Disclamer: la storia è mia, i personaggi pure. Ma se qualcuno vuole scrivere una side tory glieli presto volentieri.


Le pietre di New Empire

parte IV

di Petra


IX

Vista dall'alto tutta l'immensa vallata della città di Futura appariva cosparsa d' infinite, minuscole lucciole rossastre, che rilucevano sinistramente nella notte oscura. Nessun'altra luce illuminava la città, né quelle artificiali, né quelle naturali delle due immense lune. Solo le migliaia di fiaccole accese, rompevano a tratti le tenebre, illuminando i corpi e i volti della folla in attesa. Ed era la stessa cosa in ogni luogo di New Empire, centoventi siti per centoventi astronavi, che avevano portato quei pellegrini, stanchi di vagare nello spazio, in quella che sarebbe stata la loro nuova terra, la loro casa.
Ai piedi delle immense moli delle astronavi, ancora perfettamente conservate, che si stagliavano come immense masse scure contro il buio della notte, si celebrava come ogni ad ogni equinozio di primavera, il rinnovamento del Patto.
Un silenzio solenne, irreale sovrastava le tenebre, rotto a tratti dai innumerevoli respiri, come se un animale immenso, con migliaia di occhi, bocche ed arti, si fosse acquattato nella notte, in attesa del suo pasto.
Milos con la sua fiaccola in mano osservava di sottecchi i volti, su cui brillavano riflessi rossastri, degli uomini accanto a lui. Ognuno di loro assorto a contemplare un'unica cosa, il palco sopraelevato, ancora immerso nell'oscurità ed accanto ad esso la loggia sulla quale sedevano le autorità.
Era troppo buio perché si potessero distinguere chiaramente le persone arrampicate là in alto, ma Milos sapeva che tra quelle sagome nere vi era anche il Capitano dell'Astronave e ogni rappresentante del Consiglio degli Anziani e perciò da qualche parte vi doveva essere anche Master Reinald. Dove si trovasse invece Athom, lui non ne aveva la minima idea e, per quanto si sforzasse, i suoi occhi non riuscivano a distinguere altro che ombre, appena illuminate di qualche breve bagliore.
Improvviso come una cannonata, il silenzio fu squarciato da rullo cadenzato di tamburi e un fascio di luce centrò in pieno il palco, che si offrì così alla vista di ognuno, ancora vuoto, ma completamente ricoperto di fiori bianchi. Passò ancora qualche istante e su di esso apparve una figura curva, accompagnata da due uomini in divisa militare di alto grado e da un uomo più giovane vestito semplicemente di nero. Il popolo di Futura salutò in coro il suo capo, e fu come se la belva si fosse improvvisamente svegliata e lanciasse verso il cielo, curvo di stelle, un richiamo selvaggio a cui nessuno poté resistere.
Milos si unì all'ovazione, conscio del fatto che la medesima cosa stava avvenendo in ogni angolo di New Empire, dove sugli schermi gigante la figura del patriarca sarebbe stata proiettata in tre dimensione agli occhi dei suoi fedeli. Erano uno spettacolo immenso, fuori dal tempo, quei quattro uomini che si stagliavano solitari contro l'infinita oscurità del cielo, immobili come statue, con lo sguardo dritto nel vuoto punteggiato di rosso fuoco.
L'uomo più anziano sollevò la mano e subito tornò a calare un silenzio assoluto, talmente profondo che Milos poté udire i battiti accelerati del proprio cuore, poi una voce, amplificata in mille echi, si alzò a pronunciare le parole.
"IN QUESTO GIORNO, FAUSTO DI SPERANZA, NOI POPOLO DI NEW EMPIRE, SFUGGITI ALLA CORRUZIONE E ALLA MORTE, DOPO ANNI DI OSCURITA' E DI DOLORE, GIUNTI DALLE PROFONDE SPIRE DELLO SPAZIO, PROCLAMIAMO QUI IL NUOVO INIZIO. PROMETTIAMO A NOI STESSI, E ALLE STELLE DI QUESTO CIELO SCONOSCIUTO, IL FUTURO CHE SAPREMO COSTRUIRE, NELLO SFORZO DELLA NOSTRA VOLONTA' E NELLA PUREZZA ASSOLUTA DEL NOSTRO CUORE. GIURIAMO CHE VERSEREMO IL NOSTRO SANGUE AFFINCHE' SI AVVERI IL SOGNO DELL'UMANITA', UN SOGNO DI GLORIA E PERFEZIONE, IN NOME DELL'UOMO E DEL SUO AVVENIRE GIA' UNA VOLTA BASSAMENTE TRADITO. NEW EMPIRE VIVA PER SEMPRE."

