Avvertenza: nonostante le somiglianze con la situazione attuale di questo nostro sporco mondo, devo avvertire che la fic è stata concepita molto tempo fa, per cui il tutto è solo una coincidenza assolutamente non voluta. La sottoscritta non è così folle da scherzare con cose tanto serie quali le differenze culturali o l'imminenza di una guerra, né tanto ingenua da distribuire con estrema leggerezza torto e ragione.
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Le pietre di New Empire

parte V

di Petra


XIII

Milos osservava pieno di meraviglia lo spettacolo che si apriva davanti ai suoi occhi. Erano fermi da pochi minuti in orbita geostazionaria intorno al pianeta Narito, in attesa di ricevere il permesso di atterrare all'astroporto della capitale, e tutta la rappresentanza di New Empire non aveva resistito. La curiosità era stata più forte di qualsiasi pudore, e così, un po' alla chetichella, come per tacito accordo, ognuno aveva raggiunto la sala panoramica ed ora in un silenzio illogico e quasi irreale, ammiravano con gli occhi fissi e il respiro trattenuto la massa luminosa che si stagliava contro l'oscurità immobile dello spazio.
Era immenso quel mondo e quasi completamente ricoperto d'acqua, come un miracolo divino. Un miracolo per nulla meritato visto che Narito era famigerato in tutta New Empire per la corruzione che vi imperava. Come se non bastasse era anche immensamente ricco. Situato al centro del cuore pulsante della galassia, era uno snodo perfetto per ogni traffico e un punto di partenza per ogni nuova idea, non importa quanto audace e strampalata potesse essere. E poi il suo peso politico in seno al Parlamento delle colonie era enorme. A suo confronto New Empire non era che un pugnetto di polvere rappresa ai confini del nulla. Milos avvertiva una strana eccitazione, così forte da fargli quasi rizzare i capelli sulla nuca. Si accorse che intorno a sé i ragazzi delle squadre di New Empire e tutto lo staff degli allenatori osservavano con la sua stessa espressione ammirata ed ostile la colonia.
Il fatto è che nessuno era in grado di resistere a quel fascino, perché era davvero meraviglioso quel pianeta, anche ad osservarlo da lì, a migliaia di chilometri dal suolo, quel suolo verde e azzurro, ricoperto di foreste e oceani, interrotti solo dalle distese delle città, brulicanti di vita, che si innalzavano contro il cielo aperto, privo di cupole.
Erano, soprattutto, però, quelle immense distese oceaniche, che vedeva quasi incresparsi sotto i suoi piedi, a lanciare a ai sensi di Milos un richiamo travolgente.
Una volta un professore di biologia gli aveva piegato che il l'organismo degli esseri viventi è fatto essenzialmente d'acqua e Milos, il nuotatore, aveva assorbito l'informazione senza mostrare il minimo stupore, come fosse una cosa del tutto ovvia e a lui nota da sempre. E adesso, sembrava quasi che il suo corpo avvertisse la vicinanza di tutta quell'acqua e rispondesse con una sorta di canto di nostalgia soddisfatta e di giubilo a stento represso.
Fu una fortuna che potesse godersi quella prima visione, sospeso sopra le nuvole leggere di quel mondo fatto di luce, perché fin dal primo giorno dell'atterraggio fu rinchiuso, insieme agli altri atleti della sua nazionale, dentro le mura della cittadina sportiva, in attesa che cominciassero i giochi pangalattici, e nessun allenatore, né alcun Master accennò mai minimamente alla possibilità di una visita al pianeta.

XIV

La cittadella era divisa in quattro settori, ognuno di essi era occupato da sette fra le colonie che partecipavano alle gare. Ogni settore era indipendente, aveva palestre, piste e piscine per gli allenamenti, e poi i dormitori per gli atleti di ogni squadra e i refettori. Una profusione di spazio e di strutture che New Empire e moltissime altre colonie non avrebbe mai potuto permettersi.
Il risultato era che ciascuna squadra aveva a disposizione tante di quelle palestre in cui allenarsi che in teoria avrebbero potuto passare tutto l'intero periodo dei giochi senza che la squadra di una colonia interferisse minimamente con l'altra.
Milos e gli altri rappresentanti di New Empire si erano immediatamente trovati a loro agio in quella sistemazione che trasudava efficienza e ordine e che poco dava adito alle distrazioni. Perciò lo shock era stato ancora più forte quando erano entrati per la prima volta nel refettorio. Avevano creduto che i loro pasti sarebbero stati consumati in un'anonima mensa ed invece si erano ritrovati in un ambiente curato fin nei dettagli per comunicare un senso di relax e svago. A partire dai colori caldi di cui erano rivestite le pareti, fino alla disposizione disordinata dei tavoli e senza parlare della musica di sottofondo, giustificata da una piccola pista da ballo posta al centro, ogni particolare era stato predisposto per offrire agli atleti un luogo di incontro e di divertimento.
Naturalmente, nessuno era costretto a far amicizia o a rilassarsi se non ne aveva voglia e la rappresentanza di New Empire dimostrò fin dal primo giorno di non averne appunto la benché minima voglia.
Ogni giorno all'ora dei pasti, la squadra di nuoto del pianeta di Milos entrava silenziosa e compatta nella grande stanza. Erano i primi ad arrivare ed i primi ad andare via. Sembrava che ne avessero fatto un punto d'onore di non partecipare allo stile informale di quelle riunioni, anzi l'etichetta veniva osservata da ciascun atleta e membro dello staff con uno scrupolo quasi maniacale. Ognuno sedeva solenne e serio, isolato nel bailamme generale, senza mai partecipare al clima d'allegria che si era creato quasi subito in maniera naturale fra quei giovani pieni di vitalità. Così, mangiavano in silenzio, scambiando tra di oro solo qualche breve, necessaria parola e poi andavano via, austeri, senza guardarsi intorno.
A Milos veniva da ridere, e spesso col naso nel piatto, doveva lottare contro la voglia di sbellicarsi per quella inutile ostentazione di fierezza. Eppure, dopo un po' la voglia gli passava, perché c'erano altre ostentazioni che attiravano la sua attenzione e lo riempivano di uno stupore sbigottito, a volte persino di disprezzo, ma che finivano sempre per eccitarlo in modo fuori dal normale. E così, Milos si era ritrovato a vivere quei giorni con il cuore continuamente in gola, perché, per quanto i Master si sforzassero di tenerli lontani da qualsiasi contatto "inquinante", come si poteva evitare di non essere travolti da quell'impressionante diversità? Ed il ragazzo addirittura sopraffatto, passava ogni minuto ad osservare di sottecchi ogni minimo avvenimento in quell'enorme sala. La chiassosa rozzezza di alcuni lo lasciava perplesso, così come la sfacciataggine delle donne o la mancanza di ogni formalità e senso di etichetta. Gli era venuto quasi un colpo quando durante la prima sera aveva visto la piccola pista riempirsi di ragazzi e ragazze che avevano cominciato a muoversi al ritmo della musica. Uomini e donne che ballavano insieme! E alcuni lo facevano persino allacciati in un modo che su New Empire nemmeno le coppie sposate si permettevano in pubblico. C'era voluto tutto il suo autocontrollo per non rimanere l'intera la serata a fissare quello spettacolo a bocca aperta, come uno strano, inutile pesce.
Chiaramente aveva scelto di imitare il più possibile il comportamento dei suoi compagni e lo sforzo che faceva per rimanere impassibile, con gli occhi sul piatto, fingendo d'ignorare tutto ciò che avveniva intorno a lui era la tortura più spaventosa a cui si era sottoposto nella sua giovane vita. E poi, doveva anche fare i conti con quel sentimento strano che dagli angoli più riposti della sua anima dilagava fino a rischiare di sommergere ogni altra cosa, come definirlo? Invidia...? Forse.
Milos avvertiva il pericolo dell'abisso aprirsi sotto i suoi piedi, lo percepiva nell'aria che diventava sempre più elettrica e nelle sue mani che sudavano senza sforzo. E soprattutto, a peggiorare la situazione, fino a renderla quasi insostenibile ci si era messo un tizio assurdo, che lo aveva sconvolto dalla prima volta che l'aveva notato. Era un giovane uomo, intorno ai venticinque anni, bruno ed alto, un pugile a giudicare dal simbolo sulla maglietta della sua divisa, e questo giustificava certo un corpo da lottatore, ma non quel viso aperto e sensuale, di una bellezza invitante e sfacciata. Ed era sul serio l'essere più sfrontato e privo di freni che Milos avesse mai visto, si diceva, mentre osservava sbigottito la disinvoltura con la quale quello sconosciuto passava un braccio intorno alla vita di una bella atleta, civettando senza ritegno anche con la sua amica lì accanto. E per non parlare poi del modo con il quale mangiava! C'era da farsi venire un infarto a vederlo intingere il dito indice dentro le creme e portarlo alla bocca, succhiandolo poi con le labbra carnose e con occhi pieni di sottintesi. Rideva spesso, a voce alta, con la testa che scattava indietro a mettere in evidenza una gola abbronzata e forte, e quella risata risuonava in mezzo al chiasso generale, sonora e generosa, come un ritmo sincopato. Ma anche quando era serio, attirava l'attenzione, sia che chiacchierasse tranquillamente, con le lunghe gambe distese su una sedia vuota, la testa appoggiata sulla mano retta dal gomito puntato sul tavolo e le ciocche castane dei capelli che gli ricadevano sul volto; sia che ascoltasse la musica in una posa di sensuale abbandono, con la testa appoggiata alla parete, gli occhi chiusi e le labbra piene ad accompagnare il motivo.
Ma il massimo dello sbigottimento Milos lo raggiunse quando, durante la seconda sera, il pugile, con una tranquillità e naturalezza impressionante, aveva allacciato le sue braccia intorno al corpo di un ragazzo e lo aveva condotto in pista. Avevano ballato sotto gli occhi di tutti quei due uomini, e nessuno, nessuno sembrava farci il minimo caso. Milos, invece, per poco non si era strozzato con la sua stessa saliva. Aveva fissato il volto di Master James, il loro allenatore e sorvegliante, convinto che il cerbero sarebbe balzato in piedi, urlando anatemi contro quella corrotta congrega di folli peccatori. Ma non era successo niente. Il Master aveva ignorato anche quella scena, o forse proprio non l'aveva notata, impegnato com'era a dare esempio di cristallina austerità al suo gregge di agnelli circondati da un corrotto branco di lupi.
Milos, però, non ce l'aveva fatta ad ignorare lo spettacolo, e i suoi occhi erano tornati, come attirati da una calamita, su quei corpi maschili allacciati che si muovevano al ritmo di una musica bassa e sensuale. E lì erano rimasti incollati, senza che il loro possessore fosse capace di distoglierli. Ed un momento dopo, richiamati probabilmente da quella lunga occhiata, un paio di iridi nocciola si erano agganciate alle sue e lo avevano fissato avidamente, mentre labbra sensuali gli rivolgevano un sorriso splendente. Milos sobbalzò e distolse in fretta lo sguardo riportandolo sul piatto. Si diede mentalmente dell'imbecille, ma oramai il danno era fatto. Da quel momento, infatti, sembrò che lo sconosciuto facesse di tutto per farsi notare, pavoneggiandosi con una ostentazione che faceva arrossire Milos fino in fondo all'anima.
Tanto aveva armeggiato, per esempio, che aveva finito per occupare stabilmente un posto proprio di fronte a lui. Era un tavolo assegnato alla squadra dei ginnasti di Nostos I, ma il tizio era riuscito ugualmente ad insediarsi stabilmente in mezzo a loro, diventando persino l'anima della compagnia. E, tra una battuta, un brindisi sonoro e una pacca sulle spalle, da quella postazione privilegiata non gli aveva più tolto un attimo gli occhi di dosso.

