Serie: Tokyo Babylon – X/1999

Parte: 1/5 come sempre seguo gli atti Shakespeariani ^-^

Pairings: esplicito per ora solo YutoXKanoe, poi c’è un accenno di SeishiroXSubaru e di KakyouXSubaru (e non fate quelle facce che alla fine va tutto a posto :p)

Raiting: R ma c’è anche una scena etero

Disclaimers: la storia è evidentemente un riadattamento de La dodicesima notte’ di W.Shakespeare con i personaggi di Tokyo Babylon – X/1999 del gruppo CLAMP.

Note: oltre ai personaggi della commedia ne ho aggiunti altri per poter usare quasi tutti quelli usati dalle CLAMP. Ho cercato di rimanere più fedele possibile ai caratteri della commedia e ai personaggi del quartetto di mangaka. Ovviamente, non ci sono riuscita come avrei dovuto.

Dedica: questa fic l’ho scritta per il compleanno della mia cognatina kohai Pam-chan, in quanto adora X e La dodicesima notte (un grazie e un bacione alla mia sori Sakuya per essere stata mia complice nello scoprirlo ^*^). Avrei voluto venisse meglio, purtroppo questo è stato il massimo. Ben misera consolazione, me ne rendo conto^^;;;;

 

 

 

 

LA X  NOTTE

 

ATTO I

 

di Yurika

 

In una lontana terra straniera vivevano due giovani d’identica età e identico aspetto, ma di sesso opposto. Essi erano nati a pochi minuti di distanza sotto la stessa stella che proteggeva da secoli immemorabili la fastosa casata dei Sumeragi. La gioia seguita alla loro nascita era durata ben poco. Purtroppo, la loro povera madre, già cagionevole di salute, non era sopravvissuta al dolore di quel doppio parto ed era morta poche ore dopo che loro erano venuti al mondo. Il loro buon padre, provato da quella perdita, non si diede pace fino al giorno della sua dipartita, avvenuta alcuni anni dopo quella della moglie.

I ragazzi crebbero con l’amorevole nonna, che li allevò facendo in modo che mantenessero sempre bene a mente quale compito spettasse loro nel mondo come ultimi rampolli del loro casato.

Subaru, il maschio, era un giovane schivo, sempre preoccupato per il benessere del suo prossimo mettendo spesso in secondo piano quelli che erano i suoi bisogni. Hokuto, la femmina, era una fanciulla vivace e spensierata, anche lei di buon cuore, ma molto più pragmatica e materialista del fratello. L’unica persona che ella reputava davvero degna della sua totale devozione era il gemello.

Per il resto, i due erano indistinguibili. Entrambi non erano molto alti di statura, portavano i capelli neri in un corto caschetto, avevano figure flessuose e slanciate e grandi occhi verdi. Solo ad un osservatore molto attento non sarebbe sfuggita la luce dolce e pura che traspariva dallo sguardo di Subaru che si trasformava in una più maliziosa e intuitiva nella sorella.

Al compimento dei loro ventun’anni, la nonna impose di mettersi per mare, perché ormai era giunto il momento della fatidica prova che doveva essere superata da ogni membro della famiglia Sumeragi. Essi dovevano mettersi in viaggio ed affidarsi alla loro stella protettrice, aspettando che fosse questa ad indicar loro la strada che avrebbero dovuto seguire per il resto della vita.

I due giovani non si potevano di certo rifiutare e così, in una bella mattina di sole, salparono incontro al loro destino.

Ma una storia non è una storia se non c’è nemmeno un colpo di scena e un’avventura non è un’avventura se durante un viaggio per mare non c’è nemmeno un naufragio.

Del resto, si sa, il destino è dispettoso come un folletto e non gli piace essere trovato con facilità.

Fu così che un giorno si scatenò una tremenda tempesta che investì in pieno il vascello su cui navigavano i due Sumeragi e, in poco tempo, nella chiglia si aprì un profondo squarcio facendo colare a picco l’imbarcazione. L’equipaggio, in preda al panico, decretò ilsi salvi chi può’ e lasciò che ognuno se la sbrigasse come poteva.

Hokuto stava ancora vagliando il da farsi quando, con orrore, vide il fratello essere trascinato via da una spaventosa ondata e inabissarsi nei gorghi schiumanti del mare.

Non rifletté neppure un istante e si gettò subito in suo soccorso. Per disperati momenti credette di averlo perso per sempre, ma, quando la sua mano riuscì ad afferrare la veste colorata di Subaru, il suo cuore sussultò di gioia. Con fatica riuscì a riportarlo in superficie cercando di tenerlo fuori dai flutti, mentre lei ingoiava sempre più acqua nel tentativo di sostenere quel corpo privo di coscienza. Poco distante, una scialuppa con a bordo il capitano le urlava di avvicinarsi in modo da poterli mettere in salvo.

Hokuto lottò come una disperata contro la corrente impetuosa che cercava di trascinarla via, ma non voleva darsi per vinta. Non con Subaru ancora in pericolo.

Infine, la ragazza riuscì ad accostarsi al natante tanto da poter passare il suo amato gemello alle mani di coloro che potevano salvarlo, ma, proprio mentre il capitano si allungava per afferrare anche lei, una nuova ondata la scaraventò lontana.

È qui che comincia la nostra storia.

 

“Potè il fatal destino

Scinder con asprezza

Ciò che mai avrebbe dovuto

Essere diviso...”

Il trovatore stava ripetendo per l’ennesima volta la ballata dei due gemelli separati dal naufragio. Stranamente quel racconto piaceva molto al loro signore e se lo faceva narrare in continuazione. Del resto, in quel periodo il potente padrone di quelle terre soffriva di grandi malumori e qualunque cosa gli fosse gradita era la benvenuta. Anche se ormai nessuno ne poteva più di quella stupida ballata!

Seiichiro Aoki si guardò intorno trattenendo uno sbadiglio. Il suo signore, il grande Seishiro Sakurazuka, sedeva sul suo scranno preferito con aria corrucciata. L’occhio di un inquietante castano rossiccio era fisso sul vino speziato contenuto nella coppa che reggeva in mano. L’altro occhio, cieco, il risultato di una vecchia ferita di guerra, era più inquietante che mai e fece venire un brivido involontario a Seiichiro. I corti capelli neri gli ombreggiavano la fronte corrugata e la bocca era piegata in una smorfia di disgusto, come se avesse appena dovuto ingoiare del cibo raffermo. A quanto pareva, neppure lui riusciva ad entusiasmarsi allo spettacolo, questa volta.

Il giovane fratello del signore, Fuuma, stava semi-sdraiato sulla sua poltrona, reggendosi il mento con una mano. I capelli neri gli solleticavano la nuca fin quasi alla base del collo. Gli occhi dorati erano incupiti da una noia mortale, ma, a brevi momenti, un movimento del cugino seduto a poca distanza li faceva brillare di una luce intensa che subito si spegneva.

Questo parente del suo signore, Kamui Shirou, era un fanciullo dall’espressione sempre imbronciata. Sarebbe stato di una bellezza incomparabile, con quella pelle diafana e i capelli dai riflessi bluetti che gli nascondevano, in parte, il viso fine e nobile. La bocca morbida e piena, dalla forma perfetta, sembrava il frutto di un magistrale lavoro di pennello d’un maestro ceramista su una bambola di porcellana. Ma i suoi occhi dal particolare colore viola erano capaci di trapassare una persona da parte a parte e parlavano di una solitudine talmente radicata in profondità da non poter più essere debellata.

Seiichiro sospirò sollevato quando finalmente il racconto ebbe termine.

Il giovane cantastorie s’inchinò davanti al suo signore e si congedò senza nemmeno essere degnato di uno sguardo.

Aoki si avvicinò a Seishiro richiamandone l’attenzione.

“Non hai una bella cera” constatò sorridendogli e guardandolo con dolcezza dietro le lenti degli occhiali che portava costantemente sul naso.

“Sono angustiato e infastidito, come potrei avere un bel aspetto?” rispose l’altro con una smorfia di disappunto.

Seiichiro sospirò nuovamente.

Il grande Sakurazukamori, padrone incontrastato di tutte le terre tra il Vasto Mare e le Alte Montagne, ultimamente non era più lo stesso. All’inizio sembrava che il suo fosse un malessere lieve e passeggero, ma poi la sua apatia era andata via via aumentando e nessuna cosa sembrava più essergli gradita. Si occupava ancora dei suoi affari con maestria e polso fermo, ma non c’era più luce nell’occhio sanguigno che, solitamente, era così espressivo. Questo dispiaceva moltissimo all’uomo dai dolci occhi castani e dal sorriso gentile, non solo perché era uno dei suoi consiglieri, ma specialmente perché era uno dei suoi migliori amici.

E cos’è che ti deprime così tanto?” domandò pur conoscendo perfettamente la risposta che gli sarebbe stata data.

“Chiedimi piuttosto cos’è che potrebbe divertirmi! Sapevo che questo giorno prima o poi sarebbe giunto, ma non credevo fosse così presto! Sono ancora nel fiore dei miei anni, eppure... eppure...

Seishiro si coprì gli occhi con una mano.

“Andiamo, non fare così! Non è la fine del mondo!” gli disse l’amico cercando di risollevarlo.

“Non lo sarà per te che tanto non hai mai concluso molto nella vita, ma per me, il più grande defloratore di fanciulli di tutti i tempi, questa è semplicemente una tragedia!”

L’affascinante tiranno fece calare un pugno sul bracciolo del suo scranno.

“Calmati, ti prego! In fondo, di chi è la colpa se non sono rimasti più vergini nelle tue terre? Ormai li hai convertiti tutti ai piaceri sensuali!” fece Seiichiro alzando le mani davanti a sé in un gesto conciliante.

“Invece sai benissimo anche tu che uno è rimasto!” mormorò l’altro mentre un sorriso predatore gli si stendeva sulle labbra e l’occhio cieco mandava scintille, come se avesse avuto vita propria.

“Se è per questo ne sono rimasti due allora...”

Gli sguardi dei due amici si posarono in contemporanea sul giovane Kamui. La sua bellezza era innegabile, ma lo erano altrettanto il suo carattere scorbutico e il suo atteggiamento impossibile. Non permetteva a nessuno di avvicinarglisi e chi osava sfiorarlo, anche solo per sbaglio, faceva una brutta fine. Solo una settimana prima aveva rotto due costole ad una servitrice che, aiutandolo a togliere il soprabito, gli aveva inavvertitamente sfiorato il collo. Anche adesso stava guardando con aria minacciosa e scintille violette che saettavano dagli occhi la cameriera che gli stava riempiendo una coppa. Appena la poveretta provò a passargliela, il ragazzo emise un basso ringhio e la servetta preferì poggiare la coppa con molta lentezza su un tavolinetto lì vicino scappando subito via.

“No, lui fa parte di una categoria a parte, non è assolutamente da prendere in considerazione” disse il Sakurazukamori distogliendo da lui la sua attenzione.

