Disclaimers: i personaggi sono di mia esclusiva proprietà, quindi mi riservo il diritto di trattarli male quanto voglio^^
 

 


Le feu dans l'ame

parte IV

di Korin



Meriart si stiracchiò come un gatto tra le lenzuola di lino. Aprì gli occhi, sbirciando la luna attraverso le sottili tende che ornavano la finestra, poi sbadigliando si alzò a sedere e si appoggiò alla testiera del letto. Affidandosi alla luce della delicata lampada di vetro accanto al letto tese una mano per afferrare una mela. Quando la addentò emise un mugugno compiaciuto, sorridendo. Forse era merito del terreno, o dell’acqua, o del modo in cui venivano conservate ma non ne aveva mai assaggiate di così dolci. Poggiò il torsolo sul piattino accanto al vassoio e chiuse gli occhi godendosi il tepore delle coperte sulle gambe e il silenzio della notte. Cominciava ad essere incuriosito da Filevrynn e da chi lo abitava, ma anche dopo quasi due settimane, non aveva ancora avuto il coraggio di allargare la cerchia delle sue conoscenze.
“Aahhh…mio tesoro bisognerà proprio decidersi.” mormorò.
Gli capitava spesso di parlare a se stesso, chiamandosi con l’appellativo che gli rivolgeva sua madre; aveva cominciato a farlo subito dopo la sua morte quando non aveva avuto più nessuno con cui conversare. Si era chiesto spesso perché non lo avevano ucciso quel giorno, insieme a lei, e ancora oggi non aveva trovato una risposta. Il padrone lo aveva afferrato per le braccia, mostrandolo a sua madre e urlando parole che lui non era ancora in grado di capire eppure lei aveva fatto uno strano sorriso, minaccioso nonostante il cappio che le stringeva già il collo. Meriart scosse la testa per scacciare quei ricordi e si strinse nelle braccia rabbrividendo. Aveva rivissuto quelle scene migliaia di volte nei suoi incubi, e il tempo non era ancora riuscito a lenire l’angoscia e la disperazione di quei momenti. Si avvolse nella vestaglia e a piedi scalzi uscì sul balcone. L’aria era ancora fresca ma era profumata dai fiori e da essenze di cui non conosceva l’origine. Appoggiò i gomiti sulla balaustra. Il vento portava il rumore della foresta che frusciava dolcemente attraversata dalla brezza notturna e questo lo fece sorridere. Da quella stanza non riusciva a vedere quasi nulla del palazzo, escludendo le volte a crociera che riparavano il terrazzo e le ampie volute scolpite che sporgevano ai lati delle altre due finestre, e il vento non cambiava quasi mai direzione, impedendogli di udire i suoni della vita che si svolgeva nei giardini che aveva intravisto dal corridoio. Viveva eremita nel cuore di una comunità vivacissima e non aveva ancora trovato il modo di ringraziare Lir’yel per quel privilegio. Poggiò il mento sul palmo di una mano e sorridendo disegnò nell’aria l’invocazione che gli aveva insegnato sua madre. Da che aveva saputo cos’era e a cosa serviva aveva cominciato a provare un misterioso sollievo nel tracciarla; se davvero era come un messaggero ci sarebbe stato qualcun altro a riceverlo, forse perfino qualcuno a cui importava di lui. Si scoprì ad avere gli occhi umidi. Lir’yel gli aveva parlato così a lungo degli abitanti di quel luogo, dell’affetto che provavano per lui indipendentemente da tutto, che il rigido autocontrollo che aveva imposto ai suoi sentimenti vacillava sempre più spesso: bastava un nonnulla perché scoppiasse a ridere o a piangere. Il suo unico confidente accoglieva quegli sfoghi con un ampio sorriso, poggiandogli solo una mano sulla spalla e assicurandogli che andava tutto per il meglio, che era normale e che non aveva nulla di cui vergognarsi. Si coprì gli occhi con le mani.
“Sei davvero stupido.” sussurrò.

