Disclaimers: I pg
sono miei dal primo all’ultimo, quindi la loro triste sorte è in mano mia bwahahahahah ß risata da delirio d’onnipotenza.
L’ Alabaster Angel e tutti i luoghi sono di mia
creazione… tranne la città di Bergen che appartiene
alla Norvegia ^^;; Ehi -_-
ricordati di dire che Vajrin è di Pam e che la ringrazi
per avertelo prestato -___- ndMilos Già già, grazie signorina per
averci creato questo meraviglioso angelo *_* ndEros Tzè -_-… grazie... ndMilos Ehm...
sì… effettivamente Vajrin è di Pam_chan e devo
ringraziarla per avermelo prestato ^^. ‘Assie
more ^*^ ndSaku Anche se non c’è nessuna menzione di termini o richiami
diretti, l’ambientazione non è, purtroppo ç_ç, di
mia invenzione, ma della White Wolf
Game Studio, creatrice di “Vampire, the Masquerade”, gioco di ruolo
nell’ambito del quale nascono tutti i personaggi e i luoghi presenti nella
storia. Note: Se
questa cosa vi fa schifo prendetevela con Pam che me l’ha chiesta…
ma a parte questo… vi anticipo che sarà una fic stranissima perché…
beh, lo vedrete ^-^ Dediche: A tutti coloro
che hanno bisogno di un raggio di luce in un momento di oscurità. A Pam,
mia luce, colei che ha portato luce e pace nella mia
anima ricreandola e ricostruendola, portandola a nuova vita.
LE MIE DUE ANIME PER TE
Quarto capitolo
Di Sakuya CAP 4: MEMORIE POV Fuoco…
fiamme… dolore… Tutto...
di nuovo… ancora… per sempre.. Salvatemi…
scappate. Aiutatemi…
uccidetemi… Chi sei? Perché sei qui? Cos’è
questo calore? E’ diverso, meno intenso delle fiamme, ma più bruciante... mi
colpisce direttamente l’anima… la fa ardere, e fa male, più male di ogni altra cosa… Vorrei
aprire gli occhi di scatto e urlare, guardami intorno, cercare di capire dove
sono, cosa sta succedendo, se va tutto bene, se sono sveglio o sono ancora
imprigionato in un ricordo senza tempo. A volte…
a volte sembra che tutto questo non sia solo un ricordo, che stia rivivendo
quel giorno, che si di nuovo nella mia terra e non
qui in Norvegia. Se fosse uno dei quei giorni? Se aprendo gli
occhi invece della mia stanza, mi trovassi davanti la fucina? Se sentissi la voce di mio padre che mi dice che sto facendo
un buon lavoro, ma non devo adagiarmi sugli allori? Se
entrasse mia madre portandoci il pranzo? Mi copro
gli occhi, ancora chiusi, con un braccio, in un rituale ormai secolare. E’ un
modo per cancellare tutto quello che le mie iridi vedono. Vorrei avere altri
occhi, vorrei avere un altro corpo, un’altra mente, altri ricordi… vorrei non esistere più… Per un
attimo, mi è sembrato che qualcosa si muovesse sulla mia testa, mi è sembrato
quasi di avvertire una specie di contato con il braccio, ma devo essermi
sbagliato… sono solo. “Ben
svegliato.” No, non
sono solo. Serro gli occhi più forte e mi ricordo
improvvisamente della presenza che c’è al mio fianco. “Sei
ancora qui?” Sono troppo stanco per essere
arrabbiato, troppo debole per imporre alla mia voce, che esce bassa e fiacca,
di essere dura e fredda, come sempre. Sono troppo snervato,
svilito, sfibrato… sono esausto, non ce la faccio nemmeno ad aprire
gli occhi e guardare in faccia questo gatto. “Scu-scusa… è che.. sembrava che
stessi così male… e… io… non volevo lasciarti solo…” Incurvo
le labbra in una specie di sorriso pensando a quanto questo piccoletto si stia sbagliando. A dire il vero non so nemmeno quanti anni
abbia, e sarà alto una quindicina di centimetri meno
di me, ne ho visti di più bassi, quindi non so bene perché mi venga naturale
chiamarlo moccioso e cose simili, però… non è colpa mia se sembra un bambino. “Non
sono mai solo.” E’ vero.