XIV

L'allenamento quel giorno procedeva tranquillo come al solito, sotto la sorveglianza vigile di Master James e gli scherzi moderati degli atleti.
Milos si stava scaldando i muscoli con movimenti sapienti della braccia e delle gambe. Presto sarebbe toccato a lui scendere in acqua e vi erano alcuni passaggi da riprovare, gli stessi che lo avevano lasciato perplesso nei giorni scorsi. L'appuntamento delle gare si avvicinava e se la sua forma fisica era perfetta, altrettanto non si poteva dire della sua concentrazione, fin troppo volatile per i gusti suoi e del suo allenatore. Aveva appena indossato la cuffia e stava per salire in postazione, quando un silenzio pesante attirò la sua attenzione.
"E questi adesso che vogliono?" sentì mormorare accanto a sè. Istintivamente seguì lo sguardo del suo compagno rivolto verso gli spalti e ci mancò poco che gli venisse un colpo. Due giovani, che indossavano le divise degli atleti di Narito, erano seduti al posto degli spettatori e sembravano fermamente intenzionati a rimanere inchiodati lì, a godersi lo spettacolo. Ed in uno dei due Milos riconobbe, con un guizzo di vero terrore, il pugile della sala mensa, quel folle sfrontato che tanto si divertiva a stuzzicarlo con le sue occhiate dritte in faccia. Milos dovette fare uno sforzo disumano per impedirsi di arrossire, anche perché quello sconosciuto lo aveva subito puntato e se ne stava in silenzio e serio, col mento appoggiato alla sbarra che separava gli spalti dalla piscina a lanciargli un unico sguardo, affilato come una lama.
Il suono di un fischietto risuonò nell'aria e fece sobbalzare il ragazzo. Master James urlò contro gli atleti, invitandoli a riprendere e loro postazioni. Evidentemente i Master avevano scelto di non dare peso a quelle presenze estranee e di continuare gli allenamenti ostentando la loro solita indifferenza nei confronti di ogni straniero dal cervello bacato. Milos si voltò verso la piscina e si piegò in avanti, pronto a scattare nel tuffo. E mentre il suo corpo, per riflesso condizionato reagiva al segnale di partenza, la sua mente cominciò ad urlare di un'ira senza freni. Nuotò sotto l'impressione dell'adrenalina che gli scorreva così veloce dentro ai muscoli che non si accorse nemmeno di avere toccato il bordo. Non guardò neppure il tempo e finse solo di sentire le parole dell'allenatore, mentre tutto il suo essere era teso ad ascoltare il segnale d'allarme che gli arrivava dal suo istinto. Riuscì a dirigersi con passo calmo verso gli spogliatoi e giungendo vicino alla porta scorse con la coda dell'occhio i due intrusi che si alzavano e abbandonavano la palestra.
Nell'ombra protettiva dello spogliatoio Milos si sedette su una panca, le mani gli tremavano e il cuore sembravano non volesse saperne di calmare il ritmo.
Quella storia doveva finire, si disse recuperando un po' di lucidità, prima che qualche Master cominciasse a notare quel continuo armeggiare e che per lui iniziassero guai seri. Doveva sapere che diavolo si era messo in testa quel cretino e magari a suon di pugni convincerlo a smetterla con quella pericolosa sceneggiata.

