Disclaimers: I pg sono miei dal primo all’ultimo, quindi la loro triste sorte è in mano mia bwahahahahah ß risata da delirio d’onnipotenza. L’ Alabaster Angel e tutti i luoghi sono di mia creazione… tranne la città di Bergen che appartiene alla Norvegia ^^;;

Ehi -_- ricordati di dire che Vajrin è di Pam e che la ringrazi per avertelo prestato -___- ndMilos

Già già, grazie signorina per averci creato questo meraviglioso angelo *_* ndEros

Tzè -_-… grazie... ndMilos

Ehm... sì… effettivamente Vajrin è di Pam_chan e devo ringraziarla per avermelo prestato ^^. ‘Assie more ^*^ ndSaku

Anche se non c’è nessuna menzione di termini o richiami diretti, l’ambientazione non è, purtroppo ç_ç, di mia invenzione, ma della White Wolf Game Studio, creatrice di “Vampire, the Masquerade”, gioco di ruolo nell’ambito del quale nascono tutti i personaggi e i luoghi presenti nella storia.

Note: Se questa cosa vi fa schifo prendetevela con Pam che me l’ha chiesta… ma a parte questo… vi anticipo che sarà una fic stranissima perché… beh, lo vedrete ^-^

Dediche: A tutti coloro che hanno bisogno di un raggio di luce in un momento di oscurità.

A Pam, mia luce, colei che ha portato luce e pace nella mia anima ricreandola e ricostruendola, portandola a nuova vita.

 


 

LE MIE DUE ANIME PER TE

 

Quinto capitolo

 

Di Sakuya

 

CAP 5: FRAMMENTI

 

POV MILOS

 

Non so davvero chi cavolo me lo stia facendo fare, devo essere impazzito…

O forse, semplicemente, c’è qualcuno per cui sono preoccupato… perché? Io non devo… devo pensare solo a me stesso…

Mentre corro in moto, verso l’albergo di Vajrin, il suo viso mi torna in mente, con quei suoi occhi dolci che diventano tristi, e poi si illuminano solo per una mia parola… non ho mai avuto un potere del genere su nessuno… o forse sì, ma stavolta è tutto diverso.

Avevo bisogno di pensare, di ragionare senza trovarmelo intono tutti i momenti. Dovevo, devo ancora a dire il vero, capire cosa mi spinge a comportarmi in questo modo con lui. In più Eros voleva vederlo e parlarci, lui lo ama… anche se ha cercato di nascondermelo, è un libro aperto per me e non solo perché siamo in due nello stesso corpo…

Molte mie cose, il mio passato, Eros le ignora, ci vuole solo un po’ di forza di volontà. Ma questo amore, per lui è qualcosa di totalmente nuovo, devastante e magnifico. E’ come quando si sa che si dovrebbe mantenere un segreto ma si è troppo felici per farlo, talmente tanto che non si riesce a tenere tutta questa felicità per sé. Dato che lui non può dirlo a Vajrin, se l’è lasciato scappare con me.

Lo invidio profondamente per questa sua dote, lui riesce ad esternare ogni suo sentimento… io difficilmente riesco a provarne di positivi…

Tre giorni che non ci sono e quell’idiota sparisce. Eros era completamente nel panico, ma almeno ha mantenuto la lucidità per dirmi dove si trova il suo albergo. Ormai non sapeva più dove cercarlo, voleva andarci stanotte ma il cretino è arrivato all’alba senza accorgersene, tanto era preoccupato.

Parcheggio la moto e casco alla mano entro nella hall andando diretto alla reception.

La tizia dietro il bancone alza gli occhi dalle carte che stava guardando e mi riserva un sorriso affascinante, ma che a me risulta solo falso.

“Posso esserle utile?”

“Vajrin Jinnah, alloggia ancora qui?”

“Un attimo prego.”

Comincia a controllare sul computer e io mi appoggio quasi casualmente al bancone lanciando qualche occhiata distratta, in realtà molto attenta, al monitor.

“Sì, vedo se è in camera?”

“Sì grazie.”

Perfetto, stanza 405. Adesso devo solo trovare il modo di salire…

“Mi spiace, non risponde… devo lasciargli un messaggio?”

“No, grazie.” Mi limito a fare un cenno del capo come saluto e mi avvio all’uscita senza aspettare la risposta della ragazza, cercando di pensare al modo migliore per arrivare alle scale o all’ascensore senza farmi vedere da quella tizia.

Mentre sto per varcare la soglia, vengo letteralmente investito da un gruppo di almeno trenta persone, tutte piene di bagagli e che fanno una confusione tremenda. Ecco l’occasione che mi ci voleva!

Mi mischio a queste persone, che in forma disordinata si fermano davanti al banco della reception, dando a me l’occasione di intrufolarmi, senza essere visto, nell’ascensore che stava per chiudersi.