Come potrei essere solo? I ricordi, i visi, le parole… e poi Eros… come
potrei essere solo? Perché non lo sono? Vorrei poter
essere in un luogo deserto, lontano da tutto e tutti, senza nessuno intorno, avvolto dal vuoto, una nera oscurità
priva di luce, oggetti e soprattutto persone. Vorrei solo il nulla per me. La morte
forse è la mia unica salvezza, la vera morte… Eros me lo ha sempre impedito,
e da qualche tempo ho quasi perso la speranza di riuscire a salvarmi dalla
follia più completa, quella che, lentamente ma
inesorabilmente, si sta prendendo la mia mente. “Oh… ehm…
io… cioè… non volevo dire che tu.. però.. sembravi
così… sofferente.. e io… ho pensato che.. se magari ti avessi accarezzato i cap…” Sposto
di scatto il braccio e spalanco gli occhi, mentre lui si blocca e appiattisce
le orecchie facendo un’espressione colpevole. “Tu… mi
hai toccato?” Non può
averlo fatto davvero! Non può essere vero… ecco perché stavo più male del
solito… ecco perché volevo fuggire lontano… ecco perché quel calore… ecco
perché quel tocco… “Sc-scusa… io… cioè… insomma…
io…” Mi metto
a sedere con qualche difficoltà molto ben celata, e un solo minuscolo,
insignificante gemito di dolore e mi passo le mani
tra i capelli cercando di riavviarli. Sono corti e pratici,
in fucina non potevo certo tenere i capelli lunghi… Fisso i
miei occhi nei suoi, lui li abbassa immediatamente, con espressione ancora
più colpevole,io gli solevo il viso, in un gesto che
non credevo di essere in grado di compiere, e lo obbligo a guardarmi. “Perchè?
Ti avevo detto di non farlo.” La mia voce non è fredda e accusatoria come
ieri, spero capisca la differenza. Sono
troppo stanco per ucciderlo, picchiarlo o fare
qualsiasi altra cosa… sì, certo, deve essere per questo, solo per questo. “Beh… tu
eri così… non lo so… c’era così tanto dolore nella
tua voce e sul tuo viso… e io… non lo so… volevo solo aiutarti…” Scuoto
la testa e gli lascio andare il viso, quella sua espressione triste non riesco a sopportarla, non riesco a capire perché stia così
male per uno sconosciuto, perché mai dovrebbe star male per me. Mi alzo
dal letto, o almeno ci provo, perché non appena metto i piedi a contatto col
freddo pavimento, un gatto nero mi si para davanti con espressione risoluta,
nessuna traccia della tristezza di prima, nessuna
remora, nessun senso di colpa. “Non
puoi muoverti! Tu stai male!” “Vorresti
darmi degli ordini? Mi faccio una doccia e poi
riempio quel tuo sederino tondo di calci.” Faccio
per alzarmi in piedi ma lui allunga una mano quasi
fino a toccarmi una spalla, poi la ritrae e mi chiede scusa, ma il suo volto
non ha perso l’espressione determinata che aveva fino a qualche istante fa. “No
certo, ma… rimani qui, io ti prendo del sangue e per oggi non farai la
doccia!” Scuoto
la testa, oggi sono stranamente arrendevole e accondiscendo a tutte le
pretese assurde, che questo felino mal riuscito, formula. Lui
prende questo mio gesto come un sì e corre non so dove, in cucina
presuppongo, ritornando dopo pochi minuti con due bottiglie di sangue e me le
porge in silenzio, con un sorriso che dovrebbe dirla tutta sui suoi pensieri. Non capisco
davvero che mi sia preso, forse sono davvero troppo, troppo stanco… o
semplicemente… questo gatto mi ha fatto un maleficio. Non vedo
altra spiegazione, io NON sono così come mi sto comportando. Non
voglio estranei in casa mia, e lui lo è, e molto anche. Non voglio che mi si
tocchi, e lui si è azzardato a toccarmi mentre
dormivo… e poi, ha scoperto che soffro di incubi, un punto a suo favore e a
mio svantaggio. Sa dove
abito, anche se posso sempre cambiare rifugio senza problemi, sa che al
risveglio sono molto vulnerabile, a causa delle immagini che popolano i miei
giorni, anche se non credo che dormirà mai più con me, quindi non dovrei
preoccuparmi ulteriormente… ed effettivamente… sono stranamente tranquillo,
nonostante i suoi occhi puntati su di me, attenti ad ogni mia azione,
nonostante ogni volta che mi trovo con qualcuno
abbia solo voglia di scappare via, nascondermi e proteggermi. “Spogliati.” Finalmente
la mia voce è fredda e allo stesso tempo perentoria…
un po’ di sangue era davvero quello che mi ci voleva. Alzo
quasi per caso lo sguardo sul gatto mentre poggio la
bottiglia vuota sul comodino e lo vedo fare un passo indietro, appiattire le
