I personaggi non sono i miei purtroppo, ma del sommo maestro Inoue!!

Questa è la mia prima ff su Slam dunk, iniziata a febbraio 2007 e conclusa questo giugno 2007! che fatica!

La dedico alla mia carissima amica Quistis, che mi è sempre vicina in ogni momento^_^!

Buona letturaaaaa!!!



 


 

La vita che verrà

parte X

di Releuse

 

Ore 17, aeroporto di Kanagawa.

 

“Vediamo...l'aereo parte alle 19...e l'imbarco comincia alle 18. È ancora presto...che ne dici se ci sediamo a bere qualcosa, Sakuragi?”

“Va bene!”

 

Masahiro Rukawa sorrideva cordialmente anche se, nel suo atteggiamento fatto di continui sguardi smarriti rivolti all'ambiente che lo circondava, di respiri profondi e imbarazzati, si poteva chiaramente leggere la difficoltà con cui stava affrontando il rientro in Germania.

Difficoltà nel tornare a casa, nell'aprire quella porta e trovare sua moglie ad aspettarlo e i suoi bambini ad accoglierlo con entusiasmo.

Difficoltà nel tornare a far parte di quella tranquillità, della realtà quotidiana.

Difficoltà perché si sentiva comunque responsabile di Kaede e di Eriko, che riconosceva di abbandonare, nonostante tutto.

 

“Mi dispiace averti disturbato per accompagnarmi, Sakuragi...” Si scusò l'uomo non appena si sedettero in un locale dentro l'aeroporto.

 

Hanamichi lo guardò con il suo tipico sorriso pieno e convincente.

 

“Ma cosa dice? Nessun disturbo, ci mancherebbe! Mi dispiace solo che Kaede non sia venuto. Quel kitsune apatico! Lui e il suo orgoglio della malora!”

 

Scherzò il rossino per rompere il ghiaccio.

Non lo dava a vedere, ma era estremamente imbarazzato di trovarsi da solo con il padre di Rukawa.

 

“Non preoccuparti, conosco bene mio figlio e ho imparato ad accettarlo anche per questo...” Disse l'uomo con un velo di rassegnazione.

“ Invece in realtà desideravo parlare un po' con te, Sakuragi...non ne avevamo ancora avuto occasione...”

 

'Come pensavo...'

 

L'aveva capito, Hanamichi.

Non appena il signor Rukawa gli aveva chiesto se aveva voglia di accompagnarlo alla partenza, aveva capito che era per quel motivo.

Probabilmente anche Kaede aveva sospettato la cosa, tanto è che che prima che il rossino uscisse fuori di casa, gli aveva detto esplicitamente:

 

“Hn, do'hao, se non te la senti, non andare.”

 

Ma Hanamichi non aveva niente da nascondere. Qualsiasi cosa volesse dirgli il signor Masahiro, la cosa non lo scalfiva per nulla.

O almeno così cercava di dimostrare a Rukawa, e a se stesso.

Con un po' di celato disagio e una buona dose di timore, aveva comunque deciso di affrontarlo.

 

“Ah, capisco...” Si limitò a rispondere il rossino, aspettando che a parlare fosse proprio l'uomo.

 

Erano seduti a un tavolino posto vicino a delle ampie vetrate aldilà delle quali si poteva vedere un pezzo della realtà esterna, fatto di aerei che decollavano o  che cominciavano a partire.

Eppure non si udiva nessun rumore da dentro quel locale.

Nessun rombo frastornante o boato  d'aria.

 

Puro silenzio insonorizzato.

 

Nel guardare fuori sembrava di scorgere un mondo fittizio o di assistere ad un vecchio film muto, dove il senso era dato dai gesti e dai movimenti, e non dalle parole.

Per pochi istanti anche il locale sembrò venire assorbito all'interno di quell'atmosfera  priva di qualsiasi vibrazione sonora.

 

Non più chiacchiere fra i viaggiatori.

Non più la voce del cameriere che chiede l'ordinazione.

Non più rumori di valigie trascinate, né check-in in allarme.

 

Ancora e solamente silenzio.

 

“Sono stupito. Non mi aspettavo che Kaede avesse così tante persone che tengono a lui...e ad Eriko.”

 

Le parole di Masahiro Rukawa spezzarono quell'oblio di suoni, quella concentrazione di pensieri e sensazioni confuse.

 

E tutto nuovamente riprese a danzare.

 

“Si riferisce all'assalto della squadra, ieri?” Scherzò il rossino mentre si portava alle labbra una spremuta di arance.

“Sì. Erano tutti lì...per convincermi a non portare via Kaede ed Eriko. A lasciarli qui a Kanagawa. Perché si sarebbero presi cura di loro. E gli sarebbero stati vicino.”

 

L'uomo assunse un espressione serena, ma velata di malinconia. Quella in fin dei conti era stata la dimostrazione finale che i suoi figli non avevano bisogno di lui, che sapevano cavarsela da soli.

