NOTE: I pg non mi appartengono e li uso senza permesso. Oltretutto non ho utilizzato i nomi del manga ma quelli del cartone animato perché con quegli altri mi confondo troppo! Chiedo scusa. NOTE 2: ok, Mark forse dovrebbe ‘prendersela’ un po’ di più, ma presumo abbia il callo a perdere, visto tutte le volte che Holly lo ha fregato in finale! ^^;. NOTA 3: io di contratti, sponsor e cose simili ne capisco ancora *meno* che di spagnolo e calcio (messi insieme..). Non cercate troppo un senso in quello descritto qui sotto sull’argomento, pleeeease!
La Tigre parte XXI di Dhely
Il miscelatore sul blu.
Prendere fiato.
E affogarsi sotto il getto della doccia. Ghiacciato.
Avevano *perso*.
Ok.
Non sarebbe morto.
Il Brasile era una squadra onorevole, contro cui perdere, e questo lo poteva concedere, ma detestava quelli che parlavano di accettare la sconfitta con sportività. Non c’era nessuna accettazione della sconfitta: a nessuno *piaceva* perdere. A nessuno, in tutto l’universo, Mark ne era certissimo.
Spirito sportivo o meno.
La sconfitta: come se si potesse ‘accettare’ una sconfitta. Le sconfitte si subivano, si sentivano addosso, si piangevano, si meritavano, a volte. A volte, invece, succedeva che quegli altri erano solo più bravi, e correvano come dei dannati, e avevano classe, e senso del gioco e tutte quelle cose lì che Ross avrebbe sapute nominare una per una, che Oliver avrebbe cercato di imitare e che lui aveva sentito e visto e aveva giurato che prima o poi sarebbero state *sue*. Ma non lo erano, ora.
E aveva *perso*.
Esisteva poi un solo, remotissimo motivo per cui un tipo che veniva pagato una vagonata di soldi per vincerla, quella dannata partita, dovesse prendere meglio una sconfitta di quelle milioni di persone che, fuori di lì, stavano piangendo come vitellini? Mark non ne conosceva mezzo, di motivo. E infatti si sentiva deluso, e amareggiato e stanco..
E Hutton poteva continuare per mesi a dire che avevano giocato bene, e che non era necessario prendersela così, che anche se non ne facevano una tragedia andava bene lo stesso.. come se fossero tutti cretini e non vedessero che era giù come e quanto loro! Dopo tutto la maggior parte di quelli erano *suoi* compagni di squadra.
Se lui avesse perso una partita contro l’Italia.. non poteva neppure pensarci. Antonio l’avrebbe tormentato fino alla fine dei suoi giorni. Chissà se in Brasile erano matti uguale?
Bene.
Tempo disponibile per le recriminazioni: 2 secondi, non più di 5.
Mark aveva fatto una partita mediocre: morale alle stelle, fisico mica tanto. Odiava quando giocava così. E perché poi dovesse giocare *così* nella partita più importante?!
Basta: finito il tempo.
Ora c’era da ..
“Mark!”
Cocciuti rompipalle! Ma neanche sotto la doccia lo lasciavano in pace?! Cosa diavolo potevano volere da lui in quel momento non ne aveva idea. Di sicuro era una stupidaggine e dunque non li avrebbe considerati neppure di striscio. Non potevano andare a rompere le scatole a Ross? Cosa ci stava a fare altrimenti?
“Leeeeeendeeerss!!!”
Dio quanto odiava quando Ed sibilava il suo nome in quel modo! E pensare che avrebbe dovuto aver intuito che non era il momento esatto per irritarlo..
“Oh cazzo Mark! Ma mi *ascolti*!?!”
Avrebbe voluto poterlo non sentire.
“MARK!!”
Una mano a interrompere il getto dell’acqua.
Se uno sta facendo una doccia gelata, e si è abituato alla temperatura, uscirne all’improvviso è traumatizzante esattamente come esserne investito il primo secondo. Cioè: boccheggiare come un idiota fissando il muro di fronte a sé per lunghi, lunghissimi istanti.
Sbatté le palpebre due, tre volte e riuscì a riprendere coscienza di avere un corpo, da qualche parte. Riuscì pure a *respirare*.
Grandioso.
“Ma sei..”
“C’è il tuo cellulare che suona da un quarto d’ora! Vuoi rispondere?!?”
Il suo cellulare? Cosa aveva da suonare? Oltre al fatto che era acceso, e, dopo tutto, *poteva* suonare..
Dallo spogliatoio sentì provenire qualcosa tipo un ringhio. In tedesco. Price.
“Ma ti pare il momento?!”