Tornò il silenzio, solo per pochi battiti, e subito si levò il rombo poderoso di una tempesta, fatta di migliaia di voci, che nella notte pronunciarono le medesime parole in un unico, potente coro. La belva uscì dall'ombra e proclamò ruggendo tutta la sua forza, mentre il ritmo dei tamburi, aumentato d'intensità, accompagnava il suo ruggito e le parole divennero un canto, guidato da quel battito potente.
Milos pronunciò il Patto insieme a tutti, la formula ripetuta per tre volte ed ogni volta più forte e con più convinzione, finché l'ultima non trasformò le voci in un urlo che squarciò il cielo, con mille bocche spalancate e le fiaccole alzate verso l'alto, agitate dal vento, che improvvisamente si era levato. E in quel momento, mentre urlava a squarciagola gli ultimi echi del giuramento, Milos sentì qualcosa di umido scorrergli sulle guance. Alzò la mano vuota verso gli occhi e toccò quelle maledette lacrime, le stesse che vedeva rigare i volti di tutti gli uomini accanto a lui.
Si asciugò gli occhi con un moto di rabbia e il suo urlo divenne di rancore e di odio contro quell'animale attorno a lui e dentro di lui che si divertiva a manovrarlo in quel modo infame.
Ma la consapevolezza fu di subito divorata dal cuore della belva, e di nuovo si abbandonò, trascinato da ogni parte, a quella forza che gli squarciava i timpani e vibrava sulla sua pelle, e per un attimo ancora, ancora per un interminabile attimo, permise che quell'immensa energia lo inghiottisse in un oblio di sé, estenuante, ma così feroce e vitale che il cuore balzava da solo in una danza selvaggia.

Lentamente però i tamburi cominciarono rallentare e sembrò che anche i respiri di tutti gli abitanti di Futura riprendessero il loro ritmo naturale, fino a che il silenzio riprese possesso della notte.
Milos si sentiva svuotato, debole, indifeso. Le lacrime continuavano a scorrere sulle sue guance, ma adesso era un pianto di stanchezza e di smarrimento.
Dio, come odiava ridursi in quel modo! Ogni anno si riprometteva che avrebbe partecipato alla cerimonia col solito impassibile cinismo e ogni volta finiva per capitolare in quell'emozione collettiva, che lo trascinava fuori di sé e lo lasciava svuotato e attonito. Avvertiva con terrore che in quei momenti avrebbe fatto qualunque cosa gli avessero ordinato, unito in un'unica volontà a quella folla in cui perdeva se stesso e che annullava ogni sua capacità di ragione.

Anche intorno a lui il parossismo di pochi istanti prima si era calmato e aveva lasciato il posto ad una nuova attesa, colma di aspettativa.
Mentre il Capitano dell'Astronave veniva condotto via dagli uomini della guardia, l'uomo vestito di nero, si avvicinò all'orlo del palco. Sorrise tranquillo e sul suo volto asciutto si disegnò l'ombra di un estremo compiacimento. Parlò con voce profonda, senza echi e senza nessun accento di retorica, quasi sussurrando con tono suadente e a Milos quella voce fece accapponare la pelle, perché era come se trasmettesse direttamente dentro la sua carne. Di sottecchi osservò il viso di un uomo accanto a lui, lo vide concentrato fino allo spasmo e l'espressione di assoluta fiducia nei suoi occhi spalancati lo riempì di sgomento.
- Come ciascuno di voi sa, per lungo tempo il nostro popolo ha dovuto lottare perché questo nostro pianeta assumesse il volto che ha adesso. Sapete che i nostri sforzi non sono ancora finiti, vi sono luoghi di New Empire che soffrono tuttora per la mancanza di acqua e di aria respirabile. Ma oramai possiamo dire con orgoglio che questo luogo è terraformato ad una percentuale vicina al massimo. Ancora però non è il momento di riposare, solo adesso anzi comincia il nostro compito più grande. Altri uomini sparsi nella galassia vivono nelle tenebre della corruzione, e a noi tocca recare loro la luce. Riusciremo solo se saremo uniti come un solo cuore in un'unica volontà. Oggi è un grande giorno per New Empire perché un altro grande passo avanti sta per compiersi di fronte ai vostri occhi. Siamo un unico popolo e ora abbiamo un nostro inno.
Sorrise di nuovo e lo schermo gigante proiettò l'immagine dei suoi occhi commossi. Poi lasciò il palco per lasciare il posto ad una piccola forma bianca.