Ma alla fine ne era comunque felice.

Poiché non erano soli.

 

“Ah, ah, ah! Abbiamo una squadra un po' casinista, ma sono dei bravi ragazzi. C'è comunque il gorilla, em, Akagi, si ricorda? Lui sa sedare bene i problemi, Ayako che ci sprona, poi il sempai Kogure che media il tutto. Ma anche Mitchan e Ryochan sanno essere dei veri amici....e i miei compagni dell'armata...capisco che a primo impatto sembrano poco raccomandabili, ma mi creda, sono dei ragazzi davvero in gamba! Poi ha visto? Pure il nonno si è offerto di dar loro una mano...”

“Hn? Il nonno?” Chiese incuriosito l'uomo con un'espressione molto simile a quella del figlio.

“Ah, ah, ah! Il signor Anzai! L'allenatore dello Shohoku!”

 

Sakuragi parlava in maniera allegra, scherzosa,  agitando le mani com'era solito fare nelle sue esibizioni eclatanti. Aveva intuito i pensieri dell'uomo e cercava perciò di rendere il discorso il meno pesante possibile.

Ma, quando vide l'espressione del padre di Kaede un poco vaga ed insicura, si fece finalmente serio.

 

“Signor, Rukawa. Non si deve preoccupare. Davvero, mi creda. Kaede ed Eriko staranno bene.”

 

L'uomo alzò lo sguardo, osservò Sakuragi con dolcezza paterna e questi, impreparato a quella visione arrossì. Il signor Rukawa infine sorrise.

 

“Lo so. Perché ci sei tu al loro fianco.” Disse con aria fiduciosa.

“...come?”

 

Hanamichi si stupì, per quelle parole appena pronunciate, e non riuscì a dire più nulla.

La voce gli morì in gola.

 

“Vedi, Sakuragi. Io conosco Kaede, è vero, non vivo con lui da molto tempo. Ma lo conosco bene. Ho sempre saputo che sarebbe stato in grado di prendersi cura di Eriko, ma ciò che mi ha sempre preoccupato è il suo carattere, il suo orgoglio che gli impedisce di chiedere aiuto ed appoggiarsi agli altri. E questo mi preoccupava. Anche per Eriko stessa. Temevo che Kaede si sarebbe chiuso in un mondo suo, trascinandoci sua sorella, impedendo a chiunque di entrarvi. Limitando anche Eriko in questo...”

 

Hanamichi si sorprese, per quello che l'uomo stava dicendo. Nell'ascoltarlo venne invaso da una sensazione strana, un variegato di dolcezza e nostalgia.

 

'Le sue parole sono stramaledettamente vere...ricordo bene il primo periodo in cui ho cominciato a frequentare Kaede ed Eriko...il kitsune non faceva altro che barricarsi in casa, privando Eriko del mondo là fuori...Aveva paura degli altri e anche di se stesso. Ora invece...sembra tutto così lontano....Anche lui è cambiato.'

 

“Ma questo non è accaduto...grazie a te. Non è vero?” L'uomo sorrise, nuovamente.

“Che intende...?” Chiese incerto Sakuragi.

 

“Bè, l'allegria dei vostri compagni ieri, l'aria serena che, nonostante tutto, alberga in casa, il sorriso di Eriko...e a volte quello di Kaede...era la prima volta che respiravo un clima così. E per la prima volta...mi sono sentito davvero estraneo...”

“M...mi dispiace...”

“No...non devi scusarti. In sè...non è un male. Sono estraneo, è vero, ma questo perché finalmente Kaede ed Eriko hanno raggiunto il loro equilibrio e la loro serenità. Prima, quando tornavo qui, provavo una sensazione di angoscia, come se la condizione di Eriko assorbisse ogni spiraglio di vita dei due ragazzi e impedisse loro di guardare oltre. Ora invece è diverso. La malattia di mia figlia è solo uno sfondo dove in primo piano ci sono cose ben più importanti. La vita, soprattutto. Ecco, è come se Eriko e Kaede avessero iniziato a vivere. Ed io penso che sia merito tuo, Sakuragi. Ti ho osservato in questi giorni, sai? La tua allegria, la tua forza. Sono di sprono per i miei figli, vedo che con te sono spontanei e sereni. Anche Kaede. E questo è veramente meraviglioso. Dico bene?”

 

Hanamichi non sapeva cosa dire, il suo cuore aveva cominciato ad agitarsi, il suo sguardo a vagare intorno, incapace di reggere quello gentile dell'uomo seduto di fronte a lui..

 

“Non...non saprei...io...ho fatto solo quello che potevo...Pensi che all'inizio io e Kaede non facevamo altro che litigare e picchiarci. Non è stato un bell'approccio! E ...”

 

“Vuoi molto bene a Kaede, vero?”

 

Fu in quel momento che Sakuragi alzò lo sguardo, finalmente. E poiché capì cosa intendeva il signor Rukawa con quella domanda, sapeva anche quale sarebbe stata la sua risposta.

