Disclaimers: i
personaggi sono di mia esclusiva proprietà, quindi mi riservo il diritto di
trattarli male quanto voglio^^ *…* così è indicato quello che in originale è
scritto in corsivo
Le feu dans
l'ame
parte V
di Korin
Meriart attese l’alba con trepidazione, seduto sulla panca di pietra che
costeggiava la balaustra del balcone, incurante dell’aria ancora fredda.
Rimase fermo parecchio tempo, con un gomito sulla ringhiera ad osservare i
profili delle montagne illuminate dalla luna piena, infine sospirò piano e
abbandonò la sua posizione per versare una tazza dell’infuso che la sua
guida gli aveva ingiunto di bere il più possibile. Con cautela portò la
tazza alle labbra. Maneggiare gli oggetti di Filevrynn gli causava una
certa apprensione, sembravano tutti fragilissimi; sollevò la tazza per
poter giocare con i raggi della luna. Lir’yel gli aveva spiegato che
quello strano materiale così sottile da essere perfino traslucido e che
risuonava come il vetro si chiamava porcellana e che era ottenuto con un
particolare tipo di argilla; per lui era quasi inconcepibile che
dall’argilla si potessero ottenere oggetti di una fattura simile, al
villaggio aveva sempre usato ciotole e bicchieri di legno, a volte sua
madre gli aveva permesso di utilizzare un bicchiere di vetro che custodiva
gelosamente e che dopo la sua morte era finito nella credenza della moglie
del padrone. Poggiò il delicato oggetto sul tavolino rotondo al centro del
balcone e tornò a rivolgere lo sguardo sulle montagne. Sotto di lui la
foresta frusciava dolcemente, eppure avrebbe giurato che il suono del
fogliame percorso dal vento fosse cambiato, come se finalmente qualcosa si
sentisse libero di muoversi in libertà. Poggiò una guancia nell’incavo del
braccio. Sospirò di nuovo, stancamente. C’era un pensiero che non lo
abbandonava mai, nonostante cercasse di reprimerlo si riaffacciava in
continuazione: sapeva che era la verità, tuttavia non riusciva ad
accettare che una persona meravigliosa come il suo salvatore potesse
riuscire a contenere il suo potere. Le leggende che aveva ascoltato
affermavano che i maghi erano anziani dall’aspetto raccapricciante e
dall’animo corrotto, ma Lir’yel non era nulla di tutto ciò, era
incomprensibile, impossibile che condividesse la sua stessa natura
demoniaca. Si morse il labbro inferiore, convinto di aver finalmente
trovato la risposta che cercava, così ovvia da fare ancora più male.
“Stupido.” sussurrò.
Lir’yel poteva controllarlo perché era più potente, perché sicuramente
dentro di lui abitavano forze contrarie alle sue…c’erano luce, gentilezza,
una bellezza troppo perfetta per plasmare il viso di un essere di quella
terra. Sentì gli occhi punti dalle lacrime quando un altro pensiero
ossessivo gli graffiò l’anima. La bellezza di quel ragazzo dai profondi
occhi grigi era l’ulteriore conferma di quello che lui aveva sempre saputo
e che nessuno gli aveva mai permesso di dimenticare nemmeno per un attimo:
* lui era un mostro * . Sua madre gli era sempre apparsa meravigliosa, con
i capelli castani che il sole tingeva di riflessi rossi, gli occhi bruni,
la pelle lievemente scura…ma lui…lui portava su di sé i segni della sua
natura diabolica, e se avesse condiviso il potere impuro che gli insozzava
l’anima nemmeno lo spirito del suo salvatore avrebbe potuto rimanere
incorrotto. Era un mostro, lo sapeva, ne era sicuro e Lir’yel avrebbe
potuto passare mesi a ripetergli il contrario ma almeno a questo lui non
avrebbe mai creduto. Sospirò, afflitto. Era una creatura inutile,
pericolosa, che non meritava l’affetto di nessuno… se ne sarebbero accorti
presto anche il quel luogo straordinario e avrebbero agito di conseguenza,
come era già accaduto, ma stavolta non avrebbe lottato per sopravvivere.