Il ragazzo si trovò al centro di milioni di sguardi. Circonfusa di luce, la sua minuscola figura venne ingigantita dai proiettori olografici e riflessa in tre dimensioni in ogni angolo di New Empire. I primi piani mostrarono un volto affilato e pallido, giovane in modo commovente, gli occhi seri, concentrati sotto le palpebre attraversate da piccole venuzze azzurre, e le lunghe ciglia che ombreggiavano le gote lisce, ancora un po' infantili. Un angelo etereo col corpo inguainato in una aderente divisa bianca, minuscolo eppure gigantesco, sovrastato da un'aura di fragile, aristocratica solitudine. Il ragazzo stringeva le lunghe dita bianche intorno ad uno strumento dalla forma complicata, trasparente e brillante sotto il fascio delle luci.
L'angelo portò lo strumento alle labbra e cominciò la magia promessa.
La musica si levò alta verso il cielo limpido di stelle e appena la riconobbero gli uomini di New Empire sorrisero. Era una marcia popolare, che ciascuno di essi conosceva fin dall'infanzia, forse la prima canzoncina imparata sui banchi delle scuole primarie. C'era però qualcosa di diverso, una nota in sottofondo, simile ad alla pulsazione regolare di un cuore che batte. E bastava quella nota da niente per trasformare la marcetta in qualcosa di mai udito prima, un lamento doloroso, somigliante ad un ruggito penoso di rabbia impotente. Era spaventoso ed inquietante, un'eco di angoscia quasi insopportabile. Ma bastarono poche battute e la musica cambiò ancora, elevandosi in un'unica nota purissima, che si innalzava nell'aria come una preghiera, straziante per la fede che esprimeva. E solo allora le note della marcetta ricominciarono, pure ed innocenti, come il canto di un bambino che pronunci un atto di fiducia assoluto verso la vita ed il futuro.
Quando gli ultimi suoni si spensero, vi fu un attimo di silenzio, poi le voci esplosero in urla di giubilo. New Empire aveva il suo inno. E l'inno era New Empire. Tutti avvertirono questa verità, senza altro bisogno di parole: cominciava una nuova era.

Milos rimase immobile ad osservare Athom che sorrideva timidamente dallo schermo e ringraziava con un lieve cenno della mano, chiaramente confuso dall'ovazione della folla. e poi le voci si levarono a chiamare ritmicamente un nome fin troppo noto. In risposta a quell'appello, un uomo dai capelli color ambra salì sul palco, raggiante di felicità e strinse tra le braccia il giovane musicista. Poi si volse di nuovo a salutare la folla impazzita per l'entusiasmo e si portò via il ragazzo ancora stordito, quasi trascinandolo di peso.

Dopo un tempo che a Milos sembrò interminabile, le luci del palco si spensero ad una ad una, segno della che la cerimonia si era conclusa. La folla cominciò a defluire con calma, e gli uomini tornarono ordinatamente alle loro case, riempiendo come un fiume in piena le strade di Futura, fino ad un momento prima deserte.
Milos camminava nella notte, di nuovo rischiarata dai lampioni della città, con la testa bassa e i pugni serrati. Ascoltò distrattamente i commenti intorno a lui, sulla vecchiaia del Capitano, sull'erede vestito di nero e le sue magnifiche parole, su Master Reinald, l'autore del nuovo inno e quel ragazzino che lo aveva suonato così meravigliosamente, e poi naturalmente cominciarono a fioccare da ogni parte i pronostici sulle gare di primavera che sarebbero iniziate a partire dall'alba del giorno successivo. La festa non era finita, dicevano quelle voci allegre intorno a lui, per giorni ancora avrebbero vissuto immersi in quella splendida euforia. La celebrazione del Patto era un evento davvero eccitante e commovente.
Milos si sentì sommergere da un'ondata di disgusto e con un vero moto di disperazione si chiese per quanto tempo ancora sarebbe riuscito a resistere a tutta quella sinistra pagliacciata.


