Disclaimers: i personaggi di Slayers appartengono al loro autore (tranne Valgarv, perché ormai l’ho adottato! NdAutrice^^)

Note: è il seguito di “Il Concilio dei Dark Lords” e si svolge immediatamente dopo la fine della fic precedente

Commento: è l’ennesima dimostrazione del fatto che l’autrice (sadica?) non crede nel “e vissero felici e contenti”, e per questo faccio le mie più umili scuse ai miei lettori e (soprattutto) alle persone a cui complico la vita nelle mie fanfiction.

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Legami infranti

di Eternal Fantasy


Fibrizio si guardò intorno, scrutando nelle tenebre che lo circondavano come un sudario d’angoscia: una viscida ragnatela invisibile che lo avvolgeva nelle sue maglie mortali.

Aveva paura. Per la prima volta nella sua esistenza millenaria, il Principe degli Inferi aveva veramente paura: davanti a lui, celato dall’oscurità, c’era qualcosa contro cui non aveva difese, ed era in collera con lui.

Ad un tratto comparve una sagoma familiare, ponendosi in sua difesa; avvolto in una luce rossa e calda che squarciava le tenebre, brandendo la sua lunga spada, Garv gli sorrise rassicurante e si voltò ad affrontare la minaccia sconosciuta.

Fibrizio sorrise, sollevato. Ora al suo fianco c’era colui che da mille anni era al centro dei suoi pensieri, prima come rivale e nemico, da poche ore riscoperto alla luce di un sentimento fino ad allora sconosciuto: l’amore. Garv Dragon Chaos era la sola persona che l’Hellmaster avesse mai amato.

Fibrizio si crogiolò con gioia in questa consapevolezza, perdendosi nel sorriso dolce del Re Demone-Drago… che improvvisamente s’irrigidì in una smorfia di dolore.

Degli oscuri tentacoli erano scaturiti dal nulla e stringevano nel loro letale abbraccio il guerriero dalla chioma rossa che tentava invano di liberarsi.

Fibrizio corse in suo aiuto, ma in quel momento il misterioso nemico lanciò contro di loro dei raggi di energia potentissima che trafissero entrambi, mettendo fine alle loro vite in un’esplosione di sofferenza.

 

Fibrizio scattò a sedere sul letto, tremando come una foglia nonostante il calore che pervadeva la stanza. Si guardò intorno, ricordando dov’era: una grotta di granito rosso nelle profondità del Monte Chaos, il recesso più segreto del Dragon Dungeon, la dimora di Garv… come s’intuiva dal bassorilievo di un minaccioso drago a tre teste che proteggeva dalla parete l’enorme letto del Re Demone-Drago, in cui quest’ultimo e il Principe degli Inferi avevano trascorso una notte d’amore così travolgente e appassionata che le parole umane sono insufficienti a descriverla.

Quale linguaggio mortale potrebbe esprimere adeguatamente l’amore dei Dark Lord?

Fibrizio posò lo sguardo sull’amante che dormiva serenamente al suo fianco, il volto addolcito dal sonno su cui ricadevano alcune ciocche spettinate dei lunghissimi capelli che gli ricoprivano il corpo come una coperta di seta color rubino. Si portò alle labbra una di quelle ciocche, assaporandone il profumo intenso e virile di Garv. Tremò violentemente, ricordando come nel sogno quei capelli si erano tinti del loro scuro sangue demoniaco…

Un braccio muscoloso si mosse, cercando il corpo snello accanto a sé; trovatolo, sul volto di Garv si dipinse un sorriso, che svanì quando l’Hellmaster si scostò bruscamente.

“Cosa c’è, Fibrizio?” chiese.

L’altro si conficcò le unghie nei palmi: perché il suo nome suonava così dolce pronunciato da lui? Com’era possibile che bastasse questo per far sciogliere qualcosa dentro di sé ogni volta? Solo tre sillabe uscite da quelle labbra…

Quelle labbra calde, morbide, appassionate che gli donavano solo baci e parole dell’amore più puro.

L’Hellmaster si alzò di scatto, abbandonando il grande letto come se si fosse trasformato all’istante in un nido di vipere.