La porta si aprì in silenzio, con lentezza e Lir’yel sbirciò nella stanza
con circospezione. Meriart era troppo assorto nella contemplazione
dell’alba per accorgersi di lui e stavolta aveva avuto il buon senso di
sedersi in un lato non illuminato dal sole.
“Buongiorno!”
Meriart quasi sobbalzò e balbettò un saluto sorpreso, mettendosi a sedere
composto. Lir’yel rise piano, poi si sedette dall’altro lato del
balconcino.
“Vedo brutti pensieri.” disse serio.
L’altro arrossì imbarazzato, chinando gli occhi.
“Sì” confessò.
“Non ti chiederò il perché, sta tranquillo, non ho intenzione di
cominciare a brontolare di prima mattina.” ribatté l’altro con leggerezza.
“E adesso da bravo portami dell’acqua.”
Meriart obbedì in fretta, con perizia e pochi attimi dopo era di nuovo sul
balcone, con due tazze pulite e dell’acqua ancora tiepida. Con cautela
Lir’yel estrasse un involto di velluto blu scuro che nascondeva una fiala
di vetro. Versò il contenuto in una tazza e lo ricoprì di acqua. Meriart
non riuscì a contenere un gemito di disgusto. Quella strana bevanda che
all’inizio era stata così gradevole col tempo era diventata sempre più
amara, al punto da diventare imbevibile. Il ragazzo biondo gli sorrise
comprensivo.
“Consideralo un buon segno, diventa disgustosa quando il corpo comincia a
non averne più bisogno; ed è grazie a questa se sei ancora vivo.”
Meriart lo guardò incuriosito, senza avere il coraggio di fargli la
domanda che gli era salita alle labbra.
“A dirla tutta quando sei arrivato qui non avrei scommesso su di te.”
confessò l’altro ragazzo, pacato “Potevo solo contenere il tuo potere, ma
nemmeno il più potente dei guaritori avrebbe potuto risanare il tuo corpo,
non c’era nulla di te che non fosse stato attraversato dal fuoco…non
sapevamo cosa fare, speravamo almeno di essere in grado di non farti
sentire il dolore ma fortunatamente il mio tutore ci ha portato questa.
Adesso però basta tergiversare e bevila .”
“Hm.”
Meriart fece oscillare piano la tazza, poi arricciò il naso.
“Che c’è ancora?”
“Non so…ogni volta che lo bevo ho una strana impressione.”
Lir’yel rise piano.
“E’ solo perché ti hanno abituato a guardare il mondo in un solo modo.”
“E questo cosa c’entra?”
“Bevi.”
“Dimmi cosa c’entra quello che hai detto.”
“Dopo.”
“Prima.”
“Dopo.” ripeté severo il ragazzo biondo “O ti costringo a farlo con la
forza.”
Meriart mugugnò e ingoiò il liquido, ma mentre riappoggiava la tazza
ricordò un particolare, un attimo di lucidità nell’oblio che lo separava
da quella notte: labbra tiepide che si insinuavano tra le sue e un liquido
che gli toglieva ogni percezione del mondo. Si poggiò una mano sulla
bocca, le guance arrossate. Lir’yel scosse piano le spalle.
“Ero il solo che riuscisse ad avvicinarsi e in qualche modo dovevi pur
mandarlo giù.” rise piano, malandrino e gli strizzò un occhio “Ma baciarti
certo non è stato un sacrificio.”
Dall’altra parte del tavolino le cose precipitarono all’improvviso. Lo
sguardo di Meriart divenne lucido prima che si coprisse il viso con le
mani e cominciasse a tremare e singhiozzare. Confuso e preoccupato il
ragazzo biondo si affrettò a sedersi al suo fianco ma Meriart lo respinse
con una mano mentre nascondeva il viso con un braccio. Un mormorio
sconnesso, quasi delirante vibrò nell’aria. Lir’yel allora lo afferrò per
le spalle, voltandolo verso di sé con forza.
“Guardami!” tuonò.
