Raiting: R
Trama: Costa Azzurra, inizi del '900. Gli occhi che finalmente si aprono, i ricordi che assumono un significato, e la schiacciante certezza di essere l'elemento di troppo...

 


Le risposte del mare

di Elenele

*fic scritta per il progetto letterario "Morceaux"

 

Arrivò alla spiaggia senza fiato, tremando come una foglia per il vento e per questo dolore che sembrava dovesse spaccarle il petto da un istante all’altro. Nulla, nulla era più come prima. Niente poteva più tornare a posto, dopo quello che aveva dovuto vedere! Cadde in ginocchio, il respiro che quasi le graffiava la gola, le mani strette in grembo, il bell’abito di mussola bianca sporco di terra.
Rimase immobile così per chissà quanto, poi finalmente alzò lo sguardo verso il mare. Era scuro, schiumoso, scosso da onde regolari e cattive che facevano rotolare avanti e indietro i sassi rotondi della riva. Come le aveva sempre fatto paura il mare in inverno, quando sembrava una creatura rabbiosa che voleva inghiottirti! Le sembrava impossibile, di fronte alla distesa immobile e turchina dell’estate, riuscire a credere che quello stesso mare potesse trasformarsi così. Ma forse era lei che non sapeva vedere le cose, o - meglio ancora - dietro le cose. Altrimenti si sarebbe accorta di quello che stava succedendo, no? Avrebbe saputo capire prima, leggere negli sguardi, nelle lacrime…
E invece non aveva voluto vedere fino all’ultimo, fino a che non aveva visto con i suoi stessi occhi – quelli del corpo, non certo quelli dell’anima, che erano ciechi – i due corpi stretti in un abbraccio violento, le labbra unite, gli occhi serrati per lasciar fuori tutto il resto, per lasciar fuori lei…
Come avevano potuto fare qualcosa di così orribile, di così sbagliato? Come avevano potuto tradirla in quel modo? Rovinare tutto, cancellare l’amicizia e l’amore profondo che li aveva uniti come fratelli, fin da bambini?
Si passò una mano sul volto, sforzandosi di fare un respiro profondo. Singhiozzava senza riuscire a piangere. Si alzò di scatto, torcendosi le mani. Non riusciva a rimanere ferma lì, ma non aveva nessun posto in cui andare… fece ancora qualche passo verso l’acqua, irrequieta. Un’onda più lunga delle altre le bagnò i piedi e l’orlo della gonna. Il brivido gelido che le percorse il corpo le sembrò quasi una liberazione da tutta quella angoscia che la soffocava… mosse ancora qualche passo, senza sentire il freddo. Forse per la prima volta in vita sua, non c’era nessuno a dirle che avrebbe preso freddo, nessuno a ricordarle quanto era delicata, nessuno a posarle lo scialle sulle spalle… non c’era Paul accanto a lei, e davvero le sembrava che fosse la prima volta da quando era nata.

