I personaggi non sono i miei purtroppo, ma del sommo maestro Inoue!!

Questa è la mia prima ff su Slam dunk, iniziata a febbraio 2007 e conclusa questo giugno 2007! che fatica!

La dedico alla mia carissima amica Quistis, che mi è sempre vicina in ogni momento^_^!

Buona letturaaaaa!!!



 


 

La vita che verrà

parte IX

di Releuse

 

Nella stanza di Rukawa era calata l'ombra.

Gli oggetti, ormai indistinti, si confondevano dentro quelle tenebre capaci di inghiottire qualsiasi cosa, serpeggiando negli anfratti più nascosti, dal più piccolo atomo di un pezzo di carta, all'ultima cellula vivente di quel corpo seduto sul ciglio del letto.

 

Il corpo di Kaede.

 

Un corpo immobile, inerte, simile ad un fantoccio ormai inutilizzabile, gettato in un angolo con l'improbabile speranza che scompaia in qualche modo, o che qualcuno si ricordi di gettarlo via, prima che marcisca.

Appunto perché inutile.

Scomodo e fastidioso.

 

 

Non era completamente buio.

Sul comodino posto a fianco del letto c'era una piccola abat jour accesa, che cercava di ribellarsi a quell'ostile oscurità attraverso la sua debole luce, con sfacciataggine, dimostrando a se stessa che poteva essere forte.

E il suo bagliore, seppur fragile e fioco, riusciva a propagarsi, a raggiungere lo specchio sulla parete, riflettendosi in esso.

Sembrava si muovesse, come una fiaccola che barcolla nel buio, sostenuta da una invisibile mano tremolante, mentre sotto quella luce le ombre deformate degli oggetti si arrampicavano sulle pareti disegnando sagome amorfe, amalgamate dentro uno scenario lugubre.

 

Grazie a quel riflesso, lo specchio diventava l'oggetto più evidente all'interno della camera, i suoi contorni erano gli unici definiti, gli unici così prepotentemente evidenti che sembravano chiamare con  voce sottile...

 

Kaede, guardati.

 

Ed invece Kaede era incapace di alzare gli occhi e specchiarsi. Non l'avrebbe sopportato.

E questo non perché provasse disgusto per la sua immagine. Si conosceva benissimo, lui. Si era guardato infinite volte dentro quello specchio.

Ed infinite volte si era odiato.

Commiserato.

A volte amato.

 

No, non temeva se stesso dentro lo specchio. Temeva lei.

Perché se in quel momento avesse alzato gli occhi...avrebbe visto i suoi. Quelli di Eriko.

Gli stessi di pochi minuti prima, quando, dopo che suo padre, muto e spaesato, aveva lasciato la casa,  lui era andato nella stanza della sorella.

Barcollante, con una sensazione di nausea e ribrezzo che mangiucchiavano a poco a poco il suo essere, anima e carne.

Nausea e ribrezzo, per se stesso.

 

Ed Eriko lo guardò, eccome se lo guardò. Spaventata, e sconvolta.

Nel vedere il fratello sulla porta la ragazzina cominciò a piangere e ad agitarsi, gridando di andarsene, con tutto il fiato che poteva avere in gola, esprimendo la sua sofferenza per il senso di abbandono a cui lui l'aveva esposta.

 

Non sapeva più cosa fare Rukawa, immobile sulla porta sentì il suo cuore frantumarsi e le schegge conficcarsi violentemente dentro di lui, mentre sentimenti di indescrivibile dolore annullavano tutte le sue residue forze, gli ultimi sprazzi di ragione.

Voleva avvicinarsi, gridare e disperarsi, abbracciare la sorella, e maledirsi con prepotenza per il suo comportamento.

Ma Sakuragi lo bloccò. Il rossino, seduto a fianco di Eriko gli fece cenno di non avvicinarsi, di uscire.

 

“Non è il momento”, sembrava dire con lo sguardo.

 

Hanamichi che poco prima lo aveva sgridato e guardato con rabbia, e disprezzo.

Come lo stava guardando ora? Possibile che Rukawa avesse letto nei suoi occhi un barlume d'amara comprensione? O forse si trattava di rassegnazione?