*****

“Povero piccolo.”
Lir’yel alzò gli occhi, cercando di individuare nel buio il proprietario di quella voce conosciuta. Due braccia forti gli strinsero d’un tratto la vita strappandogli un’esclamazione sorpresa.
“Sei troppo lento.”
Il ragazzo biondo si appoggiò al petto del suo interlocutore, stringendo le mani sulle sue.
“Questo lo sappiamo da sempre, mi pare.” ribatté.
“Oh, non si può mai essere certi di niente.”
Lir’yel rise piano poi si mosse tra le braccia dell’altro e si voltò per abbracciarlo.
“Bentornato, solanir Reçiel.”sussurrò. (2)
Entrambi alzarono di nuovo gli occhi sulla finestra illuminata e sul ragazzo appoggiato alla balaustra.
“Mi preoccupa.” confessò Lir’yel, a bassa voce “Comincia ad interessarsi a Filevrynn ma è terrorizzato dalla possibilità che il suo potere possa sfuggirgli di mano…le mie rassicurazioni non servono a nulla.”
“Da quanto si è svegliato?”
“Quattordici giorni…” sospirò “ A me sembra un’eternità…”
Reçiel si sedette sull’erba, tirandolo a sedere accanto a sé.
“E’ un’eternità perché sono mesi che ti preoccupi per lui.”
“Fino a che era incosciente non me ne ha mai dato motivo…adesso invece mi chiedo a cosa pensi davvero quando rimane ore seduto sul davanzale della finestra a guardare le montagne. Gli hanno ripetuto così spesso di essere un mostro che alla fine se ne è convinto; e anche se dovessi parlargli degli altri sono sicuro che troverebbe un motivo per giustificarli a discapito di se stesso.”
Il nuovo arrivato scrollò le spalle.
“Se non fosse così, adesso il suo villaggio e tutti i suoi abitanti non esisterebbero più…ha scatenato una forza tale che sarebbe stata sufficiente a radere al suolo una città e invece ha bruciato solo poche case e liquefatto un po’ di terra e…cos…”
Si sporse in avanti, socchiudendo gli occhi. Meriart, il viso poggiato su una mano, stava tracciando un’invocazione nell’aria e alla luce fioca della luna la sua espressione nel farlo appariva dolcemente triste. Appena la mano del ragazzo terminò di danzare nell’aria Reçiel si concesse un lungo respiro.
“Quando gliel’ho visto fare la prima volta mi sono spaventato a morte.” confessò Lir’yel.
“Invece?”
“Invece è un incantesimo di reggenza modificato. Ogni volta che lo traccia Meriart invia un messaggio dall’altra parte indicando precisamente dove si trova e con chi.”
“E lui lo sa?”
“Non...propriamente.”
Lir’yel si morse il labbro inferiore, esitando per qualche istante.
“Gli è stato insegnato dalla madre, quindi per adesso è poco più di uno strascico della sua infanzia. Gli ho detto a cosa serve perché cominci a rendersi conto delle forze che operano attorno a lui…mi è sembrato contento di questo, ma non so come farò a raccontargli il resto.”
“Quando glielo racconterai sarà pronto per ascoltarlo, non preoccuparti prima del tempo.”
Il ragazzo biondo sospirò profondamente.
“Non sono tanto saggio…” sorrise ”e non credo che avrò mai così tanto tempo per diventarlo.”
Reçiel aggrottò le sopracciglia e gli gettò un’occhiata tagliente.
“Stai dicendo che sono vecchio?”
Lir’yel rise piano.
“Più che vecchio, direi antico.”
L’altro sgranò gli occhi, teatralmente stupito.
“Che fine ha fatto l’adorabile, educato e timido marmocchio che passava le giornate sulle mie ginocchia?” chiese tragicomico.
Il ragazzo scrollò le spalle, ancora ridendo piano.
“E’ solo diventato più alto.”
Reçiel gli circondò le spalle con un braccio e lo tirò contro di sé, stringendolo forte. Conosceva quel tono di voce così controllato da riuscire a nascondere ogni sentimento negativo. Lir’yel sentì le lacrime pungergli gli occhi e si morse il labbro inferiore per contenerle.
“Mi dispiace assillarti….” mormorò “Te la senti ancora di ascoltare le mie lamentele?”
La voce gli era tremata in gola, rischiando di spezzarsi ma poteva non curarsene. L’altro lo strinse forte, cullandolo lentamente.
“Per te ci sarò sempre.”
Ad un tratto il silenzio della notte fu interrotto da un pianto acutissimo. Lir’yel si mise a ridere, stringendosi ancora di più all’altro e nascondendogli il viso contro il petto.
“La figlia di Idryen ha una gran voce.” commentò “Sono due notti che strilla a quel modo. Pensavo che fosse come me, invece si dispera e protesta perché la tengono lontana dal suo gemello…ha un bel carattere, è molto promettente.”
“Per ora promette solo di svegliare tutta l’ala del palazzo.” disse divertito Reçiel, carezzando i capelli dell’altro “Guarda, l’ha sentita anche il tuo protetto.”
Il ragazzo infatti si stava guardando intorno, sporgendosi curioso.
“Vediamo se sarà abbastanza temerario.”
“Hm?”
“Uno come lui non riesce a rimanere indifferente al pianto di un bambino, finché non saprà perché urla a questo modo non si sentirà tranquillo.” ridacchiò “ Insomma sentila, sembra che la stiano scuoiando.”
La risata leggera di Lir’yel si spezzò improvvisamente in un singhiozzo. Strinse tra le dita la stoffa dell’abito da viaggio dell’altro.
“Scusami.” mormorò “Mi sento così stupido…”
Reçiel sorrise, sospirando appena.
“Non importa.” gli batté piano una mano sulla spalla “Guarda, il tuo ospite sembra aver preso molto coraggio. Sa chi abita qui?”
“Non come dovrebbe, temo.” confessò il ragazzo con un certo imbarazzo “Forse non sono la persona più indicata per avere cura di lui, non riesco a parlargli come dovrei; quando vedo che comincia ad agitarsi e non vuole ascoltarmi ma si trattiene dal dirmelo perché non vuole contrariarmi non ce la faccio a continuare.”
“Allora alcune cose dovrà scoprirle da solo, volente o nolente; cominciando da stanotte.”
La voce di Reçiel si era fatta più risoluta che dura, ma non lasciava spazio a proteste. Lir’yel si accoccolò contro di lui, stringendosi le braccia al petto come un bambino rannicchiato tra le braccia della madre. Era preoccupato per Meriart, per quello che avrebbe visto se avesse deciso di uscire dallo spazio protetto che era la sua stanza. La mano forte del suo confidente scese a carezzargli la schiena per rassicurarlo. Chiuse gli occhi. Reçiel sapeva vedere molto lontano e non si era mai sbagliato fino ad allora, eppure nonostante questo non riusciva a sentirsi del tutto tranquillo.

