L'inquisitore

capitolo 1

di Kia

 

3 di Giugno, Anno del Signore 1494.


Il sole violento, i muri bianchi.
Il calore bruciante e il verde degli alberi nella polvere secca alzata dagli zoccoli dei cavalli che colpivano la strada, il rumore della gente e della mattina inoltrata giungeva velato nell’interno fresco e buio del vecchio edificio.
Egli aveva allora ventisei anni.
Il suo dedito rigore, il suo fervore, le eccezionali capacità che fin da bambino aveva dimostrato, lo avevano innalzato a quel ruolo che da un anno serviva col massimo impegno. Senza tentennamenti, senza cedimenti. Volto a scoprire ed estirpare le mutevoli forme in cui si mostra il maligno.
Ed egli era abilissimo nello scovarne le trame nascoste, nel percepire i sordidi fremiti delle anime ottenebrate, nel portare alla luce la verità e purificarla col fuoco della misericordia divina, al punto di guadagnarsi le lodi dei suoi superiori, dello stesso re e della regina Isabella.
La lotta era iniziata e la Spagna ardeva ora di mille fuochi. Per questo era stato cresciuto, per servire il Signore era stato messo al mondo, per questo aveva chiesto umilmente di poter accedere a un simile gravoso incarico nonostante l’età inadatta, e la sua richiesta era infine stata accolta: Frate Francisco D’Avalos aveva dato la sua vita alla Sacra Inquisizione Spagnola e l’avrebbe servita con tutte le sue capacità, umilmente, in qualsiasi modo fosse necessario.
Era spagnolo. In tutto spagnolo e vicino alla famiglia della regina per antica ascendenza, anche se il suo aspetto rivelava il sangue di sua madre, un'Asburgo nata e cresciuta nei Paesi Bassi.
I suoi capelli lisci, rasati sulla sommità del capo in una chierica che si scorgeva quando chinava la testa, erano biondi, d’un biondo dorato, la sua pelle chiara, i suoi occhi cerulei, d’un azzurro tanto chiaro che sembrava quasi svanire nel bianco. Il viso e l’aspetto rivelavano un’età che non era la sua. I lineamenti armoniosi nell’ovale perfetto parevano quelli di un ragazzo adolescente, non di un uomo di ventisei anni; ma in quel corpo che il fato aveva voluto d’aspetto tanto germanico lui era spagnolo, con quell’assoluta intransigenza e passionale spiritualità che solo da quella terra traevano origine. E lo sguardo non era quello di un ragazzo.
C’era qualcosa d’impressionante in quegli occhi che andava al di là del colore straordinario, qualcosa di ferreo, duro eppure esaltato, quasi mistico. Quegli occhi vividi sembravano trafiggere l’anima mettendola a nudo, molti erano crollati sotto quello sguardo confessando le proprie colpe.
Seduto sullo scranno dell’inquisitore, avvolto nel saio bianco, attendeva l’arrivo dell’imputato.
Lo scrivano era già pronto a registrare ogni minima parola e la sua mente si tendeva quietamente conscia della sua forza, del suo sapere, verso la procedura dell’interrogatorio che lo attendeva.
Come sempre avrebbe dovuto scavare in profondità con la massima decisione, sondare con la massima perspicacia, schermarsi dalle insidie perverse e dalle infinite menzogne del maligno prima di arrivare alla verità, ma non aveva timore. La gioia che provava nel glorificare il nome di Dio e nell’estirpare alla radice il Demonio era infinita. Anche in questo caso. Soprattutto in questo caso.
L’imputato era un conversos, un ebreo convertito. Erano in molti questo genere di macchie impure che lordavano il suolo spagnolo con le loro menzogne, convertiti alla legge del Cristo solo per convenienza, per poter accedere alle più alte cariche sociali, ma in realtà restavano quello che erano: ebrei, e continuavano a professare i propri riti in privato, facendosi gioco del nome del figlio di Dio che già una volta avevano ucciso sulla croce. Gli ebrei. I carnefici di Cristo.
E questo era uno di loro. Convertito insieme a suo padre a diciannove anni ed insignito di fiducia dalla Spagna al punto di renderlo un notabile in quella provincia, un membro del consiglio, un uomo benestante, rispettato... e il modo in cui ripagava una tale benignità qual’era? Continuando ad essere un ebreo nelle sordide mura della sua casa, di nascosto, facendosi beffe di Dio e del suo Sovrano al punto di ospitare segretamente degli ebrei che anni prima erano stati espulsi dal suolo spagnolo.
Ma non più. Non sarebbe più accaduta una simile enormità, sicuramente non per mezzo di quell’uomo che ora avrebbe costretto ad aprire l’animo a Dio e ad accettarne la giusta pena.
