccomandato l’anima all’Altissimo e si era messo tranquillo a
osservare il suo bambino.
Quelle frasi, le uniche che si erano scambiati fino a poco prima, anche dopo
che la nave aveva davvero lasciato la terra, gli tornarono ora nella mente
come appena dette. Guardò la figura seduta. Aveva chiuso gli occhi.
Prossimo al sonno quel viso chiaro sembrò distendersi; le labbra si
schiusero impercettibilmente… di colpo Francisco sembrava un fanciullo
angelico! Alejo pensò al fervore religioso, alla componente mistica
racchiusa dietro quelle tempie delicate accarezzate dai capelli biondi.
“Voi siete incomprensibile... perché mi avete salvato?” sussurrò in modo
inudibile.
“Perché mi avete salvato?”
Con la voce ferma, pacata ma decisa, glielo chiese la notte seguente.
Il bambino si era svegliato quella mattina. Ancora confuso, era rimasto
tutto il giorno abbracciato al padre come se temesse che qualcuno volesse
rubarglielo ancora, e quell’uomo sembrava un altro.
Di colpo sembrava star bene, essere sereno e felice, non avere più alcun
timore o dolore; certo, la schiena gli faceva male e spesso doveva far
sedere il figlio al suo fianco invece di tenerlo sulle ginocchia, ma quella
sembrava una cosa da niente: era un fastidio, l’energia gioiosa che aveva
dentro dava l’impressione che lo avrebbe risanato presto.
Francisco non capiva. Non trovava una spiegazione per quella luce che gli
vedeva nello sguardo.
Pensò che forse fingeva per non spaventare il figlio, sicuramente doveva
essere così, nascondeva i suoi timori e le ansie per non turbarlo, ma quello
sguardo, esprimeva una gioia quasi palpabile.
Seduto nel suo angolo, sbocconcellando quietamente il pane che avevano
portato loro come pasto di mezzogiorno, scrutava la scena di quell’uomo che
mangiava sereno, accarezzando ogni tanto la testa del bambino che lo
guardava e sorrideva a bocca piena.
Possibile che fosse tanto felice solo per suo figlio? Era ovvio, voleva
molto bene a suo figlio, lo aveva intuito da subito, da quando lo aveva
interrogato la prima volta, ma... non pensava che stare con un bambino di
sette anni potesse essere una gioia simile. Veder crescere un proprio
figlio, saperlo in salute, quelle erano cose che rendevano sicuramente
felice un padre, ma da questo a bearsi in quel modo della compagnia di un
ragazzino... pensò quasi che fosse un sentimento morboso, troppo accentuato,
forse addirittura peccaminoso.
Suo padre non aveva mai avuto un atteggiamento simile con lui. Aveva
mostrato di essere fiero, di badare alla sua posizione, di essere
affezionato a lui e di gradire la sua conversazione le rare volte in cui si
incontravano, ed era un segno di alta considerazione. Del resto lui non era
il primogenito, sarebbe stato Ferdinando, suo fratello maggiore, a prendere
un giorno il posto del genitore; ma nemmeno con Ferdinando suo padre aveva
mai avuto atteggiamenti simili. Quest’uomo aveva per il figlio una dolcezza
quasi materna.
Sentì di colpo il peso del suo incarico, il timore di fallire: ora che non
era più in una cella quell’uomo gli appariva diverso ed incomprensibile nel
comportamento sotto tanti aspetti che prima non aveva potuto notare, come
poteva dominare l’anima di quell’estraneo al punto di renderlo a Dio se non
lo capiva? Poteva riuscire? Altrimenti avrebbe dovuto portare a termine in
altro modo il suo servizio a Dio, il suo ultimo servizio a Dio come suo
ministro; ma la forza del Signore era grande, glielo aveva dimostrato senza
dubbio guidandolo in quella fuga impensabile, la Sua volontà sarebbe stata
fatta comunque.
Alejo di La Guardia infilò il mestolo di legno nel vaso d’acqua e fece bere
il bambino, sorridendo dolcemente nell’osservarlo, poi gli scompigliò i
capelli, ridendo nel vederlo bagnarsi sorseggiando goffamente dal mestolo.