Se lo trovo in stanza giuro che lo ammazzo… e stavolta non scherzo…

 

Davanti alla porta un panico improvviso quanto immotivato mi colpisce dritto allo stomaco. Se davvero non fosse in stanza? Dove potrebbe essere? Se è ancora qui a Bergen, non è detto che sia sparito per chissà quale motivo, magari ha solo avuto degli impegni, oppure… è in compagnia…

Questa ultima supposizione è quella che più mi terrorizza, anche se, un’altra ipotesi mi fa paura, molto più delle altre: se semplicemente non volesse più vedermi? Che motivo avrebbe di farlo ancora? A lui piace Eros dopotutto, a che quello scemo ne dica…

Busso una volta. Nessuna risposta. Ok, sarà sotto la doccia.

Busso la seconda volta. Nessuna risposta. Merda... vuoi vedere che è davvero occupato?

Busso la terza volta. Se non risponde… ma non posso formulare il pensiero che la porta mi si apre davanti, mentre una voce chiede ‘Chi è?’.

Se avessi un cuore che batte di certo adesso si fermerebbe.

Vajrin è vestito proprio come lo avevo visto 4 giorni fa, i capelli gli ricadono scompostamente sul viso, non si è preoccupato nemmeno di coprire le orecchie, il viso segnato leggermente di rosso, gli occhi spenti.

Lo spintono dentro e chiudo la porta alle mie spalle, poi lo prendo per un braccio e lo metto a sedere, tutto questo senza che lui reagisca o abbia l’occasione di dire anche solo ‘A’.

“Che cazzo di fine hai fatto? Eros era preoccupato per te!! Perché hai sempre il cellulare spento??”

“Me lo hanno rubato.” La voce non sembra nemmeno la sua, atona e bassa, esce quasi meccanicamente.

“E non potevi venire da me?”

“Ma tu… insomma… io ti faccio schifo, no?” Gli occhi gli si riempiono di lacrime e il mio impulso di prenderlo a ceffoni si placa immediatamente. Adesso, forse… dovrei…… vorrei… abbracciarlo…

Mi inginocchio davanti a lui e gli prendo il viso tra le mani obbligandolo a guardarmi, e percepisco chiaramente il mio sguardo farsi un po’ meno duro.

“Ma che dici? Questa da dove ti esce?” Anche la mia voce è molto più calma e dolce di prima… perché mi fa sempre quest’effetto questo gattaccio nero?

“Io… ti ho raccontato tutto… e tu… non c’eri… e allora…”

Un traduttore per favore! Che cavolo vuole dire? Lui mi ha raccontato, io non c’ero… vuoi vedere che…

“Eros voleva parlarti e abbracciarti, tutto qui, ecco perché hai trovato lui… che ti eri messo in testa eh mocciosetto?”

“Beh… ecco… io… tu...” Ma il suo delirio viene bruscamente interrotto dal pianto disperato in cui scoppia, gettandomi le braccia al collo e finendomi praticamente addosso, lasciando cadere entrambi a terra, io seduto, lui tra le mie gambe, che mi stringe…

 

Mi sento soffocare…

Sei morto…

Mi manca l’aria…

Non respiri…

E’ una gabbia questa…

No, sono solo due braccia…

Appunto… non voglio…

Ne sei sicuro?

Sì, voglio essere libero…

Abbraccialo e sarai libero…

No! Se lo abbraccio.. non sarò mai più libero…

Stringilo e la tua anima lo sarà…

“Adesso sarai mio… finalmente… solo mio… per sempre…”

La mia anima non può esserlo… qualcuno me l’ha rubata…

Lui te la può restituire… lui può liberarti…

 

Vorrei divincolarmi ma qualcosa me lo impedisce, qualcosa mi dice che… se lo abbraccio… se adesso stringo le braccia attorno a questo corpo, attorno a quest’anima… potrò ritrovare la mia…

“Shh, non piangere…va tutto bene… smetti di piangere micio…”

Lo abbraccio timidamente, gli accarezzo la schiena e i capelli, lentamente, con reverenza quasi, come se potesse spezzarsi da un momento all’altro.

Adesso, ai miei occhi, questa persona, non è un vampiro, non è un essere maledetto, è un essere di luce al quale io imploro di essere salvato, al quale chiedo perdono, come se lui potesse cancellare tutte le mie colpe, come se potesse, con una sua sola parola, mondare la mia anima sporca, e restituirmela brillante e immacolata, così come la sua è.

“Miao.”

“Miao?”

“Miao” E mentre lo dice, come se fosse naturale per una persona miagolare, alza il viso e mi sorride dolcemente, con quella luce che scaturisce dai suoi occhi e dalla sua anima, così forte che rischia ogni volta di accecarmi.

“Moccioso!”

“Miaao!” Ridacchia divertito e mi viene spontaneo accennare un lieve sorriso mentre mi alzo in piedi facendo alzare anche lui.

“Muoviti dai…” Mi guardo un istante in giro e poi, individuata la porta del bagno, lo conduco dentro, prendendolo per un polso, apro l’acqua del lavandino e poi, molto poco gentilmente a dire il vero, ne prendo un po’ tra le mani e gliela lancio in faccia.

“Ehi!” Il suo visino sorpreso, gli occhi chiusi e il musetto imbronciato sono davvero deliziosi.