“Me ne vado.” Dichiarò soltanto, voltandogli le spalle.

Garv s’accigliò: “E’ successo qualcosa?” chiese preoccupato.

Deglutì nascondendo il volto dietro i folti capelli corvini e cercando di rendere la sua voce più fredda e impersonale possibile: “Ho commesso un errore.”

Non poteva vederlo, ma percepiva con chiarezza la confusione di sentimenti che si accalcavano nella mente del suo amante, quell’amante con cui aveva fuso il proprio cuore, corpo e anima; ma vennero presto accantonati a forza dalla rabbia crescente:

“Cosa intendi dire?” un roco sussurro.

“Esattamente quello che ho detto; è stato divertente, non lo nego, ma nient’altro che un semplice passatempo ora concluso.”

“Tu mi hai mentito!” un lacerante ruggito di rabbia e dolore.

Fibrizio sentì qualcosa spezzarsi dentro di sé, sostituito da un vuoto oscuro e senza fondo in cui gettò ogni suo sentimento per poter pronunciare l’ultima frase, la menzogna più crudele mai proferita in cinquemila anni di impietose falsità:

“Quando ho detto che ti amo? Lo dico a tutti quelli che voglio portarmi a letto.”

Garv si portò le mani al volto coprendosi gli occhi. Non voleva vederlo. Ruggì solo un roco “Vattene.”

Fibrizio non resistette più e si voltò, tremando. Percepiva ciò che l’altro stava provando e fu tentato di negare ogni parola, gettarsi tra le sue braccia e confermargli che lo amava, per la prima volta nella sua vita era innamorato e non aveva mai detto a nessun altro quelle parole. Ma non ne ebbe il coraggio e scomparve, mentre Garv urlava con tutta la sua furia

“VATTENE!”

 

Dal cratere del Monte Chaos esplose una pioggia di fuoco che devastò il territorio per molte miglia, come lacrime di dolore incandescenti, quelle lacrime che il Re Demone-Drago non poteva versare.

 

Valgarv comparve trafelato nella stanza; il fortissimo legame mentale che lo univa al suo Maestro l’aveva allarmato: sentendo tali ondate di rabbia e disperazione provenire da lui, il ragazzo l’aveva immediatamente raggiunto.

Lo trovò ancora seduto sul letto, stringeva le coperte così forte da sbiancare le nocche, il suo volto teso in un’espressione spaventosa. Valgarv salì sul letto e gli si avvicinò:

“Cos’è accaduto, Maestro?” chiese quasi singhiozzando, sconvolto dall’eco delle emozioni dell’altro.

Garv non rispose; lo guardò con gli occhi verde smeraldo lucidi per le lacrime non versate:

“Figlio mio.” Sussurrò soltanto.

I due Demoni-Drago si strinsero in un abbraccio; uniti da mille anni, non avevano bisogno di parole per comunicare: i loro pensieri scorrevano naturalmente dall’uno all’altro, condividendo e confortando a vicenda il dolore. Al termine di quel silenzioso dialogo Valgarv rialzò il viso, oscurato da una serietà mortale:

“Dì una parola, Garv-sama, e io lo ucciderò.”

“Non dirò mai quella parola, Val; lo sai bene.”

“Si, ma… perché?”

Garv sospirò tristemente: “Lui può rinnegare i suoi sentimenti, ma io non rinnego mai i miei… anche quando sarebbe la strada più facile.”

“Lo so. È uno dei tanti motivi per cui sono fiero di essere il tuo allievo.”

Il sorriso ricomparve sulle labbra e negli occhi di Garv: “Mio figlio, Val. E io sono fiero di considerarmi tuo padre.”

 

Neanche un’ora più tardi Garv avvertì l’arrivo di un ospite del tutto inatteso. Davanti a lui comparve infatti Dynast Grausherra e la sola presenza del Signore del Nord bastò a congelare un lago di magma. I due Dark Lord si fronteggiarono nel corridoio colonnato che correva lungo le pareti del cratere. Garv fissò il fratello: assomigliava a una statua greca scolpita nel ghiaccio, il suo corpo e il suo volto non rivelavano mai nulla; eppure il solo fatto che proprio lui fosse lì, in persona, in un luogo che doveva risultare sgradito a un Demone dei Ghiacci, era segno inconfutabile che doveva essere accaduto qualcosa di straordinario.