Erano tre bambini così diversi, eppure inseparabili. Paul, scuro di pelle e di capelli, con quei modi seri e compiti che lo facevano sembrare un adulto in miniatura, e quel voler sembrare coraggioso a tutti i costi, anche quando moriva di paura. Appena un paio d’anni più di lei, e le sembrava già così grande.
Etienne, suo fratello minore, dalle lentiggini che tanto la facevano ridere e gli occhi enormi, di un blu acceso, uguale a quello che aveva il mare in estate, quando lasciavano la loro casa a Grasse per la piccola villa a Nizza. Un bambino silenzioso che adorava ascoltare storie ed osservare gli adulti senza farsi vedere.
E infine lei, la Piccola Sophie, come tutti la chiamavano ancora adesso. Una bambola dalla pelle chiara ed i boccoli biondi, quasi ramati, che se ne andava in giro sempre con la testa tra le nuvole, e non riusciva mai a capire quando la stavano prendendo in giro.
Ogni gioco, ogni scoperta, ogni lacrima era sempre stata condivisa, in ogni cosa erano sempre stati loro tre. Era come se il loro reciproco affetto potesse colmare tutto ciò che mancava.
Era una consolazione per la lontananza dei genitori di Paul, che erano in India, in una zona così poco adatta per un bambino che avevano dovuto affidarlo alla famiglia di Sophie, in nome di un’antica amicizia che legava i loro padri, come fossero fratelli.
Era quel calore che la madre di Sophie ed Etienne non aveva mai saputo dare loro, così austera e rigida, fasciata negli elegantissimi abiti scuri che la rendevano ancora più alta e regale di quanto già non fosse, ancora più inaccessibile…
Una madre a cui non assomigliavano nemmeno: loro così pallidi e delicati, lei così scura e forte, dai piccoli occhi neri ed il collo elegante. Che solo una volta aveva deciso di entrare nella vita di Sophie, il giorno in cui le aveva detto, con qualche elegante giro di parole, che ormai era grande, e non era più il caso di continuare a passare tutto quel tempo con due ragazzi, magari a zonzo come piccoli selvaggi. Ma appena Sophie aveva pensato – con terrore – all’idea di dover lasciare Paul ed Etienne, ecco che sua madre aveva insinuato il dubbio, o magari la gradita ipotesi, che tra lei e Paul potesse esserci qualcosa. Qualcosa che non andava represso, se lei lo voleva, ma in ogni caso riportato sui binari che erano giusti per un affetto del genere.
Ed un discorso simile, di certo, doveva averlo fatto anche a Paul, perché, poche settimane dopo Sophie se l’era trovato davanti, improvvisamente imbarazzato – come con lei non era mai – a chiederle di sposarlo.
Poteva rifiutare? C’era forse qualcuno al mondo a cui voleva bene come a Paul? Ed ecco che nel giro di poco più di un anno la sua vita era cambiata: da una ragazzina timida che passava tutto il tempo con i suoi più cari amici, si era ritrovata adulta e fidanzata, prima ancora di aver capito cosa poteva voler dire.