Senza volere Francisco sorrise impercettibilmente, dopotutto anche se quello
non era il contegno di un buon padre i bambini piacevano anche a lui.
Adàn però aveva timore di lui, come doveva essere, e ogni volta che
incontrava il suo sguardo si stringeva di più al padre. Non aveva fatto
domande in merito alla sua presenza, non aveva fatto troppe storie, dopo che
il padre gli aveva spiegato al suo risveglio che erano su una barca e che
avrebbero fatto un viaggio si era zittito e aveva detto poco altro,
limitandosi a giocherellare con i fili dei suoi vestitini sgualciti e con
qualche insetto che era intrappolato nella stiva, mantenendosi comunque
lontano da lui. Era un bravo bambino, non era affatto noioso e petulante.
Francisco si era rivisto a sette anni e aveva considerato che probabilmente
non doveva essere stato altrettanto quieto: Adàn invece, questo ricordava
essere il suo nome, era proprio un bravo ragazzino e gli occhi scuri sempre
attenti a frugare qua e là rivelavano che doveva essere anche molto sveglio
ed intelligente. Dentro di sé Francisco sorrideva quando lo coglieva a
sbirciarlo con una curiosità impaurita, ma manteneva la sua aria impassibile
e severa, come doveva essere.
E Adàn si era infine riaddormentato ora che era scesa la notte. Un giorno
intero era trascorso, e di colpo quell’uomo aveva rotto il silenzio che era
stato su di loro come un quarto abitante di quella stiva per tutte quelle
ore.
“Perché mi avete salvato?”
Sentì i suoi muscoli tendersi. Era il momento. Pregò che il Signore gli
desse la forza.
“Siete molto affettuoso con vostro figlio.” Lo disse come constatazione,
ignorando automaticamente la domanda diretta che gli era stata posta,
com’era abituato a fare. Un inquisitore non risponde alle domande, le pone,
un inquisitore non dialoga, interroga, un prete non discute, insegna. Questa
era la sua formazione, conscia e inconscia.
L’uomo esitò per un attimo. Il suo torace nudo era velato di sudore, la
stiva era calda.
“Sì, è ovvio, è mio figlio...” disse guardingo, senza capire lo scopo di
quell’affermazione ma lasciandosi catturare da essa, rispondendo
automaticamente anche a una domanda non fatta apertamente.
Non era un prete, non era un inquisitore, non avrebbe avuto in mano le
redini di quella conversazione perché non ne era capace. Francisco sentì la
sua predominanza ed esperienza quasi come palpabili, dentro di sé sorrise
impercettibilmente, quasi un piccolo sogghigno soddisfatto.
“È vero, ed è un bravo ragazzo a quel che vedo, ma forse il vostro
atteggiamento va oltre un semplice affetto paterno, forse riversate troppo
su vostro figlio la mancanza per la perdita di vostra moglie...”
Subdolo, cinico e manovratore come sempre. I suoi occhi di ghiaccio ora
scintillavano della luce rossastra della lanterna.
L’uomo aggrottò le sopracciglia, di colpo rabbioso.
“Cosa vorreste dire? L’affetto che ho per mio figlio è sincero e riferito
solo a lui, mia moglie riguarda solo me. Non dovete nemmeno nominarla!!”
sibilò spalancando gli occhi blu.
“Non vedo perché non dovrei, era una cristiana, ora è con Dio. E vi ricordo
che vostro figlio non è una vostra proprietà, è un battezzato, un figlio
della Chiesa, e la Chiesa si interessa sempre ai suoi figli.” rispose
tranquillo con un lieve sorriso sulle labbra. “Ed è per lui che io sono qui,
e che voi siete vivo probabilmente, perché voi dovrete crescerlo come un
buon cristiano e per farlo dovrete rinnegare la vostra follia ebraica,
questo è il volere di Dio, lo so con certezza.”
Gli occhi blu si spalancarono increduli, l’uomo rimase per un attimo a
fissarlo come se non avesse capito.