Milos... aspetta un attimo… CHE CAZZO STAI DICENDO??? Eros mi sta dando alla testa, non ci sono altre spiegazioni.

“Lavati. Hai mangiato?”

“Ehm…”

“Quanti giorni sono che non mangi cretino??”

“Ehm…”

Io lo ammazzo questo moccioso…

“Lavati, torno subito.” Senza aspettare replica esco dalla sua stanza e mi guardo intorno. Mi serve un cameriere o qualcosa del genere, devo scendere giù, poi devo inventarmi il modo per portare uno degli impiegati quassù senza destare sospetti… idea!

Rientro in stanza e alzo il ricevitore. Facendo il nove sono automaticamente in contatto con la reception.

“Sì? Posso esserle utile signor Jinnah?”

“Sarebbe possibile avere una bottiglia di vino rosso, novello, dolce, in camera?”

“Certo signore, tra pochi minuti arriverà il servizio in camera. Buona serata.”

“Grazie.” La cena servita in camera… meglio di così…

“Con chi parlavi?”

Vajrin esce dal bagno, il viso pulito, i capelli raccolti in un piccolo e buffissimo ciuffo sopra la testa, evidentemente per non bagnarseli. Per poco non scoppio a ridere, ma mi trattengo e celo al meglio questo mio impulso.

“Ho ordinato la cena.”

Lui mi guarda stralunato mentre si scioglie i capelli e io accenno un sorriso soddisfatto, lo vedo aprire la bocca per dire qualcosa ma il bussare alla porta glielo impedisce.

“Servizio in camera.”

Mi metto un dito davanti alle labbra facendogli cenno di star zitto e andare ad aprire, io mi metto dietro la porta e tiro fuori il coltello che porto sempre in una specie di piccola fondina al polso.

Lui mi guarda senza capire e si limita a fare come gli dico.

La cameriera, una ragazza di poco più di 20 anni, capelli rossi, lunghi, occhi azzurri, entra sorridendo a Vajrin, con un vassoio su cui spiccano una bottiglia di vino, un secchiello per il ghiaccio e due bicchieri.

Subito le sono addosso, puntandole il coltello alla gola, rimanendole alle spalle e mettendole una mano sulla bocca. Lei si divincola e cerca di urlare, facendo cadere il vassoio a terra, ma ormai è inutile.

“Su moccioso, mangia.”
Vajrin mi guarda stupito, io gli porgo il collo della ragazza e lui si abbassa a bere da lei.

Mentre estrae i canini mi rendo conto che è un vampiro, non un angelo, ma ai miei occhi questo non ha importanza. Lui è un angelo, nonostante sia un demone… è il mio angelo…

Mi stupisco per questo mio pensiero, ma non ho tempo di rifletterci più a lungo, perché sento la ragazza allentare la presa sul mio braccio e cominciare a perdere i sensi. Il gattaccio doveva essere affamato.

“Ok basta micio, se vuoi ti prendo qualcun altro…”

“No, non preoccuparti... e scusa… io….” Abbassa gli occhi imbarazzato e si passa la lingua sulle labbra per ripulirle da una goccia sfuggita. Seguo ipnotizzato quel movimento breve e rapido, poi mi riscuoto ricordandomi della cameriera.

“Ok… va a cercare il bagno del piano… e chiudile i fori sul collo.” (Basta una leccatina e i fori spariscono ^^ ndSaku)

“Ehi! Mica sono un bambino!! Già fatto!” Mi guarda imbronciato per tutte queste mie richieste e esce dalla stanza facendomi una linguaccia. Scuoto la testa divertito, e al suo bussare alla porta, esco guardandomi intorno. Non c’è nessuno, perfetto. Mi spiace che questa ragazzina sia svenuta, ma meglio così, penseranno che si sia sentita male. La metto in bagno e lascio la porta accostata, come se fosse entrata di corsa senza aver fatto in tempo a chiuderla, così la troveranno prima. Certo, risulterà un po’ anemica, ma meglio questo che morta. Apro il portafoglio e le metto un po’ di soldi in tasca, come se Vajrin le avesse lasciato la mancia, faccio dare al gattaccio un’altra occhiata fuori e poi torniamo in silenzio nella sua stanza.

“Allora moccioso… che avevi intenzione di fare, eh?”

“Io… cioè… no… scusa…”

“Se non la smetti di scusarti ti stacco le orecchie!”

Non gli ho dato nemmeno il tempo di entrare, e adesso, a questa mia minaccia, abbassa istintivamente quelle cose pelose che si ritrova al posto delle orecchie.

“Adesso siediti… devo parlarti… perché Eros, quel gran rompica… grr… insomma, ha deciso una cosa… e visto come ti sei ridotto… gli ho dato ragione… comunque… per quanto ti fermi a Bergen?”

“Ehm… ecco… io veramente… volevo rimanere… non ho molta voglia di tornare dove stavo prima…” Abbassa lo sguardo e percepisco immediatamente la tristezza salirgli agli occhi, ma gli impedisco subito di pensarci… non voglio vederlo più triste…

“Perfetto, meglio ancora… dai siediti.”