“Per una volta sono d’accordo con te...” ridacchiò il consigliere con fare incerto.

“L’unico che sia veramente rimasto è il nobile Kakyou Kuduki” disse Seishiro serrando la mascella.

“Ormai hai già provato tutte le tue tecniche con lui, ma ancora non ha ceduto. Perché non lasci perdere?” gli chiese Seiichiro.

Il potente signore si alzò guardando il suo braccio destro e sovrastandolo con la possanza che emanava da ogni fibra del suo corpo.

“Per chi mi hai preso? Credi davvero che io possa darmi per sconfitto? Ancora quel piccolo impertinente non ha capito con chi è che ha a che fare” disse con un sorriso che spaventava più di qualunque espressione minacciosa.

Seiichiro rabbrividì sotto la fissità di quello sguardo che era pura determinazione. Il Sakurazukamori mosse un passo nella sua direzione e l’uomo seppe di essere spacciato.

Per sua fortuna, proprio in quel momento entrò l’altro amico e consigliere del loro signore, il Lord Nataku, che si diresse a grandi passi verso di loro.

“Nataku! Porti notizie dalla casa dei Kuduki? Allora, quali nuove?” domandò Seishiro, già dimentico dello scontro che stava avvenendo tra lui e Aoki.

Il nuovo arrivato fece un cenno ossequioso col capo e i corti capelli argentati danzarono sulla sua fronte segnata, nel centro, dal tatuaggio che costituiva il segno distintivo della sua famiglia ormai da secoli: un fiore lilla stilizzato a tre petali. Gli occhi di uno strano color grigio-viola si posarono inespressivi sui due.

“Sì mio signore, sono stato lì fino ad ora. Il cordoglio è ancora molto vivo in quella casa, troppo recente è la perdita del bocciolo dei Kuduki, la bella Kotori. Il nobile Kakyou ne piange la scomparsa giorno e notte e stamane ha preso una decisione: consacrerà la sua verginità alla memoria della giovane sorella e per lei indosserà vesti a lutto non mostrando il suo viso per sette anni”.

Seiichiro, lentamente e silenziosamente, si portò a qualche passo di distanza. In meno di un secondo ogni domestica della casa era sparita. Fuuma balzò in piedi e afferrò il cugino portandolo di peso con sé. Kamui, da parte sua, stranamente non protestò e lasciò che l’altro lo trascinasse via.

“COME HA OSATOOOOOOOOOOOOOOOO????????????????????

Una tempesta si abbatté nella stanza! Un vortice di fiori di ciliegio si scatenò distruggendo e facendo volare tutto ciò che incontrava sulla sua strada. I vetri delle finestre sbatterono con tanta violenza da finire in frantumi, sedie e tavolini venivano scaraventati contro le pareti, senza contare i cocci dei soprammobili distrutti che fendevano l’aria con la stessa pericolosità di dardi incandescenti.

Seiichiro cercò di ripararsi in qualche modo in attesa che la furia del suo signore si placasse almeno un poco.

Il trambusto durò in tutto circa cinque minuti, poi tutto si placò e nella stanza rimasero solo le vestigia di quelli che erano stati eleganti mobili e sobrie suppellettili. Ovunque regnava uno spesso strato di fiori rosa.

Nataku era rimasto per tutto il tempo immobile e indifferente di fronte al suo signore. Si limitò a tossire sputacchiando alcuni petali che gli erano finiti in bocca e continuò a non muoversi in attesa di ordini.

“Seiichiro, dimmi. Chi sono io?” domandò l’uomo apparentemente tranquillo e riappacificato.

“Il venerabile Sakurazukamori, signore di genti e padrone di regni. L’uomo più potente delle Terre dell’Est, l’Immenso e Potente” disse Aoki uscendo a fatica dal cumulo di macerie sotto il quale era rimasto imprigionato.

E dimmi Nataku, cosa farò?” chiese di nuovo l’uomo.

“Otterrai tutto ciò che desideri a costo di calpestare chiunque ti si pari di fronte” rispose l’interpellato con la stessa vivacità che si è soliti usare nel leggere una ricetta di cucina.

“Bene. E come ne uscirò da questa storia?” domandò rivolgendosi, questa volta, ad entrambi.

“Da vincitore!” risposero i due senza alcuna esitazione.

“Esattamente” disse Seishiro con lentezza, mentre un sorriso gli si allargava sul volto perfetto.

Il bagliore negli occhi di Sakurazuka era tornato.

 

Il mare si era di nuovo placato. La tempesta era durata per giorni, facendo perdere la speranza che sarebbe mai passata. Eppure, in una mattina fredda, il sole aveva di nuovo fatto capolino da dietro le nuvole e la distesa d’acqua si muoveva placidamente lambendo con dolci carezze la riva desolata.

Una figura solitaria sedeva da giorni sugli scogli con lo sguardo perso verso l’orizzonte. Il vento aveva schiaffeggiato la sua esile figura canzonando il suo dolore, ma essa non si era mai allontanata dalla sua posizione. La notte, quando infine si addormentava, arrivava un uomo che la prendeva delicatamente tra le braccia e la portava in una baracca poco lontana. Tuttavia, quando l’uomo si svegliava il giorno dopo, la figura era di nuovo al suo posto, come se non vi si fosse mai allontanata.

“Venerabile Sumeragi, siete di nuovo qui?”

La figura interpellata non rispose, rimase a contemplare l’orizzonte lasciando che la frangia nera gli sferzasse impietosamente la fronte.

L’uomo sospirò e si sedette lì vicino. Si passò una mano tra i corti capelli castani incupendo gli occhi fermi e schietti.

Cominciava a disperare. Erano giorni che ormai Sumeragi non dava segni di ripresa. Il dolore lo stava schiacciando trascinandolo con sé in un luogo dove lui non poteva arrivare.

“Non credo avrebbe voluto vedervi in questo stato... sussurrò più a sé stesso che all’altro.

Quella frase riuscì a richiamare l’attenzione della persona che gli stava accanto che posò gli occhi su di lui, gioielli smeraldini incastonati in una montatura di tristezza.

La reazione inaspettata fu un’iniezione di fiducia per il capitano Daisuke Saiki che si sentì spronato a proseguire.

“Vi avrebbe sgridato e vi avrebbe detto quanto preferiva vedervi sorridere piuttosto che dover assistere a quel muso lungo. Avrebbe fatto qualunque cosa per un vostro sorriso” terminò con voce che tradiva una nota melanconica.

“Voi l’avete vista capitano, vero? Avete potuto vedere mia sorella Hokuto fino all’ultimo” mormorò Subaru con parole che si dispersero nel vento.

“Sì, l’ho vista. Ho visto con quanto coraggio si è tuffata per venire in vostro aiuto e con quanta forza vi ha strappato all’abbraccio mortale delle onde. Ma la corrente è stata più rapida di me e più cocciuta di lei, così mi è sfuggita proprio mentre sfioravo la sua mano protesa. Vivrò eternamente con questo rimorso” disse Saiki stringendo una mano sul petto all’altezza del cuore.

Subaru gli si fece più vicino e prese quella mano fra le sue, costringendola, con amorevole decisione, a stendersi.

“Avete fatto il possibile, capitano. Di questo avrete la mia eterna riconoscenza, per quanto questa possa valere”.

Si sforzò di sorridere per rincuorare l’uomo cui doveva la vita.

Parlatemi ancora di lei, ve ne prego. Anche se capisco sia assurdo, il mio cuore freme in un’impossibile speranza” aggiunse dopo qualche istante di silenzio.

“Dopo che la dolce Hokuto sfuggì alla mia presa, fu portata lontana dalla nostra imbarcazione. Credetti che per lei non ci fosse più speranza, tuttavia...

Daisuke si corrucciò ricordando l’episodio cui la sua coscienza non poteva credere.

“Tuttavia...? Oh, vi prego capitano! Mi state facendo morire dall’ansia!” lo incalzò Subaru stringendo la mano che non aveva ancora lasciato andare.

L’uomo di mare tornò a sorridergli per rassicurarlo.

“No, non è nulla. Decisamente dovevo aver bevuto troppa acqua salmastra e questo mi ha provocato una strana allucinazione”.

“Di cosa state parlando, per l’amor del cielo? Se riguarda mia sorella voglio saperlo!”

“E’ davvero una cosa sciocca... solo che, mentre cercavamo di rimanere a galla lottando contro i gorghi insidiosi, ho visto vostra sorella... la venerabile Hokuto... che... sì, insomma... sembrava lottare... sembrava combattere contro uno squalo cercando di salirgli sul dorso!” terminò tutto d’un fiato Daisuke.

Il capitano pensò che il giovane nobile lo avrebbe preso a pugni dopo ciò che aveva osato dire sulla sua delicata sorella appena scomparsa, ma questo non avvenne. Con timore sbirciò in direzione dell’altro notando che lo stava fissando con espressione remota, tenendo l’armoniosa bocca sottile serrata in una linea, troppo dura per la sua leggiadra figura. All’improvviso sembrò riscuotersi e, per la prima volta da quando erano sbarcati lì, si alzò dagli scogli e si avviò verso la battigia. Il capitano era così sorpreso che ci mise un po’ a realizzare cos’era appena avvenuto e a seguirlo.

“Non ho mai visto questi luoghi, voi sapete dove ci troviamo?” domandò Subaru appena fu raggiunto dall’altro.

L’ufficiale della marina ebbe quasi l’impressione che il ragazzo cercasse di cambiare volutamente argomento, ma capiva che questo non poteva essere.

“Ehm... sì, signore. Questa è la mia patria natia”.

“Davvero?” gli chiese Subaru interessato “E che posto è?”

“Questa è la terra consacrata al grande Sakurazukamori” disse con deferenza l’uomo.

Subaru spalancò gli occhi che presero a scintillare di un verde smagliante.

“Ho sentito parlare molto di lui! Nella mia famiglia viene quasi considerato una specie di diavolo incarnato!”

“In realtà non è proprio così!” lo difese subito Daisuke “E’ un signore molto potente e saggio, la sua forza basterebbe a schiacciare questi luoghi e le sue genti in un solo soffio, ma non ha mai fatto nulla che potesse nuocere contro i propri sudditi. Si ammanta di un fascino crudele che spinge chiunque ad avere soggezione di lui, la sua bellezza spietata incute un timore reverenziale in chi gli si para di fronte, costringendolo a cedergli il passo nonostante la propria volontà contraria. Non vi è chi gli sia pari in nessun angolo della terra!”

Subaru era pensieroso, la sua espressione tradiva un rapimento dovuto a quella descrizione tanto appassionata.

“Da come dite, parrebbe che quest’uomo fosse degno del massimo rispetto. Eppure mia nonna mi ha sempre messo in guardia da Seishiro Sakurazuka”.