Le guardie alle sue spalle si mossero appena quando dei passi risuonarono dall’arco d’ingresso nella sala avvolta dall’ombra, squarciata al centro dal fascio di luce violenta dell’unica finestra, che avrebbe accolto l’oscuro e sordido peccato dell’imputato col suo chiarore.
E l’imputato entrò, scortato da una guardia.
Camminava da solo, con le mani legate dietro la schiena. Era scalzo e la camicia che portava era macchiata del sudiciume della cella in cui era probabilmente rinchiuso, ma l’andatura sembrava fiera per quel che poté vedere nella penombra.
Orgoglio.
Un’altro peccato di cui avrebbe dovuto rendere conto quest’uomo.
Lo portarono nel getto di luce facendolo inginocchiare, e lì sembrò vacillare per un attimo, stordito dal chiarore violento dopo il buio della prigionia che durava già da undici giorni. Frate Francisco D’Avalos lo osservò meglio ora che si mostrava ai suoi occhi con tanta chiarezza.
Alejo di La Guardia, questo era il suo nome. Aveva una trentina d’anni anche se ne dimostrava forse meno a causa del fisico asciutto, magro, ma che di sicuro non doveva difettare di forza. Nonostante la camicia che gli pendeva fuori dai pantaloni e le avvolgeva con il suo tessuto di lino, le spalle apparivano ampie e sulla schiena chinata si scorgevano le scapole con i loro muscoli affusolati.
La sua carnagione era scura, fortemente olivastra, i capelli scuri anch’essi, quasi neri e scarmigliati gli ricadevano sugli occhi, in ciocche lisce anche se d’una consistenza robusta, ribelle, che le faceva piegare in direzioni diverse dandogli un’aria ancor più scomposta.
La guardia gli afferrò la testa china facendogliela alzare ed esponendola alla luce.
I lineamenti erano netti, decisi e splendidi con i loro zigomi pronunciati, il naso dritto impercettibilmente aquilino, le guance appena velate dal ricrescere della barba, la bocca ampia e risoluta socchiusa a celare appena il biancore dei denti serrati e gli occhi allungati dal taglio quasi arabesco.
Dopo averli tenuti socchiusi per qualche minuto schermandoli dalla luce diretta, quando la guardia lo lasciò li spalancò ficcandoli nell’oscurità davanti a sé, in cui non poteva vedere che sagome indistinte avvolte nell’ombra.
Erano blu.
Francisco d’Avalos alzò un sopracciglio, sorpreso. In effetti non era tanto insolito trovare occhi azzurri in questo popolo frutto di mescolanze, soffuso di sangue arabo, ma un colore tanto netto era particolare, specie in contrasto con la carnagione tanto scura. Era un blu cupo, scuro e denso, a tratti poteva sembrare quasi nero se le ciglia folte e lunghe che lo ombreggiavano non lo avessero smentito con la loro tonalità realmente simile all’ebano.
Sensualità.
Anche questo doveva essere uno dei peccati di quell’uomo, se non altro era questo che il suo corpo sembrava esprimere. Quella sensualità, quella carnalità umana fonte di peccato che invece andava mortificata, piegata, sottomessa alla crescita e al benessere dello spirito, dell’anima che aspirava ad essere vicina a Dio.
Poggiò quietamente una mano sul bracciolo e inspirò, dando inizio all’interrogatorio.
“Siete voi Alejo di La Guardia, giustamente arrestato da questa Santa Inquisizione di Spagna il ventitré del mese di Maggio in questo Anno del Signore Mille e quattrocentonovantaquattro?” scandì la sua voce chiara e risonante con una durezza che rendeva la domanda un ordine.
Le parole risecheggiarono riempiendo l’ampia stanza degli interrogatori, rimbalzando sulle pareti di pietra e poi spegnendosi in un eco inconsistente.
Il silenzio riscese pesante, solcato solo dallo stridulo rumore dello scribacchiare; l’uomo inginocchiato divorava con lo sguardo la figura avvolta nell’ombra che aveva parlato, incapace di distinguerla.
No, non si era sbagliato, l’orgoglio sosteneva ancora con la sua vanità quest’uomo. Non era certo conscio del suo peccato, si sentiva ancora pieno di diritti, quasi non fosse colpevole, invece di chinare il capo e implorare il perdono della Chiesa. Un senso di fastidio pieno di aspettativa lo prese: gli avrebbe fatto capire l’enormità delle sue colpe, e avrebbe dato a Dio giusta ammenda per l’offesa che quest’uomo gli arrecava.
