I personaggi non sono i miei purtroppo, ma del sommo maestro Inoue!!

Questa è la mia prima ff su Slam dunk, iniziata a febbraio 2007 e conclusa questo giugno 2007! che fatica!

La dedico alla mia carissima amica Quistis, che mi è sempre vicina in ogni momento^_^!

Buona letturaaaaa!!!



 


 

La vita che verrà

epilogo

di Releuse

 

Ricordi, Kaede?

 

Ricordi quella volta?

Era una di quelle sere silenziose, durante le quali guardavamo insieme l'ultima partita giocata dalla tua squadra, grazie alla videocassetta che ad ogni nuovo incontro riuscivi a procurarti.

 

Per guardarla con me.

Per spiegarmi ogni azione.

Per insegnarmi qualcosa dello sport che tanto ami, il basket.

 

O forse per passare del tempo insieme.

 

Sa soli, come era solito da un po' di tempo a quella parte.

O forse come da sempre.

Io e te.

 

 

Ricordi, Kaede?

 

Quella volta decisi che qualcosa doveva cambiare nella nostra vita.

In quell'involucro impermeabile dentro il quale ci eravamo rifugiati, insieme.

Diventava sempre più complicato vivere per me, ogni giorno che passava, ogni secondo che l'orologio scandiva.

No, non per la mia malattia.

 

Per la tua solitudine, Kaede.

 

Perché la tua vita si faceva ogni giorno più vuota.

Per me.

 

Perché il tuo sorriso era diventato un dono privato.

Per me.

 

Perché avevi deciso di rifiutare il mondo là fuori, usando una sua espressione.

Per me.

 

E allora Kaede, quella sera te l'ho chiesto.

 

“Voglio conoscere Hanamichi Sakuragi!”, ti avevo detto, con l'espressione e il sorriso più sinceri e raggianti che potevo donarti.

 

Perché era la verità.

 

Sarei stata davvero felice di poterlo conoscere.

Volevo che entrasse a far parte della nostra vita, per poterla cambiare.

Me lo sentivo, lui poteva farlo.

 

Perché io li vedevo, Kaede.

 

Li vedevo i tuoi occhi illuminarsi vivacemente.

E il tuo sorriso sorgere spontaneo dalle tue labbra.

Quando parlavi di lui.

 

Di quella scimmia rossa che metteva in subbuglio tutta la squadra, dal caos che combinava.

Che ti sfidava in continuazione, pretendendo di essere migliore di te.

Che non faceva altro che commettere falli in partita, per la sua incapacità.

 

“È un do'hao...”, mi dicevi sbuffando.

 

È uno che non conosce i fondamentali del basket, ma che è in grado di saltare più in alto del capitano, o di Maki del Kainan.

Ed ha un incredibile resistenza fisica.

E la capacità di effettuare degli spettacolari...come si chiamano? Ah,  slam dunk.

 

Sì, Kaede.

 

Le dicevi queste cose, anche se forse non te ne rendevi conto.

Continuavi ad osservare lo schermo di fronte a noi, dove le immagini della partita scorrevano trasformandosi in un fascio di colori, suoni, voci, ormai indistinti.

 

E le esprimevi.

 

Solo lui era il punto di riferimento delle tue parole.

Ma non le solite, fatte di schemi d'attacco, ruoli dei giocatori, tempi rimanenti.

No, parlo di parole vive.

Parole che mi ricordavano che mio fratello è comunque un essere umano, fatto di carne ed emozioni.

Ancora capace di vivere.

 

Perché, Kaede, eri tu quello che si stava spegnendo, fra noi due.

 

Ricordo ancora la tua curiosa espressione, quando te lo chiesi.

Un'espressione incredula, sorpresa, forse un po' imbarazzata.

Perché lo sapevi che lui era l'unica persona in grado di scuoterti, di animarti, di risvegliare in te qualche impulso vitale.

E questo ti spaventava.

Perché sapevi che qualcosa sarebbe potuta cambiare, che nulla poteva più essere come prima se lui fosse entrato a far parte della nostra vita.

 

E niente è stato più come prima.