“Eh, beh... questo probabilmente è per via della sua piccola... mania... mormorò il capitano imbarazzato.

“Mania?” domandò Subaru puntando su di lui i suoi grandi occhi espressivi.

Daisuke sospirò.

E ora come spiegava ad un essere tanto ingenuo e innocente la perversità che si celava all’ombra del suo signore?

Dunque... da dove iniziare? Il nostro signore è un grande sovrano, capace di governare con fermezza e giustizia... solo che... quando si spoglia delle vesti del suo incarico... torna ad essere solo un uomo, con le proprie debolezze come tutti. Il problema è che le piccole debolezze che può avere la gente comune, in un uomo particolare tendono ad accrescersi, tanto da aver bisogno di essere in qualche modo... contenute...”

Subaru non stava capendo gran che di quel discorso e si limitava ad osservare Daisuke con aria assente.

Il giovane capitano sospirò rassegnato.

E va bene, vi parlerò chiaramente. La passione del Sommo Sakurazukamori sono i fanciulli, vergini e, preferibilmente, molto ingenui. Quando ne trova uno non lo lascia più andare finché non è riuscito a farlo soggiacere alle sue voglie. Oh, non crediate che gli usi violenza o lo costringa in qualche modo! Semplicemente gli fa una corte pressante, facendo innamorare il povero malcapitato di lui, lusingandolo con belle parole e modi raffinati, e quando, alla fine, l’altro cede e si presta a diventare il suo amante, lo tiene con sé non più di una notte per poi sbarazzarsene in fretta, come se non sopportasse più nemmeno la sua vista. Questo ha creato non pochi problemi nella corte, tanto che i consiglieri sono stati costretti ad emanare un decreto che sanciva che le cariche all’interno della corte potessero essere affidate solamente a ragazze, in modo da non dover cambiare continuamente personale per ordine del capriccio del nostro signore”.

Sumeragi appariva oltremodo perplesso.

“Non capisco... le ragazze non gli interessano?” domandò dopo averci riflettuto un po’ sopra.

“Assolutamente no!” esclamò inorridito Saiki “Anzi, sembra proprio provare una sorta di repulsione verso di loro. Non che le maltratti o simili, ma tende a non voler farsi avvicinare troppo da loro. Ne stima alcune per i loro servigi, ma la cosa finisce lì. A memoria d’uomo, mai nessuna donna è entrata nel letto di Seishiro Sakurazuka!”

Subaru guardò qualche secondo verso il mare con espressione triste, poi il suo volto delicato mostrò una determinazione quasi feroce.

“Ho deciso. Entrerò al servizio del Sakurazukamori”.

Che state dicendo, venerabile Sumeragi? Non potete farlo!” esclamò il capitano preoccupato.

“Non posso fare altrimenti, invece. Mi è proibito ritornare alla mia casa fino al termine della prova. Qualunque cosa accada, non potrò contare sull’aiuto della mia famiglia. L’unico posto in cui possa stare è questo, per il momento”.

“Non è possibile! Ci dev’essere un’altra soluzione! Se il Sakurazukamori venisse a sapere che siete un Sumeragi, maschio per di più, voi sareste... sareste...

“Non saprà né l’una né l’altra cosa” tagliò corto Subaru.

Andò vicino a Daisuke e lo guardò dritto negli occhi, facendogli capire che, con o senza il suo appoggio, avrebbe portato a termine il suo intento.

Ma ho bisogno del tuo aiuto per questo” sussurrò con voce dolce.

Che cosa avete intenzione di fare?” domandò il capitano allarmato.

“Dal naufragio si è salvata una cassa di vestiti che appartenevano a mia sorella. Mi vestirò come faceva lei e mi presenterò alla corte di questo paese, chiedendo di poter essere ammesso al servizio del sovrano”.

Daisuke scosse la testa.

“Non ci sarà nemmeno bisogno che vi presentiate, appena metterete piede nella capitale verrete sicuramente arruolato da qualche guardia. Le fanciulle da noi non abbondano e, soprattutto, sono restie a lavorare al posto degli uomini, per questo ormai è diventato obbligatorio per qualunque ragazza si trovi sulle nostre terre prestare servizio nel nome dei Sakurazuka”.

“Ancora meglio, almeno non faranno storie. Però tu devi promettermi che non rivelerai il mio segreto”.

Daisuke sospirò rassegnato.

“Farò anche di più. Mio zio è uno dei membri del consiglio del Sakurazukamori. Non posso permettere che vi mettano a svolgere qualche lavoro umile, quindi vi scriverò una lettera di raccomandazione in modo che vi sia assegnato un posto di riguardo”.

Subaru strinse le mani del capitano Saiki sorridendogli con riconoscenza.

Il primo vero sorriso che gli vedeva da molti giorni, pensò con una fitta di rammarico il giovane ufficiale. E ora stava per andarsene e non avrebbe più potuto rivederlo.

 

La donna stava distesa sul divano, appoggiata a morbidi cuscini di velluto porpora. I suoi lunghissimi capelli neri, mossi come un lago increspato dal vento, le si spargevano attorno, creando un sensuale contrasto con il rosso cupo dell’arredamento e il bianco latteo della sua pelle.

Emise un lungo sospiro e portò le dita sottili decorate da lunghi artigli scarlatti alle tempie per massaggiarsele. Faceva troppo caldo lì dentro, si sentiva scoppiare la testa!

Le gambe slanciate si mossero nervosamente alla ricerca di un po’ di negato refrigerio. Lo spostamento fece scivolare la stoffa leggera della veste di lato, scoprendo le cosce sensuali e la curva del fianco.

“Qui l’aria è soffocante!” sbuffò per l’ennesima volta.

“Ah eccovi! Credevo ve ne foste andata, non vi si trovava da nessuna parte”.

La donna voltò pigramente la testa e una smorfia infastidita le incurvò le labbra rosse come ciliege mature.

Sulla porta era comparsa una giovane, anche lei dai lunghi capelli neri, ma che le ricadevano dritti e fini sul viso come una cascata di notte liquida. Il volto, dai lineamenti delicati, sembrava perfetto come quello di una dea. Gli occhi allungati erano di un grigio intransigente che facevano immediatamente comprendere la forza interiore di cui quella ragazza era dotata.

“Immagino quanto ti saresti rattristata se non mi aveste più trovata veramente” disse con tono ironico la donna mettendosi a sedere e lasciando che una spallina della sottoveste che indossava come unico capo di abbigliamento le ricadesse abbandonata sull’avambraccio, andando a scoprire una parte del seno prosperoso.

“Ammetto che non avrei pianto, ma il signorino ha già perso una persona a lui molto cara, non sopporterei di vederlo soffrire ancora”.

Ma come sei sensibile! Non me lo aspettavo da una che ha sempre una faccia tanto imbronciata”.

La donna le rivolse un sorrisetto obliquo e le puntò addosso gli occhi scuri.

‘Infidi come quelli di una gatta’ pensò la ragazza.

“Meglio essere imbronciata che troppo allegra come voi” disse poi ad alta voce.

In effetti l’allegria è un abito troppo prezioso perché possa donare a chiunque”.

A quanto pare è anche l’unico che vi degnate di indossare” ribatté la ragazza lanciando un’occhiata critica alla sottoveste della donna che le rivolse un gesto di stizza.

“Non è colpa mia se mio nipote ha voluto far sigillare questa casa come una tomba per sentirsi più vicino alla sorella scomparsa. Non una porta o una finestra può rimanere aperta e, per di più, ha fatto appendere questi tendoni scuri che celano la vista dell’interno da fuori. Fa un caldo insopportabile qui dentro!” sbottò.

“Il nobile Kakyou è ancora molto scosso per la morte di Kotori, dovreste avere più considerazione per il suo lutto. Sembra che l’accaduto non vi sfiori nemmeno, eppure anche Kotori era vostra nipote!”

“Sì, lo era. Ma ora non c’è più e nulla potrà far cambiare questo stato di cose, nemmeno la disperazione senza fine di Kakyou”.

La donna si alzò dando le spalle alla ragazza e si versò un abbondante bicchiere di liquore scuro.

“Bevete già a quest’ora?” domandò la fanciulla.

“Arashi sei stata assunta come braccio destro di mio nipote e non come mia balia. Quindi vedi di farti i fatti tuoi!” esclamò la donna prima di bere un’abbondante sorsata.

“Non piace neanche a me starvi sempre attorno, che credete? Purtroppo, però, il nobile Kakyou è molto contrariato dal vostro comportamento disdicevole, per di più in una casa che è appena stata colpita dal peggiore dei lutti. Andate in giro acconciata come una cortigiana, bevendo e ridendo sguaiatamente. Per di più avete portato a vivere qui il vostro amante, spacciandolo come un pretendente per il casato dei Kuduki. Si può sapere cosa vi salta in testa, signora Kanoe? Sapete bene che vostro nipote non vuole sentir nemmeno parlare di una sua possibile unione con chicchessia!”

Arashi era molto arrabbiata e questo lo si poteva capire non tanto da un cambiamento del tono della voce o da un mutamento dell’espressione che, invero, erano rimasti identici a prima, quanto dalla piccola ruga verticale che le si era formata tra le sopracciglia.

“Non mettere di mezzo anche Yuto!” urlò Kanoe sbattendo il bicchiere su un tavolino marmoreo, rovesciandovi sopra parte del suo contenuto.

“Non sono io quella che lo sta mettendo in mezzo” ribatté Arashi tranquillamente.

Kanoe socchiuse gli occhi e incrociò le braccia sotto il seno, ritrovando la sua calma.

Hai ragione, sono io ad averlo portato qui, ma solo per il bene di mio nipote. Ora che ha perso la sorella si sentirà molto solo ed è ovvio che abbia bisogno di un compagno. Chi meglio di Yuto? Fa parte della potente famiglia dei Kigai ed una sua unione con i Kuduki sarebbe solo che auspicabile”.

“Oh, certo! La famiglia Kigai. I libri di storia sono pieni dei racconti del suo alto lignaggio, ma a quanto pare, invece, i suoi forzieri sono ormai quasi a secco...

Cosa vorresti insinuare?” sibilò Kanoe con sguardo minaccioso.

“Proprio niente, solo mi domandavo come mai voleste dare il vostro amante in matrimonio al nobile Kakyou, che possiede un vasto patrimonio, invece di sposarlo voi stessa, che godete di una rendita ben miserevole” rispose Arashi con indifferenza.

“Naturalmente lo faccio perché amo molto mio nipote e farei qualunque cosa per vederlo felice”.

“Certo, naturalmente...”

Le due donne rimasero in silenzio lasciando che fossero i loro sguardi arroventati a parlare in loro vece.

“Buongiorno a voi, splendide signore! Ma che atmosfera densa! Sembra che stia per scoppiare un temporale!”

Le contendenti si voltarono verso la nuova voce e si ritrovarono davanti all’oggetto principale della loro disputa.

