NOTE: I pg non mi appartengono e li uso senza permesso. Oltretutto non ho utilizzato i nomi del manga ma quelli del cartone animato perché con quegli altri mi confondo troppo! Chiedo scusa! 



La Tigre

parte IX

di Dhely

 

L’acqua bollente della doccia.

 

E le risate, fuori.

 

Strano contrappunto.

 

Mark sbuffò avvolgendosi nell’asciugamano chiedendosi per la tremillesima volta cosa fosse capitato a tutti quanti. Dovevano aver bevuto senza che il Mister se ne accorgesse. O forse avevano avvelenato l’aria dell’impianto di ventilazione.. bho.

 

Aprì la porta e col fare più regale e indifferente che riuscì ad indossare, scavalcò un paio di suoi compagni di squadra, mezzo sdraiati sul pavimento della *sua* stanza, spinse giù Bruce dal *suo* letto, ignorò una manciata di proteste vibrate e, agguantato il proprio pigiama, scoccò a Tom, l’unico che presumeva minimamente dotato di cervello, uno sguardo scocciato.

 

Warner rideva, come l’idiota che era, per qualcosa di stupido che era appena stato detto. Poi: “Eddai Mark! Ma ti muovi?! Ci metti più tempo di una donna a prepararti!”

 

Mark si limitò a rallentare appena i suoi movimenti, un sorriso acre come mezza risposta.

 

“Come se *tu* ne potessi sapere qualcosa, di donne.”

 

Il silenzio ghiacciò la stanza e la decina di ragazzi che vi erano stipati dentro. Per un attimo la tensione divenne nulla, e lo stupore cancellò ogni cosa, anche la possibilità di respirare.

 

Poi il mondo si sciolse in uno scroscio incredibile di risate. Anche Tom Becker, solitamente ben più composto di così, dovette asciugarsi gli occhi dal gran ridere.

 

Warner rimase di sasso. Ed fissava Mark con lo sguardo più.. ebete, rapito e idiota che Mark avrebbe mai potuto immaginare.. e poi tutto disperdersi in un sorriso luminoso.

 

Ed si appoggiò con la schiena al muro, sorridendogli, corrisposto. A lui e a lui solo: destinatario di quel sorriso raro e prezioso. Tagliati fuori dal resto del mondo, come sempre. Com’era giusto.

 

Mark e Ed si trovarono a dividere uno sguardo che avrebbe dovuto dire tutto, che Danny aveva pensato che poteva appianare anche le montagne. Ora continuava ad esserne lontano spettatore, eppure intuiva che non tutto era così chiaro e diretto come s’immaginava quando era un ragazzino, ora non era più certo che davvero gli occhi potessero parlare.. meglio: ora *sapeva*  che gli occhi potevano parlare, e dire molte più cose che non una bocca, ma sapeva anche che essi possedevano un loro linguaggio segreto e che spesso le persone non ne possedevano le chiavi. Troppo spesso ognuno non sapeva comprendere se stesso, figurarsi se avrebbe saputo comprendere gli altri. O se avrebbe saputo dare, ad altri, il codice per comprendere le sue stesse reazioni.

 

Danny sapeva dell’abisso incolmabile che divideva le persone, e ora, quel vuoto che li rendeva tutti delle isole in un mondo di nulla gli pesava attorno. Era sempre stato certo che per lui Mark sarebbe sempre stato inavvicinabile, ma sperava che esistesse, al mondo, qualcuno con cui il suo Capitano potesse condividere.. qualcosa. Ognuno aveva una propria metà perfetta che aspetta, no?

 

Ora non si sentiva più così ottimista.

 

Ora vedeva Ed e Mark fissarsi e non provava più l’ondata di malinconica gelosia di quando aveva dodici anni e si sentiva piccolo e sperduto e smarrito. Ora sapeva che forse quei due, in quell’istante, stavano condividendo qualcosa, ma non era la comunione di cui parlavano i libri che gli piacevano.

 

Forse non si capivano.

 

Forse non si erano *mai* capiti, nonostante quello che esibivano al mondo. Forse loro, tutti loro, erano così convinti di quello che volevano accadesse, da essere ciechi e sordi di fronte a ciò che accadeva intorno.