 

Ricordi, Kaede?

Quando Hanamichi entrò nella mia stanza, la sera del compleanno?

Aveva assunto l'espressione tipica di chi vuole fare un po' di scena, ma, appena mi vide si bloccò, arrossendo all'istante.

Imbarazzato come un bambino.

E il mio cuore iniziò a vibrare, per la gioia. Perché era comunque vero che adoravo Hanamichi Sakuragi.

Ero attratta dal suo carisma, dalla sua forza di volontà, dal suo lottare con determinazione fino all'ultimo.

È un ragazzo solare.

E nel momento in cui entrò nella mia stanza, la irradiò fin da subito con la sua vivacità.

E il suo calore.

Scaldando i nostri cuori.

 

Hanamichi però non aveva ancora capito perché io ero a letto, e mi prese improvvisamente in braccio, scoprendo le mie tristi gambe deformate.

Non una smorfia di disgusto, non una sillaba di disappunto.

Solo un sorriso, meraviglioso. E le sue battute spiritose pronte ad ogni occasione.

E lì, sin dal primo istante capì che Sakuragi era davvero una persona speciale.

Che lo sarebbe stato per entrambi.

 

Eri felice, Kaede, si vedeva.

Ma purtroppo neppure di fronte  a lui riuscivi a scioglierti, così ero io che dovevo cercare di rompere il ghiaccio, per coinvolgerlo fra noi.

Perciò  gli chiesi di rimanere a cena.

E tu subito mi assecondasti, dicendomi che glielo avevi già detto.

E hai sorriso. Spontaneo.

Credo che quella fosse la prima volta che Hanachan ti vedeva sorridere, poiché cominciò ad osservarti piacevolmente sorpreso.

E un po' intenerito. Non te n'eri accorto?

I suoi occhi...si posavano perennemente su di te.

 

È stata la cena più bella e divertente della mia vita.  La prima cena che profumava di vita.

Ricordo che quella volta Hanamichi voleva portarmi a giocare a Basket con voi...che occhiata gli avevi lanciato, prima di trascinarlo via, per parlargli.

Sicuramente gli avrai detto che io non potevo muovermi, che era difficile farmi uscire.

E io, a quel pensiero, m'intristì tantissimo. Perché era raro ormai uscire con te.

 

Non saprò mai cosa lui ti disse, non saprò mai che parole abbia usato.

Eppure, eccolo lì, la domenica, sulla porta di casa, pronto per andare tutti e tre insieme a giocare a basket.

 

Non avevi fiducia in lui...incredibile, vero?

 

Fino alla sera prima non avevi fatto altro che parlottare fra te e te contro il nostro rossino: “quello scemo del do'hao”, “ fa sempre di testa sua il do'hao”, e io mi divertivo davvero un mondo nell'ascoltarti.

In fondo...parlavi sempre di lui.

Ed io ti guardavo, con curiosità, e piacere.

 

Così finalmente siamo usciti per giocare assieme.

Mi sembra di viverla ancora quella giornata. Di sentire il tepore dei raggi del sole sciogliersi sulla mia pelle e l'aria accarezzare le mie guance, di sicuro eccessivamente rosse per l'eccitazione che mi avvolgeva.

Non ricordavo che il sole fosse così splendente, sai, Kaede?

Il mio non è un rimprovero, assolutamente, solo che quella era la prima volta, dopo tanto tempo, che potevo ammirare il cielo, in tutta tranquillità, senza la fretta di dover entrare a scuola, o  fare una visita in ospedale.

 

Ormai unici appigli per conoscere il mondo.

 

Che giornata meravigliosa!

L'allegria che Hanachan portava con sé ci contagiava entrambi, ho riso tantissimo. E anche tu l'hai fatto, non sai quanto ne ero felice. Anche se spesso fra noi due calava il silenzio, lui sapeva come spezzarlo, come coinvolgerci e farci condividere le emozioni e le parole.

E finalmente tu e lui, lentamente avevate cominciato a sintonizzarvi, a capirvi, a navigare sulla stessa rotta.

O forse lo avevate sempre fatto.