XV

Quella sera a cena Milos si comportò in modo impeccabile, per tutta la durata del pasto ignorò con ostinazione ogni cosa avvenisse intorno a lui, resistendo alla tentazione di vedere se il Naritano stesse comportandosi nel solito sfacciatissimo modo. Come sempre la squadra di New Empire fu la prima a terminare. Ad un segnale di Master James gli atleti si alzarono disciplinatamente dal loro posto e si avviarono con ordine verso la porta. Milos li seguì senza parlare, ma appena fuori, nello sprazzo vuoto che separava la sala mensa dagli altri edifici, si fermò e cominciò a cercare qualcosa nelle tasche della divisa. L'allenatore lo fulminò con un'occhiata interrogativa e il ragazzo rosso per la vergogna confessò di avere perduto la chiave. Eppure l'aveva in tasca quando era uscito, lo ricordava benissimo, perché aveva controllato, perciò doveva essergli scivolata in sala mensa, non c'era altra spiegazione. Master James lo avvolse con uno sguardo di gelido disprezzo e poi gli ordinò con voce secca di tornare indietro a cercarla, e di raggiungerli entro dieci minuti nel dormitorio.
Milos respirò di sollievo, la prima parte del piano era andata meglio di quanto si fosse aspettato. Rientrò nella sala calda di corpi e di luci soffuse e si diresse con decisione verso il tavolo dei Nostosiani. Il suo persecutore era ancora lì, seduto a chiacchierare tranquillamente con una bionda muscolosa e un ricciuto ginnasta, e il suo volto si aprì in un'espressione di stupore quando si ritrovò Milos di fronte. Bastò semplicemente che chiedesse allo sconosciuto di seguirlo fuori, perché quello si alzasse in piedi, pronto a accompagnarlo. Non aveva certo il fisico di un uomo che potesse essere intimorito, ma a dire il vero Milos non si aspettava che lo seguisse immediatamente, senza nemmeno chiedergli uno straccio di spiegazione
L'aria della sera profumava di un tepore primaverile, e Milos per un attimo si lasciò quasi affascinare dalla bellezza di quel cielo straniero trapassato di stelle. Bastò quel breve attimo di distrazione perché il pugile prendesse l'iniziativa e lo conducesse verso un angolo scuro e appartato.
"Bene," gli disse, parlando nella lingua comune con quell'accento morbido e rotondo, tipico di Narito, "C'è qualcosa che devi dirmi?"
"Niente di che," rispose Milos con un tono gelido, "Volevo solo chiederti di smetterla di fissarmi. Mi dà fastidio."
L'uomo lo guardò con i caldi occhi ridenti.
"Ma allora te ne sei accorto! Ed io che credevo che fosse tutta fatica sprecata!" e rise, in quel modo aperto che Milos era consapevole a nessuno di New Empire sarebbe mai riuscito.
"Si può sapere che diavolo vuoi da me?" gli disse esasperato.
Il pugile gli si accostò, talmente vicino che Milos poté avvertire il suo odore di muschio e menta.
"Credevo l'avessi capito," gli sussurrò in tono così basso e roco che il ragazzo sentì la pelle d'oca sul tutto il corpo. Fu quasi stordito da una sensazione di eccitamento, come se si fosse avvicinato a qualcosa di pericoloso e nello stesso tempo così desiderabile da stare male. Cercò di scostarselo di dosso con una spinta, ma l'altro approfittò delle sue braccia tese per afferrarlo e stringerlo con forza. Si ritrovò contro il petto muscoloso dello sconosciuto, con quelle mani agganciate alle sue braccia che sembravano marchiarlo a fuoco. Milos sentì una furia cieca invaderlo, e stava per divincolarsi e colpire con tutta la sua forza, ma le labbra dell'uomo si erano già chinate a cercare le sue ed allora non fece altro che andar loro incontro e accoglierle. Sentì la lingua dell'altro cercare di invaderlo e contro ogni ragione e buon senso aprì la bocca e gli permise di entrare. Fu un bacio strano, quasi rabbioso da parte di Milos, pieno di un desiderio che lo sconvolse. Com'era possibile provare una voglia simile per uno di cui non conosceva nemmeno il nome?
Si staccò per primo e stavolta riuscì a liberarsi con uno strattone.
"Tu sei pazzo," gli disse ansimando, "Non sai nemmeno chi sono, potrei anche denunciarti e forse lo farò, stronzo."
Vide gli occhi del giovane uomo spalancarsi per lo stupore.
"Ma perché scusa, quanti anni hai?" gli chiese con tono preoccupato.
Milos pensò di avere di fronte a sè un povero demente. Cosa diavolo c'entrava la sua età, adesso?
"Ho diciassette anni, ma perché?" rispose allibito.
Lo sentì tirare un sospiro di sollievo.
"Cavolo, per un attimo mi hai spaventato. Ho temuto che fossi minorenne."
Quelle parole aumentarono la confusione di Milos, ma l'uomo non gli dette tempo di pensare a lungo. Lo prese di tra le braccia e lo attirò a sé, in un modo così abile e sensuale che Milos senza sapere come si ritrovò di nuovo stretto a quel corpo caldo e forte.
"Sei davvero molto bello, Mi hai fatto girare la testa al primo sguardo" gli sussurrò la sua voce sul viso, "Non sai quanto ho sperato che ti accorgessi di me. Vieni in camera mia, ti prego. Passa la notte con me."
Milos pensò che doveva essere una specie di assurdo sogno. Forse l'aria di quel pianeta era troppo umida ed ossigenata per un abitante di New Empire e gli stava dando alla testa. Davvero, non riusciva a credere che qualcuno potesse avere l'incoscienza di chiedere apertamente qualcosa di simile.

XVI

Attendeva al buio, dandosi del pazzo e del deficiente praticamente ogni minuto che passava. Chiedendosi come diavolo fosse possibile che una persona appena appena sensata, se ne stesse accucciata in un cespuglio ad aspettare di essere prelevato da un tizio che aveva a stento intravisto, per essere portato chissà dove, a fare qualcosa che a solo pensarci sentiva il cuore diventare di piombo. La mente di Milos si sforzava di immaginare un comportamento più idiota e pericoloso, ma non ci riusciva in alcun modo. Era rientrato nel dormitorio, giusto per far vedere ai Master che aveva ritrovato la chiave e mezz'ora dopo era sgattaiolato via, con il cuore che per poco non gli scoppiava nel petto, sicuro che l'avrebbe pagata molto cara quell'incoscienza. E adesso se ne stava lì ed aspettava. Per cosa, poi? Per quella che sicuramente sarebbe stata la sua più completa rovina.
"Dovrebbe già essere qui. Keith." mormorò tra le labbra quel nome che l'uomo gli aveva detto ridendo, porgendogli la mano quando lui aveva protestato che in nessun caso avrebbe seguito uno sconosciuto. E alla fine lo straniero lo aveva convinto, in che modo Milos proprio non riusciva a spiegarselo, ora che se ne stava accucciato nell'oscurità col cuore che batteva come un tamburo nel petto.
"La verità è che sono un vero idiota." Si ripeté, ma stavolta si alzò in piedi, deciso a tornarsene nella sua stanza, sperando che se mai lo avessero beccato, si bevessero la storiella di un suo presunto sonnambulismo. Fece solo qualche passo e si ritrovò davanti, stagliata contro la notte, la sagoma scura dell'edificio. Il portone era appena socchiuso, come lo aveva lasciato, perciò forse era ancora in tempo. Diede un'occhiata alle finestre chiuse e sentì in fondo all'anima quell'aura malinconica che spira sempre dalle case addormentate. Allora si fermò ad ascoltare il vento della notte e una sensazione lo colpì in pieno petto. Una ventata di ostilità che sembrava soffiare da quel blocco di cemento ed alitargli dritta in volto con una ferocia indescrivibile. Milos strinse i pugni, mentre tutta la sua anima diventava di ghiaccio. Freddo e dolore e rabbia. Dio, come era possibile vivere in quel modo?!
Si voltò e si diresse di nuovo verso il cespuglio, prima lento e rigido, poi acquistando velocità, fin quando le sue gambe cominciarono a correre suo malgrado, senza che la sua mente potesse impedirlo. All'improvviso la luce di un faro lo abbagliò dritto negli occhi e Milos sentì il panico esplodergli nello stomaco. Cambiò direzione, e corse via ancora più veloce, ma inciampò e cadde. Udì dei passi dirigersi verso di lui, ma non ebbe la forza di sollevarsi in piedi. Era la fine, maledetto idiota, si disse per l'ultima volta, maledetto, maledetto idiota.
"Ma che fai? Sei diventato scemo?" disse la voce divertita di Keith sopra di lui, "Non è caso di svegliare tutto il campus solo perché ti è venuta voglia di farti correre dietro. Avanti, andiamo."
Si sentì sollevare, come se fosse diventato un fuscello e trascinare via. In breve si ritrovò nel minuscolo abitacolo di un veicolo ad energia solare, uno di quelli che nei giorni scorsi aveva visto usare ai responsabili della sicurezza per muoversi da un settore all'altro della cittadella. Man mano che il suo cervello riacquistava lucidità si chiese come avesse fatto quel diavolo di un pugile a procurarsi un arnese simile.
Ma non ebbe molto tempo per farsi troppe domande, in pochi minuti raggiunsero un edificio del tutto simile al dormitorio della squadra di New Empire. Keith entrò tranquillamente dalla porta spalancata, mentre Milos si chiedeva se fosse prudente aggirarsi così per la hall senza nessuna precauzione. In effetti la stanza, grande e confortevole, era tutt'altro che deserta. Gruppi di giovani, uomini e donne, erano riuniti a conversare con naturale disinvoltura. Keith passò in mezzo a loro, salutando a destra e a manca, lanciando a chiunque battute salaci e ricevendone in risposta alcune che fecero arrossire d'imbarazzo Milos. Senza fretta il giovane si diresse verso l'ascensore e Milos riuscì a comandare alle sue gambe di seguirlo. La porta si aprì su un piano, deserto, almeno quello, pensò il ragazzo con un certo sollievo. Ma proprio in quel momento una porta si spalancò e una giovane donna, in pantaloni e maglietta si affacciò all'uscio.
"Ehilà, Anna," salutò Keith allegramente. La ragazza si voltò e gli sorrise con tutti i denti in mostra.
"Keith, brutto maiale," disse ridendo, "A quest'ora si torna in stanza? Mi sa che la medaglia per dei pesi massimi ce la possiamo scordare quest'anno." Poi, buttò un'occhiata dritta in faccia diretta proprio a Milos. "Anche se, mi sa che il tuo premio lo hai già vinto." E gli strizzò l'occhio, prima di avviarsi verso l'ascensore.
Milos pensò che forse era il caso di misurarsi la febbre, doveva essere in pieno delirio, non c'era altra spiegazione logica.