Mark si avvolse nell’asciugamano che Ed gli aveva buttato in testa. Frugare nella sua borsa sotto lo sguardo assassino di Ross che aveva espressamente vietato l’utilizzo di cellulari in ritiro e che non era stato troppo considerato, a quanto pareva, era abbastanza innervosente.
Il suo manager?! E che diavolo voleva!
“Ma ti pare il momento?!”
In italiano.
Benji sollevò di scatto gli occhi su di lui e per poco gli venne da ridere. Venne da ridere anche a Mark, in effetti, ma lì su due piedi non gli era venuto niente di più intelligente da..
“Mark, tu non hai idea di chi mi ha contatto per ingaggiarti! Il mister di una squadra di punta degli Emirati Arabi!”
“Gli *Emirati Arabi*?!”
Mark e Benji l’avevano urlato praticamente insieme, in due lingue diverse, ok, ma ormai anche i muri degli spogliatoi avevano capito che stava succedendo qualcosa di estremamente divertente.
Tom sorrise pacato, battendo una pacca sulla spalla di Oliver.
“Esiste un ovvio motivo per cui ho dato retta a Ross e non ho portato con me il cellulare, oltre che seguire il suo consiglio. Però gli Emirati Arabi non me li immaginavo proprio..”
Oliver parve rianimarsi un poco, e con lui la parte più esuberante della squadra. Le parole. Le voci. I sorrisi.
“Sì, figurati, se quei due andassero a giocare nella stessa squadra pure al di fuori della Nazionale resistono al massimo due settimane e poi si ammazzano.”
“Ma tanto già non si considerano..”
“Due settimane sono tante. Per me due giorni.”
“Ma no, no, ricoprono ruoli diversi, magari per *due* giorni potrebbero evitare di incontrarsi..”
Price si staccò il telefono dall’orecchio e li fulminò tutti e quattordici con uno sguardo assassino che già di suo considerava eloquente. Ma visto che non si poteva mai essere certi di nulla sottolineò il concetto: “La piantiamo? Sto cercando di parlare al telefono!”
Se Mark non fosse stato nudo, ad esclusione dell’asciugamano, sarebbe andato a continuare la conversazione in corridoio, pure di fronte a duecento cronisti, tanto peggio di così..
“E non sai quanto ti hanno offerto!”
“Dannazione! Ma non potevi cercare un posto più.. meno..”
“Ma non ho detto che ho firmato!”
Mark si trovò a sospirare leggermente.
“Perché devi sempre fare tutto questo casino, allora?! Mi hai fatto prendere un colpo!”
“Ti verrà un colpo a sapere per *che* ingaggio hanno firmato a Torino!”
Ma erano matti?! Aveva perso! E non è che fosse in forma.
“L’hanno alzato?!”
Già gli sembrava uno sproposito quello che gli davano ora..
“Benvenuto nel calcio internazionale Lenders! Ti hanno conteso in sette per due settimane! E’ stata una pacchia.. ma ho pensato di avvisarti solo quando tutto fosse stato certo. Per non agitarti, sai.”
“Non voglio sapere..”
“Che scarpe hai?”
Ok, quella domanda, poi cascava giù dal cielo come.. era impazzito? Il suo procuratore legale doveva essere andato fuori di testa, dopo tutto lui prendeva il 20% sui contratti che gli faceva firmare, doveva essere diventato ricco pure lui e la cosa doveva averlo traumatizzato..
“..”
“Mark? Ci sei?! Mi rispondi?!”
“Le solite! Ti sembra che abbia fatto in tempo a ..”
“NON puoi metterle! Piuttosto esci a piedi nudi!”
“..”
“Maaark?!”
“Non posso?! Come ‘non posso’?!? Sono le *mie* scarpe!”
D’accordo, era una risposta idiota, ma non è che quel discorso brillasse di ragionevolezza. Le scarpe! Adesso gli faceva le menate sulle scarpe?!
“Hai firmato anche un contratto con uno sponsor. E non è la marca delle tue scarpe di adesso! Il contratto è retroattivo e ..”
Basta, quella cosa era surreale.
Si voltò verso Ross che rideva come un matto per qualcosa che stavano dicendo Patrick e Bruce.
“Dov’è Danny?”
“Qua fuori con i giornalisti, perché?”
Gli rifilò il telefono in mano.
“Daglielo e dirgli di parlarci lui, che magari tra loro si capiscono. Io vado a continuare la doccia.”
Ross lo guardò stranito. Ma *davvero* stupefatto. Mark non lo considerò minimamente.
Gli avevano interrotto la doccia per una cosa così?
Doveva ricordarsi di spegnerlo, quel dannato coso.