 

Eppure: uno sguardo che s’intreccia a uno sguardo suscita una domanda e insieme placa una risposta, genera un legame, collega, intreccia. Uno sguardo non è mai muto, anzi, spesso è più potente d’un urlo.

 

E la violenza di quello sguardo, ora, Danny lo sentiva addosso. Quel rincorrersi, toccarsi, legarsi, fondersi di Ed e Mark, lì, senza vergogna, di fronte a loro, che se avessero dovuto accarezzarsi in un modo altrettanto intimo non l’avrebbero mai fatto.

 

Eppure era una carezza, in un certo modo. Era tendersi le mani e tentare un approccio. Era sfidare il timore e tremare per un contatto, sempre in bilico tra un rifiuto o un sorriso.

 

Il sorriso venne. Caldo, pacato, raro: quello di Mark gli sfiorò appena le labbra un attimo prima che gli occhi lasciassero gli occhi. Un attimo prima che Ed modulasse un lieve sospiro e rispondesse alla battuta con un qualcosa di altrettanto caustico. Per riempire il nulla tra di loro con risate di estranei.

 

Danny si sentì avvampare, a percepire il tocco di uno sguardo addosso. Si ritrasse appena nell’accorgersi che Tom non aveva smesso per un attimo di fissarlo: aveva capito? Anche se fosse stato non ci sarebbe stato nulla di male, era solo preoccupato per due amici, no?

 

Tom annuì appena poi sorrise, di nuovo, in silenzio.

 

Forse Danny mentiva, soprattutto a se stesso.

 

Forse non era poi così difficile capire certe cose.

 

Ed prese un cuscino e lo lanciò a Mark. Bruce, dal gran ridere, cadde dal letto, finendo addosso a John e a Philip causando un trambusto difficilmente gestibile. Tom riprese a ridere.

 

Dal corridoio Ross bussò contro la porta.

 

“Ragazzi! Un po’ di contegno!”

 

Mark non riuscì a trattenere una nuova risata.

___

 

La stanza colma di gente era diventata di nuovo silenziosa e vuota: solo loro tre. Proprio come era giusto che fosse. Com’era stato fin dall’inizio, se esisteva un ‘inizio’ degno di tale nome. Danny si sentiva euforico.

 

Di più: si sentiva a posto.

 

Dopo anni erano ancora lì, in una stanza anonima, di un albergo forse un po’ più bello di quelli in cui erano ospitati durante i campionati, ma altrettanto vuota di spirito. Solo loro tre, in una sera che era maturata in notte quasi senza che loro se ne fossero accorti, dimentichi, per un giro d’orologio, di ciò che li aspettava, ciò che si pretendeva da loro. Del futuro e del passato. Del peso di una vita che poteva essere greve anche a quindici anni.

 

A parlare sussurrando pezzi della propria anima.

 

Non si preoccupava più, ora, Danny, se esisteva la possibilità intrinseca di comunicare all’altro quello che si aveva dentro, perché ciò che provava solo in quegli istanti bastava perché il suo universo si riempisse di troppe cose da spiegare, da poter capire. Ora apriva il suo cuore, e sentiva come una vibrazione in risposta e questo gli bastava.

 

Lui, Mark e Ed a parlarsi, così. Come se non fossero mai passati che secondi. Come se non si fossero mai allontanati.

 

Chissà, si chiedeva Danny, se l’intensità di un sentimento può pareggiare lo scorrere del tempo? Quanto è il valore d’una passione altissima, che brucia e si estingue nel giro di una notte, paragonato a un legame tiepido che si dipanava nella lontananza, nei silenzi, nelle differenze?

 

Cosa poteva comparare quel filo indistruttibile che li teneva insieme anche ora, dopo tutto?

 

E gli altri, lui stesso, riusciva davvero a cogliere quanto valesse ogni istante così trascorso? A dare il giusto peso del tempo trascorso in quel modo?

 

Danny socchiuse gli occhi mentre il chiacchierare diventava ovattato e spezzato. Gli argomenti erano scivolati sugli argomenti ed ora si era giunti a temi delicati che nessuno di loro temeva ad affrontare dinnanzi a quella corte così peculiare. Però un po’ di .. timore, o pudore, tirava sempre, in questi casi, le briglia di un eloquio troppo spedito.