 

“Sì, più di qualsiasi altra cosa al mondo.”

 

E non lo negò. Anzi, ammise con decisione i suoi sentimenti.

 

“Lo immaginavo. Penso che anche per Kaede tu sia una persona importante...anzi, la più importante....”

“Ah...bè...comunque...voglio molto bene anche ad Eriko. Come una sorella.”

 

Ammise il rossino mentre le sue guance assumevano una sfumatura di porpora.

 

“Lo so, anche lei te ne vuole tanto. Si vede. Senti, Sakur...anzi, Hanamichi.” Il signor Rukawa posò il suo sguardo sul rossino, catturando totalmente la sua attenzione.

 

I suoi occhi ora facevano completo affidamento su di lui.

 

“Promettimi...che starai sempre vicino ai miei figli...”

 

Sakuragi rimase in silenzio, per pochi attimi. Doveva riflettere.

Ma non sui suoi sentimenti, quelli no, sapeva benissimo che non avrebbe mai abbandonato Eriko e Kaede.

Doveva soltanto cercare di calmare l'emozione che lo stava coinvolgendo, per la fiducia che il padre di Rukawa gli stava dimostrando.

 

Annuì, infine, incapace di esprimere alcun suono, poiché la voce gli tremava.

 

“...e poi...stai vicino a Kaede, quando Eriko non ci sarà più...avrà bisogno di te, più di quanto tu non immagini....”

 

Hanamichi respirò profondamente.

Appoggiò la schiena sulla sedia ed incrociò le braccia. Sembrò pensare qualcosa.

Poi sorrise.

 

“Lo so bene. E stia tranquillo. Non c'è bisogno di alcuna promessa. È una cosa che ho deciso ormai da tempo. E non tornerò indietro.”

 

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“Sono a casa!!”

 

Sakuragi si affacciò in soggiorno con voce squillante.

 

“Hanachaaan! Bentornato!” Gridò Eriko seduta sul divano, interrompendo la lettura di un libro di scuola.

“Papà è partito?” Chiese poi, distogliendo lo sguardo come per nascondere una comprensibile tristezza per la partenza del genitore.

 

Non si sarebbe mai abituata a quel distacco.

 

“Sì sì. L'aereo era in orario...”

 

Hanamichi si avvicinò e le posò un bacio sulla fronte comprendendo il suo stato d'animo. La ragazzina sorrise e ricambiò con uno schiocco sulla guancia del rossino.

 

“Hey kitsune, che fai? Prepari la cena?” Domandò Sakuragi entrato in cucina e notando il suo ragazzo affettare una cipolla.

“Hn,do'hao...cosa voleva mio padre?” Chiese Rukawa dimostrandosi noncurante e continuando a tagliuzzare.

 

Era nervoso.

 

“Mah...vediamo...mmmh, mi ha raccomandato di starvi vicino e prendermi cura di voi!” Esclamò con entusiasmo il ragazzo.

 

Kaede interruppe finalmente il suo lavoro.

 

“Lo immaginavo. I suoi patetici discorsi da uomo patetico...”

 

Sospirò.

Nell'udire quelle parole il suo corpo si rilassò, e sentì come se una sensazione abbandonata ormai da tempo in qualche parte del suo cuore e dei suoi ricordi si risvegliasse.

Si sentiva felice.

Perché suo padre aveva capito.

 

Forse da quel momento in poi anche il suo rapporto con lui sarebbe migliorato.

 

“Ah, Kaede...” Hanamichi si appoggiò coi gomiti sulla cucina, cercando lo sguardo del suo ragazzo.

“Hn?”

“Pensavo di tornare a casa...”

“Cosa?!” Kaede sbarrò gli occhi.

 

Lo guardò incredulo e visibilmente spaventato.

 

“Che hai capito? Volevo solo andare a prendermi il resto delle cose...in giornata, domani...dato che la scuola è chiusa per l'anniversario della fondazione...”

 

“Hn...do'hao...” Mugolò Rukawa ancora in agitazione per lo spavento.

 

'Che do'hao...me l'ha detto apposta in quel modo. Ne sono sicu...'

 

“Ci vieni?” Chiese improvvisamente Sakuragi facendosi serio.

 

Estremamente serio.

Non era una domanda qualsiasi. Rukawa se ne rese conto subito.

E non capì perché cominciava ad avvertire una sorta di difficoltà sciogliersi dentro il suo corpo, di fronte a quella richiesta.

 

Infine se ne rese conto.

 

Hanamichi c'era sempre stato.

Era sempre stato vicino a lui e ad Eriko. Lui lo aveva cercato, per far felice la sorella, il giorno del suo compleanno.

Lui l'aveva coinvolto nella loro vita, mettendolo a conoscenza delle loro difficoltà, dei loro problemi, dei loro viavai per gli ospedali.

Ed Hanamichi si era lasciato coinvolgere, trasmettendo a lui e sua sorella tutto il suo entusiasmo e amore per la vita.