X

Una bracciata dopo l'altra a ritmo costante, senza forzare troppo, senza inutile spreco di energia, un movimento pulito e fluido nell'acqua dal sapore salmastro di cloro, ad ascoltare, dimentico di tutto, immerso nel silenzio ovattato, la battuta regolare del respiro, sotto la carezza liquida e avvolgente dell'onda che lui stesso sollevava.
La mano di Milos finalmente toccò il bordo della piscina e solo allora il ragazzo si permise il lusso di alzare lo sguardo. Non solo era primo, ma aveva distaccato il secondo nuotatore di più di mezza lunghezza. Volse il viso verso il cartellone luminoso per controllare il tempo e quasi non credette ai propri occhi, ancora una volta aveva stabilito il nuovo record di New Empire, e si era avvicinato ancora di più al record pangalattico, ed il bello era che non si era nemmeno sforzato fino in fondo.
"Mio dio", pensò, "Mi basterà solo spingere appena un po' e sarò il campione assoluto. La prossima volta... lo so che ce la posso fare."
E travolto da questo pensiero lasciò finalmente che un unico sorriso di trionfo gli illuminasse il viso, mentre il pubblico sugli spalti sembrava impazzito per l'entusiasmo. Saltò agilmente sul bordo della piscina e alzò un braccio in segno di vittoria. Subito si ritrovò circondato, quasi assalito, da un mucchio di gente sconosciuta. Con un po' di fatica comprese che si trattava di giornalisti accorsi ad intervistarlo, le cineprese lo abbagliarono con i loro fasci di luce e lui mostrò a tutta New Empire il suo sorriso più sincero.

Stava ancora rispondendo ad una raffica di domande cercando di non fare confusione e di non dire troppe stupidaggini quando lo vide avanzare verso di lui con passo esitante, ma con uno sguardo deciso stampato sul volto. Milos non poté fare a meno di liberarsi, con un movimento quasi brusco, di tutti coloro che lo attorniavano e andargli incontro raggiante. Athom si fermò e gli sorrise a sua volta porgendogli la mano.
"Volevo farti i complimenti," disse "Sei stato magnifico"
Milos sentì la felicità esplodergli dentro, pensò che se mai fosse morto in quel preciso istante avrebbe già potuto ringraziare gli dei, per quell'unico attimo perfetto. In un solo giorno la sua vittoria che lo qualificava ai giochi pangalattici e la mano di Athom di nuovo tra le sue. Stava per dire qualcosa di assolutamente sciocco, ma per fortuna si rese conto in tempo che la ressa dei giornalisti adesso li circondava entrambi. Avevano immediatamente riconosciuto Athom Coleen ed erano letteralmente impazziti. Il flash di mille telecamere TreD li avvolse ed essi si ritrovarono a rispondere alle domande che fioccavano intorno. Milos spiegò con divertimento che lui e colui che oramai tutti conoscevano come l'eroe dell'inno erano compagni di scuola e che erano anche amici, perciò adesso felici di ritrovarsi a festeggiare insieme quella vittoria. I giornalisti sembrava non riuscissero a capacitarsi di un evento tanto inaspettato, li fecero posare ancora, uno vicino all'altro, con le mani strette e i giovani sorrisi smaglianti sui volti pieni di speranza. Era uno scoop di dimensioni planetarie e presto ogni schermo sarebbe stato invaso dalle immagini dei giovani eroi.
Fu difficile liberarsi della folla, ma intervennero gli allenatori e qualche Master e finalmente i due ragazzi riuscirono ad allontanarsi insieme. Milos prese Athom per la mano e lo trascinò lontano di corsa, ridendo allegramente. Si rifugiarono in uno spogliatoio e si appoggiarono al muro entrambi trafelati, con l'ombra del divertimento che aleggiava ancora sui visi accaldati.
-Devo cambiarmi,- disse Milos, appena recuperò il respiro, -Se mi aspetti, andiamo via insieme, ti va?
Athom annuì, ancora appoggiato al muro, ansante e col viso arrossato per la corsa, e Milos si allontanò subito. Si fece la doccia e si vestì talmente in fretta che pensò ridendo di aver davvero battuto, almeno in quello, ogni record galattico.