Quanto si era sentita fortunata, allora, quando le sembrava che i suoi desideri si avverassero persino prima di poterli formulare! Ma ora, in preda all’angoscia, vedeva come in quell’anno le loro vite fossero cambiate anche in un’altra direzione, così sotterraneamente da non poterlo prevedere.
E forse tutto era cominciato la sera di Carnevale. Per giorni e giorni erano stati in agitazione, perché era il momento di organizzare la tradizionale festa in maschera che ogni anno si teneva nella loro villa, ed ora tutto era pronto. Le amiche più strette erano già arrivate, e la sua stanza era piena di costumi, di maschere, e del chiacchiericcio incessante delle ragazze che si preparavano.
Ogni anno, in occasione del ballo, i più giovani architettavano qualche scherzo o qualche buffonata. Quella volta le ragazze si erano impuntate a voler vestire Etienne da donna, e farlo entrare in sala così, senza dir nulla a nessuno. Lui si era opposto per un po’, ma alla fine aveva ceduto di fronte a tutte quelle moine, e Sophie si era ritrovata a pensare che quasi si vergognava di quel fratello così remissivo. Ma era davvero giovane allora, e il loro padre era sempre stato così severo e duro con loro, che certo non poteva aspettarsi da Etienne la sicurezza così virile che aveva imparato ad ammirare in Paul.
Ma la serata era bellissima, e lei era così orgogliosa del suo abito da Bacco, con i grappoli di uva finta sulla gonna ed ai lati del capo, che non c’era posto per i pensieri sgradevoli. Soprattutto non dopo che Paul era entrato per vezzeggiarle un po’ tutte e si era fermato a lungo ad ammirare il suo costume.
Almeno finché quell’oca di Annette Marie non era saltata in piedi tutta eccitata ed aveva messo ad Etienne una delle maschere che avevano preparato, gridando:
“Paul, Paul, ti piace la nostra nuova amica?”
Ed Etienne, che fino a quel momento aveva scherzato con loro, pavoneggiandosi nei suoi abiti da donna, era arrossito quasi fino alle lacrime, ed aveva abbassato gli occhi, tremando.
Sophie aveva pensato di non essersi mai accorta, prima di vederli dietro quella maschera, quanto fossero belli ed ornati da ciglia lunghe gli occhi di suo fratello.
Paul aveva smesso subito di ridere, e al ballo aveva continuato a fissare Etienne ogni volta che aveva potuto, con un’espressione mista di rabbia e turbamento, tanto che Annette Marie – che era sempre stata gelosa di lei, Sophie ne era certa – aveva sussurrato qualcosa dietro al proprio ventaglio, su come Paul si fosse fidanzato con il Fragonard sbagliato.
Ma la loro era una famiglia in vista, e sapeva di dover sopportare qualche malignità ogni tanto. Sua madre le aveva insegnato a non darvi peso, e lei era ben decisa a farlo. Vi sarebbe riuscita benissimo se, quando Etienne le aveva riportato i suoi vestiti dopo la festa, non si fosse accorta subito che non c’era la maschera. Lui, interrogato, aveva farfugliato qualcosa sull’averla lasciata in giro da qualche parte nella sala, ma non era così, Sophie ne era sicura. Nei giorni precedenti lei e le altre ragazze ne avevano decorate tantissime di quelle maschere, un po’ da indossare ed un po’ per decorare la sala, e quella la ricordava bene, perché l’aveva fatta lei stessa: nera, con un giro di piccole perle dorate sul bordo e piume azzurre ai lati. E non l’aveva più trovata da nessuna parte. L’idea che Etienne avesse deciso di tenerla, non sapeva esattamente perché, l’aveva ossessionata per tutti i giorni successivi.