orecchie e fissarmi terrorizzato. Un
dolore che non comprendo mi attanaglia improvvisamente il petto, e il posto
che dovrebbe essere occupato dal cuore, organo che penso di aver perso da
tanto, troppo tempo. Che ho detto? Perché si sta
comportando così? Con lo
stesso terrore negli occhi lo vedo togliersi i pantaloni e rimanere nudo di
fronte a me, e una fitta sempre più forte mi colpisce. Quel
terrore… quel dolore… io lo conosco, io li ho visti…
io so cosa sta provando… Non aver paura piccolo angelo,
andrà tutto bene… Adesso sei al sicuro… Ricorda piccolo angelo… ricorda la tua luce, così sfolgorante da riuscire ad
accecarmi, da riuscire ad abbagliare chiunque ti circondi, così calda da
riuscire a scaldare distese fredde e sciogliere ghiacci millenari… e adesso
pensa che un po’ di quella luce è riflessa da chi ti è di fronte… e ti
scalderà… non ti permetterà di soffrire mai più… Mi alzo,
vado in bagno e poi ritorno in stanza, lui è steso sul letto, a pancia sotto,
gli occhi serrati e per un attimo… “Adesso sarai mio… finalmente…
solo mio… per sempre…” Serro
forte gli occhi e deglutisco, azione molto sciocca in quanto non sono più
vivo, cerco di ricacciare in dietro le lacrime, i ricordi, il dolore, tutto…
adesso non posso e non voglio pensarci. Lo
prendo per un polso, facendolo alzare in malo modo, e gli metto l’accappatoio
che sono andato a prendere in bagno, lui ha lo
sguardo fisso nel vuoto, gli occhi vacui e mi chiedo se anche lui.. come me… Di nuovo
ricaccio un fiume in piena che vorrebbe travolgermi e stringo forte nella
mano, il bavero di spugna e comincio a trascinarlo nella stanza di fronte
alla mia, aprendo l’acqua della doccia. “Vuoi
che ti lavi o ne sei capace?” Lui mi
guarda senza capire e annuisce semplicemente, si toglie l’accappatoio con
movimenti inconsapevolmente sensuali, e si infila
sotto il getto, chiudendo gli occhi, aspettandosi chissà cosa, ma l’unico effetto
che ottiene in risposta è il rumore della porta che si chiude. Mi siedo
sul letto, le mani tra i capelli a coprire anche gli occhi, perso in ricordi
che non volevo rivivere ma che prepotenti prendono possesso della mia mente. Un rumore
lieve mi fa riscuotere e mi perdo, mio malgrado, negli occhi del gatto nero
che da due notti sta rendendo la mia non-vita ancora più tormentata. Ha indosso
l’accappatoio e i capelli bagnati gli ricadono sulle orecchie, che si muovono
avanti a indietro cercando di scrollarsi le
fastidiose goccioline d’acqua che le impregnano. “Ehm…
insomma… scusami per il mio comportamento poco… consono…
non dovevo agire in quel modo. So perfettamente che tu non mi faresti
mai… ecco… del male…” Un sorrido radioso e luminoso
gli increspa le labbra, come a testimoniare una fiducia cieca e assolutamente
genuina, che non capisco proprio da dove e quando potrebbe essergli nata. “Chi è
stato?” Meglio essere diretti… non so nemmeno perché voglio saperlo, ma… io so come si sente, io so quello che prova…
io conosco la sua paura… perché è la stessa che ho io. Conosco
quel terrore cieco che ti invade, so cosa si sente
quando… mani troppo grandi ti toccano… un fiato caldo ti lambisce il collo,
l’orecchio… e tu vorresti solo sparire, vorresti solo far cessare tutto. Non so
cosa mi trattiene dal rannicchiarmi su me stesso, come spesso mi succede al
risveglio, o dal farmi rifugiare in un angolo, nella speranza che tutto
passi, che pensare a ricordi felici mi possa aiutare… Davvero
non so cosa mi sta succedendo oggi… “Come?... Ma… ecco… tu non hai freddo in pigiama? Brr… io sto congelando, sarà che sono bagnato…” Mi
guarda provando a sorridere e sperando che i suoi tentavi
riescano a distogliere la mia attenzione da lui, da quello che si porta
nell’animo. Che mi interessa? Dovevo buttarlo fuori di casa no? Perché invece gli sto chiedendo di raccontarmi cose che
probabilmente lo faranno stare male? Forse perché… ho bisogno di sentire
qualcuno come me… Per la
prima volta… io... ho bisogno di sentirmi vicino a qualcuno… Prendo
coscienza di questo mio bisogno e mi stupisco che fino ad ora, per quasi
quattro secoli, non ho avuto assolutamente bisogno
di niente e nessuno… o forse non volevo averne bisogno, non credevo fosse
utile avere accanto qualcuno, non pensavo che mi avrebbe mai potuto aiutare. Avvicinarmi