XI

Quel giorno, come ogni anno, i meteorologi avevano creato una giornata di primavera perfetta. Il cielo era di un azzurro smagliante, appena ornato da leggerissime nuvole bianche e la temperatura mite, rinfrescata dalla lieve brezza, portava il sentore delle migliaia di fiori di cui ogni angolo delle capitale era ricoperto.
Milos guidò Athom fino al Ponte Grande. Era la parte più antica di Futura, quella, ed il ponte era il primo monumento che i Padri avevano costruito sul nuovo pianeta.
Athom da bambino aveva pensato che doveva essere stato uno spettacolo molto buffo, durante i primi anni, quella costruzione che si elevava in mezzo al deserto. Poi, al corso superiore di storia, gli avevano mostrato le antiche immagini olografiche e allora la cosa più che buffa gli era sembrata surreale, come certi sogni privi di logica. Ed era di certo una cosa priva di senso, costruire un ponte sul nulla, perché solo dopo averlo ultimato i Padri avevano cominciato a far defluire il fiume che adesso scorreva placidamente sotto di esso. Ma in fondo una cosa simile era perfettamente nello stile dei primi abitanti di New Empire e Milos si era sempre chiesto se non fossero tutti un po' folli, quei sognatori che avevano fondato il suo pianeta.
Ma a dire la verità il vecchio ponte di lucido acciaio gli era sempre piaciuto, era uno dei luoghi dove andava da bambino nei giorni di festa, quando tutta la sua famiglia si recava a Futura. Di solito lui saliva di corsa sui pochi gradini e si sporgeva sull'acqua, trattenuto per l'orlo della giacca da sua madre, accorsa in fretta per bloccarlo. Quel luogo finiva sempre per evocare in lui la giovane donna, trafelata e con l'ombra di preoccupazione sul volto giovane e bello, così vitale, prima che finisse inghiottito dalla tristezza e dalla disperazione.
Athom invece non vi era mai stato prima, e adesso appariva un po' titubante, come schiacciato dall'aura di storia che trasudava dal vecchio monumento.
Si avvicinò quasi con timore all'immancabile Pietra, per l'occasione interamente ricoperta di fiori di campo.
IL FUTURO E' DI CHI LO COSTRUISCE CON OCCHI PURI E MANI IMMACOLATE. IL FUTURO NON E' UN DIRITTO, E' UN MERITO.
Lesse ad alta voce e come sempre si sentì colmare di rispetto per quelle parole forti e sagge. Milos accanto a lui sorrise.
-E noi sappiamo bene cosa succede a chi non se lo merita il futuro, giusto?- disse ridendo cinicamente.
Athom sospirò.
-Tu riesci ad interpretare in modo malevolo ogni cosa.- Disse, -Non sei affatto cambiato.
-Scommetto che se fosse qui Master Reinald avrebbe saputo dirti qualcosa di commovente su cui riflettere per giorni.
Athom non ci pensò neppure a rispondere a quella palese provocazione, solo si appoggiò al parapetto, guardò l'acqua azzurra scorrere lentamente e si incantò ad osservare i giochi di luce che danzavano sulla superficie. Per uno come lui, proveniente dalle selvagge zone occidentali tutta quell'acqua era ancora il segno di un miracolo.
Sentì Milos muoversi nervoso accanto a lui, lo guardò di sottecchi e lo vide contemplare l'acqua con ostilità.
- Come ha fatto Master Reinald a convincerti a dare a lui tutto il merito per l'inno?
Athom sobbalzò e si voltò con un'espressione di puro allarme sul volto arrossato.
- Che diavolo stai dicendo?
L'altro non si lasciò minimamente scomporre da tanta agitazione e continuò ad osservare l'acqua con quella medesima espressione corrucciata
- Andiamo Athom, appena tre mesi fa mi fai ascoltare una musica e mi dici che l'hai improvvisata sul momento e poi quella stessa cosa diventa l'opera del grande genio musicale di Master Reinald. Non credi che sia un poco strano?-
E solo allora lo guardò, di sbieco con un'occhiata inquisitoria.
- Non era affatto la stessa musica.- protestò Athom
- Era abbastanza simile da farmi sospettare che perlomeno l'idea di usare quella stupida marcia sia partita da te, ma allora perché non compare anche il tuo nome accanto a quello di Master Reinald? Come mai l'autore è lui e tu sei solo l'esecutore?
- E' stato Master Reinald a ricevere il compito ufficiale di comporre l'inno, io invece ho solo avuto il compito di eseguirlo.
- Ma non è quello che ti sei limitato a fare, ammettilo. Non capisco come hai potuto permettere che quello stronzo si prendesse tutto il merito.
-Non dire così, non sai nemmeno di cosa stai parlando!-
-Sei talmente preso da lui da non riuscire nemmeno a difenderti se quello vuole fregarti?
Il viso di Athom divenne rosso fuoco.
-No, non hai capito proprio niente.... Smettila di insinuare sempre le stesse cose, lui non è come credi tu... è un uomo puro, non gli verrebbe mai in mente di andare contro le Pietre.
-Se ti ha rubato il merito dell'inno è un ladro ed un ipocrita, altro che uomo puro...
-Ma che importanza hanno tutte queste questioni di mio e tuo? È solo assurdo egoismo!
-Oh certo! figurati se non è egoismo pretendere di essere più bravi di un Master ... e chi si azzarda?
-Puoi risparmiarti la tua ironia, lui ha lavorato all'inno quanto me, è mio quanto suo...
- E' esattamente quello che sto dicendo io, è tuo quanto suo! Solo che il merito se lo sta beccando solo lui.