“Ma…”

“Ricordati le orecchie.” Lancio uno sguardo truce a quelle cose e lui le abbassa andandosi a sedere sul divanetto che c’è nella stanza.

Non so perché, ma… credo di dovergli dire alcune cose, non l’ho mai fatto con nessuno, ma… lui lo ha fatto con me… mi sembra il minimo…

O forse… forse ho solo bisogno di raccontarlo a qualcuno… ho bisogno di raccontarlo a lui…

“Milos… che c’è?”

Mi siedo in terra, di fronte a lui e lo guardo determinato… se gli farò schifo ne avrà ogni ragione, ma, se per caso lui dovesse accettarmi…

“Voglio raccontarti la mia vita…” Lui mi guarda spalancando gli occhi, apre la bocca, presumibilmente per cercare di fermarmi, ma i ricordi hanno già preso il sopravvento, e dubito di riuscire a tacere anche stavolta.

“Milos… non devi…”

“Voglio…” Si limita ad annuire e mi sorride rassicurante… forse ho davvero bisogno di coraggio per cominciare a parlare…

“Da dove comincio? Non so se può interessarti, ma sono nato a Ljubljana, in Slovenia, il 27 novembre 1594… 10 anni esatti prima di te… quindi non sei poi così piccolo come ti faccio credere…” Accenno un lievissimo sorriso e anche lui sorride, fissando le mie labbra con una luce brillante negli occhi. Gli piace il mio sorriso…

“A quel tempo la Slovenia faceva parte dell’Impero degli Asburgo (1), ma questo importava solo per i ricchi, perché per noi popolani, non cambiava niente. Facevamo il nostro lavoro, ci spaccavamo la schiena cercando di guadagnarci il nostro tozzo di pane quotidiano.

“Mio padre era un fabbro, come suo padre prima di lui, e anche io lo ero… lo sono ancora, in un certo senso. Giravo nella fucina da quando avevo non più di quattro o cinque anni, a dodici già facevo lavori non troppo impegnativi, a quindici aiutavo mio padre dividendo con lui tutto quello che c’era da fare. Era un periodo in cui tutto andava bene, avevamo molto lavoro, le cose in casa erano perfette. Sono sempre stato un tipo silenzioso, vedo che quei tuoi occhietti se lo stanno domandando… ma non ero esattamente così… per alcune cose… ero come Eros…”

Mi rendo conto di fissare il vuoto, per un attimo, mentre immagini della mia vita si accavallano davanti ai miei occhi una dietro l’altra, un momento sono un bambino che gioca in casa, l’attimo dopo un uomo che lavora con un martello e un’incudine…

Quando torno a guardare Vajrin, solo alcuni istanti dopo essermi interrotto, lui mi guarda attendendo il seguito. Forse non avrei mai dovuto iniziare… forse…

“Avevo un amico… cioè, ne avevo diversi, ma c’era un ragazzo che era cresciuto con me, era un vicino di casa. Loro erano contadini, quindi crescendo, quando lui cominciò ad andare nei campi e io in bottega non potevamo vederci spesso, ma ogni sera, dopo cena, ci ritrovavamo e chiacchieravamo di tutto… del nostro passato e del futuro soprattutto. Si chiamava Stefen.”

Un brivido mi percorre la schiena mentre parlo di lui.

Dopo tutti questi secoli non so ancora se odiarlo o avere pena per lui Soprattutto, non so ancora che scopo abbia a vuoto la mia vendetta, perché, purtroppo, niente è cambiato dopo che l’ho ottenuta.

“Non ero un tipo ingenuo, ma… non vedevo alcune cose che mi circondavano… una in particolare: l’affetto sempre più grande che Stefen nutriva nei mie confronti. Gli volevo bene, molto, e sapevo benissimo che quello che ci legava era qualcosa di grande, qualcosa che andava oltre la semplice amicizia. Non era amore, almeno… non per me…

“Quando avevo 18 anni mio padre decise che mi sarei dovuto sposare e così si mise d’accordo con un suo amico falegname che diede in sposa la sua figlia più piccola, e a suo dire, la più bella. A me sembrava solo una povera bambina di 12 anni, imbellettata con vestiti troppo grandi e con la paura negli occhi, per una vita che non voleva.”

Vajrin si alza dal divano e io lo vedo sedermisi accanto e guardarmi negli occhi.

“Posso… stringerti la mano?”

Sorrido nonostante dentro mi senta sempre più male. Per un attimo, alla sua domanda ingenua e dolcissima, mi sembra che tutto vada un po’ meglio, e che il dolore che sento dentro sia in qualche modo lenito dal semplice suono della sua voce.

“Fa’ pure.” Lui sorride raggiante e mi prende una mano tra le sue stringendola. Per la prima volta, sono completamente rilassato, sento solo le sue dita che si intrecciano alle mie e mi stringono, senza forza, solo con tanto… affetto? Posso davvero dire che Vajrin tiene a me? Non mi conosce nemmeno... e quando mi conoscerà… non vorrà più stringere questa mano sporca di sangue, tra le sue candide. Per adesso però… voglio godermi             questo attimo. E poi… mi chiedo se lui possa provare affetto per me, quando io… io ne provo per lui… e attimo dopo attimo, mi sembra che quello che porto in me cresca sempre di più, nonostante abbia una paura folle.