“Rispondete! Siete voi Alejo di La Guardia?” ripeté con una nota ancora più dura nel tono che però sembrava in apparenza quieto, quasi dimesso. Era sempre così. Non c’era bisogno di urla, la Chiesa sapeva punire e redimere senza per questo perdere la sua dignità, la quieta dignità del giusto.
“Sì, lo sono, e chiedo di cosa io sia accusato!” rispose infine di getto una voce profonda, che sembrava vibrare nell’aria con la sua ira repressa.
Aveva raddrizzato le spalle e la testa: ora la sua espressione fiera, quasi di sfida, era evidente. Guardava fermo nella sua direzione, in un modo tanto deciso che per un attimo pensò potesse in effetti vederlo chiaramente, ma sapeva che era impossibile. Era orgoglio, l’orgoglio lo sosteneva in quello sguardo; ma l’avrebbe spezzata rapidamente questa sua presunzione...
“Dovreste chiedere alla vostra anima di cosa siete accusato. Confessate le vostre colpe e prostratevi di fronte alla Chiesa di Cristo che ha la clemenza e il perdono tra le sue infinite virtù.” disse serenamente.
L’uomo ebbe un sussulto rabbioso, per un attimo un sogghigno feroce gli solcò il viso e riabbassò la testa di scatto. Quando la rialzò la sua espressione era impassibile, fredda, gli occhi fissavano il suolo davanti alle sue ginocchia.
“Non capisco di cosa parliate, nella mia vita ho sempre cercato di essere un buon cristiano per quanto sia umanamente possibile.” disse la voce profonda, assumendo un’impercettibile sfumatura vellutata ora che era quieta.
Il gioco della menzogna era iniziato. Quest’uomo non era pentito, non aveva vergogna per ciò che aveva fatto, il maligno operava in lui senza ostacoli. In quell’istante seppe che il fuoco avrebbe purificato quell’anima, che la sua condanna era ineluttabile e che l’avrebbe emessa senza remore, con il piacere di difendere e servire Cristo. Il suo destino era già deciso, per quanto a lungo quel processo si sarebbe potuto protrarre la sentenza era già scritta a chiare lettere nella sua mente e l’avrebbe messa in atto.
“Vedo che siete un portatore di menzogne. Come potete affermare di essere sempre stato un buon cristiano? Voi? Non siete dunque circonciso com’è segno dei giudei? Non siete voi stato ebreo come del resto vostro padre e i suoi avi prima di lui?”
Il viso rimase impassibile.
“E’vero, lo fui, ma molti anni or sono. Passai alla vera fede della croce che ero ancora un ragazzo e da allora non me ne sono più staccato servendo con fede la Spagna, il suo Re e la sua Chiesa.”
Lurido cane! la falsità di questi ebrei non ha limiti.
“Dunque voi negate ancora le accuse che vi sono state mosse? Avete già subito due interrogatori prima di questo, vi sono stati mostrati gli strumenti, è dunque necessario che sia il ferro rovente nella vostra carne a convincervi a confessare?”
L’uomo serrò la mascella. La sua pelle era lucida di un velo di sudore ma i suoi occhi rimasero fermi, gelidi.
“Come vi ho detto io non ho idea di quali siano le accuse che mi sono state mosse, non posso rispondere di qualcosa che non conosco.” una leggerissima nota roca si era inserita in quella voce forzatamente sicura.
Questa reticenza inammissibile andava punita subito.
Un piccolo sorriso, quasi dolce, gli fiorì sulle labbra. Alzò la mano facendo un piccolo gesto e una delle guardie alle sue spalle si mosse rapidamente verso l’uscita seguita dagli occhi dell’imputato.
“Dunque voi non sapete... sarà quindi necessario che vi confrontiate con la vostra coscienza, come se essa fosse personificata davanti a voi. Vi aiuterò in questo. C’è qualcuno che è la vostra coscienza. Alejo di La Guardia, voi siete stato sposato, vero?”
Lo vide irrigidirsi. Per un attimo sembrò tremare.
“Rispondete dunque, è vero che siete stato sposato e che vostra moglie morì di parto sette anni fa?”
Prese fiato. Distolse lo sguardo.
Frate Francisco D’Avalos sorrise: era questa dunque la strada per piegare questo cane del demonio.
“Quale importanza ha questo ora? Sì, mia moglie è morta anni or sono...” mormorò come soprappensiero, tra sé e sé.
“Non temete Alejo di La Guardia, la Chiesa non lesina tempo ad ogni suo fedele. In questo momento riteniamo sia importante per voi riflettere su voi stesso, e chi meglio di un figlio può aiutarvi in ciò?”
La testa bruna dell’uomo si sollevò di scatto, lo sguardo divenne febbrile.
“Lasciate stare mio figlio! Lui non c’entra.” ringhiò. Un suono duro, di gola.