*****

Meriart aggrottò le sopracciglia, sorpreso. Il vento aveva cambiato direzione; a volte accadeva, così un giorno le voci acute e vivaci di bambini erano giunte fino a lì, insieme al rumore di fontane e strumenti musicali. Quando percorreva il corridoio insieme a Lir’yel i giardini che intravedevano tra le tende erano sempre silenziosi, come se gli abitanti non volessero mostrarsi per non costringerlo ad accettare la loro presenza. Si morse il labbro inferiore, rabbrividendo. Un pianto tanto forte lo aveva udito solo poche volte, e avrebbe voluto dimenticarle tutte. Si girò di tre quarti, verso la porta. Avrebbe dato l’anima perché smettesse, non riusciva a sopportarlo. Mosse una passo in direzione della porta, le dita intrecciate tra loro con forza. Non aveva alcun diritto di andare a ficcare il naso in affari che non lo riguardavano…non andava fatto…era pericoloso, era sbagliato. Si strinse nelle braccia, arretrando, scosso da un tremito lieve. Il pianto si fece più acuto, era impossibile che altri non lo udissero…e se altri lo udivano, significava che avrebbe potuto incontrare altra gente che non voleva vedere. Si coprì il viso con i pugni, serrando gli occhi con forza. Quel suono stridulo non accennava a calmarsi, avrebbe finito con il perdere la ragione sopraffatto da ricordi che non voleva rivivere. Avanzò fino alla porta e poggiò la mano con decisione sulla maniglia. Strinse le dita, ma si fermò ancora. In quel luogo abitavano creature non umane, lo sapeva, più di una volta Lir’yel aveva provato a parlargliene ma poi aveva taciuto quando lo aveva visto agitarsi per il disagio.
“Stupido!” ringhiò contro se stesso..
Se avesse ascoltato forse sarebbe stato tutto più facile, non poteva passare il resto dei suoi giorni chiusi in quella stanza. Trasse un respiro profondo, cercando di calmarsi. Chi abitava Filevrynn non poteva essere malvagio, né pericoloso…e noi siamo al sicuro da te poiché qui non c’è nulla e nessuno che possa farti del male. Appoggiò la fronte sul legno, stringendosi nelle braccia. Lir’yel lo ripeteva in continuazione, ogni volta nella speranza di convincerlo. Raddrizzò la schiena. Con un altro respiro profondo spinse la porta e uscì nel corridoio illuminato fiocamente da candele racchiuse in lampade di vetro lavorato. La luce della luna si rifletteva sul pavimento levigato, conferendogli una strana sfumatura argentata e tranquillizzante. Il pianto proveniva dal basso, forse da un terrazzo. Sbirciò con circospezione, nascosto dietro le tende. Intravide solo un’ampia balaustra ornata da vasi di fiori cadenti. Arretrò e si appoggiò alla parete di pietra, cercando di non lasciarsi turbare dal suono stridulo che turbava la notte. D’un tratto udì la voce di un uomo; calda e infinitamente paziente anche se stanca. Il pianto si affievolì solo un poco, per poi riprendere con forza, quasi indispettito. L’uomo cominciò allora a cantare, una nenia lenta e dolce: una ninna nanna. Meriart sbatté le palpebre, sorpreso. Non aveva mai udito un uomo cantare per un bambino. Con circospezione tornò ad affacciarsi. Sotto la luce della luna vide una creatura, umana in apparenza, ma