 

Infine uscì dalla stanza della sorella. Con lo sguardo di lei impresso nelle sue meningi.

Uno sguardo che non aveva mai visto rivolto su di lui.

Uno sguardo che lo turbava. Sguardo di chi si sente tradito.

E che non voleva ritrovare dentro quello specchio.

 

 

“...ede...”

 

Sembrava che  l'aria bisbigliasse. O forse era solo il ticchettio dell'orologio.

 

“Kaede...”

 

No, era davvero la voce di Hanamichi, appena entrato dentro la stanza.

Rukawa alzò lo sguardo, finalmente, per rivolgerlo al suo ragazzo che stava fermo sulla porta in attesa di una risposta.

Lo guardò, con stupore. Come se non capisse il perché Hanamichi si trovasse lì in quel momento, chiedendosi come avesse fatto a raggiungere la dimensione in cui si era rifugiato.

 

“Hana...”

Una voce debole, quella di Kaede.

E straziante.

I suoi denti battevano tremanti, sotto gli impulsi dei nervi che avevano cominciato a scuoterli, diffondendo quel tremore per tutto il suo corpo.

 

“Kaede, hey!” , Hanamichi si avvicinò a lui, guardandolo.

 

Era amara comprensione.

 

“Cerca di calmarti...” Gli sussurrò Sakuragi, sedendosi a fianco a lui.

 

Si era arrabbiato Hanamichi, poco prima. Avrebbe voluto prendere a pugni Rukawa, per il suo comportamento che aveva ritenuto meschino e riprovevole. Eppure non sapeva neanche lui come, ma non voleva arrabbiarsi con lui. Aveva fatto uno sforzo dentro di sè, per comprendere quel circolo perverso, amaro, oscuro, che legava il suo ragazzo ad Eriko, e al loro padre. Voleva capire il Perché di tutto quel fiele vomitato con rabbia.

 

'Kaede non è solo quello che ho visto prima. Lui è il ragazzo che si prende cura di Eriko, che la protegge, anche con eccessiva premura, che le sorride. Non è, o non è solo, quel viso che ho visto prima. Non posso soffermarmi su quello, devo cercare di capire. Anzi, devo aiutarlo a capire...'

 

E aveva capito, nonostante tutto.

 

 

Invece aveva avuto paura Kaede, mentre Sakuragi lo abbracciava . Paura che lui lo lasciasse solo, che non avrebbe mai aperto quella porta.

E si odiò, anche per questo.

E per il male che aveva fatto ad Eriko, per averla utilizzata come un oggetto per ferire il loro padre, dimenticandosi di lei.

 

'L'ho lasciata a terra, come se fosse un cadavere riverso di cui non m'importava nulla...e lei...mi ha visto. L'ha subito...come ho potuto fare una cosa del genere? Non merito alcuna comprensione, sono solo un vigliacco. Uno schifoso traditore. Non merito nulla...'

 

Improvvisamente la presa di Kaede su Hanamichi si fece più forte; il ragazzo afferrò le spalle del rossino stringendole con le dita, cercando aggressivamente la sua bocca, la sua lingua, perdendosi nel contatto con esse non appena le invase.

 

“Kae, cosa...” Sakuragi non riuscì a parlare.

 

Sentì la mano di Rukawa infilarsi furtiva dentro i suoi pantaloni, afferrare con decisione il suo membro e cominciare a muoverlo intensamente, velocemente, regalandogli improvvise e sconosciute scariche elettriche dense di piacere.

Poi la bocca di Kaede continuava a cercarlo avidamente, ambendo al suo collo, al petto ormai denudato dal suo amante.

Gemiti sempre più consistenti si facevano strada nelle labbra dei due ragazzi, mentre l'aria della stanza cominciava a sudare, come i loro corpi, sempre più caldi.

 

Non capiva, Sakuragi.

Disteso sul letto, assecondava i movimenti di Rukawa sopra di lui, che intanto si era spogliato completamente mostrando il suo corpo  quasi con orgoglio, mentre si distendeva su quello del rossino, cominciando a muoversi impaziente, strusciando il suo ventre contro quello del compagno, continuando a baciarlo con foga.