XVII

La stanza di Keith era immersa in una piacevole penombra, ed era un sollievo dopo la luce impudente della hall e del corridoio. Quando il suo accompagnatore fece per accendere la luce, lui lo bloccò, appoggiandogli una mano sul braccio. Il giovane sorrise e lasciò che la stanza rimanesse in quella lieve luminescenza, intima e gradevole. Poi si spostò verso il mobile bar.
"Cosa preferisci?" chiese.
Milos si strinse nelle spalle e continuò a guardasi intorno curioso. Quel posto era di un lusso che lo lasciava a bocca aperta, niente a che vedere con l'austera mancanza di confort delle stanze occupate dagli atleti di New Empire. Le pareti erano ricoperte di un materiale traslucido di un blu profondo e cangiante che lui non aveva mai visto, i pochi mobili avevano una linea semplice ed elegante, notevole era soprattutto il divano basso di un bel blu vellutato, e le due poltroncine imbottite che lo accompagnavano. "Accomodati pure, non stare lì impalato", disse Keith e lui si sedette volentieri su quel divano che si rivelò ancora piu morbido del previsto. Milos ebbe quasi la tentazione di affondare il volto in quei cuscini per sentire sulla pelle la sensazione carezzevole della stoffa, invece si limitò a sorridere al pensiero che di certo erano stati gli alti gradi di New Empire ad impedire che la sua stanza e quella dei suoi compagni assomigliasse anche lontanamente a quel paradiso di eleganza e comodità.
Perso in questi pensieri si era quasi dimenticato del suo ospite e per poco non sussultò per la sorpresa appena sentì il peso di un altro corpo sprofondare accanto a sé. Si volse e si ritrovò il volto del suo compagno, a pochi centimetri dal suo. Keith gli stava offrendo un bicchiere ricolmo di un liquido sconosciuto di un colore verde brillante.
"Che roba è?" chiese Milos sospettoso.
"Assaggia," disse l'altro con tono divertito.
Milos lo annusò, aveva un odore forte ma anche gradevole, lievemente fruttato con una punta di dolce. Ne prese un sorso e pensò che era buono ma che c'era qualcosa di strano, un retrogusto troppo robusto che pizzicava la gola e che lo costrinse suo malgrado a tossire. Un sospetto gli attraversò la mente.
"E' alcolico?" chiese cercando di non soffocare.
"Soltanto un po'" disse l'altro sorridendo.
Milos posò il bicchiere sul tavolinetto davanti a loro.
"A noi Empiriani è vietato bere alcolici", disse serio.
"Oh, mi dispiace, non lo sapevo," Keith sembrava davvero dispiaciuto per la gaffe.
Milos scosse la testa e si diede mentalmente dello stupido. Possibile che la sua educazione bigotta dovesse uscire fuori in un momento così inopportuno? Aveva seguito uno sconosciuto fino alla sua camera, per motivi tutt'altro che innocenti, e si metteva a fare il puritano per qualcosa di assolutamente sciocco come un po' di alcol? Pensò che il peso delle Pietre era davvero insormontabile se riuscivano a condizionarlo persino dentro una stanza in penombra, in compagnia del ragazzo più sfrenato che gli fosse mai capitato d'incontrare.
Si chiese se non fosse meglio girare i tacchi ed andarsene via, ma chi voleva prendere in giro? Non avrebbe mai avuto il coraggio di fare niente contro la morale di New Empire, cos'erano tutte quelle arie di uomo di mondo se non aveva nemmeno la forza d'animo di bere un po' di alcool? Con rabbia allungò la mano verso il bicchiere, lo prese e ne vuotò il contenuto tutto d un fiato.
Fu come ricevere una fucilata in petto, un momento prima stava bevendo e un attimo dopo tossiva miseramente cercando di liberarsi la gola e il petto dal bruciore insopportabile. E per colmo del ridicolo Keith gli dava dei piccoli colpi sulla schiena con stampata sul volto un'espressione così preoccupata che Milos sarebbe morto dalle risate, se non fosse stato troppo occupato a recuperare l'uso dei polmoni.
Come le Pietre vollero, smise finalmente di tossire ed esausto appoggiò la testa sullo schienale del divano chiudendo gli occhi.
"Va meglio?" chiese la voce del suo ospite e Milos si avvide con un brivido che era vicinissima al suo orecchio, ma non riaprì gli occhi e si limitò semplicemente ad annuire, abbandonandosi completamente ad un senso di spossatezza sensuale che non aveva mai avvertito prima in vita sua. Dunque era quello il deleterio effetto dell'alcool, quel desiderio piacevole di affondare sempre di più, fino a scomparire nel buio e nel vuoto. Non era per niente male, inquietante a rifletterci, ma la sua mente era troppo impegnata a godersi quella sensazione per riflettere su alcunché. E poi cominciò ad percepire qualcos'altro. Un respiro caldo sulla sua pelle e qualcosa di morbido che si posò sulla sua bocca. Istintivamente aprì le labbra e subito qualcosa piacevolmente umido si intrufolò dentro. Lasciò che la lingua di Keith esplorasse l'interno della sua bocca, godendosi la sensazione stimolante di quell'intrusione che tracciava disegni concentrici sempre più ampi e profondi, nel bacio più spudorato ed erotico che mai Milos aveva immaginato potesse esistere. Doveva averne di esperienza quel tizio, debosciato di un Naritano, abile come mai Milos si sarebbe aspettato.
"Sai baciare molto bene," furono le prime parole che gli disse appena le labbra dell'altro lo abbandonarono e lo guardò in faccia, puntandogli addosso lo sguardo diretto dei suoi occhi aperti.
"Ah, ma allora sei cosciente" disse quello, ridendo, "Mi stavano venendo un sacco di scrupoli, pensando che forse mi stavo approfittando di un povero ubriaco incapace d'intendere e di volere".
Milos non rispose e nemmeno sorrise, semplicemente lo afferrò per la nuca e lo attirò a sé sporgendo contemporaneamente la bocca. Le loro lingue si incontrarono e cominciarono a duellare e a succhiarsi a vicenda, Keith si inginocchiò sul divano e gli premette la testa contro la spalliera forzandolo a offrirglisi del tutto, mentre lo divorava con passione quasi feroce.
Si staccarono ansimando.
"Accidenti," disse Keith e sembrò incapace di aggiungere altro, anche perché Milos lo afferrò di nuovo e lo strinse a sé con violenza. Ma stavolta il giovane si oppose.
"Aspetta," disse "Andiamo di là, staremo piu comodi, ho un letto fantastico per farci certe cose", rise e con un unico movimento si alzò in piedi e lo trascinò con sé.