Siete sempre stati così simili. Io ne sono convinta.

 

Ma dovevate ancora scoprirlo.

 

Come quando mi avete difesa dagli sguardi poco gentili di quei ragazzi al campetto, che deridevano la mia condizione, che brutalmente mi avevano risvegliato dal sogno che stavo vivendo con voi.

Che paura! Ad un certo punto ho temuto che facessi davvero del male a quel ragazzino, e mi sono spaventata, gridando di fermarti.

 

E di nuovo silenzio, fra me e te.

 

Eppure è bastata una sua parola, una sua battuta, per rendere di nuovo tutto meraviglioso. E magico.

 

Giocare insieme a voi è stata una delle cose più emozionanti che abbia mai fatto nella mia vita, una di quelle cose che non si dimenticano facilmente, e che saprò portare nel mio cuore, fino alla fine.

Ricordo tante cose di quel giorno.

Soprattutto il suo arrossire, per la prima volta, parlando di te.

 

Ricordi, Kaede?

 

Quando tu mi prendesti in braccio, perché volevo starti un po' vicino, perché in certi momenti ho davvero bisogno di sentire la tua vicinanza.

Perché la tua presenza mi dona sicurezza.

Da sempre.

Hanamichi scherzò su questo, e allora lì lo misi alla prova, chiedendogli se voleva essere lui ad abbracciarti.

Mi trattenni dal ridere quando lo visi arrossire di colpo.

Era proprio vero, lo voleva.

 

E credo che l'abbia fatto, di lì a poco.

 

Il giorno dopo, all'ospedale.

Sono certa che lui ti abbia abbracciato, per confortarti.

Perché quella volta te lo dissero con certezza, forse con eccessiva brutalità.

Che non avrei vissuto a lungo, da quel momento in poi.

 

Lo so che te l'hanno detto. L'ho sentito.

No, non udito, sentito.

Nell'atmosfera troppo rarefatta, nella voce, negli sguardi, nelle carezze di tutto il personale medico.

E infine nei tuoi occhi.

Occhi che hanno pianto  a lungo, quella mattina.

Me ne sono accorta, non appena ti scorsi nel giardino dell'ospedale, accompagnata dall'infermiera lungo il viale alberato, dove quelle piante così alte e maestose spesso sembrano proteggerti.

Altre volte soffocarti.

 

Tu ti sei sforzato di sorridere, mostrandomi la tua premura e la tua dolcezza.

Ma io l' ho intuito, il tuo turbamento. Sei sempre mio fratello, sai?

Hn, siamo più simili di quanto pensi, anche se molte persone dicono che assomiglio di più ad Hanachan.

 

Anche lui si era accorto del tuo cambiamento, lui, sempre così attento.

Lo vedevo, vi vedevo. E forse un po'...vi studiavo.

Cominciò a scherzare, ad attaccarti con le sue battute e le sue provocazioni, per farti reagire, per scuoterti, perché chissà come ti ha visto, pochi minuti prima, in quel giardino ottimo per la solitudine.

E riuscì pienamente nel suo intento, impedendoti di lasciarti cadere nell'oblio del tuo dolore.

In questo, sono simile a lui.

Perché cerco di affrontare la vita con serenità ed entusiasmo, diverso dall'affrontarla con rassegnazione.

 

Quel giorno stesso, quando l'infermiera mi lasciò finalmente con voi...per un attimo ho sentito un vuoto impadronirsi di me. E non ho avuto il coraggio di guardarti negli occhi, Kaede.

Perché temevo di leggervi il timore, l'angoscia.

L'ombra della fine. La mia.

Ma poi mi sono fatta coraggio, e ho sorriso, mostrandomi gioiosa e solare.

 

Questo non vuol dire che non capisca cosa mi stia succedendo, che non senta le forze abbandonarmi, che non senta l'incapacità delle mie gambe di effettuare un minimo movimento.

Non vuol dire che non ho paura.

Ma non posso sprecare il poco che mi resta da vivere piangendo e disperandomi.

E non voglio che lo faccia neppure tu. O almeno non volevo.

Tu che non ti sei mai dispiaciuto di prenderti cura di me.