 

Evitava il suo sguardo, Rukawa.

E si lasciava trascinare da una passione mai avuta fino a quel momento.

Passione sì, ma mai così aggressiva.

Sakuragi cercava di capire, ma quando Kaede gli sfilò i boxer, ultimi indumenti fastidiosi sul suo corpo, prendendo in bocca il suo sesso, perse l'ultimo contatto con  la sua ragione e si abbandonò a quel piacere che stava riducendo in cenere la sua volontà.

 

All'improvviso Rukawa si staccò, avventandosi sulla sua bocca, leccando le sue calde labbra, coricandosi sopra di lui, scivolando sotto il suo corpo.

E lo guardò questa volta.

Uno sguardo fisso, e determinato, come quando si concentra per fare un canestro in campo.

Sapendo bene che ci riuscirà.

 

“Prendimi...” Dicevano quegli occhi.

 

“Prendimi...” Dissero  le sue labbra.

 

E le sue gambe cinsero la schiena di Sakuragi, chiedendo al suo corpo di entrare in lui. Il rossino fece scendere la sua mano fra le natiche del suo ragazzo, cercandone la fessura e prepararlo alla violazione del suo corpo.

 

“No!”

 

La voce di Rukawa echeggiò nella stanza come un rombo metallico, mentre la sua mano bloccava quella del rossino. Intanto i suoi occhi blu si imprimevano dentro quelle iridi dorate.

 

Sakuragi ritrasse la mano, non capendo, guardando confuso il ragazzo, mentre si allontanava da lui...senza riuscirci.

Le gambe di Kaede si strinsero ancora di più sulla sua schiena, incatenandolo con possesso.

 

“Ho detto prendimi. Subito.”

 

Deciso. Imperturbabile.

Con occhi di ghiaccio.

Privi di sentimento. Inanimati.

 

Sakuragi rimase prigioniero di quello sguardo magnetico, poiché Kaede era riuscito ad offuscare tutti i suoi sensi. Ad ipnotizzarlo.

 

“Prendimi, Sakuragi...”

 

Di nuovo le sue parole, come un ordine perverso, che lo incitavano, insieme alle gambe che premevano sulla sua schiena.

Non fu in grado di capire come successe, ma improvvisamente, con un movimento deciso e violento, Hanamichi entrò nel corpo di Rukawa.

 

Squarciandolo.

Dandogli la giusta condanna.

Aiutandolo ad espiare il suo peccato.

 

Era così Kaede Rukawa. O tutto, o niente.

E il suo errore doveva pagarlo.

 

“AAAHHH!”

 

Fu il grido tagliente e lacerante di Rukawa a far tornare improvvisamente in sé il rossino, a fare in modo che i suoi occhi mettessero a fuoco lo spettacolo che si presentava di fronte a loro.

 

“O...oddio, Rukawa, no!”

 

Sakuragi cercò di allontanarsi dal corpo del ragazzo, ma questi glielo impedì, bloccandolo dentro di sè, facendo leva con le sue gambe avvinghiate su di lui.

Stringeva i denti, Rukawa, e si mordeva il labbro, ed affondava la sua presa sulle spalle di Hanamichi.

 

“Devi continuare! Spingi!” Gridava il moro.

“No, basta, Kaede, smettila!” Sakuragi si dimenava nel tentativo di staccarsi da lui.

“NOOO!!” Kaede lo tratteneva con disperazione, mentre la rabbia non faceva altro che amplificare la sua forza, la sua presa.

 

“Devi spingere, devi spingere di più! Ti prego!!”

 

Le grida e le lacrime di Rukawa cominciarono a mescolarsi fra loro, mentre un respiro sempre più prepotente e affannato si impadroniva di lui.

 

Hanamichi di fronte a quella scena capì il cuore sofferente del suo ragazzo, e si sentì terribilmente stupido, ed incapace.

 

'Vuole punirsi...sta cercando...vuole farsi del male...'

 

“Basta, Kaede...” Sussurrò con dolcezza.

 

Invano.

 

“NOOO!” Kaede si agitava sempre di più sotto di lui, soffocando fra i singhiozzi.

 

Muovendosi convulsamente.