“Padre!!”
In quel momento una voce infantile risuonò piccola e impaurita nella stanza ampia, e l’uomo si voltò di scatto.
Alle sue spalle c’era un bambino di sette anni. Suo figlio.
Francisco sorrise appoggiandosi allo schienale e guardando il bambino spaventato, pulito e pettinato come sua nonna lo aveva consegnato piangente alle guardie che erano andate su suo ordine a prelevarlo.
Era esile e i suoi capelli erano neri, ancora di più di quelli del padre, ma leggermente più mossi e i suoi occhi erano castani, non blu, probabilmente aveva preso l’aspetto dalla madre. Non era circonciso, aveva fatto controllare.
Suo padre si rialzò di scatto ormai completamente girato verso il bambino.
“Adàn!! Stai bene?!” chiese con un tono impastato di emozioni contrastanti. Paura, rabbia, amore. Era furioso e temeva per lui, ma se avesse lasciato trasparire troppo quel timore avrebbe spaventato ancora di più suo figlio. Così cercava di mantenere un tono il più possibile sereno.
“Sì papà, ma voi, voi come state?! Perché siete legato?!” balbettò il ragazzino prossimo alle lacrime cercando di avvicinarsi a suo padre nonostante la guardia lo trattenesse.
“Adàn di La Guardia, venite avanti, la Santa Inquisizione vuole porvi alcune domande.” disse interrompendo bruscamente quella scena.
Il bambino sgranò gli occhi terrorizzato guardando nella sua direzione e la guardia lo spinse avanti.
“LASCIATELO!! LUI NON C’ENTRA NIENTE, SONO IO AD ESSERE ACCUSATO!!”
Il grido dell’uomo risuonò rabbioso nella stanza mentre lui faceva per avvicinarsi al figlio. La guardia che lo controllava lo colpì sul fianco facendolo crollare di nuovo in ginocchio e trascinandolo di nuovo col viso rivolto verso lo scranno dell’inquisitore.
“PADRE!!” strillò il bambino.
Stolto. Così anche questo hai fatto vedere a tuo figlio.
“Non temete Alejo di La Guardia, la Santa Inquisizione non vuole certo far del male a vostro figlio. Anzi, proprio vostro figlio vi aiuterà ad ascoltare meglio la vostra anima.” disse freddamente.
Il bambino ora era davanti a lui, lo guardava con gli occhi scuri sbarrati, atterrito. Era un bel bambino, aveva un’aria sveglia e un visetto dolce. Gli piacevano i bambini, era forse l’unico lato smussato che avesse in un carattere altrimenti molto rigido, ma ora quel bambino non era che un teste, o meglio uno strumento visto che era ancora troppo piccolo perché la sua testimonianza avesse valore. Ma era utile, molto utile per piegare suo padre.
“Adàn di La Guardia, sei tu stato battezzato secondo il rito della Santa Chiesa di Roma?” gli chiese freddamente.
Il piccolo si girò automaticamente verso suo padre, come cercando la risposta.
“No, Adàn, non è a tuo padre che ho rivolto la domanda ma a te. Non sei dunque in grado di dirmi se sei o no cristiano?” concluse con un tono indignato.
“LASCIATELO STARE!!” urlò ancora la voce del padre.
“Adàn?” incalzò lui duramente.
Il bambino riportò lo sguardo sull’inquisitore. Tremava visibilmente.
“I... Io... sì signore, sono cristiano...” balbettò.
“Bene, infatti anche tua madre apparteneva a una famiglia cristiana da generazioni, e dopo la sua morte è sua madre, tua nonna, che bada a te, non è così Adàn?”
“Sì signore”, rispose facendo segno di sì col capo.
“Dunque, ora io ti porrò delle domande Adàn, e tu dovrai rispondere sinceramente perché è la Santa Inquisizione, la tua Chiesa a portele, e se tu mentissi mentiresti a Cristo e a Dio provocando senza dubbio la loro ira, capisci Adàn di La Guardia?”
Il bambino terrorizzato assentì appena con la testa, paralizzato dal timore. Probabilmente in quel momento associava la sua figura, che aveva davanti a sé e che gli incuteva tanta paura, a Dio adirato, anche a lui succedeva da bambino, quando per qualche ragione era portato davanti all’abate del convento in cui era cresciuto dai sette anni in poi.
Sorrise impercettibilmente ma poi tornò ad essere gelido come sempre. Lanciò un’occhiata al padre che fissava la scena, con il viso teso fino allo spasmo dalla rabbia.
“Dunque Adàn, tuo padre è Alejo di La Guardia?”
“Sì signore.”
“E tuo padre è cristiano?”
“Sì signore.”