Tu, madre e padre insieme.

E fratello.

 

E non più Kaede.

 

Non era giusto, ti annullassi per me.

Per questo gliel'ho chiesto, quel giorno, di venire a vivere con noi.

Tu hai pensato che stessi scherzando, ma lui no.

L'aveva capito.

Aveva capito il mio desiderio di vivere tutti e tre insieme.

La mia richiesta di aiuto. Per te.

 

Richiesta che accolse, senza riflettere troppo sulle conseguenze. Senza riflettere su cosa lui voleva veramente per sè.

E cosa cercasse in noi.

 

“È questo ciò che vuoi condividere con me? Ciò di cui vuoi prenderti cura?”

 

Furono le tue aspre, violente e tremendamente reali parole.

Parole capaci di cancellare il qualsiasi impulso all'interno del corpo.

Capaci di rendere spoglio ogni pensiero.

E di farlo fuggire, lontano dalla stanza. Lontano da noi.

È stata anche colpa mia quel giorno. Non sai quanto mi sia sentita in colpa per questo.

Ma spesso sento un forte dolore dilatarsi all'interno delle mie vene. Una sofferenza opprimente.

E la mente si annebbia.

E l'agitazione mi assale.

Finché urla, pianti e un desiderio violento fanno il resto.

 

In quei momenti mi sembra di trasformarmi in qualcosa di abominevole ed incontrollabile.

E sto male, da impazzire.

Solo le tue parole, e le tue braccia poterono calmarmi quel giorno.

Finché, in quelli successivi non mi abbandonai ad un assordante vuoto. Fatto di silenzi e di movimenti minimi ed impercettibili.

Essenziali.

Divorata da un lacerante senso di colpa.  Per averti privato di lui.

Di Hanamichi Sakuragi.

Ero davvero convinta di averlo allontanato da te per sempre. Di averti rovinato con le mie mani.

 

Ogni volta, per me, tu rinunciavi a qualcosa. E quella volta ero stata io a spingerti a farlo.

 

Alla fine avevamo annullato ogni forma di comunicazione fra noi, dopo la fuga di Hana.

Ci sentivamo entrambi colpevoli, peccatori condannati ad un eterno inferno.

 

Per un attimo ho desiderato morire, per liberarti da questo fardello.

 

Ma non ce n'è stato bisogno.

Perché anche io l'avevo sottovalutato, il nostro Hanachan.

Ero convinta che non sarebbe più tornato...e sono stata una stupida a crederlo.

 

Il campanello suonò due volte quella sera.

Non so cosa ti disse, non so che parole abbia usato.

Ma sono certa che ti abbia fatto capire il suo desiderio di condividere tutto con te, e di starti vicino.

Di prendersi cura di te.

E, di certo, anche di me.

E tu l'hai accolto, poiché ormai non potevi più farne a meno.

Avevi bisogno di lui.

E lui di te.

Certo, non ti sei aperto sin da subito, non gli hai permesso nell'immediato di mettere le mani sul tuo cuore, di conoscere a fondo la tua persona.

Di questo non posso rimproverarti, Kaede. So quanto è difficile per te aprirti con gli altri, ammettere di provare un sentimento per qualcuno, per lui.

Se lo fai per orgoglio, per paura, o per indifferenza...è pur sempre parte di te. Una parte, che chi vuole conoscere deve sapersi guadagnare.

 

Doveva guadagnarsela, la tua fiducia.

 

E lui c'è riuscito.

Perché in fondo è il tensai, no?

E perché tu sei la persona più importante della sua vita. Lo sai questo?

Io lo so, perché me lo disse chiaramente nei giorni successivi. Con sincerità e spontaneamente.

Come se fosse la cosa più reale di questo mondo.

Ne parlammo una sera, della quale ricordo il bianco colore luna, la cui luce lattiginosa tingeva la stanza di un fioco brillare.

Quella era la sera in cui gli rivelai la verità.

 

Che l'avevo scelto per te.

 

“Una persona che  muore lascia sole le persone che le vogliono bene.”, gli dissi, per fargli capire il cuore dei miei pensieri.