Era la prima volta che Meriart lo udiva alzare la voce e ne fu
letteralmente terrorizzato. Nella sua mente si confusero decine di
immagini e di emozioni, un groviglio di incubi che lo fece tremare ancora
più forte.
“Guardami e dimmi cosa ti passa per la testa.”
La voce si era fatta più calma, carica di preoccupazione, ma era rimasta
ferma e non ammetteva repliche di sorta. L’altro ragazzo si umettò le
labbra e chiuse gli occhi con forza. Trasse un respiro profondo, un poco
tranquillizzato dalla sicurezza che ostentava la sua guida.
“Io…sono un mostro…orribile…” mormorò, quasi senza emettere un suono “sono
un mostro...”
Lir’yel aggrottò le sopracciglia, maledicendo la sua leggerezza, eppure
seppe nascondere il suo turbamento dietro un ennesimo sorriso.
“Eppure hai toccato spesso il tuo viso, conosci a memoria le sue linee,
dove sarebbe la tua deformità?”
Meriart scosse piano la testa e ripeté la stessa frase, scuotendo piano la
testa, lo sguardo terrorizzato.
“E tua madre non ti ha mai detto nulla del genere, di questo ne sono
certo. Ti ha amato e protetto finché ha potuto, se fosse come dici non
l’avrebbe fatto.”
Il ragazzo scosse la testa vigorosamente e finalmente le lacrime
superarono la barriera delle ciglia.
“Le madri…non vedono con gli occhi.” sussurrò.
Lir’yel piegò le labbra in un accenno di sorriso, comprensivo.
“Può essere vero, ma non è così per tutte…tua madre è stata una donna
speciale, in ogni senso, e in questo devi assolutamente credermi.” affondò
una mano fra i capelli corti del suo protetto “Non hai mai visto il tuo
viso?”
Il ragazzo scosse piano la testa.
“Neppure il riflesso sul fondo di una pozzanghera o nell’acqua ferma di un
fiume?”
“Ho sempre…avuto paura…” sussurrò.
Lir’yel scosse piano la testa.
“E’ ora di cominciare a guardare la realtà delle cose; lo faremo insieme,
dal principio, piano piano. Su, vieni con me.”
Si alzò in piedi, tirandolo versò di sé, ma il suo protetto stavolta puntò
i piedi.
“Alzati.”
“Non voglio.” mormorò, tirandosi indietro.
Il ragazzo biondo aggrottò le sopracciglia.
“Ho detto vieni.”
Meriart deglutì a vuoto, la schiena percorsa da un brivido. Nella sua voce
aveva sentito una vibrazione sconosciuta, potente. Ubbidì, intimorito.
Mentre lo conduceva in silenzio lungo il corridoio, Lir’yel faticò a
mantenere il solito contegno imparziale che il suo protetto gli aveva
sempre visto e quando vide la porta della sua stanza si concesse un lieve
sospiro di sollievo. Si fermò, poggiando la mano sulla quercia intagliata
e si girò verso l’altro ragazzo.
“Devi imparare molte cose su di te.” disse, di nuovo gentile “Tra le
altre, anche questa è una cosa che non mi stancherò mai di ripeterti.”
“Lo so…ma…”
“Non esiste “ma”. Ti hanno intossicato di menzogne per anni, così bene che
ora credi di non poter vivere se le rinneghi.”
Meriart sbatté le palpebre, un sopracciglio sollevato nel tentativo di
comprendere le sue parole. Lir’yel scosse piano la testa. A volte
dimenticava che Meriart non poteva comprendere quello che gli diceva
semplicemente perché non conosceva le parole che invece lui utilizzava con
tanta facilità.
“Kianim. (1)” borbottò “ Voglio dire che quello che ti hanno ripetuto per
anni per te è diventata la verità e che hai paura di scoprire che non è
così.”