“Tuo padre partecipa spesso alle funzioni religiose con te?”
“Sì... a volte signore, spesso vado con mia nonna.”
“Bene Adàn... e ora dimmi, sai che cos’è il Sabbath?”
“È il giorno del riposo signore, il settimo.”
Per un attimo l’inquisitore lo fissò in silenzio, e lo vide di nuovo tremare sotto il suo sguardo.
“E sai dirmi cos’è la Domenica?”
“È... il giorno del Signore...” balbettò.
“E se il Sabato è il settimo giorno la Domenica è dunque l’ottavo?” chiese duro, severo.
Il bambino non rispose, lo fissò terrificato incapace di aprir bocca.
“Se sei un bambino cristiano Adàn, chi ti ha insegnato cos’è il Sabbath?”
Nessuna risposta.
“Rispondi Adàn, ti è stata posta una domanda.” ingiunse duro.
“M... Mio... P... Padre...” balbettò, e una lacrima gli scivolò su una guancia.
“ORA BASTA!!! LASCIATELO STARE, SIETE UN CANE PRIVO DI CUORE È SOLO UN BAMBINO!!!”
Si girò verso l’uomo.
Era fuori di sé, tremava dalla rabbia trattenuto rudemente in ginocchio dalla guardia, fissandolo con i suoi occhi blu roventi.
Fece un gesto con la mano. Il bambino che ormai piangeva apertamente chiamando il padre tra i singhiozzi fu portato via.
“Dunque Alejo di La Guardia, vi è forse tornata la memoria che avete tanto da gridare? Vostro figlio è un cristiano eppure sembra sia stato influenzato da una religione che non è la sua, parla come un giudeo e riteniamo che se non fosse per la famiglia della vostra moglie defunta lo sarebbe, non è vero? Dunque parlate, la verità sa essere accolta con clemenza ve l’ho detto.” ingiunse con disprezzo, mentre la sua mente sapeva bene che la clemenza a cui si riferiva era quella di Dio per la sua anima, non certo dell’Inquisizione per la sua vita.
“Io non so di cosa stiate parlando.” ringhiò l’imputato serrando i denti.
“No? Allora suppongo non sappiate neppure dirmi i nomi dei due giudei che tredici giorni or sono erano nella vostra casa, nascosti alle autorità.”
Gli occhi dell’uomo si spalancarono per un attimo e un lampo di disperazione solcò quelle iridi blu.
“Non so di cosa parliate, nessuno è stato nella mia casa. Voi osate toccare mio figlio e vi farò rimpiangere di essere venuto al mondo, chiunque voi siate!” sibilò con odio.
“Io non rappresento me stesso, io rappresento la Chiesa e la Spagna e voi le avete tradite e infangate entrambe. Ve lo chiedo per l’ultima volta, confessate!!”
L’ira stava crescendo in lui. L’alterigia di quell’uomo era un oltraggio che non poteva essere tollerato, forse solo la tortura sarebbe servita.
Gli occhi blu fissarono la figura dell’inquisitore sullo scranno, poi un espressione disgustata gli aleggiò ai lati della bocca.
“Io non so di cosa parliate, ho servito sempre fedelmente la Spagna e la sua Chiesa.” ripeté con tono piatto.
Francisco D’Avalos batté con violenza la mano sul bracciolo di legno, poi si alzò di scatto.
“Bene! Lo avete voluto!! Sarete riportato in cella fino a che non vi deciderete ad abbandonare queste inutili menzogne o forse la tortura vi porterà maggior consiglio, e riguardo a vostro figlio sarà affidato ad un convento, in modo che la sua mente possa essere purgata da tutte le orribili insidie giudee di cui VOI l’avete riempita!”
La sua voce rimbombava ancora tra le mura di pietra quando si levò, roca di rabbia, anche quella dell’uomo.
“VOI SIETE UN DEMONIO! NON OSATE TOCCARE MIO FIGLIO NE PARLARE CON LUI E ACCUSATEMI A VISO SCOPERTO, NON NASCONDENDOVI NELL’OMBRA COME UN VIGLIACCO!”
La guardia che era al suo fianco fissò l’inquisitore chiedendo con lo sguardo se dovesse intervenire, ma egli levò una mano facendogli cenno di fermarsi e venne avanti.
I suoi passi risuonarono nel silenzio che era calato di colpo mentre avanzava verso l’imputato inginocchiato, ed infine emerse nella luce. I suoi occhi di ghiaccio erano freddi e affilati come lame mentre fissavano quell’uomo, ma il suo viso rimase impassibile, i suoi lineamenti armoniosi e limpidi composti in una maschera di pietra.