Garv non poteva immaginare quanto avesse ragione.

“Lei Magnus è di nuovo libero.”

Come sua abitudine Dynast aveva comunicato la notizia con voce così fredda e priva di emozioni che Garv impiegò un paio di secondi a comprendere le implicazioni di quelle poche parole.

Impallidì: “Non è possibile!”

“La parte di Shabranigdo imprigionata dentro di lui si è ridestata ed è riuscita a sciogliere il sigillo magico che lo rinchiudeva. È ancora debole ma presto recupererà tutti i suoi poteri.”

“Ciò significa che…” Garv si rifiutò di concludere la frase. Per mille anni aveva lottato per ottenere la propria libertà, arrivando a combattere contro gli altri Dark Lord pur di non dover sottostare al sistema imposto loro dal Maou Shabranigdo, loro Signore e Creatore. Ora Egli era tornato, e tutti i suoi sforzi sarebbero risultati vani.

Dynast annuì impercettibilmente: “Nostro Padre ci ha convocati.”

 

I due Dark Lord si teletrasportarono sui monti Kataart, dove per mille anni il Dio dei Demoni era rimasto imprigionato, addormentato nel corpo dell’umano Lei Magnus.

Garv percepì fin dal primo istante l’immensa aura del loro creatore: era ancora debole, il sigillo forse non era ancora del tutto spezzato, ma anche in quelle condizioni la sua potenza superava quella di ognuno dei suoi figli. Si convinse che aveva fatto bene a rifiutare la richiesta di Val di portarlo con sé; aveva un brutto presentimento, che si accentuò ancora di più quando giunse alla presenza di Lei Magnus.

All’apparenza non era che un uomo dai lunghi capelli blu che indossava un’ampia veste rossa e reggeva nella destra un bastone da mago; ma i suoi occhi erano due pozze di luce sanguigna, gli occhi di Ruby Eye Shabranigdo. E quando parlò, la voce tonante che uscì da quelle labbra era quella del Dio dei Demoni.

“Finalmente ci rivediamo, Figli miei.” Esordì. I Dark Lord s’inchinarono al suo cospetto.

Il Maou fece uno sgradevole sorriso: “I miei discepoli… mi siete veramente devoti come sostenete di essere?”

Queste parole sorpresero e inquietarono i Cinque.

“Noi ti siamo fedeli e lo siamo sempre stati, Padre.” Dichiarò Zelas.

“Allora come mai in mille anni non siete riusciti a risvegliare nessuna delle sei parti rimaste della mia essenza?”

I Dark Lord rimasero in silenzio. Cosa potevano replicare? Che non erano riusciti a localizzarne nessuna? Che la sorveglianza delle forze del Bene era troppo serrata? Ogni scusa poteva sembrare una prova di negligenza, o peggio, di incapacità.

“Lasciamo stare, per ora.” Continuò Shabranigdo, ma i Cinque non si rilassarono: l’argomento non era affatto chiuso e se Lui l’aveva accantonato era perché preparava qualcosa di molto peggio. “Soprassederò sulla faccenda, ma voglio una prova della vostra fedeltà.”

Garv s’accigliò: “Che genere di prova?”

“Chiederò a ognuno di voi di rinunciare alla cosa che gli è più cara.” Il ghigno sulla bocca di Lei Magnus s’allargò: “Nel tuo caso, Garv… dovrai portarmi la testa del tuo allievo, Valgarv!”

“Scordatelo!” la voce di Garv esplose nel silenzio attonito seguito alla rivelazione.

Gli occhi rossi lampeggiarono: “Osi rifiutare il sacrificio che ti chiedo?”

“Fottiti, stronzo! Non ti consegnerò MAI mio figlio!” ringhiò Garv sguainando la spada.

Shabranigdo lo fissò intensamente: “Sapevo che prima o poi ti saresti ribellato a me, Garv. Nel momento stesso in cui ti diedi la vita mi resi conto di aver forgiato un’arma a doppio taglio. Speravo che tu fossi abbastanza furbo da evitare tale stupido errore, ma a questo punto devo eliminarti.”