di nuovo a qualcuno… con quale scopo? A che pro compiere un’azione che già
una volta mi ha condotto sull’orlo della morte? Forse… per
non arrivarci più… o forse… per arrivare ad una morte peggiore di quella in
cui sono e a cui vorrei arrivare. “Il mio
migliore amico… è stato lui.” Lo
guardo con gli occhi persi chissà dove, in chissà quale tempo, mentre un
viso, un sorriso che reputavo sincero, si formano nella mia mente,
cominciando a trascinarmi
in un baratro da cui, forse, questa volta, non riuscirò ad
uscire… perché sono stato io stesso a richiamarlo alla memoria. All’improvviso
un calore che non ho mai conosciuto mi avvolge, due braccia si serrano
attorno al mio corpo e un viso sfiora il mio, mentre l’abbraccio si fa più stretto. Un angelo può tutto, persino
toccare qualcosa che veniva celato agli occhi
indiscreti della gente… Io vorrei solo che questo angelo riuscisse a
illuminare anche l’antro in cui io mi trovo e da cui, troppo spesso, non
riesco ad uscire… Cerco di
rilassarmi, di dirmi che va tutto bene… ma di nuovo
quel viso… quel sorriso, trasformatosi in un ghigno mostruoso, continuano ad
assillarmi e le braccia che mi stringono non sono più quelle di un gatto, ma
quelle di qualcuno che vorrei solo cancellare dalla mia memoria. “Adesso sarai mio… finalmente…
solo mio… per sempre…” “NO!!” Lo
spingo via con violenza, e le braccia che mi stringevano mi lasciano
finalmente libero… ansimo in cerca d’aria, ma mi ricordo improvvisamente che
non serve, non ho bisogno di respirare, né di riempire i polmoni, se non per
parlare. “Scusa…
io… non lo farò più… vuoi altro sangue? Oppure… posso fare qualcos’altro per te?” “Io mi sono confidato… tu non lo fai?” Vajrin…
per la prima volta pronuncio nella mia mente il suo nome, e mai nome mi è
sembrato più dolce… si irrigidisce e abbassa lo
sguardo, semplicemente si siede a terra e comincia a parlare. “Il mio
sire e… il suo compagno… volevano avere un figlio, e
così… beh… mi scelsero… io ero un tipo assolutamente anonimo… Il mio sire mi
osservò a lungo e poi… una notte… mi uccise… “Una
notte… Maximillien, il mio sire, non c’era e… ecco…
Karl, il suo compagno, venne da me… e… mi disse che… insomma… visto che… non mi stavo dimostrando
bravo come vampiro, almeno avrei potuto… essere utile… in altro… e… ecco…
insomma… “La
prima volta… insomma… poi mi sono abituato… e…” Prova a
sorridere… Come può? Come fa? La prima
volta… mi chiedo quante volte sia successo… Gli
occhi di Vajrin guardano altrove, cercano una via di fuga, cercano
di nascondere il dolore, e poi… le sue mani… giocano nervosamente l’una con
l’altra, massacrano ogni dito, cercando un modo per non far scoppiare in
lacrime il loro padrone. Forse,
però, non ha più lacrime da versare, non ha più sofferenza da mostrare, non
ha più la forza di… Mi alzo
e lo prendo per un polso, sento i suoi occhi fissarmi interrogativi, ma li
ignoro. Mi siedo sul divano e lo metto accanto a me, lui continua a guardarmi
come se fossi un alieno, e probabilmente, lo sono, o
almeno lo sembro. “Qui
siamo più comodi… e adesso sta calmo…” Non che
io sappia come mettere a proprio agio le persone, a quello ci pensa Eros,
anche perché… non mi è mai capitato di dover mettere qualcuno a proprio agio… “Tu… sei
davvero… meraviglioso…” La sua
voce ora è più dolce che mai e i suoi occhi cercano solo rassicurazioni, solo
affetto… io so come si sente… Quello
che mi chiedo però è come possa essere ancora così,
dopo quello che gli è successo, come riesca ancora a sorridere e ad avere
quella delicatezza… come possa avere un’anima così… bella… “No,
affatto… continua.” “Sì Milos… per sempre…” La sua
voce era calda e allegra… ma poi… tutto è andato perso, tutto è sparito…
inghiottito da coltri scure e pesanti, da una nebbia fitta che ha sommerso il
suo cuore… e distrutto il mio, annullandomi, facendomi perdere nelle distese
aride che avevano preso il posto della mia anima. “Che c’è da dire? Io… continuavo la mia non-vita… lui la
sua… “All’inizio
succedeva solo di rado, quando Maximillien doveva
partire… Lui rimaneva solo, non poteva certo… e io… ero lì… ero inutile per
il resto del tempo… quindi…” Mi
verrebbe voglia di andare a spaccare il muso a quel bastardo che lo ha
convinto di questo… ma chi sono io per farlo?