Gli occhi dell’uomo si sgranarono, per un attimo il viso dell’imputato fu rapito da uno stupore assoluto mentre guardava la figura avvolta nel saio bianco che aveva davanti, immersa ora anch’essa nella luce diretta.
“Non nutro nessun timore di mostrarmi, perché nessuna ombra è nella mia anima. Siete un ebreo e un falso cristiano, avete insultato Cristo e la mia Chiesa, e per questo sarete punito.” disse con una calma terribile la voce chiara e risonante che prima veniva dall’ombra, poi l’inquisitore si voltò e l’imputato fu trascinato via.


Lo fece fustigare.
Sapeva che probabilmente quello sarebbe stato solo l’inizio, cinquanta vergate non avrebbero certo piegato quell’uomo, presto sarebbe passato a sistemi più adatti a un simile giudeo del demonio. Le frustate in fondo erano più per la sua impudenza inammissibile verso l’autorità dell’Inquisizione.
Quando aveva visto quegli occhi da vicino vi aveva scorto una rabbiosa minaccia: invece che piegarlo l’episodio in merito a suo figlio sembrava averlo reso ancora più ostinato, ma del resto il peccato, quando è tanto radicato e oscuro, non può essere sradicato che col fuoco, lo sapeva bene. Aveva però bisogno di una confessione.
I due ebrei arrestati che avevano fatto il suo nome sotto tortura erano stati ricompensati con lo strangolamento prima del rogo: uno spreco, ora che erano morti non era possibile un confronto con l’imputato che invece sarebbe stato vantaggioso, e la loro testimonianza sebbene fondamentale non bastava a procedere, ma quello era stato un procedimento a lui estraneo visto che i due erano stati arrestati in un'altra provincia e non aveva certo l’ardire di giudicare l’operato di un’altro inquisitore.
Il figlio se fosse stato solo cinque o sei anni più grande sarebbe stato una prova perfetta, la sua testimonianza avrebbe avuto valore e con quella avrebbe potuto portare suo padre al rogo senza problemi, ma così... così era necessaria una confessione, era il metodo più rapido e semplice, dunque era uno scontro diretto: prima o poi lo avrebbe fatto parlare.
Due giorni dopo si recò nella sua cella, di notte.
Era angusta e buia, lercia di sudiciume e fetore che sembrava emanare dalle pareti umide, quasi la stessa pietra stesse marcendo. Era come tutte le altre che aveva visto, era come doveva essere, abituato alla camera di tortura non provò disgusto per tutto ciò.
Entrò in silenzio, una guardia posizionò per lui una sedia nel mezzo della stanza e una lucerna fioca in un angolo, poi uscì. L’imputato, che dormiva nel pagliericcio per terra, non avvertì nulla restando immerso nel suo sonno.
Si accomodò e fissò per qualche istante la camicia stracciata e insanguinata che ricopriva malamente la schiena dell’uomo solcata dai segni. Tremava. Doveva avere la febbre molto alta, era venuto dopo aver saputo che aveva delirato l’intera giornata. Probabilmente era l’effetto delle frustate, se non si fossero infettate tra due giorni la febbre sarebbe scesa, altrimenti Dio avrebbe compiuto il lavoro che l’Inquisizione si accingeva a compiere in suo nome. Ma questo era comunque un momento favorevole per estorcere una confessione, più gli uomini sentivano vicina la morte più il loro animo sapeva piegarsi.
Una volta aveva visto il caso di un ebreo implicato in un processo, non un conversos, che sentendosi in punto di morte aveva chiesto un rabbino. L’inquisitore che dirigeva il caso e a cui lui, ancora semplice frate, era stato affidato perché facesse esperienza, trovò allora un cristiano esperto in materia e che parlasse in un ottimo dialetto ebraico e lo mandò dal prigioniero come se fosse un rabbino. L’uomo parlò confermando le accuse, due giorni dopo la febbre scese miracolosamente e l’Inquisizione, ormai in grado di procedere, emise la condanna. Fu bruciato sul rogo.
“Alejo di La Guardia, alzatevi, la Santa Inquisizione deve porvi alcune domande.” pronunciò con un tono elevato, urgente e brusco.
La schiena si scosse con un sussulto e l’imputato si sollevò di scatto a sedere guardando fisso davanti a sé, terrorizzato. Rimase fermo così per qualche istante, semicosciente, poi si lasciò ricadere su un fianco con un gemito di dolore.
Francisco D’Avalos pensò a quanto fosse miserevole ora rispetto a quando lo aveva visto nella sala dell’interrogatorio. Ma quest’uomo soffriva proprio perché aveva rifiutato Dio, quindi la miseria della sua anima era infinitamente più grande di qualsiasi miseria potessero arrecare al suo corpo. E la pietà non doveva entrare in un processo affinché fosse giusto, MAI, lo aveva imparato assistendo in modo impassibile a torture orrende, orrende ma necessarie.