 

“Basta...smettila, Kaede!”

 

Il rossino, spaventato,  cercava di catturare il suo sguardo, poggiandogli una mano sulla guancia, ma Rukawa sembrava in preda al delirio.

 

“Fallo, Sakuragi, ti prego!!”

 

“No...no...BASTA!”

 

Urlò Sakuragi riuscendo a bloccare con entrambe le mani il viso di Kaede sotto di lui e costringendolo a guardarlo negli occhi.

 

“Guardami, Kaede...”

 

Le parole delicate di Hanamichi cercavano una fessura dentro il cuore disperato di Kaede.

 

Di fronte a quello sguardo limpido, carico di comprensione e preoccupazione, e al contatto con quelle mani, calde ed accoglienti, il corpo di Rukawa cominciò a rilassarsi.

I nervi si allentarono, e i battiti del cuore diminuirono, fino a diventare normali, permettendo di accogliere la sensazione di tepore trasmessa dal rossino.

 

Le sue pupille iniziarono a muoversi, riacquistando vita, riuscendo finalmente a connettere quell'immagine di Hanamichi con il suo cuore, e la sua mente.

 

“Hana...io...”  Cercò di parlare, tremando ancora.

“Ssst...” Fece Sakuragi cercando le sue labbra per sfiorarle con un lieve bacio.

 

“Gn” Un lamento uscì dalla gola del ragazzo moro, mentre sentiva che il rossino abbandonava lentamente il suo corpo.

 

“Perchè?”

 

Chiese Hanamichi accarezzandogli il viso.

Non è che non ne avesse capito il motivo.

Ma sapeva che era giunto il momento per il suo ragazzo di affrontare la questione.

Le sue paure. E i suoi fantasmi.

 

Kaede era disteso, supino, mentre Sakuragi, poggiato su un lato, lo osservava in silenzio, aspettando la sua risposta. Regalandogli tutto il tempo di cui avesse bisogno.

Deglutì, Rukawa, continuando a guardare il soffitto, concentrandosi sull'ombra del lampadario che si allargava e stringeva in un movimento costante, seguendo l'oscillazione dell'oggetto, sospinto da una folata d'aria che filtrava dalla finestra.

 

“Io...”

 

Aveva difficoltà a parlare, Kaede. Senza voltarsi cercò la mano di Hanamichi, e la strinse con forza, come se cercasse un appiglio sicuro dentro quella realtà inquieta ed incerta.

 

“...ho usato mia sorella, per fare del male a mio padre.”

 

Aveva bisogno di dirlo, di ammetterlo a se stesso e a qualcun altro. Come una confessione. E per avere una testimonianza.

 

“Lo so, Kitsune. Ma perchè...lo hai fatto?”

 

Le parole che Hanamichi pronunciava erano pacate, ben scandite, quasi volesse sceglierle con accuratezza in modo da poter essere comprese senza indugi da Rukawa.

 

“...io...non so...”

 

Fu la prima, sincera, risposta.

 

“...forse...volevo dimostrare a mio padre la mia utilità. Anzi...volevo mostrarla a me stesso...credo...”

 

Hanamichi strinse maggiormente la mano di Kaede, per trasmettergli sicurezza.

 

“Che intendi?” Chiese, incoraggiandolo a proseguire.

 

Rukawa respirò profondamente.

E si soffermò...a pensare. Sembrò assorbire l'energia di ogni corpo dentro la stanza, energia che l'avrebbe aiutato a concentrare i suoi pensieri verso un unico punto, lì, dove l'aria si faceva più densa.

 

“...non so bene come dire. Non ne sono convinto, però credo di aver provato dentro di me un forte senso di abbandono da parte di mio padre. So che lui è andato via prima dell'emergere della malattia di Eriko, e che si era già fatto un'altra famiglia. Ma lui...è sempre mio padre. E io lo vedevo come tale. Ricordo nitidamente la mia infanzia con lui...era un buon padre. Eppure ci ha abbandonati. La prima frattura l'ho avuta lì...al suo primo abbandono. E poi tutte le altre. Con la malattia di Eriko e, successivamente, quella della mamma, lui tornava...si preoccupava, si comportava da padre, ma poi ripartiva, nuovamente. Ogni volta era un'altra frattura. Un altro strappo. Credo sarebbe stato meglio se non si fosse più fatto vedere dopo il divorzio, mentre così...”