“Siete impazzito? NON OSATE DIRMI COSA DEVO FARE DI MIO FIGLIO!!”
L’inquisitore, sempre sorridendo impercettibilmente, alzò una mano
facendogli segno di abbassare il tono, o avrebbe svegliato il bambino.
“Non osate impicciarvi di lui, non ne avete nessun diritto!! Osate
avvicinarvi ad Adàn e io vi ucciderò!!”
Francisco lo guardò sereno, senza scomporsi minimamente. Aveva subito tirato
fuori un lato rabbioso, bene, questo era un buon inizio. Quell’uomo aveva
dentro di sé un forte contrasto in merito a suo figlio e a sua moglie,
perché la doveva aver amata molto e lei era stata cristiana; questo lo
bloccava probabilmente nel momento in cui pensava di rendere il bambino
troppo simile a lui, troppo fortemente ebreo, così lo lasciava sempre in una
situazione intermedia, indecisa. Forse era per questo che lo aveva lasciato
dalla nonna, in Spagna sapeva che era quasi obbligata per lui la scelta di
crescerlo cattolico, ma nonostante ciò non si era trattenuto
dall’impregnarlo anche di religiosità giudaica, e ora? Ora la costrizione
poteva svanire; ora che era diretto in Olanda, ma temeva di offendere la
memoria di sua moglie.
E lui questo tormento lo avrebbe sfruttato.
“Vostra moglie era cristiana, forse è stata lei a intercedere perché Dio mi
mandasse da voi, non credete? Isabella non potrebbe certo non soffrire se il
suo unico figlio fosse cresciuto come un ebreo. Una fanciulla morta tanto
giovane, solo diciassette anni, e proprio per mettere al mondo questo bimbo
che il Signore le aveva dato...”
Lo vide irrigidirsi. Non traspariva fortemente all’esterno, ma sentì che
dentro quell’uomo le sue parole dovevano aver provocato un dolore lacerante.
Era questa la via per piegare il suo animo, era questa la via con la quale
avrebbe potuto distruggerlo e farlo poi rinascere come un servo di Dio: se
ne rallegrò infinitamente, stava compiendo il suo scopo.
“Non osate nominare mia moglie,” gli occhi blu erano dilatati da un dolore
rabbioso mentre mormorava quelle parole udibili a stento, “non so perché mi
abbiate liberato, ma dovete lasciarci in pace.”
Sollevò appena le sopracciglia, con un’aria sorpresa ma sempre distaccata.
“Liberarvi? Da cosa voi vorreste liberarvi? Dal giudizio di Dio? Io credo
che voi abbiate malamente inteso le mie azioni: l’Inquisizione è solo uno
strumento per compiere il volere del Signore, non sempre l’unico. Questa
volta il Signore vuole dai suoi servi altro e io non ho fatto che piegarmi
al suo volere. Voi dovrete comunque rendere conto a lui, questo è il mio
compito, e lo realizzerò senza fallo, poiché io stesso sono un peccatore, un
dannato, e sapere che lui nonostante ciò abbia misericordiosamente affidato
a me questo incarico mi riempie di gioia. Io non lo deluderò, e voi
nemmeno.”
Alejo sbarrò gli occhi, incredulo.
“Voi... Voi... siete pazzo! Io non lascerò mai che mio figlio abbia a che
fare con qualcuno come voi. Lui crescerà ebreo, sarà circonciso. Questo è il
nostro Dio, non abbiamo bisogno del vostro. Il vostro rapporto con lui, la
vostra vita, non mi riguardano.” sussurrò.
“Alejo di La Guardia. Dio è stato misericordioso con voi nel cercare di
attrarvi infine a lui senza violenza. Non sfidate la sua collera, non
sfidate il suo volere; non calpestate la memoria di vostra moglie insozzando
ciò che lei a dato alla luce con tanto amore.”
“TACETE!!!” sibilò con odio interrompendolo. Lo fissò per un attimo,
minaccioso, col dolore che cercava di nascondere comunque vivo nello
sguardo. Poi si distese accanto al figlio dandogli le spalle.