Aspettò che si acquietasse di nuovo, accucciato su un fianco e scosso dai tremiti della febbre.
“ALEJO DI LA GUARDIA!!” ripeté poi di colpo.
Di nuovo l’imputato fu scosso da un sussulto tormentato e l’inquisitore lo vide sbarrare gli occhi lucidi, vacui per un momento, ma infine quelle iridi agitate incontrarono la sua figura seduta nella stanza. Si sollevò a stento, gemendo ogni volta che muoveva la schiena ma senza distogliere gli occhi da lui, guardandolo febbrilmente incredulo come si può guardare un’allucinazione.
E un’allucinazione doveva sembrargli in effetti, tra la febbre e il chiarore fioco e rossastro della lanterna.
“ALZATEVI, LA SANTA INQUISIZIONE DESIDERA PORVI ALCUNE DOMANDE.” ordinò sferzante incalzando la sua percezione già distorta.
L’uomo si passò una mano tremante tra i capelli scuri arruffati che gli ricadevano sugli occhi, come per valutare se era sveglio o meno.
“Voi... siete...” balbettò roco.
“Vi ho appena dato un ordine Alejo di La Guardia, alzatevi.” ripeté l’inquisitore alzandosi e scansando la sedia “Venite nel centro della stanza”
L’uomo si guardò intorno con gli occhi lucidi, come se non capisse dov’era.
“Devo dunque chiamare le guardie? E’necessario che vi frustino ancora?” chiese gelido, fissandolo con i suoi occhi di ghiaccio che quella luce fioca accendeva di una sfumatura rossastra come catturando il bagliore della fiamma.
L’imputato emise un singhiozzo strozzato, disperato, poi iniziò a cercare di sollevarsi e ci riuscì, tenendosi la testa con le mani e appoggiandosi al muro. Riprese fiato mentre sembrava che quella fatica lo avesse reso leggermente più lucido nello sguardo, la sua camicia era a brandelli, completamente aperta sul davanti.
“Qui, nel centro” ordinò l’inquisitore scansandosi appena e continuando a sondarlo con quelle iridi impressionanti.
L’altro lo fissò, divorandolo con gli occhi scuri, lucidi e febbrili che sembravano di un nero indefinibile invece che blu nell’oscurità, e avanzò incerto verso il centro senza distoglierli da lui.
“E’... vero o sto sognando?” balbettò roco.
“Alejo di La Guardia, voi siete un ebreo?” chiese senza rispondere, avanzando di un passo e girando intorno a quella figura più alta di lui di un palmo ma incerta sulle gambe, tremante.
“Io... Mio padre... ma che cosa volete... ?!”
Le palpebre si strinsero in due fessure ostili, sofferenti. Iniziava a capire che era reale, iniziava a mettersi in guardia.
L’inquisitore serrò le labbra, irato. Questo dannatissimo ebreo era di un’ostinazione infinita, nonostante tutto, nonostante la febbre si stava già chiudendo sulla difensiva. Maledetto.
“VI HO CHIESTO SE SIETE UN EBREO!! RISPONDETE, LO SIETE DUNQUE?” gridò arrivandogli davanti e fissandolo per un attimo negli occhi.
Rimasero immobili per un istante, poi un sorrisetto divertito e sprezzante comparve su quei lineamenti esausti.
“No. Io sono un cristiano.” disse tranquillo, provocatorio, come sbattendoglielo in faccia.
“Mentite.” sibilò gelido l’inquisitore. “Il demonio reclamerà la vostra anima, siete dannato e non lo capite. Pentitevi e implorate il perdono di Dio e della sua Chiesa.”
Continuarono a fissarsi in silenzio mentre il sorriso cinico si allungava sulla bocca dell’uomo.
“Messer Inquisitore, io sono un buon cristiano, se il demonio vorrà un anima quella sarà la vostra.”
“Io non credo vi convenga insistere con questo atteggiamento, non capite la gravità della vostra posizione?”
“Voi invece la capite? Cosa sapete voi di me? Come osate molestare mio figlio?!”
L’inquisitore socchiuse gli occhi.
“Io non ho affatto molestato vostro figlio, VOI stavate irretendo la sua anima! Perché voi siete ancora un giudeo, siete un insulto per Cristo!”
“Vi ripeto che siete in errore, insistete a voler vedere cose che non esistono, la verità è che godete nello schiacciare uomini innocenti, la vostra anima è nera come l’Inferno stesso.”
“Siete un impudente, mitigherete il vostro tono nella camera di tortura dunque.” ringhiò l’inquisitore senza distogliere lo sguardo.