Un bel ragazzo alto, dai capelli biondo cenere, portati in uno studiato scompiglio, rivolgeva loro un sorriso che gli illuminava di una nota divertita gli occhi castano chiari.

Appena Kanoe lo vide non poté impedirsi di rasserenarsi e di rivolgergli uno sguardo appassionato. Con poche falcate fu raggiunta dall’uomo che la prese tra le braccia e le diede un profondo bacio.

“Più che buongiorno dovreste augurare buonasera, ormai è pomeriggio inoltrato” constatò Arashi ignorando volutamente le smancerie dei due.

Kanoe emise un basso ringhio, quasi fosse pronta a saltarle alla gola, ma fu distratta dalla mano di Yuto che si andò a posare sopra il suo fianco.

“Avete ragione, signorina Kishu, ma stanotte abbiamo fatto tardi durante una veglia in memoria della povera Kotori e così oggi proprio non riuscivo a svegliarmi” disse il ragazzo con aria tranquilla.

“Una veglia per Kotori... un festino bacchico vorrete dire! Vi si sentiva fin nelle soffitte. Anche il nobile Kakyou ha avuto difficoltà a dormire con tutto il chiasso che facevate!” disse stizzosamente Arashi.

“Suvvia, non siate così arcigna o vi si rovinerà la pelle” le disse Yuto con un bel sorriso.

“La mia pelle trarrebbe più giovamento da un buon riposo, messere, se solo me lo concedeste”.

“Vi porgiamo le nostre più umili scuse e promettiamo di essere più discreti per il futuro” sentenziò Yuto con un inchino esagerato.

“Sarà meglio per voi, il vostro ospite non sarà paziente e comprensivo in eterno e se vi cacciasse da questa casa mi domando dove mai potreste rifugiarvi”.

“Confideremmo nella generosità di qualche bella e buona fanciulla par vostro” le disse lui avvicinandosi e prendendole una mano, con tutto l’intento di baciarla.

“Fareste meglio a confidare in un miracolo allora!” ribatté Arashi rimpadronendosi della sua mano prima che potesse essere contaminata da labbra tanto menzognere.

“Ah, non siete per niente carina! Così non troverete mai marito”.

E chi vi dice che ne stia cercando uno? Voi, piuttosto, dovreste prestar attenzione a chi cercate di conquistare per non ritrovarvi con un pugno di mosche invece di uno scrigno ricolmo di ricchezze”.

Così dicendo, Arashi se ne andò lasciandoli soli.

“Quella piccola vipera impertinente! Si fa grande solo perché mio nipote le presta più attenzione del dovuto. Non capisco perché debba considerarla così tanto! Non può permettersi di rivolgersi a te in quella maniera!” cominciò a sbraitare Kanoe non appena la ragazza non si trovò più nei paraggi.

“Non ti crucciare per me, questa è l’ultima volta che potrà trattarmi in quel modo” disse Yuto lasciandosi cadere pesantemente sul divano.

Cosa intendi dire?” gli domandò Kanoe allarmata da quelle parole.

“Domani lascerò questa casa”.

Cosa? Ma... perché?”

“Semplice, mia cara. Non ho più un soldo! Per di più tuo nipote non accenna neppure a volersi interessare a me. Per dirla tutta, non accenna a volersi interessare a nessuno. In queste condizioni non ci sono speranze che riesca a legarlo a me tanto da poter accedere alla sua fortuna. Mi spiace, ma non credo ci sia rimasto più molto da fare!”

Kanoe lo raggiunse sul divano afferrandolo per i capelli in modo da fargli inclinare la testa all’indietro e accostò il viso al suo.

“Non starai cercando di dirmi che mi lasci, vero?” gli chiese con uno sguardo che non prometteva nulla di buono.

Yuto rabbrividì inconsciamente sentendo il fiato di lei sfiorargli il collo.

“Sai che non vorrei, ma non so che altro mi rimanga da fare. Sono davvero a secco”.

“Non preoccuparti per questo” gli sorrise Kanoe mettendosi a cavalcioni su di lui sfilandosi la parte superiore della sottoveste e mettendo a nudo l’abbondante seno dai piccoli capezzoli scuri e turgidi.

“Lascia che a mio nipote ci pensi io” gli soffiò nell’orecchio stendendoglisi languidamente sopra.

Yuto l’afferrò per i fianchi facendola aderire maggiormente al suo corpo e si chinò a baciarle il petto proteso verso di lui.

“Tu scriverai a casa affinché ti mandino altro denaro” continuò Kanoe con voce sensuale.

“Non me ne daranno più” disse Yuto continuando a baciarla.

“Sì che te ne daranno, riuscirai a convincerli”.

La mano di Kanoe andò a stimolare la sua virilità già tesa sotto i pantaloni. A Yuto sfuggì un gemito.

“Vero?” gli sussurrò lei sulle labbra.

“S-sì”.

La mano di Kanoe slacciò i primi bottoni dei calzoni dell’uomo indugiando sull’ultimo.

E resterai qui, vero?”

La mano continuava a giocare con quell’ultimo, fastidiosissimo bottone.

Yuto si morse il labbro inferiore e artigliò i glutei della donna.

“Sì, resterò!” disse con tono colmo di frustrazione.

Il bottone fu prontamente slacciato e la mano ebbe infine via libera.

“Risposta esatta!” sorrise Kanoe.

 

“Sumire dove sei?”

Nataku entrò nelle cucine e finalmente trovò la persona che stava cercando.

Seduta al grande tavolo c’era una ragazza che stava consumando il suo pasto tranquillamente. La giovane pareva non averlo sentito, forse troppo concentrata sulla gustosa zuppa che la cuoca le aveva appena messo davanti. Gli occhi verdi esprimevano un’ingenua felicità e le guance delicate si erano velato di un tiepido rossore per via del cambio di temperatura dal freddo di fuori al calore del palazzo.

“Ehi, Sumire! Mi hai sentito?” le chiese di nuovo avvicinandosi e posandole una mano sulla spalla.

La ragazza sussultò e si voltò verso di lui con sguardo confuso.

“Come? Ah, siete voi Lord Nataku!” disse Sumire di nuovo presente con un dolce sorriso.

“Sei sempre distratta, ogni volta che ti chiamo mi devo sgolare per riuscire a richiamare la tua attenzione”.

Sumire arrossì e si mordicchiò le labbra nervosamente.

“Avete ragione, perdonatemi”.

Nataku scosse la testa.

“Non importa. Sei una brava ragazza e il nostro signore ti ha preso in grande simpatia. Sei qui da poco tempo, ma sembra quasi che non possa più fare a meno dei tuoi servigi”.

“Questo mi riempie il cuore di gioia!” esclamò Sumire con un sorriso tanto luminoso da far pensare a Nataku se fosse il caso di risponderle nella stessa maniera.

Alla fine prevalse la sua solita impassibilità e il suo viso non apportò modifiche di sorta.

“Immagino. Solo, cerca di stare attenta che il tuo cuore non si riempia di gioia tanto da scoppiare”.

“Come?” domandò la ragazza confusa.

Il nobiluomo si chinò su di lei per poterle parlare all’orecchio.

“Non innamorarti di lui o gli verrai a noia. Non ama le donne, specialmente quelle svenevoli che non fanno altro che fargli gli occhi dolci...

Sumire s’irrigidì.

“Certo, lo so bene. Lo amo... ma come mio signore. Non c’è altro” mormorò.

Nataku si raddrizzò e annuì.

“Meglio così. Comunque non sono venuto qui per parlarti di questo. Il Sakurazukamori ti cerca, ha bisogno del tuo servizio”.

“Oh, ma sì, certo! Vado subito da lui!”

La ragazza si tirò in piedi e si aggiustò la divisa. Si rimise in testa il berretto rigido nero e si riabbottonò la lunga giacca a doppio petto che gli arrivava sotto il sedere. Il resto del vestiario era formato da un paio di calzoncini corti, sempre neri, e un paio di stivali lunghi a metà coscia a tacchi alti e decorati con fibbie.

Quando Sumire tirò fuori qualcosa dalle tasche, Nataku non poté evitare di sgranare gli occhi sorpreso.

Quelli erano i guanti di riconoscimento!

“Sumire... dove li hai presi?”

“Mh? Questi? Me li ha dati ieri il nobile Sakurazuka. Ha detto che non c’è nessuno più degno di me di indossarli” rispose la ragazza raggiante mostrando le mani ricoperte dai guanti in pelle con sopra un pentacolo, il simbolo del Sakurazukamori.

“Tu... sai cosa sono?”

La ragazza guardò l’uomo sbattendo gli occhi grandi.

“Credo che servano perché ho sempre le mani fredde. Il nobile Sakurazuka me l’ha fatto notare e poi mi ha dato questi”.

“Seishiro ti ha preso per mano?!?

Decisamente la sua solita compostezza stava andando a farsi benedire.

“Oh, ma è stato solo un caso” disse lei arrossendo e abbassando lo sguardo.

“Gli era caduto un libro e abbiamo cercato di raccoglierlo entrambi, così...

“Va bene, basta così. Ora vai, sei attesa”.

“Vado subito!” esclamò Sumire avviandosi.

“Aspetta! Non hai ancora finito di pranzare”.

Sumire si voltò appena, sorridendo. Sprizzava entusiasmo da tutti i pori.

“Non importa! Mangerò più tardi con calma, non posso far aspettare il mio signore”.

Così dicendo corse via.

Nataku sospirò. Il mio signore’. Forse per quella ragazzina era già troppo tardi. Eppure, questa volta anche Seishiro si stava comportando stranamente. Toccare una donna tanto da constatare che aveva le mani fredde! E consegnarle i guanti di riconoscimento dopo soli tre mesi di servizio! Quella era la più alta distinzione che fosse concessa dal Sakurazukamori e solo raramente era elargita. Qualcosa non quadrava.

Nel frattempo la ragazza aveva raggiunto la sala delle udienze del palazzo e si era fatta introdurre.

Non appena l’aveva vista, Seishiro le era andato incontro.

“Sumire, finalmente! Dove sei stata fin’ora?”

Perdonatemi, mio signore, ero...”

“Non importa! Adesso vieni con me”.

Seishiro la condusse in un gabinetto attiguo dove la fece sedere accanto a sé su un divanetto.

“Ti devo parlare di una cosa importante Sumire” iniziò quindi.

“Sì mio signore” sussurrò lei di rimando.

L’uomo la stava fissando con aria grave. L’occhio rossastro puntava dritto su di lei, sembrava la stesse spogliando dei suoi vestiti e penetrando fin nel profondo dei suoi più oscuri pensieri. L’altro era, come sempre, vuoto, eppure era così vivo e pieno di una forza misteriosa da farle venire voglia di ansimare pesantemente. Rabbrividì impercettibilmente sotto quello sguardo. Sakurazuka se ne accorse e le sorrise con fare rassicurante.