Appoggiandoli senza chiedere mai nulla in cambio.

 

'Ed io invece...non so niente di lui....'

 

Kaede per la prima volta si vergognò di se stesso.

Per non avere mai chiesto. Per essersi disinteressato.

Per essere stato cieco, preso com'era dai suoi di problemi.

 

Ma sapeva che non era troppo tardi.

 

“Certo che ci vengo...a che ora usciamo?”

 

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Il nitido bagliore del sole e i suoni informi provenienti dalla strada si riversavano nella stanza, colando da quella finestra dal vetro estremamente fine.

Sottile a tal punto da scuotersi per una leggera folata di vento.

Troppo fragile.

 

Intanto l'aria inalata si scioglieva per le vie respiratorie, mescolandosi nella bocca e lasciando sulla lingua un consistente sapore di legno.

Legno dolce ed amaro allo stesso tempo.

Che proveniva dalle pareti.

Che proveniva dal pavimento.

Legno vissuto.

 

“È la tua stanza, do'hao?” Chiese Rukawa dopo un lungo silenzio.

 

Si guardava intorno, stranito. Un caleidoscopio di emozioni fatte di stupore e curiosità.

E forse un po' di esitazione.

Il ragazzo si sentiva come se stesse varcando qualcosa di proibito, di sconosciuto.

 

“Sì! È proprio la mia stanza!” Esclamò Hanamichi con l'entusiasmo di un bambino.

 

Sembrava davvero felice di essere lì. Nella sua casa.

Una casa molto piccola, è vero. Forse anche un po' antica, ma colma di ricordi e densa di sentimenti.

Uno zampillare di emozioni che era ancora vivo fra le sue mura.

E che si poteva avvertire. Pienamente.

 

 

Hanamichi tirò la tenda bianca su di un  lato, ed aprì la finestra.

Una folata di aria fresca permeò tutta la camera, usurpando in un istante quella sensazione opprimente di chiuso che aveva regnato indisturbata fino ad allora. Diffondendo un vibrante tintinnio.

Quello di un piccolo scacciaspiriti appeso al soffitto, composto da diversi delfini in vetro trasparente, dai più svariati colori che proiettavano mille scintille danzanti sul soffitto.

 

Ora si poteva vedere più nitidamente.

C'era una piccola scrivania di legno chiaro posta poco distante dalla finestra, sulla quale stava poggiata una lampada metallica un poco impolverata.

Sul lato destro appoggiato al muro, vi era il letto coperto da una trapunta arancione, dalle sfumature rossastre simili al colore del sole durante il tramonto.

 

Regalava una sensazione di calore.

 

Poi un piccolo armadio ed una libreria, anch'essi in legno, posti uno di fronte all'altro sui due lati della stanza.

Ed infine libri, fumetti, giocattoli dalla forma di camion e gru da lavoro. Qualche moto, un paio di peluches ed anche una palla da basket.

 

“Non guardare il disordine, kitsune...non l'ho sistemata prima di venire da te!” Esclamò imbarazzato Hanamichi notando anche qualche vestito sparso qua e là, residuo della sua fretta di preparare le valigie e trasferirsi da lui.

 

“Hn, tranquillo...Figurati...sai...sono felice che tu mi abbia portato qui...” Disse con aperta sincerità Rukawa.

“Eh, eh, eh. E io sono felice che tu sia venuto...”Rispose il rossino arrossendo lievemente.

 

Hanamichi camminava per la stanza, guardandosi intorno, prendendo fra le mani diversi oggetti, toccandoli, soffermandosi a pensare.

Come se mettesse a paragone il ricordo che aveva della stanza con quella che si presentava ai suoi occhi.

Come se qualcosa potesse essere cambiata.

 

“Io ho sempre vissuto qui. In questa casa. E questa è sempre stata la mia stanza.”

 

Il ragazzo aveva appena preso in mano un piccolo peluches raffigurante una scimmia e, nel guardarlo, sorrise fra sè.

 

“...La mia stanza è sempre stato il mio rifugio. Dopo una giornata stancante a scuola, od una rissa con gli amici, o un rifiuto di qualche ragazza. Mi chiudevo qui dentro. E non volevo uscire, neanche per mangiare, o per vedere Yohei e gli altri. Questo era il mio regno. E non volevo che nessuno lo varcasse quando mi ci rifugiavo. Per pensare, per arrabbiarmi. E qualche volta mi sono messo pure a piangere! Ah, ah, ah! Sapessi quanto mi disperavo ogni volta che una ragazza mi rifiutava!”

 

Scherzò il ragazzo voltandosi verso Rukawa con un ampio sorriso.

 

“Hn, immagino...Eri un do'hao già da allora!” Rispose Rukawa sedendosi sul letto, come per avere una posizione idonea per scrutare tutta la stanza.

 

“Baka! Io ero un tensai già da allora!”