Ammettendo le mie reali paure. Per la prima volta con qualcuno, nella mia breve esistenza.

Non volermene, se non le ho mai espresse con te, Kaede, anche se sono convinta che tu le conosca perfettamente, che tu in fondo l'abbia capito il perché ho insistito tanto ad avere Hana qui con noi.

Ed alla fine gliel'ho strappata quella promessa.

 

Prendersi cura di te.

 

Era talmente dolce la carezza che mi fece, e il sorriso che mi regalò, insieme ad un bacio sulla fronte.

Confortante, perché in fondo anche io mi sentivo protetta e amata da lui.

 

E da quel momento in poi, abbiamo cominciato a vivere.

 

Non mi importava più della mia malattia, della difficoltà e del dolore che ogni giorno sentivo crescere, mentre facevo gli esercizi di fisioterapia.

Della debolezza che incombente e incontrollata divorava le mie gambe e, lentamente, le mie braccia.

Non mi importava.

 

Poiché ero felice. E, finalmente, lo eri anche tu.

 

Eccitata ed estasiata da quella nuova vita.

Noi tre, insieme.

Una vita che sprigiona allegria dal primo mattino, quando, fra le braccia tue o di Hanachan entro in cucina, ed assaporo il profumo del caffè mescolato con il latte e qualche zolletta di zucchero.

Profumo dolce, con qualche spruzzo d'amaro.

 

È una gioa immensa, ogni giorno che passa. È bello vedere che di tanto in tanto anche tu ti svegli tardi, o hai difficoltà ad alzarti, se non viene il tuo do'hao a svegliarti.

La ricordo ancora la prima mattina in  cui Hanachan mi disse che stavi ancora dormendo.

Incredibile! Non era mai successo. Con lui ci scambiammo un bel sorriso d'intesa.

Questo vuol dire che sei rilassato, non lo sai?

 

Per me la gioia più grande fu il permettermi di seguire i vostri allenamenti di basket.

Di conoscere la vostra scuola, i vostri compagni.

In fondo, non avevo mai conosciuto nessuno, che facesse parte del tuo mondo.

 

E poi, il basket.

 

L'unica cosa che prima dell'arrivo di Hana riusciva a stimolarti, a scatenare una qualche reazione nella tua persona.

 

È stato incredibilmente divertente parlare con i ragazzi della squadra.

Ricordo ancora quanto ero imbarazzata, ma non lo diedi a vedere, sfoggiando un bel sorriso frizzante.

Bhè, in questo sono davvero simile ad Hanachan!

Non avevo mai provato l'eccitazione di essere circondata da così tante persone che non fosse un personale medico, la contentezza di vedere i tuoi compagni che si presentavano, sorridenti ed impacciati allo stesso tempo.

Perché in fondo ho un difetto che non si può nascondere, e che mette alla prova chiunque.

E loro l'hanno superata alla grande.

Non te l'aspettavi, vero? Scommetto che avevi paura.

Paura del loro giudizio. È andata bene, no?

 

Ed è stato divertente.

 

L'allenamento, gli errori di Hanachan, i battibecchi con te,  con gli altri ragazzi.

Fino a quel momento l'avevo solo immaginato quel mondo. E ora lo stavo vivendo.

Non ho potuto trattenere le lacrime.

Per la gioia.

Per l'emozione.

E per un brevissimo istante...per la rabbia.

Ti guardavo giocare, la tua figura invadeva le cellule del mio cervello, scuotendosi dentro di esso.

Eri così agile, veloce. Bellissimo.

Ed irraggiungibile

Rabbia e gelosia. Per essere diversa da te, per non aver avuto le tue stesse possibilità.

 

Mi puoi perdonare per questo, Kaede?

 

Mi sono vergognata infinitamente per quel pensiero, scomparso in pochi istanti.

Assorbito dalla passione e dall'entusiasmo di essere lì.

 

Ricordi quando Mitchan vi ha presi in giro, dicendovi che sembravate mamma e papà gelosi della propria bambina?

Voi siete arrossiti di colpo, entrambi. Per l'imbarazzo.