Spinse la porta con decisione, senza lasciargli il tempo per ribattere e
lo trascinò dentro tirandolo per un braccio. Un’esclamazione tra il
sorpreso e l’incredulo sfuggì dalle labbra del suo ospite, che si fermò
incantato. La stanza era ampia, con un lucido pavimento di legno chiaro e
un tappeto dai toni color cielo che lo occupava in larga parte. Lungo gli
archi delle due enormi finestre si abbarbicavano dei rampicanti dal
fogliame screziato che facevano ricadere grappoli di fiori rosso vivo fin
quasi al tavolo ingombro di fogli che occupava lo spazio ricavato nello
spessore dei muri. Di fronte all’altra finestra un tavolino circolare e
due sedie completavano l’arredamento. Lir’yel rise piano.
“Mi sembri un po’ perplesso…cosa non va?”
Meriart arrossì lievemente poi indicò le scaffalature che percorrevano le
pareti.
“Cosa…sono quelli?”
“Libri.”
“Li…bri?”
Il ragazzo biondo sorrise con gentilezza. Allungò una mano per afferrare
un volumetto, quindi lo porse all’altro ragazzo; Meriart allungò la mano,
poi la ritrasse, in una sorta di timore reverenziale.
“Avanti, non morde mica.”
L’altro ragazzo lo guardò imbarazzato, poi con cautela provò ad aprirlo.
Aggrottò le sopracciglia. Era fatto di una cosa strana, sconosciuta,
piuttosto sottile, ruvida e chiara, percorsa da misteriosi ghirigori neri.
“Questa è scrittura; è il modo in cui le persone comunicano tra loro senza
avere bisogno di parlarsi come stiamo facendo noi.”
“Ah-a….e…e questa cos’è?”
“Carta.”
Udendo finalmente una parola vagamente familiare, il viso di Meriart si
rilassò un poco.
“Carta pecora?” azzardò.
Aveva visto quella strana cosa solo un paio di volte nella sua vita,
quando l’inviato del signore veniva a registrare l’entità del raccolto.
“No, questa si ricava dalle piante.”
Meriart lo guardò incredulo, come se gli stesse raccontando una favola.
“Le piante hanno dentro questo?”
Lir’yel sollevò un sopracciglio.
“E tu come fai a sapere che viene dall’interno delle piante e non dalle
foglie o dalla corteccia?”
“Mi... sembrava il posto giusto.”
Il ragazzo biondo rise, di nuovo.
“In effetti è vero nella maggior parte dei casi: E sulla carta non si può
solo scrivere, guarda.”
Con sicurezza scelse una pagina e cambiò il punto di apertura; di nuovo
udì quell’ esclamazione tra l’estatico e lo stupito. L’intera pagina era
occupata dal disegno di un serpente bianco, arrotolato attorno ad un uovo
d’ambra sullo sfondo di una grotta.
“Tienilo un po’ con te, ti farà compagnia.”
Di fronte alla sua espressione Lir’yel sorrise.
“Può darsi che non li amerai, ma se imparerai a comprenderli i libri
potranno farti molta compagnia.” sorrise “Forse non sarai d’accordo, ma
per il tuo bene dovrai imparare a capire cosa significano questi segni.”
Meriart guardò con reverenza le decine di volumi che ricoprivano le
pareti.
“E sono tutti uguali?”
“No.”
Lir’yel afferrò un altro volume, più corposo. Meriart si sporse,
incuriosito. I segni erano più piccoli, completamente diversi dai
precedenti e le pagine erano circondate da un fregio rosso e oro.
“Ogni popolo ha la propria lingua e la propria scrittura, quindi parole
diverse per indicare le stesse cose, e allo stesso modo un gesto può
assumere un significato diverso a seconda del popolo che si considera.”
gli batté piano la mano sulla spalla “Ma ora siamo qui per altro.”
Meriart si irrigidì ma annuì obbediente e seguì la sua guida. Accanto al
tavolino circolare una pesante tenda di velluto blu nascondeva l’ingresso
ad un’altra stanza, più piccola, ma anch’essa con finestre enormi ed
aperte che ravvivavano i colori degli arazzi che ricoprivano le pareti.
Una lama di luce incredibilmente luminosa illuminava il muro a fianco
dell’entrata. D’istinto Meriart arretrò quando la intravide illuminare il
polline che danzava nell’aria. Lir’yel gli poggiò le mani sulle spalle.