XVII
Era vero. Nella penombra di quella stanza Milos non aveva potuto scorgere un granché, ma il letto lo aveva sentito, morbido ad accogliente ad attutire la sua caduta, non appena Keith lo aveva sospinto sopra. Ed in meno di niente il pugile lo aveva raggiunto, coprendolo con il suo corpo, appena un'ombra più scura proiettata nella luminescenza opaca che filtrava dalle finestre. Le mani di Keith avevano iniziato a spogliarlo, con gesti decisi, eppure anche inaspettatamente delicati, e le sue carezze si erano insinuate sulla sua pelle scoperta. Milos non aveva avuto nemmeno il tempo di pensare a cosa stesse succedendo, quando sentì la bocca dell'altro scendere sul suo corpo e assaporarne ogni pezzetto.
Era incredibile, incredibile. Milos sentiva la sua voce gemere, senza riuscire a credere alle sue orecchie. Quel piacere impossibile che saliva da ogni cellula e si propagava per tutto il corpo, esplodendo fin dentro il cervello, lo avrebbe fatto impazzire, lo sapeva e non poteva farci niente.
La bocca di Keith si era impossessata del suo capezzolo, suggendolo con forza e leccandolo, mentre la mano dell'uomo era scesa ad accarezzarlo in mezzo alle gambe, fermandosi sulla sua erezione. Milos quasi singhiozzò, sentendo il palmo dell'altro chiudersi intorno al suo pene e cominciare ad risalire e discendere per tutta la lunghezza dell'asta, con una carezza di una lentezza estenuante. Ad un certo punto, la bocca del suo compagno abbandonò il capezzolo per scendere giù, lungo il ventre, fermandosi ad assaporare la pelle di Milos con piccoli baci voraci. Poi lo sentì raggiungere l'inguine, e cominciare a leccare l'interno delle sue cosce, avvicinandosi pericolosamente al suo sesso.
"Non ci credo," pensò la mente di Milos, "che voglia baciarmi proprio lì."
Ed invece era vero, evidentemente, perché le labbra dell'uomo si posarono sui suoi testicoli e la sua lingua risalì lentamente lungo il suo pene, soffermandosi a leccarne la punta con veloci, lievi colpi. Milos urlò di piacere e di sorpresa appena si sentì inghiottire da una bocca vorace e succhiare fino al midollo. Venne senza nemmeno avere il tempo di capire se davvero era successo ciò che aveva sentito o se invece se l'era solo immaginato. Perché non era possibile, non era assolutamente possibile che qualcuno facesse una cosa così... mio dio... così spudorata. Ma il piacere che aveva ricevuto era stato talmente al di sopra di ogni sua aspettativa, che una parte della sua anima scandalizzata stava cantando un'ode di giubilo e gratitudine a quell'uomo e alla sua mancanza di morale.
Però anche nel mezzo di quell'estasi, Milos capì che non era ancora finita. La bocca di Keith adesso stava esplorando un'altra parte del suo corpo, depositando dentro al suo ano baci umidi di saliva. Ricominciò a gemere e sentì di nuovo il suo sesso indurirsi sotto quelle carezze così intime e meticolose.
All'improvviso però il corpo del suo compagno lo abbandonò, aprì gli occhi senza capire cosa stesse succedendo, pronto a protestare come una furia per quell'inaspettato tradimento e lo intravide armeggiare nel buio. Sembrava che stesse frugando in un cassetto del piccolo mobile accanto al letto. Fortunatamente la ricerca non durò a lungo e di nuovo avvertì con sollievo la bocca calda di Keith avventarsi sulla sua. La accolse felice di quel ritorno e lo baciò profondamente, succhiando con forza la lingua del pugile, aggredendo con i denti la carne delle sue labbra. In quel momento qualcosa di duro e scivoloso premuto contro il suo culo lo fece sobbalzare. Capì che un dito di Keith stava cercando di forzare la sua apertura. La mente di Milos cominciò ad urlare di terrore un'unica parola: sodomia!!!! Quel termine per lui non aveva avuto fino a quel momento che un significato astratto, era stato solo una remota possibilità seppellita tra le infinite forme di corruzione che le Pietre elencavano con la loro assurda puntigliosità. Ma adesso essa si imponeva a Milos con tutta la pesantezza di una realtà assolutamente inaccettabile. Si scostò con un balzo, scalciando con furia. Cosa si era messo in testa quel maiale?
"Che cazzo fai? Stronzo," ansimò. Era terrorizzato e furioso, tentò di alzarsi dal letto, ma le braccia dell'altro lo raggiunsero e lo strinsero, senza però ombra di urgenza. Sentì la bocca di Keith raggiungergli l'orecchio, depositandogli una scia di baci tenerissimi lungo la linea del viso.
"Scusa," gli sussurrò suadente, "Mi dispiace, sono stato troppo precipitoso, ho capito che questa è la tua prima volta."
Con le mani gli accarezzò la schiena, cullandolo con leggeri movimenti tranquillizzanti. Sotto di essi Milos si rilassò suo malgrado.
"Ascolta," gli riprese, "Lo fai prima tu a me, d'accordo? Così vedrai che non è tanto terribile come pensi."
Gli prese una mano e Milos sentì qualcosa di viscido scivolargli sulle dita.
"Non preoccuparti," disse Keith, "E' solo del lubrificante, serve a rendere tutto più facile e più piacevole."
Poi, prima che Milos potesse capire fino in fondo il senso di quelle parole, l'uomo guidò il suo dito verso un punto del proprio corpo, e lo fece scivolare dentro qualcosa di caldo ed incredibilmente stretto.
Milos comprese con imbarazzo che stava penetrando Keith e non sapeva se davvero quel contatto così intimo, quel sentirsi il dito serrato dal muscolo pulsante, gli facesse piacere. Però udiva l'uomo gemere forte e questo lo spinse ad assecondarlo. Cominciò a muoverlo avanti ed indietro, accontentando la mano di Keith che lo accompagnava in quello strano massaggio. Intanto, l'altra mano dell'uomo aveva raggiunto il suo sesso e Milos aveva avvertito con una scarica fortissima che si stava di nuovo eccitando.
"Vieni dentro," disse Keith con la voce roca di desiderio e aprì le gambe, attirandolo su di sé.
Lo guidò verso la sua apertura e gli fece appoggiare la punta dell'uccello contro l'anello. Poi, spinse il bacino e Milos si trovò seppellito dentro quella carne calda e accogliente.
"Muoviti," disse Keith ansimando, "Veloce, ti prego."
Milos fece ciò che l'istinto, prima ancora della voce del suo compagno, gli suggeriva. Cominciò a spingere, sentendo il piacere aumentava ad ogni movimento. Profondo e sempre più veloce, finché il corpo dell'altro non si irrigidì e qualcosa di caldo gli bagnò il ventre. Un'altra spinta e venne anche lui urlando. Cadde riverso sul corpo di Keith, col respiro mozzato e i muscoli molli come gelatina.
Il suo compagno lo accolse tra le braccia e lo fece sdraiare supino sul letto. Si accostò alle sue labbra e lo baciò, cercando la lingua intorpidita di Milos. Gli scostò una ciocca sudata dalla fronte e ricominciò ad accarezzargli tutto il corpo, con una lentezza che fece risorgere il ragazzo dal suo languore. Milos gemeva piano, esalando il respiro ad ogni minimo movimento di quelle mani esperte che lo esploravano senza sosta. Keith allora gli aprì le gambe con gentilezza e lui lasciò fare, ormai troppo esausto per opporsi in qualsiasi modo. Avvertì di nuovo quella sensazione spiacevole dentro di sé, ma l'eccitazione che gli stava mandando a fuoco il cervello gli impedì di fare qualsiasi cosa. Si abbandonò finalmente a quella carezza, accettandola come un altro dono di quell'incredibile notte. E il dono sembrò tutt'altro che sgradevole dopo un po'. Il dito di Keith frugandolo aveva toccato qualcosa dentro di lui e la sensazione fu così imprevista che Milos lanciò un urlo. Non era dolore, ma qualcosa di così prepotente che il ragazzo non sapeva se definirlo piacere. Capiva soltanto che voleva sentirlo di nuovo, con più forza e più in profondità. Per questo spinse in avanti il bacino, con una voglia spasmodica nelle viscere. Ma Keith aveva deciso di tormentarlo a quanto pareva, perché il suo dito lo abbandonò, lasciandolo in preda ad una frustrazione angosciante..
"No," disse, "No, ancora, ti prego, Keith, fallo ancora, ancora"
Nell'oscurità sentì la voce ridente dell'uomo.
"Oh, si può fare anche di meglio, piccolo, vedrai."
Di nuovo si sentì premere sull'ano, che oramai aperto e lubrificato, stava aspettando quella nuova intrusione. Ma stavolta era qualcosa di molto più grosso e duro. Milos capì che il cazzo di Keith stava entrando dentro di lui e trattenne il respiro. Il dolore lo colpì come una martellata, così improvviso e assoluto che gli occhi gli si riempirono di lacrime. Si diede mentalmente dello stupido, come aveva potuto fidarsi? Quel maiale naritano lo aveva ingannato e lui c'era cascato come uno stronzo qualsiasi.
"Rilassati," disse la voce suadente di Keith, "Vedrai che tra un attimo ricomincerai a godere. Te lo giuro."
La mano dell'altro raggiunse il suo pene e riprese a masturbarlo in quel modo sapiente che ormai cominciava a conoscere fin troppo bene. Suo malgrado sentì i muscoli cedere e gemette disperato tra le lacrime, mordendosi a sangue le labbra. Il corpo di Keith si mosse lentamente indietro e poi spinse di nuovo con delicatezza, e insieme al dolore Milos sentì di nuovo quel punto dentro di sé stimolato in un modo incredibile. Con più forza e più in profondità, proprio come aveva desiderato. Tutto il suo essere si tese verso quella sensazione, prima perderla, per poi recuperarla immediatamente, perderla e recuperarla, ad una nuova spinta, ancora più forte, ancora più profonda. Urlò, cos'altro poteva fare? Mentre tutte le sue fibre partecipavano di quel godimento smisurato, privo di freno e di ogni ragione e venne a lungo, mentre l'oscurità si chiazzava di bagliori bianchi.