Price stava ancora fissando il nulla con sguardo sempre più truce mentre ascoltava il suo, di manager, che chissà cosa gli stava raccontando.
Pericolo scampato. Gli mancava solo di andare a giocare tutto l’anno con Price.. ___
Due ore.
Era in ritardo di due ore. Il che era come dire che non era andato.
Mark era uno che viveva cronometrato. Non è che spaccasse il secondo, ma arrivava sempre in anticipo a qualunque appuntamento, importante o meno.
Benji lo sapeva bene e lo trovava un’assoluta mancanza di classe. Però che Mark fosse un bifolco lo aveva sempre saputo.
Dunque: non era andato. A un appuntamento che *non* si erano dati. La sera di una partita finita nel disastro che era stato.
Era paranoico.
Poteva essersi sbagliato.
Meglio: si era sicuramente sbagliato. Probabilmente non aveva capito. Sicuramente quello sguardo là, non voleva dire *questo*.
Comunque fosse, poi, Benji ci aveva pensato e aveva deciso che quella sera era troppo stanco e a pezzi per volerci parlare da solo.
Il bello di Mark: con inviti del genere era semplice spacciare il proprio rifiuto per un’incomprensione. Avrebbe potuto benissimo dire che non aveva capito: e che? non gli viveva mica nella testa, a Lenders, per sapere pure a cosa pensasse! Non era detto che alla fine Mark ci credesse davvero, ma forse non era mai stato importante cosa credesse lui.
Benji aveva visto e ci aveva pensato, aveva scosso il capo ed era rimasto cocciutamente nella sala comune con gli altri. Non doveva andare da nessuna parte. E non aveva voglia di ritirarsi in camera sua. Non aveva abbastanza sonno, si era mentito.
Ma i minuti non passavano mai. A un certo punto era stato lì lì per prendere il muro a testate per vedere se un trauma cranico fosse servito a qualcosa.
Non l’aveva fatto, ovviamente. Aveva salutato tutti ed era andato in stanza. S’era spogliato e s’era ficcato sotto le coperte.
Era così stravolto che era certo si sarebbe addormentato come un sasso.
Era stato per un ora e un quarto a fissare il soffitto, cercando di non pensare, *rifiutandosi* di pensare.
Poi aveva maledetto silenziosamente tutti quelli che avrebbe potuto maledire e che gli erano venuti in mente, si era alzato, rivestito, ed era uscito dall’albergo.
Cosa ci facesse fuori, a quell’ora, con la certezza che non ci sarebbe stato nessuno ad aspettarlo non lo sapeva neanche lui. Due ore di ritardo! Nessuno dotato di un minimo di cervello avrebbe aspettato *due* dannatissime *ore*.
Centoventi minuti.
Quasi due partite. Oppure una partita con i tempi regolamentari, i supplementari, i doppi supplementari e i rigori.
Snervante.
Lo sapeva. Ma non sapeva cosa ci facesse lì.
E poi a lui le scale facevano *schifo*. Quella in particolare gli faceva venire l’orticaria. Non portavano da nessunissima parte: un tempio solitamente vuoto, uno slargo e due panchine, pure scomode.
Che ci faceva lì?
In piedi in quello slargo dal pavimento di ghiaia grigia. Di fronte al tempio scuro. Era tutto buio: avrebbe potuto rompersi il collo a scendere da lì. E.. gli scappò un sussulto istintivo.
“La mia panchina!”
Qualcosa che sembrava un sorriso. Ma solo sembrava perché era buio e non era certo di poter distinguere bene i particolari. Però dal suo sguardo sembrava un sorriso.
“La *tua* panchina? Non c’è inciso sopra il tuo nome, mi pare, Price.”
Due ore di ritardo, e Lenders era lì. Perché era lì?
“Sei un cretino.”
Probabilmente era una buona intuizione. Mark non mosse un muscolo, o se lo fece lui non se ne accorse. Niente di fondamentale, dunque.
“Anche uno che si arrampica fin quassù a quest’ora non dev’essere troppo normale.”
“Giusto un tuo pari.”
Tre battiti di cuore. Poi: “Credo che tu abbia ragione.”
Cosa ci facevano lì? Era stupido stare lì! Era inutile, Senza senso.
Senza. Senso.
Le parole gli rimbalzarono dentro e scoprì che ora suscitavano cose diverse da quando le aveva udite pronunciate da Mark. Ma quella volta era mattina, e ci sono cose che sotto il sole ci sembrano impossibili da sopportare mentre nell’oscurità della notte cambiano consistenza. Cambiano sapore.
Ma non c’erano comunque parole da dirsi.