Si era chiuso.
Francisco osservò la schiena nuda dell’uomo, i segni ancora rossi sulla
pelle, intricati, probabilmente caldi. Il velo di sudore sulla pelle scura
si interrompeva su quelle ferite che si andavano dolorosamente rimarginando,
ma i pantaloni stracciati e luridi che portava gli cingevano mollemente i
fianchi, sfilacciati, e lasciavano scoperta così la zona dei reni, quasi
fino più in basso; Francisco non poté reprimere ancora quella parte di sé.
Lo aveva fatto con tutto l’impegno possibile da quando erano in quella
stiva, rifiutandosi di considerare la fisicità di quell’uomo; da quando
erano in quella stiva perché anche durante la fuga, quando lo aveva visto
arrancare seminudo dietro di sé nei vicoli fangosi, era ricaduto in essa.
Senza darlo a vedere, senza lasciarsi il tempo, ma quella figura spiritata,
carnale e febbricitante che aveva avuto al fianco in quella carrozza, con
l’odore del suo sudore, con i suoi brividi, con la sua presenza, con le sue
spalle nude e i capelli scuri sugli occhi, gli si erano come impresse nei
sensi: ora sentiva quel calore in un modo ossessivo al solo vederlo; ma si
rifiutava di soggiacere a quella perdizione. Dio lo avrebbe aiutato e lui
avrebbe lottato con tutto se stesso.
Ma non poté fare a meno di ritrarsi terrorizzato dal suo peccato che
riaffiorava, e per farlo lo sublimò in parole che non aveva intenzione di
dire. Gli uscirono da sole, senza che lo volesse, senza uno scopo preciso
ora, solo per provocarlo, farlo girare di nuovo, farlo parlare e infuriare
di nuovo... poterlo... toccare almeno così.
“Siete un vigliacco. Sapete solo fuggire rabbioso.”
Non rispose. Le spalle ampie e magre non si mossero. Francisco sentì uno
strano dolore alla bocca dello stomaco, una rabbia irragionevole e cattiva:
non poteva ignorarlo! No, non poteva ignorarlo come se gli fosse
indifferente; tra loro c’era rabbia, peccato, non poteva ignorarlo!! Serrò
le labbra e socchiuse gli occhi.
“Vostra moglie doveva essere la figlia di un barbaro: far sposare una
fanciulla cristiana a un ebreo come voi... come consegnarla al demonio in
persona perché abusasse di una simile innocenza!” sibilò.
Un attimo di silenzio gelato. Poi le spalle si mossero, l’uomo si sollevò a
sedere e si girò nuovamente verso di lui. Gli occhi blu erano spalancati,
spaventosi. Non disse nulla, solo lo fissò in quel modo terribile.
Una gioia maligna gli si riversò nell’animo, lo aveva fatto di nuovo girare
verso di se, di nuovo lo guardava; una voce gli sussurrò dentro che così lo
stava esasperando, che quella non era la strada per convertirlo e indurlo a
contemplare infine le proprie colpe, stava esagerando, non avrebbe dovuto
dire altro, ma non la ascoltò, no. Doveva farlo parlare. Voleva che si
rivolgesse ancora a lui, dopo averlo ignorato per tutte quelle ore, voleva
sentire di nuovo quella sua voce.
E lo colpì con una malignità istintiva, con la stessa voglia frenetica di
ferire e provocare che muove a volte i bambini capricciosi, indirizzandola
verso ciò che più banalmente poteva farlo reagire, anche se era una
bassezza.
“Cos’avete da guardare, ebreo? Vi tornano in mente le lacrime di vostra
moglie la prima notte di nozze quando l’avete costretta a subire la vostra
perversione, le vostre luride voglie prive della luce di un matrimonio
davvero benedetto dal Signore? L’avete presa come poteva fare un infedele
con una schiava, tanto a causa della vostra miscredenza il vostro matrimonio
non poteva essere davvero benedetto, l’avete rovinata, per questo il suo
parto, la messa al mondo del frutto di quell’unione indecente, non poteva
che ucciderla; ma forse è stato un bene, almeno il Signore l’ha presa con sé
liberandola dal dover soggiacere a simili...”