Un movimento del bastone e dal terreno emersero lunghi tentacoli neri che avvolsero il corpo del Re Demone-Drago impedendogli ogni movimento e cominciarono a stritolarlo.

Fibrizio assisteva stravolto alla realizzazione del suo incubo: tutto ciò che aveva fatto, tutto il dolore che aveva arrecato a sé stesso e a Garv non aveva impedito l’avverarsi di quell’orrore. Desiderava distogliere lo sguardo da quella scena straziante che stava frantumando ciò che restava dei cocci del suo cuore, quando si accorse degli occhi di Shabranigdo puntati quasi avidamente su di sé. In quel momento capì; quella era la sua prova: rinunciare a Garv, all’amore che provava per lui; assistere senza reagire alla tortura e alla morte della persona più importante della sua vita!

Fibrizio strinse i denti: anche lui aveva fatto la sua scelta.

Tra le sue mani si materializzò la sua falce, nera come uno squarcio nella notte: Death Gate.

Con essa si lanciò contro i tentacoli che imprigionavano il suo amore e li recise di netto. Garv crollò in ginocchio e Fibrizio lo prese tra le braccia per sostenerlo. Lo sguardo che i due si scambiarono in quel breve istante valeva come mille lunghi discorsi: il demone dai capelli neri chiese il suo perdono e il guerriero glielo concesse… in cambio del suo amore. Ma capì che era già suo; così il demone drago gli offrì di nuovo il proprio, che l’altro accettò con gioia.

Purtroppo il loro idillio non durò che pochi secondi; ora Shabranigdo era davvero furioso:

“Ti consideravo il mio favorito, Fibrizio. Non riesco a credere di aver sbagliato a tal punto nel mio giudizio! Non mi lasciate altra scelta, dovrò eliminarvi entrambi!”

Il Principe degli Inferi lo vide lanciare i suoi raggi micidiali. Chiuse gli occhi, stringendosi al corpo del suo amato, sapendo che era la fine.

Il colpo fatale non li raggiunse mai.

Quando riaprirono gli occhi, i due Dark Lord videro che lo strale infuocato si era spento infrangendosi contro un muro di ghiaccio, scintillante quasi quanto l’armatura di Dynast, in piedi davanti a loro.

“Dynast… ci ha fatto da scudo!” mormorò Garv stupefatto.

Nessuno infatti si sarebbe mai aspettato un gesto del genere dal gelido Demone dei Ghiacci, men che meno Shabranigdo, il quale balbettò sconvolto:

“Tu… il mio primogenito! Anche tu contro di me, Dynast Grausherra?!”

Sotto gli occhi increduli di tutti i presenti, sul volto imperscrutabile del Signore del Nord si dipinse un timido sorriso di scusa: “Perdonami, Padre… ma credo di sapere cosa chiederai a me, ed è una rinuncia che non posso accettare. Neppure per un tuo ordine.”

L’aura del Dio-Demone avvampò: “Sai cosa significa questo, Figlio?”

L’accenno di sorriso sulle pallide labbra si fece quasi ironico: “Si, Padre. Che tre di noi, unendo le forze, hanno abbastanza potere da ripristinare nuovamente il sigillo che tiene te imprigionato nel corpo di Lei Magnus e quest’ultimo congelato nel ghiaccio dei Kataart.”

A queste parole sui volti di Garv e Fibrizio si dipinse un ghigno davvero demoniaco, e tutti e tre cominciarono a intonare una lunga e complicata formula magica.

Shabranigdo volse i suoi occhi rossi, nei quali si leggeva ora una muta supplica, verso le due Dark Ladies rimaste fino ad allora in disparte.

Dolphin Deep Sea tentennò, ma poi corse a porsi al fianco di Dynast e si unì ai fratelli nel tessere l’incantesimo. Zelas Metallium, non risolvendosi né per una parte né per l’altra, semplicemente scomparve.

I quattro Dark Lord rimasti portarono a termine il rito e Lei Magnus tornò nella sua tomba di ghiaccio.