Athom arrossì e abbassò la testa.
- L'unica cosa che veramente importa è che adesso New Empire abbia il suo inno... possibile che tu non riesca a capirlo, questo?
Milos sospirò e tornò a guardare l'acqua trasparente. Sapeva che veniva mantenuta così pura dal lavoro di poderose pompe artificiali che la depuravano di ogni scoria. Come ogni cosa su quel maledetto pianeta, anche quell'azzurro era falso. Il senso di disgusto che aveva avvertito alla fine della cerimonia del Patto era ancora lì, forte come non mai, ma in quel momento c'era qualcosa che gli premeva molto di più.
-Insomma, nel bene o nel male, quel maledetto inno l'avete finito, perciò adesso immagino che puoi tornare tranquillamente a scuola, giusto?
Athom lo guardò stupefatto, come se non si rendesse conto di cosa l'altro stesse parlando.
-Oh senti, non fare scherzi! Ricordati che me l'hai promesso. - Sbottò Milos esasperato dall'espressione smarrita dipinta sul volto del ragazzo.
Athom deglutì e distolse lo sguardo.
-Ecco,- disse -Credo che il Consiglio stia per affidarci un altro compito.
Athom non rispose subito, troppo occupato a tentare di assorbire il senso di quelle parole. Poi un sorriso crudele si disegnò sul suo volto.
-Quello lì non ti lascerà mai andare via. Questa è la verità! E perché dovrebbe? Sei la sua gallina dalle uova d'oro, e lui certo idiota non è.
-Non dire così, non insultarlo ancora, lui non c'entra con le decisioni del Consiglio. Fa solo il suo dovere...
Milos sbuffò. Si sentiva come una vescica piena, sarebbe bastato solo un altro piccolo urto per farlo esplodere. Avrebbe voluto che quell'idiota di ragazzino smettesse di essere così ingenuo e d'altronde, se davvero lo era fino a quel punto, se lo meritava di essere sfruttato come uno schiavo da quel marpione di un master.
Si accorse che gli prudevano le mani dalla voglia che aveva di spaccargli la testa per vedere se in quel modo almeno fosse riuscito a ficcargli dentro un po' di buon senso. Lo guardò sconsolato... all'inferno lui, all'inferno Master Reinald e all'inferno tutti quanti. Ma perché doveva fargli così male?
-Io adesso devo andare,- gli sentì dire e sembrava che la sua voce gli arrivasse da una distanza infinita. -Ho promesso a Master Reinald che lo avrei accompagnato ad una conferenza stampa.
"Sì, giusto," pensò Milos, "va bene così. Salta marionetta, togliti il cappello e la marionetta salta e saluta educatamente. Che schifo!"
Si voltò ancora verso il ponte, sentiva lacrime di frustrazione e rabbia pungergli le palpebre, ma sarebbe morto piuttosto di piangere.
Avvertì il respiro dell'altro vicinissimo accanto a lui. Athom rimaneva fermo in silenzio e lo guardava.
"Ma che diavolo vuole ancora?" pensò con rabbia. E si voltò intenzionato a mandarlo all'inferno una volta per tutte.
-Non vuoi nemmeno salutarmi?- disse il ragazzino. Sul suo volto era dipinta una tale disperazione che Milos sospirò sconfitto ancora una volta.
- D'accordo,- disse, rassegnato per la propria assoluta idiozia. Evidentemente quello scemo non era l'unica marionetta che si lasciava governare a piacimento da qualcun altro. Anzi, lui era talmente più imbecille che gli bastava solo vedere quel viso vicino alle lacrime per diventare malleabile come la cera.
In quel momento Athom gli stava tendendo una mano e Milos la prese nella sua.
-Buona fortuna,- gli disse, -Spero che sia tu ad avere ragione su Master Reinald, perché se invece ho ragione io... lasciamo perdere... solo, cerca di stare attento, d'accordo?
L'altro accennò un leggero sorriso e Milos lasciò andare la sua mano.
-Allora, io vado..
-Sì, aspetta solo un attimo...
Sentiva che avrebbe dovuto dirgli ancora qualcosa, qualcosa di importante. Non poteva lasciare che andasse via così senza dirgli quello che doveva assolutamente fargli sapere. Ma cosa fosse quella cosa lui stesso non riusciva a capirlo. C'erano un mucchio di stupide parole dentro di lui, ma per quanto si sforzasse non riusciva a trovare quella sola che avrebbe avuto importanza, ... Sentiva gli occhi di Athom su di sé, in attesa, ma lui non riusciva a dire niente. Era una sensazione orrendamente frustrante. Allora, alzò una mano e col dorso gli fece una ruvida carezza sulla guancia. Vide la paura accendersi negli occhi dell'altro. Entrambi si guardarono intorno. Per fortuna, la gente che gremiva il ponte, era troppo indaffarata a godersi il clima di festa per far caso a loro due. Milos sospirò e si voltò di nuovo verso l'acqua, la tristezza che sentiva era solo paragonabile alla rabbia e alla frustrazione.
-Allora ci vediamo presto... - disse il ragazzo a fianco a lui con voce insicura, - dopo che sarai tornato dai giochi pangalattici...
Il volto di Milos si indurì in un'espressione torva, mentre continuava a fissare il fiume ostinatamente.
-Che tu possa vincere, Milos, e riempire d'onore New Empire.
Era la formula tradizionale con la quale si augurava la vittoria agli atleti. Milos sorrise livido, si chinò in avanti e appoggiò i gomiti sul parapetto del ponte.
-Grazie,- disse solo e non si voltò a guardarlo mentre l'altro si allontanava.