“Fortunatamente decisero che le nozze non si sarebbero svolte prima di tre anni, così io avrei potuto essere in grado di aprire una bottega mia, o di mandare avanti da solo quella di mio padre, e lei sarebbero stata in grado di procrearmi uno stuolo di eredi. Fui sollevato da quella decisione, non potevo certo oppormi, ma quella ragazzina... si chiamava Alika… somigliava troppo a mia sorella Erika, avevano persino la stessa età. Speravo solo che nostro padre per le scegliesse un marito che l’avrebbe trattata bene…”

Il mio sguardo stavolta si perde di nuovo nel vuoto, fissando un punto non ben precisato della stanza, perso nelle memorie della mia vita passata, sento le mani di Vajrin stringersi intorno alla mia, ma quasi non ci faccio caso e continuo a parlare. E’ come se avessi tolto il tappo ad un recipiente sotto pressione: tutto sta venendo fuori come la lava da un vulcano, violenta e distruttiva… e io temo che alla fine la mia anima sarà ricoperta interamente di fiamme e cenere… così come lo è stato il mio corpo…

“Quella sera, quando vidi Stefen, ci perdemmo nei nostri discorsi, immaginando come sarebbe stata la vita da sposati. Lui era fidanzato fin da piccolo con la figlia di un contadino loro vicino, ma non vedeva mai quella ragazza, anche perché, almeno con me, Stefen non faceva affatto mistero di essere più attratto dagli uomini che dalle donne, e spesso, si divertiva con uno degli stallieri del signore della nostra zona. Io non ci vedevo nulla di male, probabilmente perché ero il primo ad essere attratto da altri ragazzi, ma sai, a quel tempo, non mi interessava molto il sesso… ero un bambino sotto questo punto di vista Se proprio avevo bisogno di qualcosa… beh… le ragazze non mi mancavano, mettiamola così…”

Vajrin mette su il broncio e borbotta qualcosa come “Beate loro” ma faccio finta di non sentirlo e di non vedere il rossore che gli imporpora le guance, anche perché evito così tutte le domande successive e tutto quello che potrebbero implicare.

“Comunque quella sera… non so nemmeno io perché, ma chiesi a Stefen se saremmo rimasti amici, anche dopo esserci sposati e aver avuto dei figli.

“Ricordo la sua riposta così bene… e la sua voce… è così forte nelle mie orecchie… <Sì Milos… per sempre…> questo mi disse… e io fui così felice… Mi fidavo di lui, era l’unico di cui mi fidavo, l’unico per cui avrei fatto qualsiasi cosa, per cui avrei dato la mia vita. Non lo amavo, eppure era per me come un fratello, però… fui così sciocco da pensare che per lui fosse la stessa cosa…”

Le mani di Vajrin mi stringono convulsamente adesso, ma io non le sento, ormai… quello che mi circonda, non sono i mobili di questa stanza, ma il campo in cui ci incontravamo io e Stefen…

Lo so che dovrei essere con te adesso micio, ma… lui è più forte… ormai la mia anima non è più mia… l’ho persa quando lui si è preso il mio corpo, cancellando tutto quello che provavo, tutto quello che c’era stato… Non so nemmeno più se parlo per te, o solo per farmi masochisticamente sempre più male…

“Le cose non cambiarono per tre anni, ogni sera vedevo Stefen, e ogni sera avevamo qualcosa di nuovo o di vecchio, di cui parlare. I miei incontri, tutti organizzati ovviamente, con Alika, diventavano sempre più frequenti, in vista del nostro matrimonio. In quei tre anni crebbe molto, ma per me rimaneva sempre una bambina, e non parlo solo a livello fisico, era che… assomigliava sempre di più a mia sorella nel modo di parlare, di comportarsi, anche perché erano amiche e stavano sempre insieme… questo era per me… solo una sorellina.

“Però… quando ci si illude che vada tutto bene, quando sembra che niente e nessuno possa scalfire ciò che si ha attorno, inesorabilmente tutto cade, come un muro costruito solo con pochi fragili, mattoni.

“Una sera, avevamo chiuso la bottega da poco, c’era ospite la famiglia di Alika, ormai il matrimonio era alle porte… Cenammo e mio padre stava stabilendo gli ultimi dettagli con me e il padre di Alika, le donne erano in cucina…”

Per un attimo mi sembra di sentire le voci ridenti di Alika e Erika… e il mio sguardo si fa sempre più lontano, rivedo persino la scena, la mia casa intorno a me…

“Sentimmo un rumore molto forte provenire dalla fucina, che era proprio dietro casa, dicemmo alle donne di rimanere dov’erano mentre noi andavamo a controllare. In una attimo fu come se mi trovassi direttamente all’Inferno...