che certamente non lo era. D’un tratto si accorse di avere trattenuto il fiato più del dovuto. Era un essere bellissimo, sembrava fatto della stessa luce dell’astro che illuminava il cielo. L’uomo stava passeggiando lentamente, cantando e cullando un involto azzurro. Finalmente il pianto si fece più flebile, anche se non cessò. Meriart si scoprì a sorridere. Si era preoccupato per nulla fortunatamente. Strinse le dita sulla stoffa leggera dei tendaggi, osservando con attenzione quella strana creatura. Indossava un abito simile a quello che portava abitualmente anche Lir’yel, e aveva i capelli bianchi, lucidi come la seta che indossava; la pelle non era da meno, sembrava una statua di marmo che avesse all’improvviso preso vita. Il bambino ricominciò a strillare, scuotendolo dalla sua contemplazione. Udì un sospiro profondo, stanco.
“Ahhhhh….K’ylan mi shian-li.” pregò la creatura “M’ion lei ya.” (3)
Dall’involto sbucò un braccio minuscolo e la manina agguantò una ciocca di capelli, tirando con una certa forza. L’uomo rise piano.
“Derin’ya…oonea Derin’ya hm? Sha ne lou-nà.” (4)
Meriart trattenne una risatina. I bambini rimangono bambini da tutte le parti e i genitori anche; sua madre glielo aveva ripetuto molte volte, e ora prendeva atto che aveva perfettamente ragione. Vedere una creatura di tale bellezza e nobiltà alle prese con un rampollo indisciplinato e dispettoso ai suoi occhi metteva tutto sotto una luce diversa, abbassava Filevrynn e i suoi abitanti ad un livello di cui lui forse sarebbe riuscito a sentirsi parte. Sentì gli occhi inumidirsi, il cuore sciogliersi per una insolita commozione. Sorridendo arretrò di un passo e diede le spalle alle finestre per rientrare nella sua stanza. Sorrise, con gli occhi lucidi. Lir’yel era in piedi accanto alla soglia, con l’imperturbabile dolcezza a ingentilirgli il viso. Tese le braccia e Meriart accettò quell’invito senza nemmeno pensarci. Strinse forte il suo salvatore, incurante delle lacrime che gli scendevano lente sulle guance. Lir’yel gli carezzò la nuca, un po’ sorpreso dall’intensità di quell’abbraccio: il suo protetto non amava essere toccato, perfino quando era incosciente cercava di ritrarsi appena qualcuno gli si avvicinava. Rise piano, con dolcezza.
“Di nuovo benvenuto, solan.” sussurrò.

*****

E finalmente compaiono un paio degli strani abitanti di Filevrynn^^. Non saranno comparse veloci, avrete modo di conoscerli molto bene^^. Se volete spoiler, più che volentieri^^.
Nella migliore tradizione: le notine!^^
(1) Pronuncia: Axen (accento sulla “a” e pausa dopo la “n”) hai (accento sulla “a” e “h” aspirata); cos’è mai
questa arcana parola?^^; E’ il nome del popolo della misteriosa creatura intravista da Meriart.
(2) questa potevo anche evitarla, comunque la “ç” di Reçiel ha la stesso suono del francese “François”
(3)Pronuncia: “Ahhhhh..Kilàn mi sciàn li…miòn lei ià?”
Traduzione: “Ahhhhh…K’ylan da brava. (…) Basta fare così.“
(4) Pronuncia: “Dèrin’yà…oonea Dèrin’ya hm? Shà ne lu-nà.”
Traduzione: “Dèrin’yà…vuoi Dèrin’yà hm? E’ ancora presto lo sai.”
La traduzione è più o meno questa^^;; mi stanno venendo troppe velleità tolkeniane^^;;