XII

Il taxi lo lasciò davanti al portone di una villetta monofamiliare alla periferia della città di Rebirth, nella periferia della prefettura di Serenity. Era un quartiere residenziale, abitato dal ceto medio, dignitoso ed austero.
Il luogo in cui Milos era cresciuto, sembrava una casa come tante altre, se non fosse stato per una particolarità poco evidente ad occhi estranei, ma che Milos individuò subito, col cuore stretto in una morsa. Le finestre di una stanza del piano superiore erano fornite di sbarre robuste.
Il ragazzo si avvicinò alla porta e appoggiò la mano sullo stipite. Il computer centrale registrò e riconobbe immediatamente le sue impronte e la serratura scattò. Entrò nell'atrio semi-illuminato da una vetrata opacizzata e meccanicamente rese omaggio alla Pietra posta sul piccolo altare ornato di fiori. Non aveva bisogno di leggere la scritta incisa su di essa, ma la sua mente recitò per riflesso condizionato la formula.
LA FAMIGLIA E' UN FOCOLARE SACRO. IMPEDIRAI ALLA CORRUZIONE DI SOFFIARE IL SUO VENTO GELIDO E DI SPEGNERE L'ARDORE DEL SUO FUOCO PURO.

Sulla cima delle scale apparve la figura, vestita nell'uniforme, di suo padre. Milos si bloccò accanto all'altare e come voleva l'etichetta attese.
L'uomo discese le scale e gli si accostò, nemmeno l'ombra di una qualsiasi espressione aleggiava sul volto austero. Eppure erano tre anni che non si vedevano. Milos, però, non si lasciò ingannare da quella calma. Sapeva quali sentimenti si agitavano nel cuore di suo padre in quel momento, sapeva lo sforzo che lui stava facendo per non lasciare trasparire il suo rancore. Ma doveva anche pensare al proprio di rancore e non permettere che niente di ciò che stava davvero provando si intravedesse all'esterno. Una bella lotta, pensò, tra due che si sarebbero volentieri sbranati a vicenda e che invece si osservavano con fredda calma, in piedi uno di fronte all'altro, ostentando solo un'educata perplessità.
-Vostro figlio chiede di poter varcare la soglia della vostra casa, padre.
Pronunciò la frase di rito senza battere ciglio, rigido sull'attenti e con lo sguardo fisso in un punto dietro le spalle dell'uomo.
-Vostro padre vi dà il permesso.- Rispose seccamente l'uomo e si voltò per risalire le scale.