“Ormai conoscerai anche tu qual’è il mio più grande desiderio in questi ultimi mesi”.

Sumire abbassò il capo con fare mesto.

“Il nobile Kakyou Kuduki” disse in un soffio.

“Esattamente. Ma egli continua a ritrarsi adducendo ridicole scuse. Non vuol sentir parlare né di me né dei miei regali. Ormai non permette più nemmeno alle mie servitrici di avvicinarlo”.

“Sì, l’ho saputo” annuì Sumire restando con la testa chinata.

“Questo è inammissibile. Che suddito è uno che non si sforza nemmeno un poco per compiacere il proprio sovrano?”

Sumire alzò lo sguardo e incrociò quello di Seishiro.

‘Quest’uomo è pericoloso’ fu il suo subitaneo pensiero, ma la ragione si ribellò all’istante. Come poteva ritenerlo pericoloso? Quello era l’uomo che aveva sempre una parola gentile per lei, che l’aveva accolta al suo servizio senza farle nessuna domanda, giudicandola solo per le sue azioni e non per il suo nome. Lo stesso uomo che proprio il giorno prima le aveva stretto la mano con la sua, grande e calda, e l’aveva tenuta a lungo mentre le parlava del suo prossimo incarico. Il suo cuore batteva ancora così forte solo al ricordo! Cosa poteva esserci di pericoloso in lui? Tuttavia, a volte i suoi occhi erano pervasi da un bagliore che bruciava più del fuoco dell’inferno e ti rovistavano fino a farti sentire un misero involucro vuoto, un’inutile marionetta dai fili spezzati.

“Non dici niente?” le domandò ad un tratto con voce bassa e suadente.

“Eh? A, m-mi spiace... io... non saprei... balbettò Sumire, presa alla sprovvista.

“Calmati”.

Le sorrise e le mise una mano sulla guancia arrossata, carezzandola lievemente con il pollice. Sumire rimase immobile trattenendo il respiro.

All’improvviso Seishiro sembrò rendersi conto di ciò che stava facendo e ritrasse la mano diventando serio.

“Questa volta voglio provare a mandare te” disse risoluto.

Cosa? Me? Ma non è possibile!” esclamò Sumire andando in agitazione.

“Perchè no?” chiese il potente sovrano con fare tranquillo.

“Io non sono assolutamente adatta per questo genere di cose! Che potrei mai provare che non sia già stato più volte tentato?”

“Sbagli a sottovalutarti. Il tuo aspetto ingenuo e fanciullesco ispira una subitanea fiducia e le tue parole sono come miele all’orecchio di un animo sensibile. Tu potresti riuscire a smuovere i sentimenti ormai appassiti di quel ragazzo”.

“Io non ne sono in grado! Perché invece non provate con un’altra strada?” domandò Sumire quasi disperata.

“Un’altra strada? E quale?” domandò Seishiro corrucciandosi.

“Ho sentito dire che il nobile Kakyou è un uomo onesto, dai profondi principi morali. Probabilmente non può accettare la vostra corte perché essa comporterebbe qualcosa che non può ammettere. Se invece voi vi proponeste non come un amante, bensì come un pretendente, beh allora... come potrebbe continuare a rifiutare un uomo come voi?” disse Sumire accalorandosi mano a mano che il discorso procedeva.

“Mi stai suggerendo di ingannarlo prospettandogli una possibile unione futura, tanto per farlo cedere?” domandò l’uomo perplesso.

“Assolutamente no! Io parlavo di una proposta seria!”

Seishiro la guardò completamente spiazzato. Dopo qualche istante scoppiò in una fragorosa risata che gli tolse il fiato rischiando di farlo morire soffocato.

“Per un attimo ho creduto tu parlassi sul serio” disse ancora preda delle convulsioni.

Ma io STAVO parlando sul serio!”

L’uomo sorrise guardandola quasi con commiserazione.

“Sentiamo, perché dovrei fare una cosa tanto stupida?”

“Come? Perché la ritenete una cosa stupida?” chiese la ragazza addolorata.

E tu perché non la ritieni tale?”

“Io penso... che potersi unire in un vincolo inscindibile con la persona che si ama sia la cosa più bella che possa capitare ad una persona” rispose lei sentendosi maledettamente stupida sotto quello sguardo.

Seishiro rise di nuovo, anche se con meno foga.

“E’ proprio qui che ti sbagli! Io non amo per niente Kakyou!”

Gli occhi sul viso di Sumire si dilatarono all’impossibile.

“Voi... non l’amate? Ma allora... la vostra ossessione per lui...

“Ti dirò di più, di lui non mi frega proprio niente! In questa faccenda l’unico sentimento che è interessato è l’orgoglio. Kakyou è l’unico che abbia osato rifiutarmi e ora dovrà soccombere alla sua impertinenza” disse il sovrano continuando a sorridere gentilmente.

“Questo però... non è giusto...” mormorò la sua sottoposta.

“No? E perché? Se, o meglio, quando lui cederà lo farà solo perché così avrà deciso, ben sapendo qual’è la mia posizione in proposito. In tal modo non è una violenza, ma una volontà comune di darsi reciproco piacere”.

“S-sì... però...”

Seishiro le prese il volto fra le mani costringendola a inclinare la testa all’indietro e a fissarlo negli occhi mentre incombeva su di lei.

“Mi farai questo servigio?” le domandò avvicinandosi a lei tanto da sfiorarle l’orecchio con le labbra mentre parlava.

“Userai queste bella bocca per aiutare il tuo signore?” le chiese sfiorandola con il pollice.

“Userai parole così dolci e brucianti da sciogliere il ghiaccio del suo cuore?” continuò sfiorandole il naso con il proprio.

“Lo farò” sussurrò Sumire col respiro mozzo.

Rimasero immobili a fissarsi, bloccati in quell’istante d’eternità. Entrambi temevano quello che sarebbe potuto accadere, entrambi erano consapevoli delle sensazioni contrastanti che in quel momento li facevano cercare e respingere allo stesso tempo.

All’improvviso l’incantesimo si ruppe, lasciandoli solo con un mare di ‘forse’ e di ‘se’. Dalla stanza attigua era pervenuto un rumore, un qualcosa che sbatteva. Probabilmente era la cameriera che stava pulendo. Questo fu sufficiente a far tornare in sé il sovrano che si alzò immediatamente dal divano e si diresse verso la porta.

“Molto bene. Vai subito, dunque. Io ho molte faccende da sbrigare”.

Così dicendo sparì, rapido e silenzioso.

La ragazza era rimasta sul divano, immobile e con lo sguardo vuoto perso nel nulla. E una gran voglia di piangere.

L’amava. Lui, Subaru Sumeragi, si era innamorato del Sakurazukamori, lo stesso da cui sua nonna lo aveva messo in guardia tante volte.

Già, perché lui non era la dolce e bella Sumire come tutti lì credevano. Quello faceva parte del suo travestimento. All’inizio non gli pesava molto ingannare gli altri, in fondo lo faceva perché costretto da circostanze di forza maggiore. Ma via via che permaneva in quel palazzo, via via che il signore di quelle terre ricercava sempre più insistentemente la sua compagnia chiedendogli di raccontargli storie, di svolgere per lui alcuni lavoretti, di lodarlo per le sue maniere impeccabili e l’intelligenza pronta, il peso delle sue menzogne si faceva sentire sempre più pesante.

Si era innamorato di lui, fuor di dubbio. E non glielo poteva dire. Perché lo credeva una donna e lui odiava le donne – in quel senso, almeno.

Certo, avrebbe potuto confessargli di essere un ragazzo, ma poi? Avrebbe forse ottenuto l’accesso al suo letto e, presto o tardi, sarebbe stato allontanato esattamente com’era successo a tutti gli altri. Perché lui era incapace d’amare. Gliel’aveva detto tante volte. Gliel’avevano ripetuto tutti tante volte, ma ancora non riusciva a rassegnarsi. Com’era possibile che un uomo fosse totalmente incapace di provare amore? Non poteva, non voleva crederci!

Eppure gliel’aveva fatto capire anche pochi minuti prima. Persino il nobile Kakyou, l’uomo che riempiva i sogni notturni e diurni del suo signore, non era altro che una preda ambita da aggiungere ai suoi trofei di lussuria.

Adesso gli veniva anche chiesto di essere suo complice e favorirlo nell’avere un altro uomo! Ma cos’altro avrebbe potuto fare, se non accettare? Si era rivolto a lui, anzi, a Sumire, perché si fidava di lei, aveva fiducia in lei. E Sumire era un’ottima sottoposta e avrebbe accontentato in tutto e per tutto il suo signore. E che il cuore di Subaru venisse ancora una volta messo a tacere, ricoperto da strati di indifferenza! Tanto, il cuore di Subaru non serviva, forse non sarebbe mai più servito, perché era fuori discussione che Sumire lasciasse il suo posto accanto al Sakurazukamori ed era ancora più fuori discussione che Subaru rivelasse la sua presenza. Dunque, il cuore di Subaru veniva condannato a morte, ancora una volta.

Subaru si trascinava pesantemente per i corridoi silenziosi del palazzo. Doveva prepararsi per andare a trovare il nobile Kakyou in nome del suo signore.

Una fitta al petto lo costrinse a chiudere gli occhi dandogli un senso di vertigine.

Più indugiava e più avrebbe sofferto. Era tempo di andare!

Si gettò sulla porta aprendola di scatto e... spalancò la bocca certo di stare urlando, ma nessun suono usciva dalla sua gola.

Aveva sbagliato stanza. Ma non era tanto quello ad impressionarlo, quanto il fatto che, attaccato alla parete, ci fosse Kamui. E non era da solo! Fuuma lo teneva quasi appeso per i polsi con una sola mano, schiacciandolo con il suo corpo. La sua bocca sembrava volerlo divorare in un bacio violento e senza scampo.

Subaru chiuse gli occhi respirando profondamente un paio di volte.

“SIGNORINO FUUMA CHE CAVOLO STA FACENDO????

Fuuma sussultò allentando la presa su Kamui per la sorpresa. Una forza misteriosa lo scaraventò dall’altra parte della stanza e, appena si fu ripreso, si trovò a fissare un paio di occhi verdi, brucianti d’indignazione.

E tu chi diamine sei?” domandò furibondo per quell’inopportuna interruzione.

“Sono Sub... mire e lavoro per vostro fratello. Si può sapere cosa vi è saltato in testa? Aggredire vostro cugino in quella maniera! Cosa ne direbbe vostro fratello se lo sapesse?”

Fuuma strinse le labbra, ferito nella sua dignità. Purtroppo aveva sentito parlare di quella Sumire e sapeva che suo fratello le dava molto credito. Se lei gli avesse raccontato quello che stava facendo sarebbero stati guai!

“Tu non glielo dirai” le disse col suo migliore tono minaccioso.

“Ci vuole scommettere?” ribatté lei per nulla intimorita.