Soprattutto… perché ho voglia di farlo? Perché vorrei stringere questo
gattino tra le braccia, coccolarlo e dirgli che
ormai è tutto passato? Chi sono
io per farlo? Chi è lui che mi sta facendo questo? Perché
ho così tanta voglia di farlo? Un
intero oceano di emozioni mi travolge, trascinandomi
in lidi che non sono pronto a toccare, mostrandomi coste troppo verdi ma
lontane, così lontane da poter essere solo lambite dal mio sguardo desideroso
di pace e quiete. Per la
prima volta desidero un po’ di pace, un po’ di
tranquillità, cerco un’oasi in un deserto sconfinato e arido, arido
come il mio cuore, la mia esistenza… la mia anima… un’oasi… La tua luce è per me un’oasi di
pace, le tue ali candide sono un riparo dal sole cocente, le tue parole un nettare per calmare la mia sete, per placare
l’arsura che mi circonda… e lo stesso vale per lui… solo che ancora non ne è
consapevole… Salvaci piccolo angelo… “… Poi…
si è fatto tutto più frequente… anche… ogni notte… e io… non potevo dire di no… se Maximillien
lo avesse saputo… gli avrei dato un dispiacere, perché… la colpa era mia e…
lui mi aveva salvato e io…” “Lo
amavi?” Lui
rabbrividisce e i suoi occhi si fanno ancora più vacui, porta le ginocchia al
petto, rannicchiandosi su se stesso… e io vorrei solo stringerlo forte, dirgli che so come si sente e che non era affatto colpa
sua, ma… ho troppa paura… “No…” “Quanto
è andato avanti?” “Fino a
due anni fa… Li hanno… uccisi davanti ai miei occhi… e io… non ho potuto fare niente per salvarli… e… ma questo è il mio
destino, è logico che sia così… io sono assolutamente inutile… sono solo… “Scusa…
non dovevo parlare di questo… da allora ho queste.” Osservo
le sue orecchie muoversi avanti e indietro e un vago sorriso, di una
tristezza senza pari, comparire sulle sue labbra. Che faresti ora Eros? Volevi sapere come gli sono venute
queste orecchie… ora lo sai… ha ceduto alla rabbia, questa ne
è stata la conseguenza… Adesso che faresti? Chiudo
un attimo gli occhi e cerco di rilassarmi, concentrandomi… forse, anche se
sono sveglio… “Che
devo fare?” “Abbraccialo… abbraccialo per me..” “Non ce la faccio… come posso…
io…” “Sta calmo… va
tutto bene… lui è un angelo, non lo vedi? Ti prego…
abbraccialo per me…” Senza
aprire gli occhi cerco di calmarmi… di ripetermi la frase di
Eros… Lui è un
angelo… E adesso…
mi sembra di ricordare… mi sembra di capire… quella luce che avevo visto, quella luce così forte da raggiungermi nel
buio in cui mi trovavo… Poggio
una mano sulla sua spalla e la stringo. Rimango così un attimo, poi gli cingo
le spalle con il braccio e lo avvicino leggermente a me, senza però farmi
toccare… Perdonami
Eros… più di così non ce la faccio… Due
iridi marroni mi fissano con una luce brillante che
le fa assomigliare e pazzi di stelle cadute in terra… Anche se non posso più
vedere il sole… le stelle… sono tanti soli lontani.. e se uno di essi si
frantumasse e i suoi raggi splendenti illuminassero le mie notti? Chiudo
gli occhi e li serro forte mentre una voce… lontana… ma vicina, così vicina da farmi paura, mi ripete una frase… mi ricorda il
mio destino… “Adesso sarai mio… finalmente…
solo mio… per sempre…” Riuscirò
mai a dimenticarlo? Riuscirò mai a tornare a vivere? Ma… ho vissuto per davvero quando ero vivo? “Adesso…
tu… chissà cosa…” Un’altra
voce, questa vicina e reale, mi riporta nel mio salotto, sul mio divano bianco, ricordandomi che per la prima volta da
389 anni sto toccando qualcuno… e non per ucciderlo… “Non è
stata colpa… e di certo.. nessuno si merita una cosa
del genere… se non chi lo fa… quindi smettila di pensarlo, chiaro?” Non so
se le mie parole hanno suscitato l’effetto desiderato, perché un nuovo
sorriso, troppo simile a quelli di prima, gli increspa le labbra. “Oh…
magari gli altri non lo meritano… ma io sì… io… sono
maledetto…” “… Tu
cosa?” “Mia
madre mi ha maledetto… del resto… ha ragione… sono…
sono nato il 6 giugno 1606… il giorno del diavolo…” Sono
assolutamente basito, non riesco a parlare, muovermi o anche solo pensare…
non può davvero… Io non
faccio altro che piangermi addosso, rifiutare tutto e tutti… per… per… mentre
lui… lui porta su di sé una maledizione… solo per essere nato in un giorno
sbagliato… solo per essere un angelo puro e con gli occhi sinceri… e
nonostante questo… lui… Serro
gli occhi e cerco di farmi forza, vincere le mie sciocche paure, superare
tutti i timori che stupidamente nascono in me ogni volta in cui mi avvicino a
qualcuno, e lo abbraccio… lo serro in un abbraccio stretto, come se tutto
quello che volessi fosse… fonderlo in me, cancellare
il suo dolore… e il mio… “Mi-Milos…” Adesso
forse dovrei parlare… dire qualcosa di rassicurante, cercare di farlo star
bene, ma ho diversi problemi nel convincere me
stesso che non c‘è nessun pericolo nello stare così vicino a questo micio… E’
impressionante come sia passato da gattaccio, a
gatto, a micio… altro che maledizione… è stato lui a fare un sortilegio a me!