C’erano fiamme ovunque, alte, altissime, ogni cosa stava bruciando, come se quella fosse la sua unica vocazione: ardere tra il calore e il rosso di un incendio…

“Non riuscirò mai a descrivere quello che provai: in un attimo vidi il mondo intorno a me crollarmi tutto sulle spalle… ero come immobilizzato non riuscivo più a muovermi… La voce di mio padre mi riscosse e cominciammo a cercare di domare l’incendio. Per cercare di salvare mio padre da una fiammata improvvisa… mi gettai su di lui e lo scansai…”

Mi tocco inconsciamente la cicatrice. Vorrei solo non dover vedere le fiamme intorno a me… ma per chi sto parlando? Chi mi sta ascoltando? Non lo so più, eppure continuo senza sosta a parlare.

“Lui cadde a terra e anche io. Mentre cercavo di rialzarmi, un dolore fortissimo lungo tutto il fianco e lo stomaco mi rese difficile ogni movimento. Ma tutto passò.. dimenticai ogni cosa ad un suono preciso… le urla delle donne che provenivano dalla casa.

“Non ci pensai nemmeno, corsi dentro come un forsennato, senza nemmeno avvertire il dolore che provavo, come animato da chissà quale spirito. Sentivo dietro di me la presenza di mio padre e di quello di Alika, ma non ero sicuro nemmeno di quello.

“Quando entrai in casa, la sola cosa che volevo fare… no, non c’era niente che volessi fare, la mia mente era vuota, non riuscivo ancora a capacitarmi dell’incendio… quello che si presentò ai miei occhi, fu completamente rigettato dalla mia mente. Non volevo, non potevo credere che quello che vedevo stava accadendo per davvero…

“Quattro uomini, non li avevo mai visti in città… ognuno di loro… tutti loro… ognuno… stava… stava violentando… mia madre… mia sorella… Alika… sua madre…. Urlai, mi gettai contro quello che mi era più vicino, ma la ferita me lo impedì… e soprattutto… fui bloccato da qualcuno che spuntò alle mie spalle, era evidentemente in un punto della stanza che io non potevo vedere, o meglio, su cui i miei occhi non avevano focalizzato la loro attenzione.

“Fui schiacciato a terra… non seppi da dove, uscì fuori uno dei marchi che stavamo ‘costruendo’, arroventato… il dolore al fianco fu insopportabile, solo allora mi ricordai della bruciatura e i dolori si sommarono, ma mai niente.. nulla fu paragonabile a… a quello…”

I miei occhi vorrebbero chiudersi, perdersi nell’oblio e dimenticare, solo dimenticare tutto questo. Perché mi sto costringendo a ricordare? Perché mai non pongo fine a tutto? Perché non la faccio davvero finita?

So che c’è ancora qualcosa che mi trattiene qui, so che adesso ho qualcosa… ma in questo istante, sta divampando un incendio attorno a me, e qualcosa mi spinge a terra… la mia mente vorrebbe ricordare, ma… è soffocata da altri ricordi…

“Percepii solo delle mani che mi toccavano, poi non ricordo molto altro… il dolore lancinante… qualcosa che sembrava spaccarmi in due… spezzarmi l’anima, piegarla, soggiogarla e renderla schiava, non riesco a  descrivere, non ricordo molto, se non delle mani che mi toccavano e io volevo solo che la smettessero, erano troppo… invadenti… calde… ma non avvolgenti… erano… non lo so… e io… sentii solo che entrava in me… e urlava di piacere… io piangevo… volevo scomparire, fondermi con la terra che sembrava franare sotto di me… e poi… quando sembra che tutto fosse finito… sentii la sua voce…”

 

“Adesso sarai mio… finalmente… solo mio… per sempre…”

 

Mentre ripeto le sue parole mi sembra di sentire la sua voce che sussurra al mio orecchio… era una specie di malia quella voce per me… fino a quando… non è diventata il mio incubo peggiore…

“Era Stefen… aveva organizzato tutto lui.

“Non ricordo altro di quella notte, so solo che mi sveglai due giorni dopo, seppi che erano tutti morti, io ero l’unico superstite. Non piansi, non piansi mai. Mangiavo solo raramente e a fatica. Quando uscii dall’ospizio (2), erano passati solo dieci giorni, era stata una sorta di miracolo, ma ero l’ombra di me stesso. Tornai a casa ma era , ovviamente, distrutta, e nessuno, stranamente, aveva toccato, le rovine. Aspettai che calasse il buio, seduto tra le macerie. Tutti mi guardavano quando passavano, ma io nemmeno me ne accorgevo e se lo facevo, in rari sprazzi di lucidità, non me ne curavo.

“Dopo poco il tramonto passò un uomo, era giovane, non aveva più di 30 anni, lo notai e non seppi nemmeno io il perché, per un attimo sentii uno strano impulso verso di lui, ma passò in fretta, non appena scomparve dietro una casa. In quel momento mi ricordai del motivo per cui stavo aspettando che calasse la notte. Andai diretto verso casa di Stefen, ma udii la sua voce poco prima di raggiungerla.

“Un brivido intenso mi percorse la schiena, per una attimo ebbi voglia di scappare lontano, sentivo un terrore cieco inondarmi ogni parte del corpo, ma passò in fretta, l’odio, il rancore, la voglia di vendetta erano troppo forti.