XVIII

Keith lo teneva stretto a sé. Aveva acceso una piccola lampada poggiata sul mobile vicino al letto e a quel chiarore Milos si accorse della sua espressione appagata e divertita.
"Non posso fermarmi," gli disse, cercando di divincolarsi, "Devo tornare prima che si accorgano della mia assenza."
Sempre che non sia già troppo tardi, pensò con un brivido.
"Aspetta ancora un attimo," insistette l'altro depositandogli una serie di baci sul collo, "Che fretta hai? Anche se se ne accorgono che vuoi che succeda?"
Milos lo guardò stupito, ma cosa aveva in testa quell'idiota?
"Guarda che posso finire in guai seri, soprattutto se sanno quello che è successo qui. Perciò ti pregherei di smetterla di giocare..."
L'altro rise divertito, stringendolo ancora di più nella morsa di ferro delle sue braccia.
"Oddio, come siete severi voi di New Empire, prendete le cose troppo sul serio. Cosa vuoi che sia? Digli che ti sei fatto una bella scopata e che si facciano gli affaracci loro. Sono troppo rompini questi vostri allenatori.. In fondo le gare cominciano dopodomani e anche se ci siamo stancati un bel po' hai tutto il tempo di recuperare."
Milos a quelle parole divenne di ghiaccio e anche Keith, pur nella sua evidente idiozia, dovette accorgersi di quella rigidezza che sembrava partire dall'anima stessa del ragazzo e che era il segnale di un terrore vero, assoluto. Finalmente lo lasciò andare e gli puntò addosso gli occhi aperti per la meraviglia.
"Ma insomma," chiese, "Si può sapere di cosa hai tanto paura?"
Milos sospirò, doveva spiegare a quel tizio qualcosa che sembrava esulare totalmente dalla sua esperienza di Naritano senza freni morali.
"Se qualcuno dei miei compagni viene a sapere cosa è successo in questa stanza, io sono nei guai, in guai che tu non puoi nemmeno immaginare".
"Ma, abbiamo solo fatto l'amore, si può sapere cosa c'è di tanto grave?"
Milos si premette le dita sugli occhi cercando di mantenere la calma, poi lo fissò di nuovo con un'espressione seria e fredda nel volto pallido.
"Fare l'amore, come dici tu, fuori dal matrimonio a New Empire è considerato corruzione, farlo fra due persone dello stesso sesso è considerato addirittura abiezione. Sono comunque delitti capitali."
Vide gli occhi dell'altro spalancarsi in un'espressione di pura meraviglia che quasi sconfinava con la confusione.
"Delitti capitali?!? Ma che male c'è a... oh ma insomma è ridicolo!!! Mi stai prendendo in giro."
Milos per tutta risposta lo avvolse in una lunga gelida occhiata.
"Ma come è possibile?" continuò Keith, "E tu sei venuto con me... insomma che diavolo di rischio vai a correre... perché?"
Il ragazzo lasciò che un lieve sorriso gli increspasse le labbra.
"Oh, non ti lusingare troppo," disse con un tono tetramente scherzoso, "Non è che sono rimasto folgorato dal tuo fascino fino a dimenticare le leggi del mio paese. E' solo che sono stanco..."
Il tono in cui disse queste ultime parole contrastò con il sorriso che ancora aleggiava sulle sue labbra. Un tono di rabbia e dolore appena trattenuto, ma in cui risuonò una nota talmente selvaggia che anche i muri sembrarono rabbrividire.
"Stanco?" chiese Keith, sussurrando quella parola quasi che fosse lì tutta la spiegazione dell'arcano.
Milos annuì di nuovo serio.
"Stanco di mentire. Tu non puoi sapere... pensa solo che dovrò sposarmi entro i venticinque anni, perché è mio dovere offrire figli alla patria. È la legge. Ed io so che non ho nessuna voglia di toccare una donna. Non l'ho mai avuta e sarà difficile farmela venire. Insomma, almeno per una volta ho voluto sapere cosa voleva dire fare l'amore come l'ho sempre immaginato, stringendo un corpo che mi piace e mi eccita sul serio. Ecco tutto. Però ti assicuro che basterebbe quest'unica volta per fottermi per sempre".
Keith lo guardava ancora, ma non era più stupito, la sua espressione adesso era seria e anche distaccata, come se stesse osservano un fenomeno raro, ma non del tutto inaspettato.
"Cosa ti faranno se vengono a saperlo?" chiese, e la sua voce ebbe una strana nota di durezza.
"Mi faranno un processo per corrotta abiezione. Avrei anche un avvocato, non credere, siamo gente civile noi. Solo che sarebbe una gran farsa. Sarei già condannato nel momento stesso in cui mettessi piede nel tribunale."
"Condannato a cosa?" Keith si era un po' scostato da lui adesso e il suo volto era entrano in una zona d'ombra, tanto che Milos non poteva più distinguerlo chiaramente. Il tono della sua voce però era ancora più freddo, quasi professionale, come quello di un vecchio medico che distrattamente si informa delle condizioni di un paziente. Ma Milos era troppo assorto nel suo inferno personale per registrare quel cambiamento nei modi del suo compagno.
"Sarei condannato ad essere internato in un istituto di riabilitazione, per essere recuperato. Solo che nessun uomo esce mai da quegli istituti, anzi, nessuno sa mai che fine facciano quelli che entrano negli istituti. Le donne ne escono a volte, e di solito non sono più capaci di... insomma, sono come larve."
Finì in un sussurro e la sua mente gli rimandò l'immagine di una donna troppo bella, con lo sguardo inchiodato in un punto sulla parete e le mani ad accarezzare un oggetto visibile solo a lei.
La voce di Keith lo riportò alla realtà.
"Io forse potrei dirti qualcosa in più su quelle sparizioni. Sempre che tu voglia davvero saperlo."