Dannazione! Non che a Seishiro dispiacessero i suoi atteggiamenti passionali, ma l’aveva messo più volte in guardia di stare lontano dal cugino. Era pur sempre un loro parente e non avrebbe ammesso comportamenti sconsiderati contro un membro della loro famiglia. In più, la zia Toru era davvero una rompiscatole e se avesse saputo che era successo qualcosa al suo bambino avrebbe messo a ferro e fuoco il palazzo!

Fuuma si limitò a fare una smorfia maledicendo tra sé e sé quella pettegola guastafeste.

Sumire afferrò una mano di Kamui e lo trascinò fuori da quella stanza. Il giovane era talmente frastornato e assente da non accorgersi nemmeno di essere appena stato toccato da un’estranea. Quando furono di fronte alla camera di Subaru i due si fermarono.

“State bene signorino Kamui?” gli chiese con sguardo apprensivo.

Kamui sbattè un po’ di volte gli occhi violetti senza rispondere e si limitò ad annuire titubante.

“Meno male!” sospirò Subaru rasserenato.

Comunque per stanotte sarà meglio che dormiate nella mia stanza, così potrò proteggervi”.

Kamui assunse un’espressione da cucciolo in trappola e cominciò a divincolarsi furiosamente dalla stretta di Subaru.

“Insomma, preferite che il signorino Fuuma faccia ancora di quelle cose?” disse il giovane dagli occhi verdi cercando di contrastare quel demone scatenato.

“Fuuma....?” mormorò di nuovo con lo sguardo perso Kamui tranquillizzandosi all’istante.

Subaru ne approfittò e lo spinse nella sua stanza rinchiudendolo a chiave.

Ma insomma! Cosa avevano quei due fratelli? Erano costantemente in calore? Comunque non avrebbe permesso che un ragazzino dall’animo già sufficientemente ferito come Kamui finisse preda delle voglie di Fuuma! In quei giorni lo aveva incontrato spesso e qualche volta avevano anche parlato. Kamui era sempre diffidente, ma pian piano sembrava volersi aprire nei suoi confronti. Aveva anche cominciato a raccontargli della situazione a casa sua e del motivo per il quale si trovava ospite dei cugini.

Subaru trovava quel ragazzo dolce e onesto, in qualche modo gli ricordava sé stesso, seppur con le debite differenze. Per questo decise che lo avrebbe protetto a qualunque costo!

 

Arashi era impegnata ad aggiornare i libri contabili della famiglia Kuduki. Era suo compito gestire il patrimonio di quella casa in base alle direttive del giovane proprietario. In genere quello era un lavoro che non le dispiaceva, ma da un po’ di tempo a quella parte c’erano molte cose ad impensierirla.

La ragazza sospirò puntando gli occhi grigi sulle colonnine nelle quali venivano registrate le entrate e le uscite.

Così non andava! Da quando la signora Kanoe e il suo ‘amico’ si erano piazzati nella proprietà del nipote le spese si erano quasi raddoppiate! Bisognava mettere un freno a quello sperpero o le finanze di famiglia avrebbero cominciato a risentirne.

All’improvviso, un’ombra si delineò sulla scrivania oscurando la luce che proveniva dalla finestra alle sue spalle.

“Sempre super impegnata, non è vero Miss?” mormorò una voce bassa e ridente, ma che faceva anche trasparire tanta dolcezza.

Arashi si chiese perché il suo cuore avesse cominciato a battere tanto irregolarmente. Fu attraversata quasi da un dolore fisico e strinse le mani. Quando si voltò verso la figura appoggiata all’infisso della portafinestra che dava sullo spazioso terrazzo, non un accenno al turbamento interno che aveva appena provato trapelava. Il suo viso era impassibile, solo la durezza un po’ più accentuata degli occhi faceva intuire il suo disappunto.

Il ragazzo non si fece scoraggiare da questo e le rivolse un abbagliante sorriso.

“Ammettilo Miss! Hai sentito la mia mancanza!”

“In realtà paventavo il momento in cui questa pace sarebbe finita”.

Il ragazzo rise e si avvicinò ad Arashi appoggiando i gomiti sulla scrivania e sporgendosi verso di lei.

E dai! Almeno per una volta potresti darmi una piccola soddisfazione e darmi il bentornato, no?” le disse cercando di assumere un’espressione da cucciolo bastonato.

Arashi lo guardò attentamente. Era un po’ dimagrito dall’ultima volta che si erano visti, non per questo appariva meno alto o meno prestante. Aveva le spalle larghe e il petto ampio. Le braccia erano ancora forti, poteva intravedere i muscoli appena tesi sotto la sottile stoffa della camicia bianca. I capelli scuri erano molto corti sulla nuca e culminavano in un ciuffo più lungo e spettinato sulla sommità del capo. Le sopracciglia folte e nere tendevano ad allungarsi in mezzo agli occhi senza, però, incontrarsi. Subito sotto, un paio d’occhi nocciola la guardavano con aria scherzosa, ma era evidente la dolcezza che lasciavano trasparire, così come era evidente che era rivolta solo a lei.

La ragazza sentì una piccola fitta allo stomaco e abbassò lo sguardo concentrandolo sul suo lavoro.

“Dove sei stato per tutto questo tempo?” domandò a bassa voce.

Il giovane s’illuminò di gioia e afferrò le mani di Arashi guardandola adorante.

“Allora ti sei preoccupata per me!”

Arashi, con aria impassibile, gli tirò un pestone costringendolo a saltellare per la stanza tenendosi in mano il piede offeso e a ululare come un cane ferito.

“Nemmeno per sogno, Sorata! Ma sei sparito per più di due mesi senza avvertire nessuno della tua scomparsa e il nobile Kakyou è infastidito dalla tua scortesia! Ricordati che sei al suo servizio e che non puoi comportarti come vuoi, senza rendere conto a nessuno”.

“So benissimo di essere a suo servizio, difatti sono qui per ricevere il mio stipendio” disse Sorata massaggiandosi il piede.

“Lo stipendio per cosa? Non hai svolto nemmeno uno dei tuoi compiti, te ne sei andato a zonzo chissà dove a compiere chissà quali misfatti e pretendi anche di essere pagato per questo?” replicò Arashi fulminandolo con lo sguardo.

Sorata, con un balzo, si mise a sedere a gambe incrociate sulla scrivania facendo cadere in terra alcuni fogli e la penna che erano lì sopra. Arashi gli lanciò un’altra occhiataccia.

“Oh, ma recupererò il tempo perduto! Dammi due giorni e vedrai che svolgerò il lavoro che non ho compiuto in questo periodo!” disse il ragazzo battendosi un pugno sul petto e sfoggiando un’espressione sicura e determinata sul volto.

“Non ne dubito, visto che di solito impieghi un’intera giornata per il lavoro di un’ora” commentò lei acidamente.

“Sei sempre così fredda con me Miss” disse lui con aria abbattuta e le lacrime agli occhi.

Arashi sospirò stancamente.

“Sarà già tanto se non sarai licenziato, non tirare troppo la corda pretendendo lo stipendio arretrato”.

Ma ci penserai tu a convincere il buon Kakyou a tenermi qui, vero?” domandò Sorata recuperando la sua sicurezza e il suo buon umore.

“Dove sei stato?” chiese di nuovo la ragazza fissandolo dritto negli occhi.

“Sono stato inghiottito da una balena e ho fatto il giro del mondo viaggiando nel suo stomaco!”

Arashi sbatté i palmi contro il pianoro della scrivania e si alzò in piedi dirigendosi a grandi passi verso la porta.

“Nooooo, Miss! Ti prego, aspetta!” piagnucolò il ragazzo buttandosi per terra dietro di lei e aggrappandosi all’orlo della sua veste.

“Lasciami andare! Non ho tempo da perdere con te!” lo investì Arashi tirando la veste per cercare di strapparla dalle mani dell’altro.

“BWAAAAAAAAHHHHHHHH!!!!!!! Mi sgridi sempre!!!!” cominciò a piangere lui.

Si portò al naso l’orlo della veste che impugnava persistentemente e stava già per soffiare quando sentì qualcosa di freddo e appuntito premergli contro la gola. Alzò lo sguardo e vide Arashi con i capelli morbidamente appoggiati sulle spalle e lo sguardo freddo e minaccioso che gli puntava contro una lunga spada dal manico finemente cesellato.

“Provaci e sei morto” bisbigliò la fanciulla con tono pericoloso.

Non stava scherzando.

Sorata rimase a fissarla e, a mano a mano che passavano i secondi, la sua espressione diventava sempre più ebete e gli occhi gli luccicavano con adorazione.

“Sei bellissima quando ti arrabbi Miss!” disse, lasciando finalmente andare la stoffa.

Arashi allontanò la spada, ma il sopracciglio destro le scattava nervosamente verso l’alto. Si voltò rivolgendogli le spalle e gli parlò con voce atona.

“E’ evidente che non vuoi rivelarmi dove sei stato in questo periodo. Non importa, non è cosa che mi riguardi, ma non contare su di me per un aiuto. Vai subito dal nobile Kakyou e implora il suo perdono, è l’unica cosa che tu possa fare adesso”.

Dopodiché si allontanò senza mai voltarsi.

Sorata si sedette per terra a gambe incrociate e sospirò.

“Ahi ahi, l’ho fatta di nuovo arrabbiare” mormorò con un sorriso stiracchiato e una nota di malinconia negli occhi.

In quel momento sentì aprirsi l’altra porta che dava sullo studio del nobile Kakyou e si affrettò ad alzarsi in piedi. Di lì a poco fecero il loro ingresso due persone: una era di sicuro il padrone di casa, riconoscibile per via della pesante veste bianca a lutto che indossava e del velo che celava il suo viso allo sguardo altrui; l’altra, invece, era una ragazza magra, vestita di scuro, con un’espressione un po’ stranita. Aveva i capelli raccolti in uno stretto codino e una lunga frangia che le ricadeva sugli occhiali troppo grandi per quel viso minuto. Aveva tutta l’aria di una persona che non aveva mai sorriso e che nemmeno sapeva come si facesse.

Appena la notò, Sorata fece una smorfia che nascose nel profondo inchino in cui si profuse di fronte al giovane signore.

“Nobile padrone, che felicità potervi finalmente rivedere!” disse con entusiasmo.

“Allora era vero ciò che mi avevano riferito! Hai avuto un bel coraggio a tornare qui, Sorata Arisugawa” disse con voce pacata Kakyou.

“Credo di poter affermare, senza paura di essere contraddetto, che non sia mai stato il coraggio a difettarmi” disse l’interpellato con un sorriso compiaciuto.

“Forse non è il coraggio, ma di sicuro è l’educazione a farti difetto. Perché mi hai lasciato senza nemmeno salutarmi?” replicò il padrone di casa.