Mentre io ero a quelle parole, mi sentì profondamente felice.

Perché è vero.

 

Tu ed Hanamichi siete la mia famiglia.

 

Lo dissi anche alla dottoressa, il giorno della partita contro il Kainan, quando, spaventata per quel dolore insolito, accompagnato dall'improvvisa incapacità di controllare il mio corpo, ho perso i sensi, lì sul campo, svuotando la mia testa dalle grida del pubblico e dal palleggiare insistente del pallone da basket sul pavimento.

 

Ero in preda all'agitazione, quando mi svegliai.

Atterrita e angosciata da quello che era successo, sentivo il mio respiro scandire il tempo allo stesso ritmo del mio cuore. Troppo veloce per essere normale.

Ricordai quello che era successo, e per un attimo fui assalita dal terrore.

Terrore di non muovermi, per sempre.

Alzai il braccio e, non appena mi resi conto di aver ripreso il controllo del mio corpo, mi rilassai, quasi credendo di aver fatto un brutto sogno.

Invece ero lì, all'ospedale, circondata da quelle pareti anonime e grigie, soffocata da quel pungente odore di alcool e cotone.

 

E con gli occhi della dottoressa Yamaji fissi su di me.

 

Era stato un crollo nervoso, mi disse, dovuto alla mia eccessiva agitazione.

Infine mi sorrise, per rassicurarmi.

Eppure la paura tornò, più subdola ed ambigua della precedente, poiché questa volta rimase nascosta dentro di me, troppo intimorita per potersi manifestare.

La paura, nell'udire quelle parole.

 

“Non può continuare così...sono soli. Bisogna trovare una soluzione...”

 

Le parole lontane della dottoressa.

Inizialmente temetti che mi potessero rinchiudere da qualche parte, e separarmi da te e Hanachan, ma quando mi permisero di tornare a casa, la mia grigia sensazione scomparve, e con essa i miei timori.

Eppure il tuo sguardo di quei giorni, pensieroso e perso nel vuoto, mi turbava, preoccupava.

 

Finché capì a cosa era dovuto.

 

Quando lui varcò quella soglia, il ricordo delle parole della dottoressa riaffiorò prepotente  e minaccioso nella mia testa.

Lui, papà.

Gentile e pacato.

come sempre.

Distaccato ed alienato.

Come sempre.

 

Non era questa la sua vita, e lui lo sapeva bene, noi lo sapevamo bene. Eppure nonostante tutto fingevamo di essere sereni. Tutti e tre, quando ci vedevamo.

O forse non era finzione, solo una sorta di adattamento reciproco e di rassegnazione.

Lui andava e veniva, da sempre. Ormai la cosa era normale, non ci facevamo più caso.

 

Ed in fondo noi, io e te, la nostra serenità l'avevamo raggiunta, con Hanamichi.

 

Ma lui lo volle rompere, quell'equilibrio, con quella richiesta.

Assurda, patetica e colma di disperazione.

Sicuramente sincera.

 

Andare a vivere con lui...in Germania.

 

E fu come un trauma , per entrambi.

E fu buio assoluto, per te.

Tu che ti eri sempre preso cura di me, tu che hai visto spegnersi la mamma.

Tu che non avevi mai chiesto il suo aiuto.

Lui che non te lo aveva dato, come padre.

Tu che vedevi la situazione scivolarti dalle mani, sbriciolarsi come un legno lasciato seccare per troppo tempo.

 

Non più quella fragile, ma  intensa felicità, fatta di me, te ed Hanamichi.

 

Solo quel sorriso perverso che tingeva le tue labbra.

E dilaniava tutto quello che incontrava.

Papà.

E me. Non risparmiata al tuo giudizio.

 

Con quel gesto ho sentito uno strappo lacerare il mio cuore, che lasciava scoperta solo la carne più viva, pulsante e sanguinante.

Una terribile sensazione di abbandono. Quasi di tradimento.

Era come se mi avessi lasciata affogare dentro un lago fatti di disperazione. Non l'avevi mai fatto, Kaede.

E mi hai spaventata.