 

Si bloccò, incapace di parlare. O forse solo spaventato dalle sue stesse parole.

 

“Così non hai fatto altro che legarti sempre di più a lui...subendo ogni volta un nuovo abbandono...” Continuò Hanamichi come se si fosse tuffato dentro il flusso dei ricordi di Rukawa, toccandoli con le proprie mani.

 

“Hn, sì. Credo che sia iniziato da lì il mio rapporto conflittuale con lui. Che senso ha fare il padre, essere gentile...se poi te ne vai ed abbandoni i tuoi figli? Mi sembrava un modo di lavarsi la coscienza. Non...non è così...capisco che...ma mi faceva male...chi...CHI SI PRENDEVA CURA DI ERIKO? CHI ASSISTEVA ALLO SCONFORTO E ALLE CRISI DELLA MAMMA?”

 

Kaede aveva iniziato ad agitarsi, a gridare, ma Sakuragi prontamente lo strinse a sè, baciandogli la fronte.

 

“...scusa...Hana...” Il moro cercava di calmarsi.

“Non ti preoccupare...ti fa bene...spiegami...voglio sapere tutto...voglio capire cosa hai provato...” Disse con comprensione il rossino.

 

Intanto cercava la coperta sul fondo del letto, per coprire i loro corpi un poco intorpiditi dalla tensione e dall'aria fresca che circolava nella stanza.

 

Oltre quelle mura si era alzato un rabbioso vento.

 

“...ho provato astio verso mio padre, perché in fondo ero io che mi sono preso cura di Eriko, che ho visto la mamma spegnersi per la sua depressione e ho vissuto col peso della sua morte. Peso.. e senso di impotenza, e nullità. Non ho potuto fare niente. Né impedire che i miei si lasciassero, né aiutare la mamma a risollevarsi...”

 

“Hey, ma...non è che...ti senti in colpa per questo?” Chiese titubante Sakuragi, cominciando a riflettere su particolari che non aveva preso in considerazione.

 

Rukawa si bloccò. Socchiuse e gli occhi, e si concentrò sulle sensazioni, sui dubbi, sulle emozioni che cominciavano a venire a galla dalle sue stesse labbra.

 

“...sì. Credo sia questa la verità.”

 

Kaede accennò un sorriso.

 

“Io mi sentivo inutile, in balia degli eventi...e in colpa, per non essere riuscito a tenere in piedi nulla di ciò che era importante nella mia esistenza. Io voglio bene ad Eriko, e non mi sono sforzato nel prendermi cura di lei, sono sempre stato sincero. Però...mi rendo conto che nella mia dedizione verso di lei...sottilmente c'era un messaggio...volevo...sentirmi utile...e...”

 

“...ed acquisire dignità agli occhi di tuo padre...”

 

Rukawa annuì. Cominciava ad essere più rilassato, le parole ormai zampillavano senza controllo dalla sua bocca, e questo lo faceva sentire più leggero.

 

“...volevo dimostragli il mio valore, dimostrargli la mia validità, la mia capacità, come una ripicca verso il ruolo che lui non ha mai assunto. È come se mi fossi mostrato come un soggetto sacrificale. Sì, questo è il termine esatto. Un soggetto sacrificale. Che rinuncia a tutto, per la sua missione. Che si annulla. Come non ha fatto lui...per farlo sentire in colpa...”

 

“...come se il sacrificio ti purificasse, da quel senso di nullità e incapacità che ti portavi dietro...” Continuava Hanamichi.

 

Come se fosse l'eco della sua coscienza.

 

“Hn. È così. Alla fine...dopo le parole della dottoressa Yamaji, l'arrivo di mio padre che mi chiede di partire con lui...ho sentito come il pavimento che avevo costruito con tanta cura si sbriciolasse sotto i miei piedi e la situazione sfuggisse dalle mie mani...mostrandomi nuovamente il senso della mia incapacità. 'Ancora una volta non ho combinato nulla', mi sono detto. E non mi sembrava giusto che mio padre, arrivando così, di punto in bianco decidesse cosa è giusto o meno per me ed Eriko...insomma...credo...che è per questo che io...mi sono comportato in quel modo. Ma non volevo, Hana! Davvero! È stato tutto inconscio...io...”