Kaede spostò lo sguardo sul comodino, notando tre piccoli portafoto. I due sui lati raffiguravano Hanamichi all'asilo ed alle elementari

Quella al centro vedeva invece un uomo ed una donna che lo tenevano in braccio quando era ancora in fasce.

 

“Avevi un'espressione da piccolo teppista già da allora vedo!” Scherzò Kaede nel notare in una delle foto il viso arrabbiato del rossino mentre stringeva i pugni.

 

Sakuragi si avvicinò per guardarle meglio.

 

“Ah, ah, ah! Lì avevo appena ottenuto una bella sculacciata da mio padre, perché avevo preso a testate un bambino che non voleva prestarmi i suoi giochi...”

“Ah! Eri un danno già da allora!”

“Ma no! Ero tenerissimo, non vedi?”

 

“...hn...sono i tuoi genitori?” Chiese finalmente Kaede nell'indicare la foto al centro.

 

Hanamichi lo guardò, leggendo negli occhi del suo ragazzo un certo disagio.

Capì allora che Rukawa si trovava in difficoltà nell'affrontare quel discorso.

Gli sorrise, per rincuorarlo.

 

Prese la foto in mano e si sedette di fianco a lui, sul letto.

 

“Sì. Sono loro. Papà e mamma. Erano due persone molto gentili. E molto testarde! Litigavano spesso ricordo.  Avevano lo stesso carattere e quindi nessuno dei due dava la vittoria all'altro, ne uscivano delle catastrofi! Mamma in quei momenti ne cantava di tutti i colori a mio padre. Gli tirava fuori i nomi di tutto il parentado, cosa gli avevano detto i suoi genitori o fatto i suoi fratelli. Era tremenda! Allora mio padre rincarava la dose accusandola che sua madre non l'aveva mai accettato e che lei non si era mai ribellata a ciò. Ah, ah, ah! Erano incredibili. Eppure nei momenti difficili si sostenevano l'un l'altro. Si facevano forza a vicenda dandosi coraggio. E guai se qualcuno parlava o faceva qualcosa contro uno dei due. Si infuriavano da morire. Fra loro potevano dirsene e farsene di tutti i colori, ma guai agli altri. Si difendevano fra loro a spada tratta. In fondo si volevano davvero bene...Erano molto uniti...quasi in simbiosi.”

 

Hanamichi parlava, parlava, parlava.

Con dolcezza, ed un po' di malinconia.

Ormai la sua voce si amalgamava con l'intera stanza. Dalle sue parole sembravano materializzarsi le persone, gli avvenimenti, le emozioni.

Come se tutto fosse lì presente.

Vivo e palpabile.

 

E Rukawa ascoltava, catturato dall'intensità che dimostrava il suo ragazzo nel raccontargli quelle esperienze.

 

“...forse è per questo che mio padre non si riprese più dopo la morte della mamma.”

 

“...che...intendi?” Azzardò Rukawa voltandosi per guardare Hanamichi negli occhi.

 

Si trovava in difficoltà, è vero, ma non poteva dimenticare come il ragazzo l'avesse ascoltato e sostenuto in tutto quel periodo. Soprattutto nel rapporto con suo padre.

 

'Ora tocca a me...'

 

“Bè...mamma è morta quando avevo 10 anni...un incidente, uno di quegli stupidi incidenti che ti tolgono la vita in una frazione di secondo. E tu non te ne accorgi neppure. Aveva chiesto un passaggio ad un'amica mentre rientrava dal lavoro. La macchina ha sbandato, non so perchè. La sua amica si è salvata...è stato terribile. Triste...angosciante....”

 

Hanamichi stringeva la foto con forza, i ricordi avevano iniziato a dilagare prepotenti nella sua mente. Ma la sua voce continuava ad essere calma. Pacata.

Priva di rabbia.

Forse perché cercava di considerare quei ricordi qualcosa di lontano.

Oppure perché la sua rabbia ormai si era esaurita.

 

“...mio padre da allora non si è più ripreso. Ed ha cominciato a bere. E ad isolarsi. Non usciva più, non parlava quasi mai. Malapena mangiava. E iniziò a fumare, tantissimo. Le poche volte che usciva tornava a casa ubriaco fradicio. Ma al contrario di quello che ti verrebbe da pensare...non mi toccava. Mai. Né per sgridarmi, né per dimostrarmi affetto. Era come se non esistessi. Di tanto in tanto tornava in sè, e mi chiedeva come andava a scuola o con gli amici...ma non era più come prima. Ne combinavo talmente tante per attirare la sua attenzione...cosa avrei dato per una sonora sculacciata. Invece nulla...”

 

“Hana...” Kaede gli prese la mano e la strinse alla sua.

 

Voleva fargli sentire si essere lì, con lui, vivo e partecipe della sua vita.

Presente.

Perché ora capiva quanto Hanamichi aveva sofferto.

Sofferto di non essere più nessuno. Più di nessuno.

Capiva il perché dei suoi modi di fare eclatanti ed esuberanti. Capiva la sua sfacciataggine e il suo coraggio.