“Hai mai visto uno specchio?”
“No…però… so che serve alle donne.”
Lir’yel scrollò le spalle.
“Oh, non solo a loro. Guarda, là dove si riflette la luce: quello è uno
specchio, non è fatto di bronzo ma di vetro steso su una lamina d’argento.
Riflette ciò che gli sta davanti in modo perfetto, ma è solo un oggetto,
non c’è magia in ciò che fa.” sotto le dita sentì irrigidirsi i muscoli
del suo protetto “Non c’è nulla di cui avere paura, fidati di me.”
Lo spinse verso la lastra di vetro, senza badare al suo sospiro di
rassegnazione. Di fronte al prezioso oggetto il suo protetto rimase con lo
sguardo basso, i denti affondati nel labbro inferiore, appoggiato contro
di lui nell’istintivo e vano tentativo di ritrarsi.
“Alza gli occhi. Ti prego.” gli sussurrò, con il mento poggiato sulle sua
spalla.
Di nuovo Meriart ubbidì. Ammutolì, senza credere davvero che fosse il suo
viso si toccò la guancia con la punta delle dita e rimase in silenzio,
immobile, incredulo. Aveva i capelli di sua madre, tinti degli stessi
riflessi rossi dalla luce del mattino, ma di lei non c’era quasi nessun
altra traccia sul suo viso. Aveva la pelle chiara, i lineamenti regolari,
nobili eppure ciò che lo lasciò davvero senza parole furono i suoi occhi
azzurri, dello stesso colore che un giorno aveva tinto le fiamme della
bottega del fabbro quando per gioco l’uomo vi aveva gettato della limatura
di rame.
“Sei bello Meriart, molto, accettalo e dimentica tutte quelle sciocchezze.
La gente semplice è disposta a credere che un demone sia una creatura
orrenda e deforme quando deve straziare un corpo, e bellissima quando deve
agguantare uno spirito umano…è gente che ha paura di ogni cosa che non
comprende, che deve trovare qualcuno su cui sfogare le paure che la
soffocano per evitare di affogare in esse. Tu eri troppo debole e
spaventato, ti hanno strappato dall’anima il poco che l'amore di tua madre
aveva saputo coltivarvi, adesso devi trovare e coltivare i semi che lei vi
ha lasciato.” gli strinse la vita con forza e gentilezza insieme,
tirandolo contro di sé “Come saprò farlo, fino a che ne avrò la
possibilità ti aiuterò, tutti noi lo faremo.”
Meriart strinse le dita su un suo braccio, mordendosi le labbra. Non
voleva piangere, detestava mostrare così ciò che provava ma le lacrime gli
sfuggirono dalle ciglia. Con un sospiro si abbandonò contro il suo
salvatore.
“Lo so…” sussurrò “Grazie.”
Lir’yel sospirò profondamente e poggiò la testa sulle braccia lo sguardo
perso nella fiamma della lampada. Gli piaceva perdersi nell’eterno e
diseguale movimento di quella luce calda. Chiuse gli occhi, sospirando di
nuovo, abbattuto. Sobbalzò leggermente quando mani forti e familiari gli
carezzarono le spalle.
“Perché non bussi mai?” si lamentò.
“Sei tu che non mi hai sentito.”
Lir’yel si voltò verso di lui, poggiando l’avambraccio sullo schienale.
“Ho fatto una sciocchezza, Reçiel…”
“Hm?”
“Mi sono dimenticato di come Meriart percepisce se stesso, di tutto quello
che gli hanno inculcato e l’ho trattato con troppa leggerezza.”
“Oh, non mi sembra che ne sia stato troppo turbato.”
Il ragazzo alzò la testa di scatto, guardandolo con un certo sospetto.
“C’è un magnifico gufo sulla balaustra del balcone.”
“Non voglio spiarlo.”
“Infatti l’ho fatto io, non tu.”
Lir’yel aprì la bocca per ribattere, poi imbronciò le labbra
apparentemente rassegnato, bruciando al contempo di curiosità, senza però
volerlo dare a vedere al suo tutore.