 

Rukawa si sfiorò le labbra, come se realizzasse solo in quell'istante tutto il senso del suo discorso.

 

“...io...ho capito solo ora il motivo...”

 

Il suo corpo cominciò a tremare, dopo che un fremito lo scosse leggermente.

 

“Lo so!” Esclamò soddisfatto Sakuragi mostrando un enorme sorriso.

“Per questo ti ho lasciato parlare! Finalmente hai fatto ordine nei tuoi pensieri...Sono fiero di te!”

 

Rukawa a quelle parole arrossì leggermente.

 

“Do'hao...non sapevo avessi nozioni di psicologia...” Scherzò il numero undici.

“Ah! Baka Kitsune! Il tensai in versione psicologo ti aiuta a fare luce sui tuoi pensieri e tu lo insulti? Sei un ingrato!”

 

Rukawa ridacchiò divertito.

 

“E poi!! C'è un'altra cosa che devo farti entrare in quella dannatissima zucca vuota, kitsune paranoico!” Esclamò tutto sicuro di sè Sakuragi.

 

“Hn? Cos...”

 

Kaede non riuscì a finire la frase che sentì la testa dura di Hanamichi sbattere violentemente contro la sua.

Il tensai gli aveva dato una potente testata!

 

“Ahia, do'hao! Ma sei impazzito? Mi hai fatto male!”

 

“Senti!” Sakuragi afferrò Rukawa per le spalle, sollevandosi leggermente sopra di lui, per poterlo guardare negli occhi, mentre il moro, disteso, lo fissava confuso.

 

“Non devi mai più, e dico, MAI Più,  pensare di essere inutile! O di essere una nullità! Mi sono spiegato? Tu hai fatto e fai tantissimo, molto più di quanto tu creda! E non devi colpevolizzarti di nulla! Le cose sono andate così, e non è colpa tua. È colpa del destino, della biologia, di Dio...ma non colpa tua! Mettitelo in testa! Tu fai quello che è nelle tue forze, e capacità...e ci sarò io ad aiutarti...sempre...a costo di venire in Germania con te, capito? Capito?”

 

Sakuragi stringeva il viso di Kaede fra le sue mani, e nel pronunciare quelle parole decise, non aveva staccato neanche un secondo i suoi occhi da quelli del ragazzo.

Kaede poteva sentire l'emozione formicolare in tutto il suo corpo.

Emozione per il suo comportamento.

Emozione per quello che aveva realizzato.

Emozione per le parole di Sakuragi.

 

Anche questa volta le sue labbra si piegarono, non più in un sorriso maligno, ma per disegnare un sorriso finalmente sereno, come liberato da una lunga prigionia.

 

“Grazie, Hanamichi..”

 

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Il giorno successivo era domenica. Una di quelle domeniche in cui l'aria che accarezza il viso comincia ad essere fredda, capace di penetrare i vestiti e gelare la pelle ancora impreparata a quella sensazione pungente .

Segno che l'inverno è alle porte.

Eppure nel cielo regnava un sole dalla luce opaca, ma intensa, che debolmente tentava di riscaldare l'atmosfera della città, riuscendo a renderla più dolce, sfumandola di un  lieve tepore.

 

“Sì, Yohei. Ok, grazie, ciao...”

 

Sakuragi aveva appena riattaccato la cornetta di un telefono pubblico.

Uscì, silenziosamente per avviarsi verso quell'infinita vastità azzurra.

 

Hanamichi osservava il mare, il suo lento trascinarsi verso la riva, il suo ritrarsi, portando con sé lembi di sabbia, in un continuo ricambio.

Continuo ed inesorabile.

 

Era a pochi passi dalla spiaggia di Kanagawa e stava appoggiato alla carrozzina di Eriko, vuota.