Milos entrò, seguendo il genitore, nella saletta che faceva da salottino interno. Niente era cambiato da tre anni a quella parte, la stessa mobilia antica e dignitosa, la stessa atmosfera grave e solenne. Una giovane donna si alzò dal divano su cui sedeva, lasciando cadere il lavoro di cucito a cui era intenta e gli andò incontro sorridendo.
- Marzia, - disse lui - stai benissimo!
- Oh, anche tu,- rispose, porgendogli la mano inguantata.
Mentre si salutavano, suo padre si era seduto sulla poltrona vicino alla finestra, impettito lo guardò dritto in faccia, senza dargli il permesso di sedersi a sua volta. Milos, perciò, rimase in piedi davanti a lui e solo la sorella tornò seduta sul divano a riprendere il suo lavoro interrotto.
- C'è qualcosa che vuoi chiedermi?- disse l'uomo, con fare indifferente.
- Ho vinto i campionati di nuoto e mi sono qualificato per i giochi pangalattici. Sono venuto a domandarvi il permesso di lasciare New Empire per partecipare ai giochi.
Naturalmente si trattava di una richiesta solo formale, nessuno a parte il Consiglio avrebbe avuto l'autorità di impedire ad un atleta di prendere parte ai giochi pangalattici, ma era un atto dovuto, in ossequio all'autorità del capofamiglia, visto che la patria potestà su New Empire cessava solo con la morte del genitore di sesso maschile.
- Ti autorizzo a lasciare momentaneamente il nostro pianeta. - disse l'uomo solennemente, dopo pochi attimi di finta riflessione, - Che tu possa vincere e riempire d'onore New Empire.
Aveva aggiunto la formula con voce atona e Milos non poté fare a meno di paragonare quel tono nasale che lo nauseava alla voce un po' tremante che pochi giorni prima gli aveva rivolto lo stesso augurio.
Ma per fortuna dopo aver pronunciato quelle parole l'uomo sembrò stanco di recitare la parte di genitore integerrimo. Si alzò dalla sedia e con la scusa di un lavoro da svolgere si accomiatò.
Milos finalmente tornò a respirare, si sedette sul divano e rivolse un sorriso disteso alla ragazza accanto a lui.
- Viene ad abbracciarmi, stupida - disse, ridendo.
Lei fece una smorfia che le scoprì tutti i denti e gli volò tra le braccia.
- Oh, Milos, quanto tempo! Sei un disgraziato!
Il ragazzo non rispose, la strinse a sé, appoggiando il volto sui capelli morbidi di lei e respirando quel profumo tanto caro.
Dopo un attimo la scostò e la guardò serio in volto.
- Come sta?- chiese con le labbra ridotte ad una fessura.
La ragazza si slacciò gentilmente e lo fissò con la stessa seria pena.
- Come sempre. Non è cambiato niente.
- Posso vederla?
- Certo, è molto calma in questo periodo. Vieni con me.

Lo condusse per i corridoi in penombra, salirono ancora una rampa di scale e finalmente si fermarono davanti ad una porta. La ragazza bussò leggermente e presto una donna anziana, vestita di nero si affacciò all'uscio.
- Julie, lasciaci soli per un po', per piacere.
La donna lanciò a Milos un'occhiata piena di curiosità, ma se ne andò senza dire una parola. I due fratelli entrarono nella stanza, che aveva sbarre di ferro all'unica ampia finestra. Era una bella sala, grande e confortevole, dai massicci mobili chiari, ornata di una profusione di oggetti di ottimo gusto.
Sul basso divano, tappezzato di una seta che sembrava autentica, stava semisdraiata una donna dai capelli chiari. Era ancora giovane e sul volto aveva le tracce di una bellezza pallida e un po' sciupata. I suoi occhi grigi erano persi nella contemplazione di qualcosa sul muro di fronte, mentre le mani si muovevano a tratti, come ad afferrare un oggetto proteso nel vuoto.
Milos prese una poltroncina e si avvicinò, sedendole quasi di fronte. Marzia non poté non notare con una stretta al cuore la somiglianza incredibile tra i lineamenti dei due.
- Mamma, sono Milos, sono tornato. - sussurrò, col cuore che gli batteva come un tamburo.
La donna non diede alcun segno di averlo udito. Rimase nella stessa posizione con gli occhi sbarrati verso quel punto sulla parete bianca e solo le mani per un attimo ebbero un leggero spasmo, prima di tornare ad accarezzare l'oggetto visibile solo a lei.

Continua...


Petra: io non capisco, avevo iniziato questo racconto con l'idea precisa che il protagonista fosse Athom, com'è che non faccio altro che scrivere di Milos...
Milos: te lo spiego io in poche parole, bambola, visto che tu sei una superuke non puoi fare a meno di sottometterti al fascino di un superseme come me, chiaro?
Petra: O_O superuke??? Io???? Ma come ti permetti????
Milos: a cuccia, strega, e corri a finire il quinto capitolo piuttosto, che quello sì mi intriga parecchio... H_H
Petra: senti un po' tu, brutto... ehi, ma dove hai preso quella frusta???? Cosa diav... ahiiiii! ma sei scemo???? Io ti ho fatto seme, d'accordo, ma un seme normale, mica un seme bastardo... da dove l'hai tirato fuori questo caratterino?
Milos: è la frustrazione sessuale, bambola, sono quattro capitoli che mi fai ronzare intorno quel bocconcino di Athom e non mi permetti di sfiorarlo con un dito. Ma chi credi che io sia? San Francesco d'Assisi???? Soffro come un cane accidente a te!!! swissh swisshhh
Petra: ahia, e finiscila, porca paletta!!!! Ahiiiiiiiii... ok, ok, Vado a scriverti una lemon tutta per te, va bene? Basta che ti calmi, Milosuccio caro, su posa quella frusta...
Milos: vedo che ci siamo capiti... come dicono lo Pietre: CON LE BUONE MANIERE SI OTTIENE SEMPRE TUTTO. Evil grin.





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