XIX

Keith era rientrato nel cono di luce e ora lo fissava serio. Improvvisamente non sembrava più il giovane pieno di irriverente vitalità che aveva conosciuto, ma un uomo duro come l'acciaio, e persino pericoloso.
Milos fece un balzo e si ritrovò seduto sulla sponda del letto, puntando verso l'altro, con una torsione del busto, gli occhi indagatori. Che intendeva dire? Come poteva un atleta libertino di Narito conoscere qualcosa che l'intera New Empire ignorava? Lo guardò stupito e quello che vide riflesso nel volto dell'altro lo fece sobbalzare,
"Ma tu chi diavolo sei?" chiese allarmato.
Lo sguardo di Keith si addolcì impercettibilmente e un leggero sorriso gli increspò le labbra.
"So che quello che sto per dirti non ti piacerà, Milos, ma cerca di farmi spiegare fino in fondo, d'accordo? Sono un agente coloniale..." Milos balzò in piedi e lo guardò senza respirare. Quell'uomo era una spia? Aveva scopato con una maledetta spia? Con la coda dell'occhio vide i suoi vestiti abbandonati in disordine sparso ai piedi del letto. Li agguantò e cominciò a rivestirsi febbrilmente. Keith lo raggiunse e cercò di bloccarlo.
"Aspetta," disse afferrandolo per le braccia, "Lascia solo che ti spieghi."
Milos di divincolò con furia selvaggia, mentre la stretta d'acciaio del giovane uomo gli penetrava nella carne delle braccia. Lottarono per parecchi secondi, fin quando Keith riuscì a sospingerlo sul letto e a bloccarlo con il peso suo corpo possente. Milos allora si fermò e puntò sull'altro gli occhi freddi come il ghiaccio.
"Lasciami andare." Gli disse con odio gelido.
"Ti chiedo solo di starmi ad ascoltare un attimo, cos'hai da perdere?"
Milos si rilassò e annuì, allora Keith lo lasciò libero. Si misero entrambi seduti sulla sponda del letto e il ragazzo fissò muto in faccia il giovane uomo, aspettando.
Keith si pettinò con la mano le lunghe ciocche sconvolte e cominciò a parlare.
" Mezzo secolo fa su New Empire è nato un corpo speciale di soldati, non puoi non saperlo..."
"Gli angeli della redenzione..." mormorò Milos annuendo.
"Appunto," disse l'uomo, "Un corpo di fedelissimi alle leggi delle... come le chiamate voi?... le Pietre, mi pare. Qualche anno prima di quella data, il vostro governo, acquisendo una richiesta del Parlamento coloniale aveva abolito la pena di morte per i condannati di corruzione. Da quello stesso momento coloro che uscivano dai vostri tribunali cominciarono a svanire nel nulla. Sono anni che indaghiamo per capire cosa c'è dietro a quelle sparizioni e ultimamente ci sono state delle indiscrezioni, indiscrezioni su degli esperimenti. Forme avanzate di manipolazione della volontà. In gergo viene chiamato lavaggio del cervello, ma probabilmente si tratta di qualcosa di molto più sofisticato."
Milos scosse la testa spazientito.
"Cosa diavolo c'entrano gli angeli della redenzione con i condannati dai tribunali delle Pietre?"
Keith sospirò e si strinse la testa tra le mani, come se cercasse di concentrarsi meglio.
"Ti sei chiesto come mai spariscono proprio gli uomini più forti dentro gli istituti di correzione? Le donne, lo hai detto tu stesso, per lo più fanno ritorno a casa, anche se non sono in grado di ricordare niente di ciò che è successo. Ecco, noi pensiamo che gli istituti di recupero sono proprio ciò che dice il loro nome. I dissidenti vengono recuperati, trasformati in fanatici assoluti e assoldati in quel corpo speciale."
Milos guardò l'uomo sbigottito, poi rabbrividì. Non era certo il tipo di persona da bersi tutto ciò che gli veniva raccontato come se fosse oro colato, ma quella cosa, così incredibile, era troppo nello spirito di New Empire per non essere vera. I corrotti riportati all'ovile, trasformati nei più fedeli esecutori delle parole delle Pietre e offerti sull'altare sacrificio alla patria per espiare la loro colpa. Sì, Milos ne ebbe la certezza assoluta non poteva essere altrimenti. Era così che andavano le cose.
Rifletté con calma, gli occhi persi nel vuoto, mentre Keith taceva in attesa. Alla fine lo guardò con calma.
"Se lo sapete, perché non intervenite? Potete farli smettere, come avete fatto per le esecuzioni."
L'uomo scosse il capo.
"Non è così semplice, ci vogliono le prove. Il Parlamento di New Empire non può fare niente con dei semplici sospetti, ogni colonia è sovrana nel suo territorio."
Milos sorrise ironicamente.
"Immaginavo una cosa simile. Adesso spiegami perché mi hai detto tutto questo. Non so, ma ho l'impressione che non sia solo per mettermi in guardia, o mi sbaglio?"
Anche Keith sorrise e persino in quel momento a Milos parve l'uomo più sensuale che avesse mai visto.
"Stiamo cercando quelle prove, io sto cercando quelle prove," disse semplicemente, guardandolo fisso in volto.
Milos scosse la testa, mentre pian piano nella sua mente il quadro si completava. Non riusciva a credere a ciò che implicavano le rivelazioni di Keith, ma era abbastanza cinico da prenderle in considerazione.
"Mi dispiace, che tu ti sia dato tanto da fare," gli disse con tono insolente, "Ma non sono la persona adatta a fornirtele."
"Davvero? Eppure ti ho appena sentito dire che sei stanco."
Il ragazzo sbuffò e fece per alzarsi in piedi.
"Aspetta," lo trattenne l'altro, "C'è qualcos'altro che devi sapere."
Milos si rimise seduto e continuò a fissarlo con quello stesso sguardo ironico nelle pupille color ghiaccio.
"Negli ultimi dieci anni il governo del tuo pianeta ha investito il 60% per cento delle risorse ricavate dalla vendita dei vostri minerali nell'acquisto di armi. Secondo le nostre informazioni adesso l'arsenale militare di New Empire è superiore a quello di qualsiasi altra colonia, Narito compresa. Inoltre da un po' di tempo il consiglio degli anziani ha avviato un'intesa diplomatica segreta con Cosmos 9."
Milos lo guardò sgomento, la notizia era completamente nuova per lui, ma gli ci volle un attimo per comprendere. Cosmos 9 era una delle colonie del settore beta, e viveva in una guerriglia continua con gli altri pianeti dello stesso settore oramai da quasi un secolo. Il Parlamento delle colonie aveva proibito che alcun altro pianeta intervenisse in quella situazione, soprattutto per impedire che qualche governo si approfittasse di quel caos per mettere le mani su una delle zone della galassia più ricche di minerali. Se New Empire disubbidiva apertamente a quella direttiva era la guerra.
"Esatto, è proprio così" disse Keith e Milos si accorse di aver mormorato quella parola tra le labbra. "E non basta" continuò l'uomo, "I nostri informatori dicono che il Capitano dell'Astronave è gravemente ammalato, presto bisognerà pensare alla successione. Il vecchio Capitano è sempre stato un uomo ragionevole, freddo e determinato, ma anche realista e consapevole di certi rischi. Invece suo figlio è un fanatico, e si circonda di altri fanatici come quel Fredrick Reinald che è il peggiore di tutti."
Milos sobbalzò senza volerlo a sentire quel nome e guardò l'uomo con sospetto.
"Se sei venuto a letto con me per farti dare chissà che informazioni, hai sbagliato persona, perché io non so niente più di quello che ti ho detto. In quanto a Master Reinald l'ho visto solo una volta in tutta la mia vita..."
Keith sorrise di nuovo, stavolta davvero divertito.
"Sono venuto a letto con te perché mi piaci, in caso contrario ti avrei solo attirato qui e ti avrei fatto la proposta dei miei capi. In quanto a Master Reinald sappiamo benissimo che non è alla tua portata."
La rabbia di Milos continuò a montargli dentro, ma adesso si univa anche un disprezzo sconfinato.
"Va bene, sentiamo questa proposta e poi facciamola finita." Disse incrociando le braccia con una smorfia di disgusto. Per tutta risposta Keith si alzò in piedi e si diresse verso la parete, Milos vide il buio inghiottirlo, e nell'ombra scorse la sua sagoma che armeggiava con qualcosa appoggiato o forse appeso al muro. Poi tornò verso di lui e gli si sedette di nuovo accanto. Nel palmo aperto aveva un piccolo oggetto e glielo mostrò. Era una specie di scatoletta, dello spessore di pochi millimetri e lunga sì e no due centimetri.