Non poté finire perché rapido come una furia, senza pronunciare una parola,
senza un rumore, l’uomo gli piombò addosso afferrandolo per la gola e
sbattendolo con le spalle contro la parete di legno dietro di lui. Gli occhi
blu erano scuri, densi come l’olio, folli.
“Se pronunciate ancora una parola su di lei io vi ammazzo!” ringhiò
avvicinando il viso al suo, teso in una maschera di odio e serrando ancora
di più le dita intorno a quella gola sottile e bianca. Era vicino, vicino;
senza volerlo Francisco provò una gioia selvaggia nel sentirlo tanto vicino.
Quelle labbra si muovevano rapide, tese, dure e calde; afferrò la mano che
lo stringeva serrandola a sua volta con tutta la sua forza, cercando di
staccarla da sé.
Gli occhi blu si socchiusero opponendosi ai suoi tentativi, spingendolo
verso il legno alle sue spalle; si sentì soffocare, aprì istintivamente la
bocca per riprendere aria, annaspando.
“Se... Se voi... amaste davvero... Isabella... crescereste vostro figlio
nella... sua religione... lei lo... vorrebbe...” rantolò fissando quelle
iridi scure, appeso a quella mano che gli mozzava il respiro.
Il viso dell’uomo ebbe un sussulto. La sua espressione divenne di colpo
distrutta, addolorata; allentò la presa come richiudendosi in sé ad
ascoltare parole o vedere immagini che solo la sua mente possedeva, era
bello, bellissimo con la sua espressione un po’ smarrita.
Francisco riuscì ad allontanare quella mano dalla sua gola e portò le dita
bianche ad essa, massaggiandosela e riprendendo fiato. Alejo si scansò di un
passo, fissando le travi di legno sotto i suoi piedi.
“Isabella non ha mai odiato la mia religione.” mormorò come tra sé e sé.
Un violento manrovescio lo investì sul volto, d’improvviso. Barcollò
rialzando lo sguardo sull’Inquisitore che lo fissava impassibile con il
braccio ancora teso, ma in quell’attimo la barca ebbe un leggero scossone e
Alejo cadde a sedere per terra con un tonfo sordo. Ebbe un sussulto di
dolore, probabilmente dettato dalla schiena, poi si girò preoccupato verso
il figlio, che poteva aver sentito. L’inquisitore che lo osservava gelido lo
imitò lentamente, ma il corpicino era ancora immobile; i due sguardi
tornarono a fissarsi l’uno sull’altro.
“Non osate più alzare un dito su di me, o vi farò gettare in mare, chiaro?”
sibilò l’uomo di ghiaccio avvicinandosi, poi lo afferrò ancora una volta per
i capelli mentre Alejo gli trovava e stringeva dolorosamente il polso,
serrando i denti e fissandolo dal basso.
“Lasciatemi...” ringhiò roco l’uomo aumentando ancora la stretta.
Francisco sussultò per il dolore, lasciò la presa e di nuovo lo colpì sullo
zigomo, con un gesto identico a quello precedente. Il bel viso di Alejo
scattò di lato e l’ebreo si portò una mano alla guancia, una goccia di
sangue iniziò a bagnargli il labbro inferiore. “Voi...” scandì stridulo.
Francisco avvertì la nota di minaccia in quell’unica parola e fece per
ritrarsi, ma l’uomo lo afferrò per un braccio e lo tirò verso il basso con
violenza, tappandogli la bocca con l’altra mano prima ancora che toccasse le
assi di legno con un tonfo e un gemito soffocato, poi, ignorando le fitte
alla schiena, gli salì sopra, a cavalcioni, chino su di lui come una furia,
premendo con la mano su quelle labbra. Il copricapo del giovane biondo era
caduto, la chierica era di nuovo scoperta a ricordargli come quell’uomo,
vestito con il suo abito bianco, lo avesse massacrato, lo avesse insultato,
avesse tormentato suo figlio: guardò quegli occhi azzurri, chiari,
nonostante tutto freddi e ostili. Tolse la mano dal suo viso e raddrizzò la
schiena fissandolo dall’alto, passandosi un braccio sulla bocca pulendola,
bloccandogli le braccia sotto le sue ginocchia. La bocca rosea di quel
giovane odioso era contorta in una espressione di disprezzo.