Lottava per non essere più ignorato.

 

Perché non c'è cosa più terribile di essere trasparenti.

 

“...ed alla fine è morto...stroncato da un infarto. Non ho potuto aiutarlo neppure alla fine. Poiché un gruppo di teppisti mi ha serrato la strada quando stavo andando a chiedere aiuto...sono stato trasparente...fino alla fine...”

 

“Hey, ma tu non hai nessuna colpa!” Rukawa scattò non appena udì le ultime parole del ragazzo.

“...lo so... o almeno ci sono arrivato...col tempo. Mi sono fatto forza. Cercando di uscire dai sensi di colpa che mi dilaniavano. È stata dura. Ma ce l'ho fatta. In questo devo anche ringraziare Yohei e gli altri ragazzi...mi sono stati molto vicino...e anche alle scazzottate che davo per scaricarmi!” Sorrise fra sé il ragazzo facendo un profondo respiro.

 

'Hana...ecco perché hai avuto così tanta forza nell'affrontare con me la malattia di Eriko...probabilmente...volevi anche sentirti utile e visibile per qualcuno...e chissà quanto hai dovuto lottare contro te stesso...per non deludere me, e non deludere te stesso.'

 

“...sei davvero forte Hana...”

 

Rukawa si sporse un poco verso di lui, per unire le sue labbra a quelle di Sakuragi, in un bacio dolce e casto.

Infine rimase così, con la fronte che premeva verso quella del suo ragazzo, prendendogli il viso fra le mani.

Pronunciando parole a fior di labbra.

 

“Io ho sempre pensato a me, Hanamichi...”

“No, Kae, che dici...c'era Eriko e...”

“Ssst....” Lo interruppe Rukawa. Poi continuò.

 

“...non te l'ho mai detto. Ma vorrei dirtelo ora. Anche se potrebbe sembrarti assurdo, dopo tutto quello che hai fatto per me e per mia sorella. Io vorrei che anche tu...ti appoggiassi a me. Come io ho fatto con te. Ho preso la tua forza, tu ce l'hai data senza chiedere nulla in cambio. Ricordi quello che mi dicesti quando ti trasferisti a casa? 'Perchè ho capito che ho una forza dentro di me, che non posso usare solo per me stesso. Che la devo  donare e condividere con qualcuno'...Me lo dicesti quando aprì la porta quel giorno. Era una battuta. Eppure era la verità. Ora vorrei che le cose le condividessimo insieme. Non devi mettere me prima dei tuoi bisogni. Quando c'è qualcosa che non va, quando hai bisogno...voglio che tu prima di tutti...pensi a me. Io per te ci sarò sempre...”

 

Hanamichi abbracciò forte Kaede in quel momento, tuffando il suo viso fra i suoi morbidi capelli neri.

 

“Hey...kitsune! Sei troppo dolce oggi o mi sbaglio?” Scherzò.

“Hn, do'hao. Non abituarti troppo...”

 

“Grazie Kaede...grazie davvero...”

 

Sussurrò Sakuragi sul collo del ragazzo.

Un sussurro.

Un soffio. Ed infine un bacio.

 

Uno, due, tre baci che cominciavano a percorrere il collo di Rukawa, accarezzandone l'orecchio, cominciando a morderne il contorno, mentre le sue mani vagavano sulla schiena del ragazzo.

Sulle sue braccia. Sul suo petto.

Rukawa gettò silenzioso la testa all'indietro, per offrirsi completamente al suo amante, mentre le vene sul suo collo cominciavano a pulsare vistosamente. E le sue mani affondavano nei capelli rossi di Hanamichi che continuava a frizionare la sua lingua sul quella pelle candida.

 

Sakuragi allungò le braccia ed afferrò i polsi di Kaede, per poi intrecciare le dita con le sue e spingerlo così sul letto, distendendosi sopra di lui.

Continuava a baciarlo per il collo, finché raggiunse la sua bocca, impadronendosene con passione, tenendolo ancora fermo con le mani, intraprendendo un movimento oscillatorio sul suo bacino.

Strappandogli gemiti soffocati. Respiri sempre più veloci.

 

Quante volte aveva pensato a lui, dentro quella stanza.

 

“Hana...” Spasimò Kaede.

 

Aveva i sensi annebbiati per l'intensità con cui Hanamichi stava conducendo il gioco.

 

Il rossino staccò finalmente le mani dalle sue e, sedendosi sopra il bacino di Rukawa, gli sfilò la maglietta, facendo lo stesso con la propria, l'istante successivo.

Nel vedere il ragazzo sopra di lui, Kaede si diede una spinta per portarsi di fronte al suo petto, che prese a baciare avidamente. Afferrandone i capezzoli fra le dita, bagnandoli con la punta della sua lingua.

 

“Ah..Kaede...”