“Credo la fortuna mi abbia assistito quella notte, o forse, la Morte era ansiosa di raccogliere il mio tributo a Lei, per quello che di lì a poche ore sarebbe diventato il mio futuro e che solo Lei poteva donarmi…

“Stefen era in compagnia degli uomini che lo avevano aiutato ad appiccare l’incendio e...... a… fare tutto il resto… Il suo sguardo, non appena mi vide, passò dall’incredulo al soddisfatto… era… crudele…

“Non riuscivo a sopportarlo. Non riuscivo, non volevo credere che il mio amico di sempre, mio fratello, avesse potuto fare una cosa del genere. Io avrei dato ogni cosa per lui, e lui avrebbe… aveva preso tutto quello che gli offrivo, e molto di più.

“Non ricordo molto nemmeno di quello che accadde in quei momenti, so solo che all’improvviso fu come se diventassi un’altra persona, ma allo stesso tempo non ero nemmeno uno spettatore. Ero pienamente cosciente di me, del fatto che stessi massacrando, uno ad uno, a mani nude, tutti quegli uomini, sapevo che dovevo fermarmi ma non ci riuscivo, e forse, nemmeno volevo.

“Non sapevo da dove mi venisse quella forza sovrumana, solo dopo avrei capito, ma in quel momento… vedevo le mie mani macchiate di sangue, del sangue degli uomini che mi avevano distrutto la vita, la famiglia, tutto.

“Colpii Stefen per primo e poi lo lasciai semi-svenuto in terra, mentre mi occupavo degli altri. In pochi minuti erano tutti morti, solo Stefen era ancora lì, in terra, respirava a fatica, ma era cosciente. Lo sollevai prendendolo per il collo, credo che i miei occhi fossero infiammati delle stesse lingue di fuoco che avevano avvolto la mia casa e la mia vita, ma non me ne importava. Vedevo il terrore nei suoi occhi e quello mi fece impazzire del tutto, volevo vedere quel terrore crescere, volevo che provasse anche solo un briciolo di tutto quello che avevo provato io, volevo che soffrisse le pene dell’Inferno e anche oltre…

“Gli chiesi perché, mi accorsi che la mia voce era bassa, cavernosa, e tremendamente furente, ma le percezioni che avevo, erano tutte piuttosto falsate, non ero lucido, quindi non so cosa, di quello che ricordo, sia vero e cosa invece i miei sensi abbiano offuscato col tempo. Quello che mi rispose mi colpì come e peggio di un pugnale. Lo disse con una semplicità, una chiarezza, una tranquillità che per un attimo mi fece sentire come se fossi stato io il provocatore di tutto, e alla fine era stato davvero così.

“<Ti amo e ti volevo per me, ma tu non lo hai capito.> Che avrei potuto dirgli? Cosa potevo fare? Era colpa mia, era solo colpa mia se la mia famiglia era stata distrutta, degli innocenti uccisi, e anche la morte di chi aveva provocato materialmente tutto quello, non era altro che opera mia… io avevo scatenato tutto quello e io gli ponevo termine…

“Stefen continuava a guardarmi con quel suo sguardo colmo di un amore troppo crudele per essere vero, e io… non so bene cosa feci. So solo che due ore dopo mi ripresi e mi trovai ricoperto di sangue e attorno avevo cinque cadaveri, quello di Stefen era quello ridotto meglio… solo che aveva il cranio spaccato, e guardando distrattamente il muro che avevo dietro le spalle, vidi che era macchiato di sangue e c’erano schizzi una qualche altra sostanza… gli avevo fracassato la testa sbattendolo contro un muro.

“Presi il coltello che uno di quei cadaveri aveva alla cintura e cominciai a camminare verso le rovine della mia casa. Quando arrivai il cielo era più nero del solito, non c’erano né luna né stelle. Ricordo che un  pensiero mi attraversò la mente: le ho fatte scappare io.

“Anche questi attimi sono molto confusi, non so cosa provavo, non so come stavo. So solo che mi tagliai i polsi con quel coltello, ma mentre i sensi mi abbandonavano, qualcuno mi si avvicinò e mi disse che lo stavo facendo lavorare troppo. Mi prese in braccio e poi… poi non ricordo altro se non il sangue che continuava a uscire dal mio corpo, sempre più velocemente, sempre con più foga. Cercai di guardarmi intorno ma vidi che non c’era sangue a terra se non quello che era caduto prima che quello strano uomo arrivasse.

“Sentii la vita che mi abbandonava e mi chiesi se l’Inferno sarebbe stato così brutto come tutti lo descrivevano, e soprattutto se avrebbe accettato un essere sporco come me. Ma mentre chiudevo gli occhi convinto di non riaprirli più, sentii qualcosa di caldo lambirmi le labbra, avvertii un sapore amarognolo e ferroso, qualcosa che sapevo avrebbe dovuto disgustarmi ma che invece cercavo e bramavo come un assetato cerca acqua nel deserto.