Lo schiaffeggiò con tutta la forza che aveva, con un’imprecazione sulle
labbra. Quel viso pallido e perfetto schizzò di lato, gli occhi si
spalancarono increduli; lo colpì ancora, col rovescio della mano, e poi
ancora, sballottando la testa bionda da una parte all’altra, sfogando tutta
la sua rabbia, tutto il suo odio. Si bloccò a stento, riprendendo il
controllo di sé.
Il viso del giovane era immobile, girato di lato sotto l’impeto dell’ultimo
schiaffo. I capelli biondi arruffati, gli occhi chiari sbarrati, le labbra
semidischiuse sanguinavano abbondantemente, sulle guance bianche già si
andavano evidenziando i segni rossi della sua mano. Respirava
affannosamente. Alejo lo vide raddrizzare la testa con lentezza, riportando
lo sguardo su di lui che gli torreggiava addosso. L’espressione del giovane
era sconvolta, incredula, come se quello che gli aveva appena fatto non
potesse essere ammissibile, non potesse essere successo... quanto era bello!
“Mi... Me la... pagherete...” balbettarono disordinatamente le labbra sempre
più rosse di sangue “voi... non dovete osare... voi...”
Ma Francisco si bloccò.
Di colpo lesse qualcos’altro in quegli occhi scuri che scendevano e si
soffermavano febbrili sulla sua bocca: gli sembrava di sentirli, e ora
l’uomo gli guardava la gola, l’allacciatura della camicia chiusa
diligentemente fino all’ultimo, fino alla base del collo…
L’ira svanì, i pensieri svanirono quando vide quell’espressione.
Gli mancava il fiato, lo sapeva cosa stava per fare, o credeva di saperlo o
forse no o forse... ma gli stava sopra, sopra... ed era così caldo! Di colpo
nella sua testa svanì anche il resto, svanì tutto. Le tempie gli pulsavano
sempre più forte, forse per le botte, ma nemmeno se ne accorgeva. Alejo.
Solo questo gli rimase nel cervello. Oh Signore, sembrava che il cuore fosse
sul punto di scoppiargli!! Perché non lo faceva?! Cosa voleva fare?
Alejo! Alejo... ti prego!!
Deglutì e spinse appena la testa all’indietro con un sospiro, muovendosi
appena sotto quel peso, in un gesto che poteva essere un debole tentativo di
ritrarsi ma non lo era, perché le sue labbra si schiusero e pronunciarono
l’unica cosa che conoscevano in quel momento: “Alejo...”
Un sussurro roco, inconfondibilmente velato di supplica anche se poteva
essere una richiesta di lasciarlo andare, ma non lo era.
Gli occhi blu rimasero a fissarlo in silenzio per qualche secondo,
spalancati. Il viso esprimeva uno stupore rapito. Francisco capì che cosa si
aspettava: il casato, il di La Guardia dietro al nome che aveva sempre
aggiunto nel rivolgerglisi, ma ormai era troppo tardi per aggiungerlo e
fingere… Alejo.
Alejo emise un gemito soffocato e si avventò su di lui prendendogli la testa
tra le mani e baciandolo come una furia, ma dolcemente, succhiandogli il
sangue dalla bocca, leccandogli le labbra, eppure febbrile e concitato come
se una sola bocca non potesse bastargli. Si distese completamente su di lui,
sommergendolo con il suo odore, col calore e la pelle nuda, ma senza
staccarsi dalle sue labbra, piegando il viso alternativamente in un verso o
nell’altro come se cercasse il modo migliore per mangiargli la bocca.