 

“.. non abbiamo sentito che ti sia mai infortunato seriamente, Mark. E allora perché..”

 

La domanda rimase inespressa. Danny sentì come una fitta gelida trapassargli il costato ma fece finta di nulla.

 

Mark, a quella domanda si scosse nervoso, ma non per fuggire. Voltò appena il capo. Dal pavimento dov’era, appoggiato alle gambe del letto, gli bastava angolare appena il collo per guardare fuori dalla finestra. Le stelle brillavano fredde anche attraverso la penombra non assoluta della stanza.

 

“No, niente di serio. Ma lo sai. – la sua voce divenne un po’ più distante, ma non riuscì ad assumere quella sfumatura fredda che, forse, sarebbe servita. Mark non riusciva mai ad essere freddo, anche se i suoi occhi, per un attimo si persero, come se avessero smarrito a strada. – Sai quanto c’è in ballo. Gli sponsor, i premi partita, gli introiti per la società, i diritti televisivi. Non sono io a doverne parlare visto che abbiamo qui Danny, che è l’esperto.”

 

Danny si prese le ginocchia fra le braccia.

 

“Siamo tutti nello stesso mondo e sappiamo di che stai parlando. Immagino che giocare in Europa, poi, ponga un giocatore sotto pressioni molto più marcate che non stare qui in Giappone. Non che da noi certe cose non capitino, ma.. – si schiarì la voce – Però credo che Ed volesse dire..”

 

Mark sorrise, amaro.

 

“So cosa voleva dire Ed. E la mia non è una giustificazione. Mi fa schifo più di quanto faccia schifo a voi. Ma sapete com’è: quando si gioca a livello professionistico hai per forza qualche infiammazione a qualche tendine, a qualche legamento almeno, no?”

 

Ed annuì.

 

“La mia anca mi dà ancora problemi, ogni tanto. Tu?”

 

Mark posò in silenzio una mano sul ginocchio sinistro.

 

“Troppe sollecitazioni, temo.”

 

“Il menisco?”

 

“I crociati.”

 

Ed arricciò il naso.

 

“Sono ridotti male?”

 

“No. Non ventilano operazioni o ricostruzioni per almeno altri tre anni, nella peggiore delle ipotesi. Sono fortunato, pare che sia fatto di.. di qualcosa di più resistente che i calciatori normali.”

 

Un sorriso pacato. Ed mosse una mano per sfiorargli una spalla, ma improvvisamente, come se fosse colpito da una folgorazione, s’interruppe a metà.

 

“Sei fortunato?”

 

Il punto interrogativo suonò strano tra di loro. Ma era giusto. Era stranamente, assurdamente corretto. Danny seppe di non voler udire la risposta.

 

“Non credo. Sai come sono i medici sportivi.”

 

Una minaccia non espressa. Danny chiuse gli occhi con forza.

 

“E i controlli?”

 

Sentì il tono di Mark caustico, furioso, quasi. Ma la sua era una rabbia diffusa come una nebbia dorata che gli si spandeva intorno. Forse era più diretta contro se stesso che altro, questa volta.

 

“Ci sono le partite degli europei, del campionato, della coppa Italia, le partite con la Nazionale, per beneficenza.. ci sono periodi che faccio due, quasi tre partite ogni sette giorni. Non potrei stare in piedi senza un antinfiammatorio. Non credo di essere l’unico. Dopo tutto *ho* un’infiammazione ai legamenti crociati.”

 

Ed quasi singhiozzò un ghigno amareggiato.

 

“A sentire loro, siamo dei rottami!”

 

Silenzio. Poi Mark mise a fuoco lo sguardo su Danny. Aprì i palmi e scosse appena il capo con un’espressione così acida come non poteva credere possibile. Caustica e avvelenata.

 

“Vedi, non hai di che preoccuparti. Ho la giustificazione medica. Come alle elementari.”

 

Danny si ritrovò ad annuire sorridendo, anche se dentro di sé sentiva tutt’altro.

___

 

Il silenzio s’era fatto ancor più denso. Le lancette dell’orologio avevano superato le tre di notte e Danny aveva corso il rischio di addormentarsi lì, sul pavimento della loro stanza, almeno due volte, prima di decidersi di abbandonarli.