 

La ragazzina stava seduta sulla riva, avvolta in un morbido piumino bianco, mentre con le mani sollevava un po' di sabbia lasciandola scivolare fra le sue dita, mentre con lo sguardo osservava il dolce oscillare delle onde del mare.

 

Nell'aria si percepiva un forte odore di salsedine, reso agro dalle alghe ormai appassite sulle riva.

 

Kaede era al fianco di Eriko, ma non la guardava. Continuava ad osservare un punto all'orizzonte, come se temesse lo sguardo della sorella.

 

'Forza, Kaede!'

 

Hanamichi li osservava in silenzio, poco lontano, sperando che il ragazzo riuscisse a parlare con Eriko e scusarsi con lei. Era stato il rossino stesso a dire a Rukawa che avrebbe portato Eriko alla spiaggia, per distrarla e rilassarla un poco e che lui li avrebbe dovuti raggiungere dopo. Se la piccola non si sarebbe agitata, li avrebbe lasciati da soli.

 

“Ma come posso spiegarmi con lei? Cosa le dico?”

 

Gli aveva chiesto preoccupato Rukawa.

 

“Baka! Ti scusi, no? Dille tutto quello che hai detto a me..la verità...i bambini capiscono meglio di noi adulti...devi saper scegliere le parole...e naturalmente dille che le vuoi bene! Non trascurare i tuoi sentimenti!”

 

Sakuragi era molto sicuro di quello che diceva, riusciva pure ad essere scherzoso.

 

“Ma...io...non so...se capirà..dopo quello che le ho fatto..magari non vuole più parlarmi...”

“Senti, Kitsune testardo, non è possibile che non voglia più parlarti...tu sei la sua figura di attaccamento, non ti può vedere come una figura malvagia!” Scherzò il rossino parlando con disinvoltura, come se fosse un pozzo di scienza.

“Hn? Do'hao, ma queste parole tecniche da dove le prendi? Stai studiando psicologia di nascosto?”

“Ah, ah, ah! Il tensai è un provetto psicologo!”

“Hn...allora è solo perché sono la sua figura...come l'hai chiamata? Di attaccamento...” Sospirò un imbronciato Kaede.

 

 

Hanamichi sorrise fra sè, ricordando quello scambio di battute col volpino, ed intanto li osservava...finalmente Rukawa aveva iniziato a parlare, seppur nervosamente.

Ormai Sakuragi conosceva ogni suo movimento, ogni gesto, gli sembrava anche di udire il timbro della sua voce, seppure impossibile.

Sperava, Sakuragi.

Sperava che Rukawa potesse essere sincero con Eriko, fino in fondo.

 

'Lei ti capirà....'

 

E vedeva Eriko stringersi sempre più nelle sue spalle. E poi piangere.

 

'Perché ti vuole bene.'

 

E poi abbracciarsi. Finalmente Kaede ed Eriko si abbracciavano.

Stretti l'uno all'altro sembravano essersi ritrovati.

 

Hanamichi li osservò, soddisfatto. Portò le mani all'altezza del suo viso, così da poter congiungere il pollice destro con l'indice sinistro, e il pollice sinistro con l'indice destro.

 

Aveva 'costruito' una macchina fotografica!

 

Regolando il movimento delle sue mani, portò al centro dello spazio formato fra le sue dita quell'immagine.

L'abbraccio di Eriko a Kaede sulla riva del mare, accarezzati dalle onde cristalline e bagnati di luce solare.

Un'immagine meravigliosa.

Degna di essere immortalata.

 

'Sorridete...'

 

“Click!”

 

Esclamò Sakuragi fiero di aver catturato fra le sue mani quel bellissimo quadro, il suo preferito. Nessun opera d'arte gli era mai sembrata così bella.

 

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“Ecco...io...”

 

Rukawa aveva la voce che gli tremava, il suono che veniva fuori dalla sua gola si combinava ad un impercettibile sentimento d'imbarazzo.

Ma il suo sguardo era quello di sempre.

Fiero e sicuro delle sue azioni.

 

Era nel soggiorno della sua cucina, a fianco a lui Eriko, di fronte a loro Masahiro Rukawa.

 

“Mi dispiace! Scusami!” Esclamò poi Kaede con decisione, inchinandosi di fronte al padre.