Francisco sentì un calore furioso invaderlo dentro, una gioia selvaggia come
mai aveva provato in vita sua, si scordò di tutto, liberò le braccia ora che
le ginocchia non le bloccavano più e gliele passò intorno al collo,
stringendolo a sé senza il minimo ritegno, spingendo le labbra sulle sue
senza sapere cosa faceva e ripetendo all’infinito il suo nome: Alejo. Lo
balbettò soffocato sulle sue labbra, nella sua bocca, nei loro respiri
nell’istante brevissimo in cui lui si staccava per riprendere fiato,
invocandolo all’infinito, come una liberazione, un desiderio, una supplica,
un piacere infinito.
I baci dell’uomo si fecero ancora più febbrili, lo sentì singhiozzare di
qualcosa che sembrava una disperazione struggente mentre lui ripeteva il suo
nome all’infinito, e gli piacque da impazzire sentirlo singhiozzare così per
lui; mosse una mano e gli infilò le dita tra i capelli scuri della nuca
stringendolo ancora di più. Alejo si staccò per un attimo fissandolo con una
pazzia dolce e spaventosa che gli provocò un’altra ondata di quel calore
caotico dentro.
“Francisco...” sussurrò roco, come provando la sensazione di quel nome a
riempirgli la bocca, e poi lo ripeté ancora: “Francisco...” sempre più
strozzato, disperato e insieme euforico.
Lui lo tirò verso di sé con le braccia, fissandogli le labbra.
“Alejo...”
L’uomo si riavventò su di lui e il bacio si fece più profondo. Al giovane
frate sembrò che volesse divorarlo o soffocarlo con la lingua, infilandola
dentro di lui più che poteva, invece di spaventarsi però lo strinse ancora,
aprendo la bocca e offrendogli la sua: era la cosa più bella e folle e
brutale e libera che avesse mai provato. Percepì vagamente delle dita sulla
sua gola, poi le sentì armeggiare con l’allacciatura della camicia, e subito
le raggiunse con le sue, slacciandosi da solo, convulsamente, se non avesse
avuto il corpo di Alejo su di sé probabilmente l’avrebbe strappata.
Una mano calda si infilò nell’apertura scivolando sul suo torace e facendolo
rabbrividire di piacere, rovesciò la testa all’indietro con un gemito.
“Francisco... siete stupendo...” sussurrò ansimando la voce di Alejo, quasi
con dentro una nota reverenziale, intimorita, poi la bocca calda dell’uomo
scese a leccargli la gola, l’incavo tra il collo e la spalla, succhiandogli
il lobo dell’orecchio e affondando il naso nei suoi capelli biondi e lisci
tra i sospiri. Lui perse di nuovo ogni minima coscienza di sé afferrandosi a
quelle spalle e infilando le dita tra le ciocche scure della nuca,
sussurrando il suo nome.
Poi di colpo Alejo si irrigidì.
Non se ne accorse subito, non poteva accorgersene, incapace ormai di
accorgersi anche di se stesso, dimentico della sua vita, della sua identità,
del luogo, di tutto ciò che non era il corpo di quell’uomo. Continuò a
stringerlo a sé sussurrando ancora una volta: “Alejo”, la parola che in quel
momento racchiudeva tutto il suo essere, ma l’uomo su di lui non si mosse,
non emise un sospiro. Vagamente si rese conto che non gli aderiva più
addosso come prima, che era... rigido, e la cosa lo fece infuriare, perché
lui lo voleva! Cosa succedeva? Perché non…
La rabbia lo raffreddò, scendendogli dentro, seguita poi dal gelo del
timore, della vergogna. Era tornato in sé. Eppure aveva quasi voglia di
urlare, piangere, colpire quell’essere che lo schiacciava ancora a terra,
chiedendogli perché si fosse fermato, perché gli avesse tolto la cosa più
bella della sua vita, la cosa per cui si era appena dimenticato dello
sguardo del suo Dio che aveva invece sempre sentito tanto presente, ma
rimase immobile, gelato.
Alejo tremò, poi si staccò sollevandosi dal suo corpo, dai suoi abiti in
disordine, e allora Francisco poté vedere quel viso teso, quell’espressione
smorta, quasi disgustata: gli trapassò il petto come una lama, ma non era
lui che guardava, guardava di lato.