Reçiel rise, con le braccia incrociate sul petto. Amava quell’ aspetto del
suo carattere, rimasto inalterato anche con il passare degli anni.
“Allora? Lo vuoi sapere?”
Il ragazzo biondo fece una piccola smorfia.
“Non prendermi in giro, non sono più un bambino.”
“Beh, visto che sono così * antico *, ai miei occhi lo sarai sempre.”
L’altro arrossì un poco, ma sorrise dolcemente. Reçiel si sedette a gambe
incrociate, l’abito allargato in pieghe morbide sul tappeto.
“Il tuo protetto se ne sta da ore seduto compostamente al tavolo,
sfogliando con reverenza il suo primo libro. Ogni tanto si prende il viso
tra le mani e sorride, dondolandosi un poco, come se stesse cullandosi.
Credo che tu gli abbia fatto un grande dono oggi, quindi lascia che mi
chieda in che modo barbaro tu possa averlo trattato.”
Il ragazzo rimase seduto al suo posto, un sorriso di sollievo, anche se
mesto, sulle labbra.
“Ho dimenticato il mondo esterno e ho scherzato come un incosciente...come
se lui abitasse qui da quanto lo faccio io.”
“Perché non ti spieghi e basta?”
Lir’yel arrossì imbarazzato.
“Vagamente ricorda qualcosa del suo periodo di incoscienza, temo che i
suoi momenti di lucidità siano stati più frequenti di quanto avessi
immaginato...si ricorda di quando lo costringevo a bere e io senza
pensarci gli ho detto che baciarlo non era stato un sacrificio…”
Reçiel inarcò un sopracciglio, perplesso poi scosse la testa, forzando le
labbra perché non si piegassero all’insù.
“Ryel…” lo apostrofò.
“Lo so!”
“Cosa è successo poi?”
Il ragazzo si morse il labbro inferiore.
“Ha avuto una crisi di panico, era letteralmente terrorizzato…non aveva
mai voluto vedere il suo viso, era convinto di essere un mostro…ed era
disgustato dall’idea che io avessi dovuto toccarlo in modo tanto intimo.”
sospirò “In mezzo a tutta quella confusione e paura ha pensato a me…non è
giusto, né saggio, ma non credo che riuscirò mai a perdonare la gente con
cui ha vissuto; è un miracolo che un’anima così preziosa e fragile non si
sia spezzata sotto i loro colpi.”
L'altro sorrise.
“Non sei così bravo a portare rancore. Non saresti ciò che sei
altrimenti.”
Il ragazzo piegò all’insù un angolo della bocca.
“Però l’ho trascinato di fronte a uno specchio e l’ho costretto a guardare
quello che ha sempre rifiutato.”
Il suo tutore lasciò che uno stupore genuino plasmasse il suo viso e poi
sorrise, gentile e comprensivo.
“Meriart ha bisogno di lasciare dietro di sé il suo passato, il prima
possibile…può essere spaventato da quello che gli offri, ma non è così
sciocco da non sapere che tutto ciò che fai è per il suo bene. Di fronte a
una verità nuova e paurosa come scoprire il suo viso non è fuggito, né si
è nascosto dietro il suo potere, ma si è abbandonato a te in piena fiducia
e anche se è intimorito cerca di lasciarsi guidare dal suo istinto
piuttosto che dalla paura. Non lo sa, ma è dotato di un autocontrollo
superbo, altrimenti ora quel villaggio conterebbe i lutti del suo fuoco.”
Lir’yel aggrottò le sopraciglia.
“Come sarebbe? Meriart ha ucciso delle persone quella volta.”
Reçiel scosse piano la testa.
“Ora che è possibile ho chiesto ad un messaggero di allungare il suo
viaggio di qualche giorno, il potere del tuo protetto ha permeato troppo
la terra perché potessimo avere informazioni corrette. Il capovillaggio ha
raccontato di un demone che terrorizzava il bestiame e faceva marcire i
raccolti e che loro hanno ucciso; ha chiamato i ragazzi più giovani per
mostrargli che non mentiva…sono arrivati tutti sulle proprie gambe,
qualcuno zoppo, altri con il viso sfigurato dal fuoco, il più grave ha
perso una mano, ma tutti erano sopravvissuti grazie ad una non ben
definita divinità tutelare che aveva scacciato da loro le fiamme
salvandoli e impedendo la distruzione dei granai.”