L’espressione dell’imputato si rabbuiò di colpo.
“Siete molto bravo a parlare di tortura Messer Inquisitore, forse perché non l’avete mai provata. Ma avrete una giusta punizione per la vostra ferocia, io ho fede che sarà così. Dio non ordinò certo di bruciare uomini in suo nome, ne Cristo di tormentarli con torture orribili che li fanno gemere in modo atroce ogni notte come io sento da qui. Il vostro agire è dettato dal demonio.”
L’inquisitore lo schiaffeggiò violentemente.
“VOI SIETE UNO SFRONTATO!! COME OSATE?! IO RAPPRESENTO LA CHIESA, VORRESTE DUNQUE DIRE CHE SIETE UN MIGLIOR PORTAVOCE DI DIO DELLA CHIESA STESSA?!” gli urlò sul viso.
Lo sguardo dell’uomo divenne terribile, il viso gli si deformò in una maschera rabbiosa.
“SI CHE LO SONO!! LA VOSTRA CHIESA NON E’ALTRO CHE UN COVO DI LADRI E LURIDI SERVI DEL DENARO E DEL MALIGNO, SE QUESTA È LA CHIESA DEL VOSTRO CRISTO DOVRÀ ESSERNE BEN FIERO, E VOI, VOI SIETE UN DEMONIO INVIATO DALL’INFERNO STESSO A TORMENTARMI!!!!”
Lo aveva detto. In quella frase volendo c’era abbastanza per portarlo al rogo, ma Frate Francisco D’Avalos non riuscì neanche a rendersene pienamente conto perché l’uomo lo afferrò per le spalle.
L’inquisitore fece per urlare, ma qualcosa glielo impedì. L’imputato lo serrò contro di sé e premette la bocca sulla sua afferrandogli la nuca con una mano per tenerlo fermo.
Per un attimo non capì nemmeno cosa gli stava succedendo: non vedeva più l’imputato, vedeva solo delle ciocche di capelli scuri e uno squarcio del soffitto, e sentiva un calore addosso, un calore come non aveva mai sentito, che sembrava irradiarsi dalla sua bocca ovunque.
Si riscosse quando sentì il tocco caldo sulle sue labbra MUOVERSI.
Allora tornò in sé e sentì delle dita accarezzargli la nuca scivolando tra i suoi capelli, un braccio tenerlo per la vita e un corpo caldo e duro spinto contro il suo, un odore sconosciuto avvolgerlo, una bocca estranea sulla sua.
Il terrore lo invase. Cercò di urlare, di divincolarsi, ma qualcosa di umido e caldo gli accarezzò invece le labbra e poi la bocca, entrando dentro di lui. Emise un singhiozzo isterico e soffocato, incapace di difendersi da quella cosa che gli stava facendo.
E fu costretto a subirla dall’inizio alla fine. Furono attimi ma gli sembrò un tempo infinito mentre sentiva quella sensazione morbida nella sua bocca. Si rese conto che gli stava accarezzando la lingua con la sua e cercò di ritrarsi inorridito, ma le braccia che lo tenevano lo strinsero di più mozzandogli il fiato, una mano gli scese lungo la schiena facendolo rabbrividire: di colpo sentì una strana sensazione... aveva come voglia di chiudere gli occhi, le palpebre gli scendevano da sole.
La bocca si ritrasse dalla sua trascinando le sue labbra con sé fino all’ultimo. Si ritrovò a fissare quel viso, quegli occhi scuri dalle lunghe ciglia nere vicinissimi.
L’uomo lo guardava con un’espressione quasi folle, incredula, sconvolta.
“E’vero... voi siete uno strumento del demonio venuto a dannarmi l’anima… per questo siete così bello, per tentarmi e farmi dannare...” sussurrò roco.
“V... Voi... siete... pazzo…” ansimò a stento, incapace di muoversi, di sciogliersi da quella stretta, di urlare, terrorizzato.
Ma l’uomo non lo ascoltava nemmeno. Vide i suoi occhi scuri fissare qualcosa sul suo viso: capì che gli stava fissando le labbra e desiderò di provare ancora quel calore terribile.
Desiderò di essere baciato.
“LASCIATEMI!!!” strillò di colpo, divincolandosi furiosamente. L’uomo fu colto di sorpresa da quella reazione improvvisa e lo lasciò andare, indietreggiando di un passo.
“CHE SIATE DANNATO, VOI SIETE L’ANTICRISTO!!!” gridò con la voce chiara resa roca dal furore il giovane frate, poi, con gli occhi sbarrati, si precipitò fuori dalla porta e si allontanò ignorando la guardia.

 

- fine capitolo 1 -