Sull’orlo di una crisi di nervi seguì con gli occhi quello sguardo
colpevole, e in fondo ci trovò una minuscola figura rannicchiata in una
coperta dal lato opposto della stiva, due piccole spalle che si alzavano e
abbassavano con il ritmo lento e quieto del sonno: suo figlio.
L’uomo si sollevò in piedi, lo sguardo chino a terra sulle assi di legno.
Francisco rimase immobile, ancora disteso a terra, scomposto, lo vide
prendere fiato, seppe che stava per dirgli qualcosa.
“Io... Io... credo che ci siamo... lasciati andare un po’troppo... non sono
più in... quella cella... questo per me non deve esistere più, cercate di
capire, che padre sarei per... mio figlio...”
Questo balbettò.
Francisco si sentì soffocare dal desiderio di colpirlo. Di colpire a morte
quel viso smarrito, contrito: cosa voleva? Che lui gli dicesse che aveva
ragione? NO!! Non esisteva solo quel bambino!! Esisteva anche lui!! Non
poteva, non poteva accettare che quell’uomo, quel LURIDO EBREO tenesse a
qualcuno, avesse qualcosa in grado di distoglierlo da lui!!! Perché lui
invece non ce l’aveva!! Niente che conoscesse poteva allontanarlo da quel
fottuto ebreo, aveva appena fallito miseramente nell’ultima possibilità che
Dio gli aveva concesso PER LUI!!! E lui ora lo abbandonava a se stesso per
quel bambino, quel dannato bambino!!! Perché se lo era portato dietro?
Doveva lasciarlo in Spagna! Quell’uomo doveva essere ossessionato solo da
lui! LUI!!!
Ma non disse niente.
Alejo rimase immobile per un po’, con lo sguardo fisso a terra, il corpo
quasi completamente nudo, i pantaloni stracciati che calavano lasciando
quasi completamente scoperte le ossa dei fianchi, le gambe lunghe e snelle;
poi si mosse senza una parola, si allontanò verso il lato opposto, verso suo
figlio, e si ristese accanto al bambino dandogli le spalle.
Francisco sentì l’ira crescere vertiginosamente: sapeva quanto fosse
pericoloso per lui. La collera era una delle poche cose che aveva sempre
controllato male, a stento, una componente capace di sbilanciarsi
terribilmente nel suo carattere impassibile, una delle componenti più
spagnole della sua persona ma unita a un accanimento ferreo di stampo
nordico. Poteva arrivare a farsi del male quando era in quello stato, poteva
afferrare un coltello e piantarselo in gola solo per sfogare il suo furore,
in un lontano giorno della sua adolescenza si era tagliato un braccio,
lentamente, di proposito, sogghignando nel dolore, e da quel giorno aveva
giurato di combattere con tutto se stesso quel genere di furore, ma ora...
Ridacchiò isterico, pazzo, e si sollevò in piedi scrollandosi la polvere del
pavimento di dosso, senza badare alla camicia slacciata: sapeva qual’era il
sussurro ammaliante che gli spirava nella testa: andare sul ponte ridendo,
ridendo a squarciagola, e gettarsi in mare, con un bel salto.
Si rannicchiò nel suo angolo, accanto alla sua sacca, ridacchiando ancora,
dall’altra parte della stiva non gli giungeva alcun suono: dormivano già i
due bravi bambini.
Si accoccolò su se stesso serrando le braccia intorno alle ginocchia,
pericolosamente in bilico verso il suo pensiero, però vide come sempre il
viso di sua madre; i suoi occhi verdi e dolci, tanto simili a quelli di suo
fratello: l’aveva vista piangere solo una volta, ma era stato terribile per
lui sentire quel pianto leggero e soffocato. Non voleva assolutamente che
piangesse, e come sempre quel pensiero lo riportò a galla, placandolo
lentamente. Senza rendersene conto, mentre tornava quieto cullato
dall’ondeggiare della nave, scivolò nel buio ovattato del sonno.
-
fine capitolo 4 -
|