 

L'uomo era sorpreso, un po' confuso, forse anche in difficoltà per l'atteggiamento del figlio.

Kaede non si era mai scusato con lui.

Anzi, Kaede Rukawa non si era mai scusato con nessuno.

E forse quella sarebbe stata l'ultima volta.

 

“Kaede, che fai? Non...non ti devi scusare di nulla!” Disse debolmente l'uomo cercando lo sguardo del ragazzo.

 

Rukawa alzò gli occhi, senza alcun timore.

 

“No, papà, ho davvero sbagliato. E mi devo scusare con te. Non volevo ammettere la tua preoccupazione. Avevo paura di perdere ciò che avevo faticosamente costruito. E ce l'ho tutt'ora...quindi...chiedimi tutto, ti prego, ma non portarci via da qui! Te lo chiedo per favore. È l'unica cosa che ti chiedo...”

 

Kaede era serio...ma nei suoi occhi si leggeva il desiderio di comprensione che sperava il padre afferrasse.

 

“Kae, io...”

 

“Papà, anche io non voglio andarmene da qui...”

 

La voce di Eriko trillò nella stanza.

 

“Piccola mia...” Fece l'uomo guardando la ragazzina.

Così fragile.

Ma forte nelle sue parole.

 

“Io...voglio stare qui...finché vivrò...qui con Kacchan...ed Hanachan! Voglio stare con loro...non separarmi da loro!”

 

Eriko supplicava, disperata.

 

L'uomo capiva. Ma si sentiva combattuto.

 

“Figli miei...” La sua voce era davvero dolce.

“Io...vorrei che voi foste felici...non lo faccio per egoismo...ma...”

 

Ding Dong

 

Il campanello.

 

“...è che...voi siete qui da soli...so che Kaede sai badare a se stesso e a Eriko...ma...”

 

Ding Dong.

 

'Do'hao...il campanello...'

 

“...non potete farcela da soli, per questo pensavo, magari anche solo per un po'...”

 

Ding dong.

 

Kaede si voltò irritato.

 

“Scusa, papà...”

 

'Quel do'hao...voleva lasciarmi solo per parlare con papà...ma almeno può andare a rispondere...si sarà addormentato?'

 

Ding Dong Ding Dong.

 

'Ora uccido chi suona così insistentemente...'

 

Rukawa afferrò la maniglia del portone.

 

“Allora si può sapere chi....”

 

Il ragazzo rimase di sasso.

 

“Heilà, Rukawa, allora ci sei? Credevamo non ci fosse nessuno! Hanamichi mi aveva avvisato poco fa che eravate in casa...”

 

Yohei Mito era di fronte a lui.

Ma non era solo.

Rukawa ci mise un po' a realizzare.

 

'Hn? Che diavolo ci fa Mito? E...oddio...il signor Anzai? E il gorilla? Kogure? Mitsui....la squadra al completo!'

 

“Si...si può sapere che ci fate qui, ragazzi?” Rukawa era stupito.

 

Aveva parlato con la sua solita espressione indecifrabile.

Ma era stupito.

 

“Sorpreso, eh? Rukawa?” Scherzò Miyagi.

Rukawa continuava a non capire.

Tutta la squadra e l'armata Sakuragi era lì...di fronte casa sua. E c'era pure la sorella del gorilla.

 

Ayako si portò in prima fila, affacciandosi nell'ingresso.

 

“Oh! Ma c'è tuo padre in casa?” Chiese guardandosi intorno

 

“Hn. È dentro. Perchè?” Chiese sempre più perplesso il ragazzo.

 

“Bè...perchè dobbiamo parlargli!” Esordì la ragazza strizzandogli l'occhio.

 

“Che? Che dovete dire a mio padre?” Rukawa era in preda alla confusione.

 

“Bè, non è evidente?”

Era la voce di Hanamichi.

 

“Hn? Do'hao, ma cosa...”

 

Sakuragi, appena sceso dalle scale, superò l'ingresso fino a trovarsi di fronte a Rukawa.

Gli sorrise.

 

“Che tu ed Eriko non siete soli.”

 

 

Fine IX capitolo