Però… non posso non ammettere che sto bene così…
forse sono un po’ rigido… e forse le sue braccia mi stringono un po’ troppo,
ma… sto bene… Vorrei abbracciarti, vorrei
stringerti e baciarti, vorrei molte cose… ma la cosa
che più di ogni altra desidero, è vedere di nuovo il sorriso sulle tue labbra
e i tuoi occhi illuminarsi… e non importa se non sarà per merito mio o come
regalo a me… mi basta solo che tu stia di nuovo bene… davvero bene… “Adesso
smettila di miagolare perché ti hanno abbandonato e tira fuori gli artigli…
chiaro?” “Ehm…
ma… io… cioè... scusa... sono un debole… e…
perdonami…” Ma i gatti sono tutti così stupidi? O forse
sono io ad essere un po’ troppo brusco? Insomma, non ho tempo da perdere con
questo moccioso… non che abbia altre cose da fare,
ma non posso certo stare dietro a lui, no? La
verità è che… non riesco a farlo… non riesco ad
essere dolce come Eros… “Scemo…
adesso fila al letto… anche se non è tardi tu devi
riposarti…” “Ma… io… non vuoi che me ne vada?” “Ti
mando via domani gattaccio… adesso fila in camera… io vado a caccia.” “Vengo
con te!!” I suoi occhi brillano. So che vorrebbe
stare con me, ma io ho bisogno di pensare, ne ho necessità disperata. “No, non
voglio che ti sforzi.” “Ma sei
tu quello ferito!” “…Sai
pulire delle pistole?” “Sì,
certo!” Di nuovo i suoi occhi si illuminano… da
questo devo dedurre che ama le armi come me? Sarebbe di certo un punto a suo
favore… Mi alzo
e gli intimo di andarsi a vestire, mentre io supero la porta che divide le
scale che portano alla taverna dalla casa. Accendendo
la luce in questa immensa sala, mi ricordo
improvvisamente che dovevo finire una spada, ma sinceramente non mi va di
lavorare con quel gatto che sicuramente mi girerebbe intorno come se fossi
un’attrazione da circo e non un semplice fabbro… Scuoto
la testa e lancio uno sguardo all’incudine che si trova dalla parte opposta
della sala, vicino ai barili pieni di acqua e la
rastrelliera su cui ci sono i martelli e gli scalpelli. Il fuoco è ovviamente
spento, e devo ammettere che nonostante lo accenda da anni, ho ancora dei
problemi… una naturale paura serpeggia lungo la mia schiena, ogni volta che
comincio a sistemare la legna e a darle fuoco… ma
non c’è da stupirsi. Il fuoco, proprio come il sole, sono
nostri ‘naturali’ nemici, io non posso far altro di cercare di vincere le mie
paure, se voglio ‘lavorare’… ho ricostruito questa fucina proprio per questo… Prendo le pistole, custodite in una vetrinetta chiusa a chiave,
in questa parte della taverna, e poi tutto l’occorrente per pulirle. Non sia
mai che Eros metta le sue manacce sulle MIE armi!