 

Ansimava, Sakuragi. Ed intanto accarezzava la schiena del ragazzo, abbassando le mani fino all'orlo dei jeans, oltrepassandoli, infilandosi prepotentemente dentro i suoi boxer per sentire quella pelle stretta fra le sue dita. Cercandone infine la fessura.

Ed inoltrandosi in essa.

 

Kaede a quel contatto inarcò il suo corpo, ed affondò i denti sulla spalla del suo ragazzo, nel tentativo di trattenere quei gemiti che ormai si impossessavano di lui.

Lasciandosi andare a quella danza sensuale portò la mano all'altezza dell'inguine di Sakuragi. E prese a toccarlo. In maniera gentile, inizialmente. Poi aumentando il ritmo, il movimento, la presa.

Hanamichi stordito dal crescente desiderio, cercò nuovamente la sua bocca, catturandone la lingua, mescolando i sapori fra le loro labbra.

 

E i respiri si facevano sempre più affannati.

 

Solo allora Kaede si fece strada fra i suoi pantaloni, con irruenza improvvisa, afferrando il membro del ragazzo, stringendolo con decisione. Lasciandolo scivolare più volte nella sua mano.

 

La passione aumentava.

Chiedeva di più.

Si amplificava nell'aria, e gridava.

 

Improvvisamente Sakuragi distese ancora una volta Rukawa sotto di sè, e subito lo aiutò a sbottonare i jeans, ed a sfilarli.

Ed ancora una volta fece lo stesso con se stesso, togliendosi gli ultimi vestiti e facendoli scivolare sulle sue gambe.

Erano ormai nudi, entrambi.

Con la pelle bollente e il sudore che cominciava a sfiorarla, scendendo goccia a goccia per tutto il corpo.

 

Ed erano entrambi accaldati, desiderosi l'uno dell'altro.

 

Sakuragi si distese sul fianco di Rukawa, poggiandogli una mano sulla spalla.

 

“Voltati...” Gli sussurrò.

 

Kaede si voltò, per dargli le spalle ed improvvisamente sentì le braccia di Hanamichi stringerlo verso di sè.

Poteva sentire il petto del rossino premere contro la sua schiena, e i battiti del suo cuore ritmare con i propri.

Per qualche istante ci fu quell'abbraccio.

Dolce e travolgente.

 

Poi la mano del rossino scese verso il bacino di Kaede e ne afferrò il membro, cominciando a muoverlo intensamente, mentre le labbra baciavano la pelle delle sue spalle, e la sua gamba si intrecciava con quella del suo amante.

Kaede gemeva, ansimava, spingeva la schiena contro Hanamichi, ne aveva afferrato la gamba con la mano, cercando un maggiore contatto, chiedendogli di più.

Sakuragi azzerò la distanza fra loro e, con una spinta decisa penetrò Rukawa, che a quell'unione liberò un gemito strozzato, mentre brividi di piacere coinvolgevano la sua carne e quella del rossino.

Quest'ultimo riprese a muoversi, dentro il corpo del ragazzo, affondando con decisione, e con passione.

 

L'aria intanto era satura dei loro respiri affannati.

 

Ancora un movimento, un'oscillazione.

La pelle che si irrigidisce per pochi secondi.

E Sakuragi si riversò dentro il corpo di Rukawa, coinvolgendolo in quel piacere soffocante.

 

E il letto continuava a tremare, impregnato di sudore.

Quel letto dove più volte Sakuragi si era sdraiato. Per dormire, per riposare...per pensare alla sua vita.

Ai suoi genitori.

Ad Eriko.

E a Kaede.

 

Dopo alcuni istanti Hanamichi abbracciò Rukawa, cingendo il suo petto con il braccio.

Socchiuse gli occhi, mentre i loro respiri tornavano regolari.

Rukawa poggiava così le sue mani sul braccio del ragazzo, abbassando il viso per baciarne la pelle accaldata.

 

 

Nella stanza intanto era calato un velo d'ombra. Forse il cielo si stava annuvolando.

O il sole si era ormai spostato più a ovest.

Segno che la giornata avanzava.

Segno che il tempo continuava il suo corso.

Assecondandolo. Con prepotenza.

 

 

“Hana...”

 

Erano passati diversi minuti, ed ora Kaede si voltava per guardare negli occhi il suo ragazzo.

 

“Dimmi...” Gli sorrise Sakuragi.

 

“Tu credi...”Cominciò, rivolgendo il suo sguardo ancora un poco annebbiato verso il soffitto.

“...tu credi che prima o poi il ricordo di Eriko si affievolirà? Io temo il momento in cui lei non sarà più con noi...eppure, sai...A volte ho paura...paura di dimenticare...dimenticare il suo viso, il mio affetto per lei...forse sto solo dicendo una scemenza.”

“Come mai questo pensiero?” Chiese Hanamichi cercando di concentrare l'attenzione su di lui per capire il significato di quelle parole.

“Non so. A volte me lo chiedo. Perché qualcosa del genere mi succede col ricordo di mia madre. Dimentico il suo viso. E quello che provavo per lei. Allora temo...nh, non so.”