Ma poi era stata finalmente fissata la data delle nozze, e Sophie aveva dimenticato tutta quella storia, presa da mille cose nuove e meravigliose. C’era la cerimonia da organizzare, il corredo da terminare, gli abiti da scegliere… ogni giorno sedeva con sua madre ad aprire scatole dai colori pastello in cui, legati da nastri rosa e perfettamente piegati e stirati, erano conservati meravigliosi lenzuoli dai bordi di pizzo, avvolti in fogli di carta velina. Oppure andava in città con la madre e le cugine a scegliere la stoffa ed i modelli per gli abiti nuovi: una giovane sposa aveva bisogno di almeno un abito da viaggio, uno scintillante abito per il teatro, un mantello bordato… e l’abito bianco da sposa, lungo, ricoperto da un sottile pizzo all’uncinetto, che era costato moltissimo… Sophie non si stancava mai di guardarlo e passarvi sopra la mano, sognando.
Il giorno delle nozze si era svegliata con lo stomaco annodato dalla paura e dalla felicità, ma in chiesa c’era Paul, che la guardava così sereno e forte, e subito si era sentita leggera.
E lui era così dolce, sembrava quasi emozionato e non aveva occhi che per lei.
Ma al pranzo era cambiato. Sembrava teso e preoccupato, e più di una volta le era sembrato che fissasse Etienne.
Etienne che se ne stava in un angolo, lontano dai brindisi e dagli auguri, con un’espressione talmente triste che lei era andata ad abbracciarlo.
“Non andrete a vivere lontano, vero Sophie? – le aveva chiesto stringendole la mano, in maniera quasi infantile – lo zio ha detto…”
“No, Etienne, perché dovremmo andarcene da qui?”
E lui aveva sorriso subito, felice, e a Sophie era sembrato di rivederlo nella culla, i grandi occhi socchiusi, mentre lei si alzava in punta di piedi per guardarlo dormire.
Ma in viaggio di nozze Paul aveva cominciato a parlare di un possibile lavoro ad Antibes, e questo avrebbe significato trasferirsi, almeno per i primi tempi… lei era un po’ spaventata all’idea di allontanarsi tanto – in fondo aveva solo diciannove anni, ed aveva sempre abitato lì – ma se c’era Paul, allora tutto andava bene, anche l’Africa o l’India.
Ma l’idea era stata abbandonata presto, e non se ne era mai più parlato. Non dopo quello che era successo al loro ritorno… non dopo che avevano trovato Etienne nel giardino, il pugnale nelle mani tremanti, uno sguardo vuoto che a Sophie aveva gelato il sangue nelle vene.
E come aveva urlato quando Paul aveva cercato di strappargli il coltello di mano, come li aveva accusati di volerlo abbandonare… sembrava pazzo, e nemmeno vederla piangere per la paura gli aveva impedito di puntarsi la lama contro lo stomaco, in un gesto teatrale che aveva strappato a Paul un grido di rabbia e disperazione.
Solo quando Paul, nel tentativo di disarmarlo, si era tagliato profondamente la mano, Etienne aveva lasciato cadere il pugnale, atterrito, e l’aveva abbracciato smettendo all’istante di piangere, improvvisamente immobile e muto.
Quella sera, quando finalmente erano stati soli, Paul le aveva fatto giurare che non avrebbe mai raccontato a nessuno quello che era successo quel pomeriggio. E mentre lui le accarezzava il viso con la mano fasciata, aveva sentito per la prima volta la paura insinuarsi in lei. Quella casa che aveva avuto timore di lasciare cominciava a sembrarle ora una prigione, ed una sottile nausea aveva cominciato ad albergare stabilmente nel fondo del suo stomaco.
Sfiorò con una mano la superficie mobile del mare. L’acqua era arrivata ormai alla cintura, ma le onde l’avevano già bagnata fino al volto. Sfilò lo spillone che tratteneva il cappellino, e si sciolse i capelli. Era ancora bella, no? Si era sempre sentita bella, prima di quel giorno. Soprattutto quando tutte le altre le invidiavano Paul. Come la guardavano quando passeggiava nel giardino al suo braccio, dopo pranzo. Quando tutti gli altri uomini sparivano dietro alle pagine di un giornale, o le volute del fumo della pipa, mentre Paul trovava sempre qualcosa di dolce da dirle, e la invitava a fare due passi fuori. Paul che non la trascurava mai, che si accorgeva sempre se aveva un abito nuovo, se i nastri del suo cappellino donavano al suo incarnato, se sembrava stanca…
Che strana sensazione i capelli bagnati sulla schiena, sull’abito fradicio che si attaccava alla pelle… da quanto non si sentiva così libera, così vuota? Anche la nausea era sparita, niente importava più. Neanche le onde che la stavano trascinando di lato, verso le rocce… ora cominciava a vedere tutto con chiarezza, ogni cosa sembrava andare al suo posto.