Come minimo me le rovinerebbe tutte! E poi lui è più
bravo con i coltelli e le spade… anche se non mi pare che lui abbia mai
combattuto. Scuoto
la testa e ricomincio a salire le scale, cercando di non pensare a quel moccioso… anche se è una cosa piuttosto difficile vista la
voce che continua a ronzarmi in testa… “Ti preeeego!! Domani posso parlarci? Ti prego!!” “Sì, sì, basta che la smetti! E poi tu sarai più bravo
a consolarlo…” “Sei stato eccezionale, fidati…
basta vedere con che occhi ti guarda…” “Sei geloso?” “Del fatto che se anche mai
dovessi amarmi non lo farà mai come ama te?” “… che stronzate dici?” “La verità… comunque…
no… non sono geloso… mi basta che lui sia felice… e mi basta stargli accanto…
e io lo sento… gli starò accanto… e lui sarà felice…” “Lo so!” Rientro in salotto scuotendo la testa, cassetta con armi
e tutto il resto, tra le mani. Lui è già seduto sul divano, un paio di pantaloni e la
mia maglia di ieri, in trepida attesa. “Ho rimesso la tua maglia… ti dispiace?” “Fa come
vuoi.” Mi siedo
mettendo le pistole sul tavolinetto basso e
cominciando a smontarne una… vedo che lui fa lo stesso e sembra sapere il
fatto suo, meglio così, non vorrei dovermi trovare a
schivare una pallottola… certo sono tutte scariche, non metterei mai una
pistola carica in mano a questo moccioso, ma non si può mai sapere. Passiamo
così il resto della notte, in un silenzio tranquillo, irreale quasi, ma non
pesante, è più una specie… di calma tranquillità. L’ho dovuto riprendere un
paio di volte sul modo si pulire le canne, ma a parte questo devo dire che se l’è cavata bene… è un moccioso con delle
potenzialità devo ammetterlo, anche perché, non è un moccioso, ha solo 9 anni
meno di me… Ormai è
quasi l’alba e io non sono il tipo che spende parole inutili, se vuole
dormire sul divano facesse pure, io me ne vado in
camera da letto e mi metto il pigiama… lui facesse come vuole. Dopo
nemmeno due minuti, quel mocciosetto bussa alla mia
porta, giusto il tempo che mi ci è voluto per
infilarmi pantaloni e maglietta, precauzione piuttosto stupida visto che il
gatto mi ha già visto semi-nudo, e di certo avrà avuto modo di informarsi da Eros
per quale motivo il suo ‘meraviglioso corpo’
(immagino il tono smielato della sua voce pronunciare queste parole) sia
segnato da una così vistosa cicatrice. Sono
felice di non aver mai raccontato niente ad Eros... è già abbastanza
difficile condividere questo corpo… non voglio perdere anche l’amicizia, se
così si può definire, di quello sciocco. Rabbrividisco
vistosamente al ricordo, che per un attimo
attraversa la mia mente. Le
fiamme, il fumo denso, le urla di mia madre… quelle di mia sorella che provenivano
dalla sua stanza… quelle di Alika
che cerca di proteggersi con mia madre… “Avevo
dimenticato l’accappatoio in camera mia… lo metto in bagno o vuoi che lo
stenda?... Milos, tutto bene?” Mi
guarda con quei suoi grandi occhi colmi di preoccupazione, forse per il mio
colorito più bianco e mortale del solito, o forse, semplicemente perché
riesce a capire quello che mi succede, nonostante non riesca a cogliere
appieno tutte le sfumature… e questo mi fa paura, tanta, tantissima. “Lascialo
dove vuoi.” Riesco a dire queste parole mantenendo un tono freddo, distaccato
e noncurante, quando invece, tutto quello che vorrei, sarebbe solo scappare
lontano… come sempre.. come il perfetto vigliacco
che sono… “Ok…
allora… io vado di là… buon riposo…” Guarda con occhi tristi il letto… so
bene cosa vorrebbe fare, ma non glielo permetterò anche stanotte! E’ stato
già abbastanza difficile addormentarmi ieri… figurarsi oggi… “Ricordati
di non toccarmi.” Stupido
idiota! Perché l’ho detto??? Non posso davvero voler
dormire con lui! Dal canto suo, il malefico gatto corre nella sua stanza,
torna con i pantaloni del pigiama che gli deve aver dato Eros, fa per
gettarmi le braccia al collo ma si ferma e
mordicchiandosi un labbro con un’espressione da bambino colto a fare una
marachella, mi chiede scusa. Poi, come se niente fosse, si getta sul mio
letto, mettendosi sotto le coperte. Spero
solo che il giorno passi in fretta… e spero che non abbia voglia di
accarezzarmi di nuovo per calmarmi dagli incubi. Già, un
altro giorno di ricordi… un altro giorno per un’espiazione che non riuscirò mai a compiere. POV EROS Mi
rannicchio su me stesso, devo aver fatto incubi tremendi per tutto il giorno,
ma non riesco proprio a ricordarli. So che Milos ne soffre, ma vorrei sapere
cosa glieli ha provocati. Prima o
poi dovrò dire a quel musone che dobbiamo fare due chiacchiere, se
crede di scapparmi ancora per molto… quasi quattrocento anni sono stati fin
troppi! Apro gli
occhi lentamente e posso finalmente specchiarmi in questi laghi meravigliosi,
pozzi di dolcezza infinita che altro non sono che
gli occhi di Vajrin. Oggi
però il micino mi sembra strano, questi suoi
meravigliosi occhioni sembrano
tristi… mi chiedo come mai. Ahah! Ma Super Eros ti
salverà mio piccolo gattino!! Beh… forse Milos non ha
tutti i torti quando mi dice che sono un idiota… “Ciao
micio…” “Eros…
ciao… sono felice di vederti…” Chissà perché, però, la sua voce, mi sembra
tutto fuorché allegra… “Vajrin,
tutto bene?” “Sì,
certo! Aspetta, fammi controllare come stai…” Si alza
e scostando le coperte comincia a guardare la ferita, completamente
rimarginata e simile, solo, ad un profondo graffio. “Beh…
adesso lo sai…” “Co-cosa?” “Che io sono la seconda personalità di Milos… spero che
questo non ti crei problemi… è un po’… come se fossi il suo alter ego…” “Sì… ma
l’ho capito solo perché Milos me lo ha detto… come mai lui…” “Non
c’è? Ogni tanto sparisce… sai, anche se non sembra, parliamo molto… mi ha
detto molte cose…” Il suo
sguardo è attraversato da un lampo di terrore e io d’istinto lo stringo tra
le braccia mettendomi, con un solo gesto, a sedere. “Vajrin?