"Che roba è?" chiese Milos senza mostrare il minimo interesse.
"Oh, serve a molte cose.. ma principalmente a registrare immagini e suoni. Basta solo che tu sfiori uno di questi due pulsanti, e comincia riprodurre delle perfette immagini treD"
Milos spalancò gli occhi stupefatto.
"Volete che diventi una spia?"
"Dalle informazioni che abbiamo su di te, direi che saresti perfetto. Sappiamo in che conto vengono tenuti i campioni su New Empire, quindi pensiamo che in futuro potresti trovarti testimone di situazioni molto interessanti per noi."
Il ragazzo continuava a guardarlo allibito.
"Milos, c'è di mezzo la sicurezza di tutte le colonie, non lo capisci? Se riusciamo a smascherare una tanto palese violazione delle leggi coloniali sui diritti umani, forse riusciremo ad indebolire il tuo governo fino al punto da scongiurare una guerra."
Milos guardò l'oggetto stretto nella mano di Keith e poi lo guardò in viso.
"Tu sei pazzo," sibilò, "Oppure sei stronzo. Mi stai mandando a farmi fottere il cervello e mi fai anche la predica. Mi prendi per scemo? Non sarà responsabilità mia quello che succederà tra le colonie e New Empire. Trovatevi un altro modo per impedire questa guerra invece di mandare me al macello. Non siete meglio di quei bastardi fanatici su New Empire, non lo siete affatto."
"Calmati, ti ho solo parlato della prima parte della proposta. C'è dell'altro. Ti ho detto che quest'arnese ha molte funzioni. In realtà è anche un comunicatore. Se ti trovi in un guaio serio puoi lanciare un segnale. È criptato, e questo significa che ci metteranno almeno un'ora per rintracciarne la fonte. In quell'ora noi verremo a prenderti, o almeno ci proveremo in tutti i modi umanamente possibili, te lo giuro."
"Me lo giuri? E io mi dovrei fidare del giuramento di uno che è capace di portarsi a letto chiunque pur di fare i suoi comodi? Ma allora lo pensi veramente che sono scemo!"
Keith continuò senza dare retta, ma la mascella contratta faceva capire lo sforzo che stava facendo per tenersi calmo.
"Dal momento stesso in cui ti avremo recuperato, ti verrà dato lo status di rifugiato. Potrai vivere dove ti pare, sarai libero di andare e venire e di fare ciò che piu ti aggrada. In più noi ti proteggeremo e provvederemo a te economicamente."
Milos lo avvolse in una lunga occhiata ironica. Keith arrossì e sbuffò come un mantice.
"Ma possibile che tu non capisca?" sbottò, "Devo dirtelo io che uno come te è condannato su quel pianeta? Che diavolo hai da perdere? Dovresti addirittura urlare di felicità che ti venga offerta questa possibilità per salvarti il culo, ragazzino."
"Me la caverò" urlò Milos, "Non ho bisogno del vostro aiuto, riuscirò a restare a galla, tu non lo sai cosa sono disposto a fare..."
"Oh, sì, invece, comincio a sospettarlo. Comincio ad inquadrare che razza di persona sei. Uno disposto a mentire fino alla fine dei tuoi giorni, scommetto. A sposarti e a mettere al mondo figli solo per il gusto di tormentarli. Eppure mi hai detto che sei stanco. Stanco di che? Di non poter scopare con chi ti pare? Tu sai pensare solo a te stesso. Perché non pensi a tutti quegli innocenti che vivono nel terrore ogni giorno?"
Milos balzò in piedi come se lo avessero preso a calci.
"Che cazzo ne sai tu, Naritano? Tu che te ne stai tranquillo a vivere la tua vita di merda, che cazzo ne sai tu della paura?"
"Spiegamelo tu," disse l'uomo con improvvisa dolcezza, "Parlamene, allora, di questa paura."
Milos rimase a bocca aperta e lo guardò per parecchi secondi, poi si sedette di nuovo sulla sponda del letto e si guardò le mani,
"C'è un... una persona," disse con voce esausta, "Io non posso nemmeno sfiorarlo. In pubblico non posso nemmeno..." inghiottì, guardando un punto davanti a lui.
Keith gli sfiorò un braccio.
"E' il ragazzo di cui sei innamorato?" chiese dolcemente.
Milos chiuse gli occhi e una maschera di stanchezza si formò sul suo volto.
"Gli uomini non si innamorano tra di loro. Non è amore, è solo corruzione."
"Se ne sei convinto, puoi anche lasciare questa stanza e far finta che questa nostra conversazione non sia mai avvenuta." La voce di Keith lo raggiunse nel buio profondo dietro alle palpebre chiuse, "Ma se hai anche un solo dubbio, forse è meglio che ci pensi bene. Pensa che ti stiamo offrendo una possibilità di fare qualcosa per te stesso e per molti altri. Non guardare alle nostre ragioni, forse non saranno per nulla limpide o altruiste, ma guarda ai risultati. Pensa a ciò che si pretenderà da te negli anni a venire. E se ti chiedessero di trasformati in un boia, magari di persone come te, cosa farai, Milos? Ce la farai a dire di no?"
Milos avrebbe voluto urlare e piangere. Per quale maledetto trucco quell'uomo stava dando voce ai suoi pensieri più nascosti? Quegli stessi che lo tormentavano ogni giorno e che lui cercava di ignorare, per non esserne distrutto. Aprì gli occhi e lo guardò in faccia. Keith lo fissava a sua volta, le labbra strette e il volto serio. Attendeva una risposta e stavolta non avrebbe più insistito. Forse pensava già di avere perso con lui, di avere solo sprecato tempo con un ipocrita vigliacco. Sospirò lievemente e si arrese.
In silenzio porse la mano verso l'uomo che gli diede l'oggetto senza che l'ombra di un sorriso sfiorasse il suo volto. Milos apprezzò di non scorgere nemmeno una parvenza di vittoria nei suoi occhi.
"Nascondilo," gli disse, "Non è difficile, ma è anche facile perderlo, e stai attento, d'accordo?"
Si alzò e gli porse una mano.
"Avanti," disse "Ti riaccompagno nel dormitorio. E non temere, stanotte i tuoi compagni avranno il sonno pesante, molto pesante, abbiamo provveduto affinché nessuno soffrisse d'insonnia." E sorrise malignamente.
Milos lo guardò stupito, era tutto predisposto, maledetti loro, tutto organizzato come una bella trappola per topi e lui c'era finito dentro come uno stupido.
"Come diavolo facevate a sapere che proprio stasera sarei venuto qui con te?"
"Non lo sapevamo, infatti, ma ci tenevamo pronti ad ogni evenienza. Ho scommesso che dopo la mia visita di oggi in palestra avresti dovuto per forza fare qualcosa, e ho vinto la scommessa" e gli lanciò un'occhiata.
Milos era spaventosamente arrabbiato di essere stato così prevedibile, non ce la faceva proprio a mandare giù che esistesse qualcuno nella galassia capace di leggergli dentro in quel modo. Ma oramai era inutile stare a lamentarsi. Si alzò in piedi e si rivestì in silenzio. Avrebbe avuto bisogno di una doccia, ma pensò che la cosa migliore era farla una volta giunto nella sua stanza. Avevano già perso troppo tempo e se si fosse fermato ancora un altro po' sarebbe sorta l'alba. Appena fu pronto si volse verso Keith che si era rivestito velocemente quanto lui.
"Andiamo," disse, dirigendosi verso la porta. Si fermò però un momento e si voltò indietro a guardare il volto dell'agente. Un'ultima curiosità gli bruciava dentro e doveva soddisfarla prima che fosse troppo tardi.
"Perché hai scelto proprio me?" chiese, "Come hai fatto a capire?"
Keith lo guardò con i suoi ridenti occhi nocciola e gli fece una fuggevole carezza sul volto.
"Ho notato come mi guardavi mentre ballavo con quel ragazzo e ho pensato che forse la smorfia di disgusto che avevi stampata sulla faccia non fosse poi così sincera. Ho rischiato, non dico di no. Ma fortunatamente avevo ragione. E, poi, forse un po' ci speravo che potessi essere proprio tu. Non sai quanto lo invidio quel tuo ragazzo..."
E detto questo prese le sue labbra tra le sue e lo baciò con un altro di quei suoi sensualissimi, sfrontati baci profondi.


Continua....






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