“Il resto non lo ricordo. La mia prima memoria come vampiro è una voce nella mia testa che mi diceva come mai la mia mente fosse così inaccessibile. Era Eros. Il resto… beh seppi che il mio sire mi seguiva da parecchio, che aveva visto non so che seme di una lucida follia in me e mi volva consegnare l’eternità. Andai avanti per forza d’inerzia, e la maggior parte del tempo c’era Eros. Credo sia nato perché ho rifiutato tutto quello che successe, e soprattutto perché da quella notte… beh… non ero più io, ero praticamente muto, e non volevo avere contatti con nessuno. Casey, il mio sire, mi aveva dato un po’ del suo sangue la notte dell’incendio, e questo mi aveva permesso di sopravvivere. Veniva ogni notte all’ospizio e mi dava qualche goccia del suo sangue. Questo mi permise di guarire più in fretta e di avere la potenza sovrumana che mi consentì di uccidere cinque uomini a mani nude come fossero stati fantocci. Il resto… è solo una piatta esistenza senza senso che si trascina attraverso i secoli in cerca solo di oblio e morte.”

Continuo a guardare davanti a me vedendo e rivedendo mille volte scene di secoli fa, momenti vissuti prima, quando ero ancora un essere umano, e poi la strage che compii quella notte, quella che mi rese il mostro che sono.

Adesso mi sembra di sentire una voce, qualcuno che cerca di chiamarmi, ma non so se voglio sentirlo… non so se voglio davvero guardare negli occhi questo gattino dall’anima pura… ho paura di sporcarlo anche solo guardandolo, anche solo perdendomi nelle sue iridi luminose…

“Milos… Milos… da me… Torna… Torna da me… Milos…”

Mi volto quasi senza rendermene conto e vedo il gattino che mi salta in braccio, facendo finire entrambi a terra e mi stringe convulsamente, piangendo disperato.

Perchè? Perché riesco a far piangere anche chi vorrei solo rendere felice?

Cerco di mettergli una mano sulla schiena e di calmarlo, non so perché ma non mi riesce difficile farmi toccare, anzi… mi sembra quasi che.. questo abbraccio… sia quello che cercavo da sempre…

“Non piangere micio… non ne vale la pena per uno come me… adesso sai che persona orribile sono… sei davvero sicuro di volermi stare accanto?”

“Sì, sì, sì!! Tu… tu… hai sofferto così tanto… e io… io non posso fare niente… e… vorrei solo… renderti sereno… cancellare tutto quello che ti fa soffrire… tutto quello che ti… ma… io… sono così inutile… ti prego, perdonami!”

Io devo perdonare lui? Per cosa? Io posso condurlo in un abisso più nero dell’Inferno e più doloroso della morte e lui mi chiede perdono? Perché a me questo angelo? Io non lo merito, io posso solo lordarlo con le mie mani sudice…

“Sta calmo piccolo… va tutto bene… adesso calmati…” Lo stringo tra le braccia, per la prima volta da tanto tempo ho il desiderio forte, inesprimibilmente forte, di stringere a me qualcuno, sentirlo mio, sentire che tutto va bene, provare la pace che solo questo contatto può donarmi. E poi… poi non so nemmeno io perché, come… lo bacio, sfioro semplicemente le sue labbra con le mie e lo stringo un attimo ancora prima di mettermi a sedere con lui ancora tra le braccia.

“Adesso che sai tutto devi dirmi una cosa. Eros voleva che ti trasferissi per un po’ da me… e anche io lo voglio… so che può sembrare avventato, ma…”

“D-davvero?” Mi guarda incredulo con i suoi immensi occhi ancora lucidi e il volto rigato di sangue. Istintivamente gli asciugo le scie rosse che solcano le sue guance candide e lui osserva il mio gesto ancora più incredulo e poi mi sorride dolcemente, quei sorrisi di cui solo lui so essere capace… e che riescono a far sciogliere la mia anima come neve al sole, come se il ghiaccio che la imprigionava venisse finalmente distrutto dal sole che brilla alto in cielo. Solo ora, solo in questo istante mi rendo conto di avere ancora un’anima, e forse… non è andata persa come credevo, forse, non mi è stata strappata, solo, nascosta, ferita, lacerata… ma non distrutta… e forse… questo angelo può aiutarmi a ritrovarla, anche solo con la sua presenza e il suo sorriso.

“Certo… ti sembro il tipo che scherza? E ora su… prendi le tue cose e andiamo gattaccio!”

Lui mi bacia rapidamente sulle labbra e poi, come se niente fosse, si alza e comincia a preparare i bagagli. Io rimango seduto in terra ancora per un attimo e scuoto la testa mentre un vago sorriso, increspa le mie labbra.

 

Quinto capitolo - Fine

 

 

NOTE

1-       Non ho trovato molto sulla Slovenia, anche perché non ho fatto una ricerca accurata, mi servivano solo connotazioni storiche per capire l’ambiente in cui dovevo sviluppare il personaggio, quindi non c’è nessuna pretesa di storicità in questa fic.

2-       Gli ospizi erano i luoghi in cui venivano curati i malati, poveri, all’epoca.

 

 

 


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