 

Le braccia di Hanamichi che mi avvolgevano con premura, sono state la salvezza in quel momento, l' unico appiglio e conforto in quella dolorosa situazione.

E le sue parole, brutali, rivolte a te, che ti hanno scosso, probabilmente.

Anzi, di certo.

Ero incapace di parlare, la voce mi mancava, volevo piangere, ero sconvolta.

Non capivo.

Mi risultava difficile capire.

 

Hanachan mi ha accompagnata sul letto, e poi mi ha accarezzata, con dolcezza, confortandomi. Dicendomi di stare tranquilla.

Perché tu non sapevi quello che stavi facendo.

Che il tuo comportamento era dettato dalla paura di perdermi.

 

Lui cerca di capirti, sempre.

 

Ed ha aiutato anche me a farlo.

Sicuramente dopo averlo fatto con te, ne sono certa.

Ti ha aiutato a capire.

 

 

“Ora Kaede cercherà di fare pace con te, non maltrattarlo troppo!”

 

Aveva esclamato, sorridendomi, prima di accompagnarmi alla spiaggia, il giorno dopo.

Il suo sorriso era davvero sereno, profondamente sincero e rassicurante.

Sapeva che saresti riuscito a parlarmi.

A rivelarmi tutte le tue paure, e i tuoi pensieri.

 

Temevi che io ti odiassi.

Me l'hai detto lì, sulla spiaggia, mentre il mare di fronte a noi cullava le sue onde. 

Ricordi?

 

Come potrei, Kaede?

Non è assolutamente possibile odiarti.

Perché ti voglio bene.

E nulla può cancellare questo affetto per te. Il nostro legame.

 

Ho pianto, perché in fondo ero io che avevo temuto di perderti.

Lo sai, questo?

Siamo proprio uguali. Testardi ed insicuri.

 

Fortunatamente c'è lui, che ci aiuta a capire.

Lui, che ci sta vicino.

Lui, che con un vortice di entusiasmo ci ha aiutato a vivere, aiutato a separare e distinguere le nostre vite, troppo dolorosamente legate.

Troppo simbiotiche.

 

Lui, Hanamichi Sakuragi.

 

Non devi preoccuparti di nulla, Kaede.

Sono certa che andrà tutto bene con lui al tuo fianco.

Saprai affrontare e superare qualsiasi dolore, anche quando io non ci sarò più.

La vita va avanti, e tu devi seguire i tuoi sogni, ed andare in America.

La vita che verrà sarà meravigliosa.

Con lui.

 

 

 

Perché piangi ora, Kaede?

Non riesco a distinguerti bene, vedo i tuoi occhi blu fissi su di me, e preoccupati.

Vedo Hanachan, che mi accarezza i capelli, delicatamente, come se avesse paura di spezzarli.

E anche i suoi occhi sembrano sofferenti.

Cercate di dirmi qualcosa, ma non riesco a sentirvi.

Non riesco a distinguere quei suoni informi e gelatinosi che giungono alle mie orecchie.

Suoni vaghi, e lontani.

Concentrati dentro la mia testa, troppo confusi, per poter essere percepiti.

 

È vero, ora ricordo.

È da diversi giorni che sono all'ospedale. O forse è un mese?

Ho perso la cognizione del tempo.

 

Ormai non posso più muoverle, le gambe.

E anche le braccia mi hanno abbandonata.

La mia carne si sta trasformando, ed io non ho più forze.

 

Vorrei parlarti, Kaede.

Ma non ci riesco.

Non capisco se anche i muscoli delle mie labbra sono incapaci di reagire.

Oppure è lo smarrimento che mi sovrasta, ad impedirmi di muoverle.

Mi sento come in un limbo, uno stato di incertezza e confusione.

Come se fossi in un ambiente sconosciuto, e lontano.

Sospiro, lentamente, e decido di chiudere gli occhi.

 

E di pensare.

Intensamente.

Forse per la prima volta a me stessa.

Per la prima volta tutti i pensieri solo concentrati su di me.

 

E lo esprimo, un solo pensiero.

Un solo desiderio, per me.

 

 

'Voglio vivere.'