Lir’yel rabbrividì leggermente.
“E’ riuscito a ritirare il fuoco e a contenere i danni su degli esseri
viventi?”
“A quanto pare.” sospirò piano “ Gli alberi della foresta hanno sentito
ritrarsi le fiamme dalle sue mani quando si appoggiava ai tronchi e lo
hanno sentito disperarsi per loro. Il suo sangue lo lega al fuoco, eppure
è legato allo stesso modo alla terra; nonostante lo sconvolgimento
profondo che ha causato i campi sono fertili, sembra perfino che lo siano
di più, come se le piante si nutrissero della traccia del suo potere.”
scosse la testa “Non capisco davvero che razza di creatura possa essere.”
Il ragazzo biondo scosse la testa.
“Non lo so.” confessò “ E Shashta non sembra per niente disposto a
rispondere alle mie domande.”
Reçiel parve sinceramente sorpreso, quindi scrollò le spalle.
“Allora sapremo quando sarà il momento giusto, non abbiamo più alcuna
fretta.”
Lir’yel annuì, sospirando appena.
“Mi sembri molto scosso, Ryel…spesso ho l’impressione che tu riveda te
stesso in lui.”
Il ragazzo lo guardò incredulo.
“Io non ho vissuto niente di paragonabile! Sono stato amato e..”
“E sei stato disprezzato, utilizzato come un oggetto e abbandonato a un
destino che non potevi comprendere, non è così diverso; sai benissimo cosa
prova e hai paura che non riesca più a reggere la tensione.”
“Sì, in parte è vero.” appoggiò il mento sul braccio “Ma forse è perché
non riesco a trovare ancora pace per me stesso.”
Reçiel sospirò piano e si alzò in piedi.
“Ora voglio che tu vada a dormire.”disse risoluto “Quando sarai un po’ più
tranquillo parleremo di tutto ciò che vuoi.”
“Va bene.”
Il suo tutore aggrottò le sopracciglia, poco convinto dal tono della sua
voce. Conosceva quell’inflessione e ogni volta che l’aveva colta il suo
protetto aveva attraversato periodi oscuri e tristi. Fece un passo avanti
e gli poggiò la mano sulla testa, carezzandogli i capelli.
“Stanotte resto con te, hm?”
Lir’yel gli sorrise, riconoscente e mesto.
“Mi dispiace di essere rimasto così debole.”.
“Non lo sei mai stato. I dubbi sono cosa umana, nessuno ti condannerebbe
per questo, non tormentarti inutilmente. “ sorrise “O almeno non farlo in
mia presenza.”
Lir’yel ridacchiò.
“Ci proverò.”
L'altro si chinò a baciargli al fronte e il suo protetto gli circondò le
spalle con le braccia. Pochi minuti dopo Lir’yel era di nuovo abbracciato
a lui, con il viso poggiato sul suo petto ampio, addormentato. Reçiel gli
passò la mano sui capelli con affetto, più volte. Sospirò piano. Aveva
sempre saputo che il ragazzo sarebbe ripiombato nei suoi dubbi nel momento
in cui non avrebbe dovuto pensare ogni momento a Meriart, solo sperava che
non accadesse così presto. La luna venne oscurata all’improvviso da una
figura alata che occupò quasi tutta la larghezza della finestra. Rimase
immobile, silenziosa, osservandoli con circospezione. Reçiel gli sorrise,
la mano appoggiata sulle spalle del ragazzo. Un attimo dopo la luna
illuminava di nuovo la stanza con la sua luce argentea e gli arazzi
oscillavano lievi nella brezza notturna.
Finito anche questo^^ un po’ più lungo degli altri, il che ha quasi del
miracoloso^^.
(1) Kianim: qualcosa del tipo “Accidenti” o “Diamine”^^
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