Che c’è?” “Ni-niente… Eros… io… devo andare…” “Cosa? Perché?” “Beh…
devo… sistemare delle cose in albergo… e poi… non posso rimanere qui, no?” Già… non
può… chissà cosa mi ero messo in testa? Se anche
dovesse provare qualcosa… sarebbe per Milos, non per me… l’ho visto dal suo
sguardo… dalla diversa luce che illumina i suoi occhi…
anche se non vedo con gli occhi… vedo con la mente... a volte… “Sì,
certo… vuoi che ti accompagni?” “No… faccio
una doccia e vado…” Sguscia via dalle mie braccia e senza guardarmi esce dalla stanza. Dopo pochissimo
sento l’acqua della doccia scorrere e mi butto a peso morto sul letto
chiudendo gli occhi. Sono
solo uno sciocco… uno stupido sentimentale senza speranza. Sono in
salotto, ancora in pigiama, quando Vajrin entra, i suoi vestiti addosso,
stranamente puliti, evidentemente deve averli lavati ieri o forse l’altro
ieri, Milos non se ne sarà nemmeno accorto scemo
com’è… “Beh…
allora io vado… mi raccomando sta attento… ci vediamo ok?” Sempre senza
guardarmi va alla porta e io riesco a malapena ad alzarmi e dirgli ‘aspetta’
che già lui è uscito. Scatto
alla porta e l’apro, è ancora sulla soglia. “Vajrin…
aspetta… ti accompagno!” “No Eros
grazie, è tutto apposto, davvero! Senti, ti chiamo
io più tardi ok? Scusa per tutto il disturbo…” Accenna
quello che dovrebbe essere un sorriso, ma che ne è
solo una pallida e malriuscita imitazione e si allontana a passo svelto. Che sarà successo? Rientro
in casa e mi butto sul divano. Dovrei
sapere cosa è successo… non c’era Milos… e Vajrin
voleva solo lui… In fondo
io… sono solo… un’imitazione no? Sono solo qualcosa nato per sbaglio, a causa
di un qualche trauma che non mi è dato conoscere… io sono solo la copia…
l’originale non può essere battuto, soprattutto agli occhi di qualcuno che lo
ama, anche senza saperlo. Continuo
a fare avanti e indietro in salotto, aspettando che Vasili, il nostro
sceriffo, colui che è preposto a mantenere l’ordine
qui in città, mi dica se Vajrin si è visto in sala o in giro nelle ultime tre
notti. “Eros… no guarda qui non lo ha visto nessuno e nemmeno in città…
mi spiace…” “Oh… ok
grazie Vasili… vedrò cosa fare…” Lo
saluto ringraziandolo ancora e poi prendo la giacca per uscire. Devo andare a
vedere se è in albergo! La luce
chiara che si prospetta all’orizzonte, una volta aperta la porta di casa, mi
fa desistere. Ero così intento dal fare telefonate, dopo l’ennesima notte in
cui sono stato in cerca di Vajrin senza trovarlo, da non accorgermi che ormai
l’alba è arrivata. Chiudo
la porta d’ingresso e chiudo le tende mentre torno
in camera. Mi
sdraio sul letto chiedendomi perché sono stato così scemo da non andare prima
in albergo da lui, chiedendomi perché mai sono stato così pavido, così
impaurito da un suo possibile rifiuto. Tutto
quello che conta però, adesso, è cercarlo, trovarlo,
e sapere che sta bene Di certo
c’è un motivo per cui il cellulare è sempre spento…
e ci deve essere anche perché non si è più fatto vedere… lui di certo sta
bene… devo stare tranquillo… Il sonno
mi coglie improvviso, mentre continuo a chiedermi come sta Vajrin, e gli
incubi di Milos si mischiano alle mie paure, rendendo il nostro giorno
eternamente più lungo del solito. Quarto
capitolo - Fine |