Solo ora riusciva a vedere come tutta la sua vita fosse completamente permeata dalla paura, ormai non sapeva nemmeno più dire da quanto tempo…
O forse invece sì. Forse riusciva a vedere chiaramente l’esatto istante in cui quello strano disagio si era trasformato in paura. Era stata una mattina d’estate, nel patio ombroso dietro a casa. Era accaldata e stanca, non vedeva l’ora di sedersi un po’ nel salottino estivo, arredato da poco con le poltroncine di vimini che erano così di moda. Uscendo dal viale alberato aveva visto che Paul ed Etienne erano seduti già sotto il patio, e stavano prendendo il the. Aveva affrettato il passo, per unirsi a loro, ma aveva visto qualcosa che l’aveva fatta fermare di scatto.
Ridevano insieme. Paul aveva la testa rilassata all’indietro, un’espressione distesa sul viso abbronzato. Etienne rideva silenziosamente, gli occhi socchiusi ed il capo chino in avanti. Poi aveva allungato una mano verso la zuccheriera colma di candide zollette luccicanti, ed aveva cercato di prenderne una. Ma Paul gli aveva sfilato da sotto tutta la zuccheriera, scattando in avanti e fissandolo negli occhi, quasi con sfida. E Sophie aveva sentito qualcosa stringerle lo stomaco, come un pugno stretto tra le viscere. Perché Paul aveva preso una zolletta, e senza smettere di fissare Etienne negli occhi, e gliel’aveva portata alla bocca, facendogli tingere le guance di un rosso acceso. Sophie era così ingenua, allora. Era certa che vi fosse qualcosa di strano, di sbagliato nel modo in cui si guardavano, nel rossore di suo fratello, nel gesto lento con cui aveva aperto le labbra per mordere la zolletta. Ma solo quando si era avvicinata al tavolo, e loro l’avevano vista, aveva avuto la conferma di quello che sentiva. Perché Paul aveva ritirato la mano all’improvviso, come un bambino scoperto a rompere i nidi delle rondini, ed Etienne… Etienne era diventato talmente pallido che credeva sarebbe svenuto.
Da quel giorno aveva smesso di passeggiare sola. Di leggere in giardino se loro giocavano a tennis nel prato. Persino di scendere al piano terra se sapeva che entrambi erano in casa. Restava con l’uno o con l’altro come aveva sempre fatto, ma mai con entrambi. Fosse stata un po’ meno ingenua, o un po’ più forte, forse avrebbe fatto il contrario. Forse li avrebbe divisi, tenuti lontani. O controllati se erano vicini. Ma non era forte, tutta la sua forza risiedeva in loro due. Ed aveva troppa paura.
Paura di perderli, di sembrare sciocca, di farli arrabbiare. Ma soprattutto paura di vederli ancora così, mentre si sorridevano o si guardavano in quel modo, come quella mattina nel patio. Di provare ancora quel dolore forte nella pancia e nel petto, e non sapere cosa pensare.
E così la paura era diventata costante, una sorta di rumore di fondo che non smetteva mai. Che aumentava, diventando quasi insopportabile, quando Paul le carezzava la testa, tenendola abbracciata ma guardando lontano, come se pensasse a qualcosa che lei non poteva capire.
Quante volte aveva pianto, in silenzio, mentre lui restava in biblioteca a leggere fino a tardi, e veniva a letto solo quando lei era ormai addormentata. Ma adesso non aveva neanche più voglia di piangere. Non riusciva nemmeno a capire perché avrebbe dovuto farlo.
In fondo, non stava quasi meglio, ora? Ora che non doveva più aver paura di capire, perché ormai aveva già visto tutto ciò che c’era da vedere e quasi era meglio che restare sempre così, come sull’orlo di un precipizio, senza mai decidersi a cadere. In fondo, ora cominciava a capirlo, ci sono paure che non hanno soluzione. Che possono passare solo quando ciò che temiamo davvero si realizza. Come il mare d’inverno, che le era sempre sembrato una creatura terribile, ed ora invece la abbracciava. L’aveva presa tra le sue onde, portandola ancora un po’ dentro di sé, spingendola verso quegli scogli che erano il terrore della loro bambinaia quando da piccoli giocavano sulla spiaggia.
Il mare che le chiedeva di restare con lui, di lasciare soli Paul ed Etienne, che non avevano bisogno di lei.
Non sarebbero più stati in tre. L’incanto della loro unione perfetta si era infranto tanti anni prima. Forse quando lei aveva accettato di sposare Paul, o forse quando Etienne aveva indossato quella maschera dalle piume azzurre…
E se davvero tutto era finito da così tanto tempo, perché restare? Forse davvero il mare aveva ragione, forse le stava spiegando cosa era giusto, e per la prima volta Sophie sapeva da sola cosa fare.