“Nobile padrone, non è in malafede che me ne sono andato. Non cercavo di fuggire, avevo solo bisogno di allontanarmi per un po’ da qui per riacquistare il senno che stavo lentamente perdendo e sapevo che, se fossi venuto a comunicarvi la mia decisione, non avrei più avuto il cuore di lasciare la vostra casa”.

“Mi sei a tal punto affezionato?” domandò Kakyou raddolcendosi.

Sorata gli rivolse il più disarmante dei suoi sorrisi e gli strizzò l’occhio.

E c’è da chiederlo? Sono sempre stato al vostro fianco fin da quando eravamo bambini e vi ho sempre servito con l’affetto che si può avere più per un fratello, che per un padrone”.

“Hai ragione, non ho mai dubitato di te”.

Il sorriso che di sicuro increspava le labbra di Kuduki lo si poteva evincere anche dal modo in cui si era rivolto al suo sottoposto.

“Almeno sei riuscito a ritrovare il tuo senno?” domandò dopo qualche attimo di silenzio.

“Nobile padrone, è impossibile ritrovare qualcosa che non c’è mai appartenuto” s’intromise la ragazza che, fino a quel momento, era rimasta in disparte ad osservare torvamente Sorata.

“Satsuki! Non credi di essere un po’ severa?” le domandò Kakyou.

Satsuki si limitò a fare una smorfia di disappunto.

“Salve a te, mia cara! Come al solito il tuo malumore non si smentisce mai, non è vero Yatouji delle macchine?” le disse Sorata con tono canzonatorio ed usando appositamente quel nomignolo che sapeva darle molto fastidio.

“Almeno io rimango fedele a me stessa” rispose la ragazza piccata.

E fai bene, perché temo che non avrai occasione di poter essere fedele anche a qualcun altro. A proposito, come stanno le tue bestioline?”

Gli occhi già molto scuri di Satsuki si incupirono ulteriormente. Non le piaceva quell’Arisugawa e non le piaceva il modo in cui si rivolgeva ai suoi tesorini. Proprio non capiva perché il signor Kuduki perdonasse ogni sua mancanza e ricercasse spesso la sua compagnia!

“Stanno molto bene, grazie” cercò di rispondergli a tono “Beast non vede l’ora di poterti riavere sotto il suo controllo” aggiunse ridacchiando.

Sorata divenne improvvisamente serio e contrasse la mascella.

“Nessuno stupido circuito dal nome pretenzioso potrà mai avermi sotto il suo controllo! Anche l’altra volta ci hai provato, ma a quanto pare il risultato è stato molto deludente”.

La ragazza strinse i pugni cercando di trattenere la rabbia che le stava crescendo dentro.

Stupidi esseri umani! Così insignificanti e così boriosi! Come osava quella mente bacata rivolgersi in quella maniera alla più perfetta tra le creature, al suo adorato Beast?

“E’ stata pura fortuna! Adesso sarà tutto diverso, ho provveduto personalmente per eliminare ogni minimo errore del programma! Ora nessuno potrà entrare o uscire dal palazzo senza avere l’autorizzazione di Beast!”

Satsuki aveva una luce trionfante negli occhi e Sorata si corrucciò cominciando a preoccuparsi. Quel dannato sistema che la donna aveva applicato all’intera casa poteva diventare un serio problema alla sua indipendenza e alla sua voglia di libertà.

Stava per replicare quando entrò Arashi piuttosto di fretta.

“Nobile padrone! Un’inviata del Sakurazukamori è appena riuscito ad entrare in casa!”

“CHE COSA??? Ma questo è impossibile!!??!!” urlò Satsuki perdendo tutto il suo self control.

“BWAHAHAHAHAHAH!!! E meno male che avevi appena detto che nessuno poteva entrare o uscire senza l’autorizzazione di Beast!” fece notare Sorata con le lacrime agli occhi, tenendosi la pancia per il troppo ridere.

La ragazza occhialuta lo fulminò con lo sguardo mentre persino Kakyou cercava di nascondere una risatina in un colpo di tosse.

Cosa dobbiamo fare nobile padrone? L’inviata non vuole sentire ragioni e non accenna a voler lasciare questa casa finché non vi avrà parlato” insistette Arashi.

“Ditele che non riceverò nessuno finché il mio periodo di lutto non sarà terminato, quindi è inutile che aspetti” rispose con decisione Kakyou.

“E’ quello che le abbiamo già riferito, ma ha risposto che non può tornare dal suo signore senza aver assolto il suo compito e che non si muoverà di qui finché non l’avrete ricevuta”.

Il giovane Kuduki sospirò e il velo che gli copriva il volto tremò sotto quel soffio sensuale.

“Per favore Satsuki, prova tu a fare qualcosa. Non posso tollerare altre proposte da parte di Seishiro Sakurazuka, voglio quella povera infelice fuori del mio palazzo il più in fretta possibile”.

“Sarà fatto, fidatevi di me” disse la ragazza inchinandosi e uscendo a grandi passi dalla stanza.

Siete sicuro che non combinerà qualche guaio?” borbottò Sorata con aria poco convinta.

“Non essere impertinente! Satsuki mi è molto utile, è lei che manda avanti la gestione di una casa così grande. Forse i suoi metodi ti parranno discutibili, ma sono efficaci. Del resto, fin’ora è stata l’unica a riuscire a contenere almeno una parte della tua ‘esuberanza’” commentò Kakyou divertito.

Sorata sbuffò e incrociò le braccia al petto imbronciandosi, ma non replicò.

“Aaahhhh!!! Quella stupida sciacquetta!!! Ma come si è permessa?”

L’uragano Kanoe si abbatté su di loro con una forza spaventosa. Spalancò le porte facendole sbattere contro le pareti, la potenza del suo urlo fece rovesciare il divano, le poltrone e il tavolino con annessi e connessi. Sorata si ritrovò mezzo spogliato con la casacca che gli pendeva a brandelli sul torso, i capelli di Arashi erano volati in avanti oscurandole la vista e Kakyou aveva rischiato di rimanere soffocato dal velo che gli si era attorcigliato attorno al collo.

“Zia, ma che ti è preso?” le domandò il ragazzo appena ebbe di nuovo il fiato per parlare.

Cosa mi è preso, mi chiedi? Te lo dico io cosa mi è preso! Quell’insulsa ragazzina giù alla porta appena mi ha vista mi è corsa incontro. ‘Sarà perché anche lei è rimasta folgorata dalla mia evidente bellezza’ ho pensato io, invece sai cosa mi ha detto? Mi ha chiesto se mi sentivo meglio. ‘Questa è scema’ ho pensato io e allora le ho domandato cosa le facesse supporre che ero stata poco bene. Quella screanzata, con la faccia più angelica e preoccupata di questo mondo, mi risponde che lo ha supposto perché mi ha vista a quest’ora del pomeriggio ancora in camicia da notte e con i capelli spettinati! E poi ha anche aggiunto che tutto il trucco che mi sono messa doveva per forza nascondere occhiaie molto profonde dovute ad una qualche indisposizione! Ah! Non sono mai stata tanto insultata in vita mia! Come ha potuto scambiare il mio bellissimo vestito di marca per una camicia da notte? E la mia pettinatura all’ultima moda? Ma, soprattutto, come ha osato criticare quel velo di trucco che mi metto così, giusto per darmi un po’ di colore – perché io, di sicuro, con la mia pelle non ho bisogno di un trucco più forte!”

I tre guardavano Kanoe perplessi. In effetti la valletta del loro signore non aveva tutti i torti. Sarà stato anche un vestito di marca quello, ma il modello era in tutto e per tutto quello di una camicia da notte trasparente! E quei capelli? Sembrava che le cornacchie ci avessero fatto il nido! Per non parlare di quel mascherone che lei si ostinava a chiamare ‘velo di trucco’!

Arashi chiuse gli occhi grigi attuando la meditazione zen che le aveva insegnato la nonna quando era bambina, Kakyou fece lenti e profondi respiri immaginandosi montagne verdi e laghi azzurri... Sorata era l’unico che proprio non riusciva a frenarsi e si era buttato a terra fingendo una colica al fegato per mascherare l’ilarità che lo aveva colto.

Kanoe, comunque, non si era accorta di nulla, troppo presa com’era a insultare la giovane ignara.

“Tzè! Mi domando dove andremo a finire se il nostro signore continuerà a circondarsi di tali incompetenti! E pensare che le ha pure dato i guanti di riconoscimento! Era da un sacco di tempo che nessuno era più onorato di un tale riconoscimento e ora vengono assegnati proprio ad una tale stupidina!”

“Hai detto... i guanti di riconoscimento?” domandò Kakyou improvvisamente interessato al discorso della zia.

“Sì, esatto. Sai, quelli con il pentacolo della famiglia Sakurazuka sopra. In genere li può portare solo chi gode della massima fiducia del Sakurazukamori e Seishiro li avrà concessi solo a due o tre persone da quando governa su queste terre”.

“Mh... allora mi ha inviato una persona davvero speciale questa volta” mormorò pensieroso il ragazzo velato.

Arashi si voltò a guardarlo tradendo una certa ansia. Fin’ora Kakyou non si era mai interessato alle offerte di Seishiro, né ai suoi regali né ai suoi messaggeri. Come mai questa volta il suo atteggiamento sembrava far pensare ad una certa curiosità da parte sua?

“Speciale? Come puoi considerare una tale mentecatta ‘speciale’?” urlò di nuovo incarognita Kanoe.

“Vi do perfettamente ragione” disse Sorata di nuovo serio, annuendo concorde.

“Il nobile Sakurazuka non dovrebbe tenere vicino a sé ragazze con una tale mancanza di buon gusto”.

“Arisugawa! Ma quando sei tornato?” domandò Kanoe finalmente accorgendosi della presenza del ragazzo.

“Da poco. Per dirvi la verità non sopportavo più di vivere tanto lontano da una tale fresca bellezza quale la vostra” le disse lui facendole un profondo inchino e baciandole la mano.

Kanoe ridacchiò lusingata.

“Sei proprio un bravo valletto! Ci sei mancato”.

“Mai quanto la vostra delicatezza è mancata a me!” continuò sullo stesso tono il ragazzo.

“No, immagino proprio di no! Vieni con me, mio caro? Devo raggiungere sir Yuto per alcune faccende, ma tu mi puoi accompagnare. Nel frattempo puoi anche parlarmi della mia grazia!” fece la donna ammiccante mentre si avviava verso la porta.

“Oh, la vostra grazia! E la vostra finezza! Chi mai potrebbe uguagliarle?” disse Sorata alzando prima gli occhi al cielo con fare canzonatorio e poi spostandoli, ridenti, su Arashi.

La ragazza aveva, come sempre, il volto impassibile. Si accorse dell’occhiata del valletto e spostò lo sguardo ostentatamente da un’altra parte. Sorata, un po’ abbattuto, si affrettò dietro Kanoe.

“Dannazione! Dannazione, dannazione, DANNAZIONE!!!” sbraitò Satsuki rientrando e prendendo a calci un vaso che era rotolato per terra per via del precedente uragano.