 

Un sovrumano silenzio regnava ora tra le vette dei Monti Kataart; i quattro demoni superiori rimasero quasi sconvolti da quella calma, sembrava che l’universo quasi non si fosse accorto del tradimento inaudito che aveva appena avuto luogo. Ma era stato un tradimento? O la semplice affermazione di voler conservare un’indipendenza durata mille anni, una libertà così piacevole che rendeva insopportabile l’idea dell’antica sottomissione? I Dark Lord non avrebbero mai voluto tradire il loro creatore, ma sapevano che sarebbe stato peggio tradire loro stessi e le persone o cose che avevano imparato ad amare in quel lungo millennio.

Infine Dolphin si mosse, barcollando, e con voce incrinata mormorò: “Voglio tornare a casa.” Timidamente sfiorò il braccio di Dynast: “Mi accompagni per un pezzetto di strada, Fratello?”

Dynast lentamente annuì e i due scomparvero.

Garv e Fibrizio restarono soli e un po’ imbarazzati: ora che erano fuori pericolo, come dovevano comportarsi l’uno con l’altro?

Fu Garv a rompere il ghiaccio: “Vuoi che anch’io ti riaccompagni a casa?” sorrise.

“Solo se resterai con me a fare l’amore.” Rispose senza esitare l’Hellmaster. Garv rimase senza parole, ma la sua espressione turbata spinse Fibrizio a continuare: “Tutto ciò che ho detto stamattina è nato dalla mia paura per ciò che provavo nei tuoi confronti: non mi sono mai innamorato prima, temevo che questo sentimento mi rendesse troppo debole e vulnerabile, così…”

“Hai tentato di fuggire.” Concluse Garv.

Fibrizio annuì tenendo gli occhi bassi.

Garv gentilmente gli sollevò il mento perché incontrasse il suo sguardo: occhi di smeraldo in occhi di giada. “Non si può fuggire da sé stessi, amore mio.” Gli sussurrò, tanto vicino che le loro labbra si sfioravano. Poi annullò anche quella breve distanza e lo baciò con tutta la passione di cui era capace. Fibrizio lo ricambiò con altrettanto impeto, gettandogli le braccia intorno al collo.

“Ti amo, Garv.” Sussurrò ore dopo, abbracciato a lui tra le lenzuola madide di sudore mentre il loro respiro tornava alla normalità “E voglio che tu sappia che non l’ho mai detto a nessun altro.”

Garv gli accarezzò il volto con lo sguardo e con le labbra: “Lo so. Credo di averlo sempre saputo.”

 

Fine

 

 

 

Eternal Fantasy: Finalmente è finita! Spero solo che Shabry-chan non se la sia presa troppo se l’ho tirato in ballo…

Garv: Lui, eh?? E noi cosa dovremmo dire con  tutto quel che ci hai fatto passare?

Fiby: Già! Ti rendi conto che ci hai fatto silurare il nostro papà?

E.F.: Non preoccupatevi, gli spiego tutto io, vedrete che ci mette una pietra sopra…

Garv: Purché non sia la tua lapide…

E.F.: ^^;;

Fiby: Senti, dato che nella fic hai accuratamente evitato di dirlo… che cos’è quella cosa talmente importante per Dynast? *___*

Garv: Già, sarei proprio curioso di sapere cosa sta tanto a cuore a “Sua Maestà Glaciale”!!!

E.F.: Ragazzi, sapete quanto odio citare ‘quell’essere’, ma… “sore wa himitsu desu”! Se ci tenete tanto, chiedetelo a lui!

Garv: Scherzi! Quello come minimo ci congela!

Fiby: …………*^-^*!!!

E.F.: Levatelo dalla testa, maniaco! Lui non è mica un hentai come voi!

Fiby: Come sarebbe? Se in due fic non hai descritto una sola scena dove io e G-kun…

E.F.: Le scelte artistiche dell’autrice non si discutono!!!

Fiby: Uffaaaaa!!!

Garv: Non prendertela… tanto noi l’abbiamo fatto lo stesso, no?

Fiby: ^_____________^   Eccome!!!

 




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