Dopo un ‘senza senso’ cosa potevano *dirsi*? Dopo tutto .. tutto quello che era successo. La mail. E la partita. Il ginocchio. Alex. Lui. Warner. I medici. Dopo quello sguardo che non era mai uno sguardo e basta, dopo.. dopo tutto.
Erano lì.
Come i due idioti che erano.
“Non so cosa dirti, Price.”
Franco e sincero. Benji si scoprì felice dal non esserne stupito.
Tre passi, dal punto in cui era ora alla panchina. Si sedette senza voltarsi. A un palmo da Mark, che non lo guardava, a sua volta.
Era normale pure quello: quando gli sguardi svelavano così tanto era ovvio puntarli altrove, se si riusciva a trovare un ‘altrove’ da fissare. Mark lo trovava sempre.
Forse era la sua unica difesa, la sola difesa di uno che viveva sempre in attacco.
“C’è qualcosa che *vuoi* dirmi?”
“Può darsi.”
“E allora?”
Allora era che il problema non era ‘cosa’, ma ‘come’.
“Allora cosa?”
“Allora dilla, Lenders. Sono qui.”
Mark ringhiò dall’irritazione.
No. No! Ma perché succedeva sempre così? Perché non riusciva a non .. provocarlo? Perché non riusciva a ..
Un respiro.
“D’accordo. Mi spiace per .. per quello che è successo.”
Stava per scappargli un sarcastico ‘e cosa sarebbe mai successo?’ ma se lo impedì. Per un soffio. Benji abbassò il capo e si ficcò i pugni nelle tasche della giacca della tuta. Mark continuava a non guardarlo, e andava dannatamente bene così perché sotto quello sguardo, ora, non ci voleva stare.
Era meglio così.
Era più facile.
“Mi dispiace per la storia della mail, Lenders.”
Silenzio.
“Ok.”
Ok.
Era deluso?
No.
Benji non lo era.
Se si era aspettato qualcosa, qualsiasi cosa, da Lenders quella sera, era un ‘qualcosa’ che non andava molto oltre a un monosillabo così. Non aveva una grande importanza cosa si diceva: con Mark non era mai importante *quello*.
Con Mark era fondamentale il come.
E il ‘come’ era ..capirlo. Sentirlo vicino. Essere lì, in silenzio.
Erano due idioti, quello ormai era stato appurato, ma c’era qualcosa a tenerli lì. C’era qualcosa che andava oltre. Era qualcosa che, Benji si accorse, non sarebbe finito con un ‘senza senso’.
Perché lui lo sapeva che non era stato senza senso.
Perché Mark lo sapeva.
E lo avevano sentito, e vissuto. E non c’era niente che si fossero potuti dire, bastante per radere tutto al suolo.
Era una cosa così solida e non se ne era mai accorto? Di *cosa* diavolo si era *accorto* allora?
Si era accorto che era finita, ora. E che, alla fine, e nonostante il gioco di parole, non sarebbe mai finita del tutto.
Avrebbero continuato a non sopportarsi. Avrebbero continuato a parlarsi con uno sguardo. Avrebbero continuato a viversi uno sulla pelle dell’altro. Sensazioni tattili di due corpi che non hanno bisogno di sfiorarsi per intuire una presenza.
“Abbiamo smesso di giocare?”
“Io sì, Price.”
Stanchezza: c’era stanchezza in quelle parole. E la paura velata di chi stia, sì, giocando a un gioco, ma senza conoscerne le regole. E c’era onesta, e sicurezza, e forza, e decisione. C’era Mark, lì dentro.
Erano venuti a chiedersi scusa a vicenda?
No.
Erano venuti a dirsi quello che ognuno doveva dire a se stesso. Non erano lì per perdonarsi, ma a scoprire che forse, molto in fondo, c’era ben poco da perdonare.
Benji sorrise.
“E’ stato bello, Mark. Gratificante, esaltante. – le *sue* parole dette a Warner – Sono contento che ce ne siamo accorti in tempo.”
Era vero, anche se: ‘in tempo’ per cosa?
Per non perdere tutto davvero in un oceano senza senso. Dove annullare ogni cosa, ogni ricordo, dove gettare via anche le cose forti che c’erano state, dove, magari, mentirsi e dirsi che non era stato *niente* quando non era vero.
Non era stato niente.
Era stato qualcosa, di cui Benji non conosceva il nome. Mark aveva parlato di menzogne da dire e da dirsi, ma non era del tutto vero. Non era tutto finto. Non era stato tutto sbagliato.
Mark non rispose, dopo tutto non ce n’era assolutamente alcun bisogno. Si mise in piedi con un colpo di reni e gli rivolse appena un cenno del capo.
Bastava.
Ora bastava. |