“Satsuki, che succede?” le domandò preoccupato il suo padrone.

“Mi dispiace infinitamente, nobile Kakyou. Non so come possa essere successo, ma la sottoposta del Sakurazukamori è riuscita ad eludere tutte le protezioni di Beast e ora si trova sulle scale, decisa ad incontrarsi con voi”.

La ragazza si era inginocchiata di fronte a Kakyou e teneva basso il volto contrito.

“Non ti preoccupare, hai fatto del tuo meglio” le disse lui aiutandola a rialzarsi.

Ma... ho fallito” mormorò lei quasi disperata.

“No, non lo credo. Probabilmente questa volta siamo di fronte ad un avversario troppo forte per noi. Tu che l’hai vista, dimmi, com’è questa ragazza?” le domandò Kakyou.

Ma... non saprei... una ragazza. Due occhi, un naso, una bocca...”

“Sì, sì, questo lo sapevo anche da solo. Ti chiedevo se avevi notato niente di particolare in lei”.

Cosa potrebbe mai avere di particolare una ragazza? Si somigliano tutte!” rispose Satsuki sinceramente stupita.

Kakyou si maledisse per aver rivolto quella domanda proprio ad una che si interessava più ai meccanismi di una lavatrice che a una persona.

Va bene, allora, la riceverò. Falla entrare”.

Satsuki annuì con aria mesta e andò a recuperare l’inviata del Sakurazukamori.

Kakyou si fece aiutare da Arashi e nel giro di poco ristabilirono un ambiente presentabile. Il ragazzo, sentendo bussare, si precipitò a sedere sul divano cercando di apparire il più rilassato possibile, mentre il suo braccio destro stava in piedi, un po’ discosta, fingendo di sistemare dei fiori nel vaso che era stato recuperato.

“Avanti” disse Kakyou quando furono pronti.

La porta si aprì con discrezione e sulla soglia fece la sua apparizione una giovane dai corti capelli neri e da grandi occhi verdi molto espressivi. La ragazza fece due passi dentro la stanza e s’inchinò.

“Ho bisogno di parlare con il nobile Kakyou Kuduki”.

“E’ davvero un bisogno il tuo o è solo un desiderio?” domandò la figura velata seduta sul divanetto poco distante.

“Bisogno, senza ombra di dubbio, perché se dovessi seguire i miei desideri sarei molto lontano da qui” rispose la ragazza prontamente e nei suoi occhi si poteva leggere una mesta malinconia.

Pur se attraverso la stoffa leggera che lo ricopriva, Kakyou poté notarlo e qualcosa nel suo petto pizzicò fastidiosamente.

Quindi non desideri parlarmi” continuò dopo qualche istante di silenzio.

“Non nei termini che mi costringono ad essere innanzi a voi. No, non io desidero parlarvi, bensì il mio signore si strugge per poter avere un tale onore”.

“So bene cosa vuole il tuo signore e di certo non è qualcosa che implichi semplicemente una conversazione” disse seccamente Kakyou irrigidendosi.

“Non siate così severo con lui. Se lo conosceste come lo conosco io e se lui vi conoscesse per ciò che siete realmente, sono certa che non potreste fare a meno di apprezzarvi l’un l’altro” controbatté la ragazza con più passione di quanto avrebbe voluto utilizzare.

Kakyou rimase interdetto per un attimo, poi le rivolse un cenno gentile d’invito.

“Vieni, siediti qui, accanto a me”.

La ragazza eseguì ciò che le era stato chiesto e si accomodò sul divanetto.

“Come ti chiami?”

“Sumire, nobile Kakyou”.

“Sumire! Che bel nome. Sembrerebbe quasi aristocratico. Sei nobile anche tu?”

“Più di quanto mostrerebbe la mia attuale posizione, ma non è per raccontarvi di me che sono qui” rispose in fretta la ragazza mal celando una certa urgenza.

“Vi prego di accettare un incontro con il mio signore”.

“Non ho intenzione di accettare un bel niente e non posso stare a discutere con una persona di cui non conosco nulla” replicò Kakyou.

E io non posso parlare con una persona che mi cela persino il suo volto. Vi prego, mostratevi a me e guardatemi negli occhi. Si possono capire più cose dagli occhi della gente che dalle loro parole”.

Kuduki esitò di nuovo.

“Sono in lutto, se non lo sai”.

“Non vi chiedo di spogliarvi del vostro dolore, solo della vostra reticenza”.

“Ho capito perché Seishiro ha mandato te questa volta. Sai parlare bene”.

Sumire notò con sollievo che il suo interlocutore si era un po’ rilassato e con gioia lo vide togliersi lentamente il velo. Ciò che esso celava era un volto fine e delicato, dai tratti aggraziati e nobili. Un pallore accentuato e le palpebre lievemente gonfie per il recente pianto simboleggiavano una malsana infelicità che si rifletteva anche nei begli occhi verde oliva un po’ allungati. I capelli biondi, così chiari da sembrare bianchi, gli ricadevano sulle spalle ed erano così sottili che sembravano della consistenza di una tela di ragno.

“Ora sei contenta?” domandò Kakyou cercando di piegare in un sorriso le labbra che si distinguevano dal resto del viso per una lieve rosatura.

“Potrei dirmi contenta solo se potessi vedere un volto tanto bello rischiarato da una gioia vera” disse con afflizione la ragazza.

Kakyou sospirò e abbassò lo sguardo.

“Mia sorella era la mia unica fonte di gioia. E ora lei non c’è più”.

“Non dovete dire questo! Sono certa che per voi sia stata riservata ancora molta felicità, ma finché vi ostinerete a tenere il mondo lontano da voi non potrete mai trovarla!”

Sumire, presa dalla concitazione del momento, aveva stretto una delle fragili mani di Kakyou e lo guardava con occhi scintillanti e le guance velate dal rossore. Il nobile rimase incantato a guardare quella figura e ci mise un po’ a riscuotersi dalla strana atmosfera che si era andata a creare.

Nuovamente le rivolse quel fantasma di sorriso.

“Cosa ne può sapere una fanciulla così piena di vita come te del dolore che posso provare?”

Sumire si morse il labbro inferiore e per un attimo i suoi occhi furono oscurati da una sofferenza così straziante da far sussultare Kakyou.

“Potrei dirvi che anch’io ho perso qualcuno che mi era infinitamente caro e che conosco il desiderio di abbandonarsi alla crudele sorte che ha voluto una così ingiusta separazione. Conosco anche l’istinto all’annullamento che vorrebbe farci sprofondare in un abisso in cui rifugiarci per poter sognare che quel qualcuno sia ancora al nostro fianco. Nonostante ciò, non posso affermare di capire la vostra sofferenza, poiché io non sono voi e non conosco voi come non conoscevo vostra sorella. Tuttavia lasciatemi dire che ritengo indegno della sua memoria il vostro comportamento. Invece di vivere anche per lei vi state gettando da solo in un’oscura prigionia nella quale lei non avrebbe mai permesso che voi veniste rinchiuso. Le fate un torto, signore, ricordandole costantemente che è a causa della sua dipartita – non voluta, non cercata – se avete deciso di essere un morto tra i vivi poiché non vi è concesso di essere un vivo fra i morti. Siete crudele, con voi stesso e con chi vi è vicino e vorrebbe donarvi un minimo di felicità”.

Il discorso era risultato essere molto appassionato, Sumire aveva parlato con il cuore, non aveva ripetuto qualche frasetta che aveva dovuto imparare a memoria per cercare di convincerlo. Tutto ciò di cui stava parlando sembrava lo avesse sperimentato prima sulla sua pelle. Questo colpì molto il biondo che non sapeva più come reagire ad un appello tanto accorato.

“Forse... forse hai ragione. Ma anche cedere alle lusinghe del Sakurazukamori non sarebbe giusto. Non credo che Kotori vorrebbe vedermi ridotto a un giocattolo di lussuria” riuscì a mormorare alla fine, beandosi del calore che quella mano forte – molto più forte di quanto si aspettasse – gli trasmetteva.

“Così non gli date nemmeno una possibilità però” disse Sumire tristemente.

“Credi che la meriti?”

“Sì, oh sì! Se solo poteste vedere quanto ha bisogno di qualcuno che sia in grado di fargli conoscere e comprendere l'amore!"

Qualcosa nel tono di Sumire mise in allarme Kakyou. Certo, la ragazza doveva essere davvero molto affezionata al suo signore, altrimenti egli non le avrebbe mai assegnato i guanti di riconoscimento. Però tutta quella foga, tutto quel desiderio di riscatto nei confronti del Sakurazukamori, non erano sospetti? Ma forse era lui che non riusciva più a comprendere gli slanci di un affetto sincero. E poi si sapeva che a Seishiro le donne non interessavano proprio, anzi, sembrava quasi avere un’allergia nei loro confronti.

“Fai davvero un buon servizio al nostro signore” commentò con un sorriso un po’ più convinto questa volta.

“Non vi è cosa che non farei per renderlo felice” disse Sumire con un sorriso luminoso.

“Riferisci al Sakurazukamori che non accetterò la sua proposta... ma!” aggiunse subito posando le dita sulle labbra di Sumire che si erano già aperte per una protesta.

‘Morbide e piene’ ebbe ancora il tempo di pensare prima di proseguire.

Ma... non è detto che tu, con le tue belle parole, non possa tornare quando vuoi per provare a convincermi”.

Sumire lasciò andare la mano di Kakyou e si alzò in piedi per congedarsi con espressione tirata.

“Sarà riferito” disse con un inchino.

Kakyou si sentì perso e, senza riflettere, con sguardo smarrito, afferrò un polso della ragazza trattenendola.

“Vuoi già andare via? Perché non ti fermi a bere qualcosa? Sarai stanca e accaldata. Arashi, chiedi a Satsuki di portarci una bibita fresca”.

La fanciulla, che fino a quel momento era rimasta in disparte in silenzio, notando con preoccupazione il crescente interesse che il suo padrone riservava all’inviata, stava per uscire ad eseguire l’ordine appena ricevuto, quando fu fermata dalla voce di Sumire.

“No, non c’è bisogno che vi disturbiate. Devo rientrare a palazzo, è evidente che non potrei ottenere di più oggi”.

Ma potremmo parlare di altro, di quello che volete”.

“Non c’è niente di cui vorrei parlare che non riguardasse il mio signore. Ora perdonatemi, mi congedo”.

La ragazza fece scivolare via il polso dalla stretta di Kakyou e uscì rapidamente.

Il giovane Kuduki si lasciò andare contro lo schienale del divanetto ed emise un profondo sospiro.

“Arashi... secondo te tornerà?” domandò al suo braccio destro con occhi imploranti.

‘Speriamo di no’ pensò la ragazza, ma non lo disse. Si limitò a rivolgergli un sorriso gentile.

 

FINE I ATTO