“Credo di capire quello che mi stai dicendo, sai? Ma credo dipenda dal rapporto che avevi con vostra madre. Quel senso di abbandono che avete sperimentato, un po' simile al mio...Sei tu dentro di te che cerchi di dimenticarla. Ma non credo dimenticherai mai tua madre, nonostante tutto. Come non dimenticherai mai Eriko. In fondo...i ricordi sono come delle fotografie. Possono sbiadire, è vero. Ma rimangono. Ed ogni volta che le guardi, anche se l'immagine non è nitida, le sensazioni tornano alla mente e ti scuotono il cuore...”

 

Rukawa ascoltava, in silenzio, con gli occhi socchiusi.

Soffermandosi a pensare.

Concentrando sensazioni e ricordi nella sua mente.

 

“Hai ragione...” Disse, schiudendo le palpebre.

“Eh, eh, eh, il tensai ha sempre ragione!” Scherzò il rossino.

“Hn. Finito il liceo mi sa che dovresti studiare psicologia. Ti ci vedo bene!” Esclamò Rukawa poggiandosi su un gomito e fissando il ragazzo.

“Può darsi...magari in qualche università americana dove faremo carriera con il basket.”

“Hn. L'America...era sempre stato il mio sogno...”

“...era? Perchè, non lo è più?” Domandò serio Hanamichi.

“no, cioè..sì...non riesco a pensarci, ora. Mi sembra...”

“Di fare un torto ad Eriko?”

 

Silenzio, per brevi istanti.

Poi Rukawa annuì.

 

“Mh, e poi sarei io il do'hao, eh? Baka kitsune!” Esclamò Sakuragi spettinando i capelli di Rukawa.

“Kae...la vita va avanti...andrà avanti...cavolo...deve andare avanti! Io...so che non sarà facile. Ma ti prometto che ti starò vicino. Che ti farò forza...Anche tu hai i tuoi sogni e desideri. Non devi abbandonarli. Lei non lo vorrebbe, credimi. Con Eriko...non devi morire anche tu...”

 

Non devi morire anche tu.

 

“Hn. Hai ragione...non so...ho troppa confusione in testa ultimamente. E mi assalgono mille pensieri. Perché ho paura, Hana. Il tempo che passa...Ho paura di quando Eriko non ci sarà più...”

 

Rukawa stringeva i pugni ed aveva cominciato a tremare, un leggero tremore che si propagava nel suo corpo.

E poi l'abbraccio, di Sakuragi.

 

“Ho paura anche io, Kaede...” Sussurrò il rossino, confessando quelle parole per la prima volta.

 

 Era vero. Aveva paura anche lui.

 

“Ma Eriko..ce l'ha insegnato...” Sorrise con dolcezza Sakuragi.

“Lei è una ragazzina speciale. Solare, divertente. Forte. Più forte di noi due messi assieme. Lei ha la malattia. Eppure cerca di vivere pienamente fino all'ultimo, senza abbandonarsi alla disperazione. Vivendo con gioia ogni istante. Liberando con spontaneità ogni sentimento, dimostrandoci il suo affetto senza indugi. Quasi volesse farci sentire che ci è vicina. Come se fosse lei, a prendersi cura di noi...”

 

Kaede si avvicinò a Sakuragi, cercando il calore del suo abbraccio.

Voleva proteggersi da un improvviso ed opprimente senso di vuoto.

 

“Questa è una grande lezione di vita, Kaede.”

 

Rukawa si strinse sempre di più al suo ragazzo, che lo abbracciò dolcemente.

Finalmente sentiva  il vuoto colmarsi, attraverso qualcosa che nutriva copiosamente il suo corpo.

E che si faceva sentire prepotentemente.

Era il sangue che scorreva nelle vene.

 

Sakuragi gli ricordava di essere vivo.

 

Non avrebbe più potuto fare a meno di lui. Questo lo capì in quel momento, dentro quella piccola stanza.

Fra l'odore del legno.

E il tepore dell'aria.

 

O forse l'aveva già capito, il giorno in cui gli chiese di conoscere Eriko.

Quel giorno, al suo compleanno.

 

 

“Sai, Kaede...” Disse d'un tratto Hanamichi, mentre accarezzava la schiena del ragazzo, guardandolo negli occhi.

 

“Hn?”

“Ricordo che mia madre cantava sempre una canzone...in una lingua straniera. Una canzone imparata in uno dei suoi viaggi in occidente. Era una splendida canzone. Avevo imparato sia l'originale che la traduzione...Aveva delle splendide parole. E c'è una frase che mi colpiva molto...e che ora mi torna in mente...”

“Che frase era?”

 

“...Mh, qualcosa tipo...”

 

 

Sopra le strade della tristezza nascono i fiori della speranza

 

 

 

 

 

 

 

La canzone citata è 'Amargura'(amarezza) di Elena Ledda, brano che adoro e che nell'ascoltarlo mi ha fatto pensare a questa ff!