 

Ed, ora, gli respirava accanto. Uno al fianco dell’altro, seduti sulla moquette color tabacco del pavimento, nell’oscurità della stanza a guardare fuori da quel rettangolo ampio di vetro. Le stelle si vedevano, nell’aria nera e silenziosa che circondava l’albergo e il silenzio era rotto solo dal frinire incessante delle cicale e dal ronfare lento e rassicurante dell’impianto di condizionamento.

 

Mark aveva pensato spesso ad Ed.

 

Aveva messo da parte molte cose da raccontargli. In troppi momenti avrebbe voluto avercelo lì vicino per parlargli, per mostrargli una cosa, un sentimento, per condividere uno sguardo o semplicemente una silenziosa vicinanza. E, ora che era lì, Mark sentiva che la sua lingua non aveva alcuna voglia di mettersi ad articolar discorsi e che le parole non potevano dire quello che aveva.. vissuto.

 

Quello che ora gli faceva male.

 

Perché a dirgli *quello*, poi, avrebbe dovuto anche parlargli di Price e questo non sapeva in che abisso li avrebbe fatti cascare entrambi.

 

Lui e Ed erano prima di qualunque altra cosa: in quegli istanti Mark si stava godendo semplicemente quell’essersi accanto, prima che tutto avesse inizio, prima di capire, prima di sentire, provare sensazioni che li avrebbero spinti a ..

 

Sentì la mano di Ed sfiorargli la spalla, e poi cingerle, appoggiandoglisi contro un fianco. Era un peso gradevole, un calore conosciuto, di cui era grato. Avrebbe quasi voluto pensare a quello come un contatto fraterno se non fosse stata, quella, un’idea assolutamente blasfema.

 

Non c’era mai stato nulla di ‘fraterno’ fra di loro.

 

Sfida, rispetto, attrazione. Una marea di altre cose. Tutte molto poco fraterne, e Mark lo sapeva bene: lui sapeva cosa volesse dire avere fratelli.

 

E pure un amico come Ed, perché Ed era stato suo *amico*. Lo era. Perché il sesso che c’era stato e c’era, non poteva cancellare quello che li avrebbe tenuti legati sempre, anche oltre gli oceani e il tempo, oltre quello che non si dicevano, quello che non *potevano* dirsi.

 

Ed era stato il primo a fargli scoprire che, certe reazioni, potevano nascere anche dalle mani di un proprio compagno di squadra, dal corpo di un ragazzo, non solo da una di quelle ragazzine che lo adoravano e che, una ogni tanto, più coraggiosa delle altre, si faceva avanti mostrandogli *quanto* fossero devote al loro Capitano.

 

Lui, invece, non era stato il primo di Ed. Era una fortuna: almeno uno dei due che avesse un minimo di esperienza non era una brutta cosa, anzi. Mark non era certo che avrebbe riconosciuto l’attrazione sessuale che li legava se Ed non si fosse fatto avanti.

 

All’epoca doveva essere stato un po’ stupido.

 

Forse, ma solo *forse*, non era poi granché migliorato nel frattempo, visto le ultime ‘rivoluzioni’ della sua vita.

 

Affogò un sorriso amaro a quel pensiero. Il fiato di Ed gli accarezzò il collo.

 

“Stai bene con i capelli lunghi. Sono così folti. Sembrano..”

 

“.. una criniera.”

 

I loro sguardi si incrociarono. Ed si ritrasse impercettibilmente ma Mark gli impedì di andarsene, stringendogli la vita.

 

I portieri.. forse era vero che per fare il portiere uno non doveva essere troppo normale. Di certo Ed e Benji avevano un modo di esprimersi inquietantemente simile.

 

Ma a Benji non aveva proprio voglia di pensare.

 

C’era Ed lì stretto al suo fianco. Il suo calore. La sua mano ad accarezzargli, quasi sovrapensiero, il braccio, seguendo i contorni dei muscoli, dell’osso, il gomito, la pelle appena sfiorata da due dita. E nient’altro in tutto l’universo.

 

Niente Benji.

 

E soprattutto: niente Alex.

 

Niente Alex.

 

Mai. Più.

 

Quello era un pensiero ben peggiore di quello riguardante Benji: lo cancellò con forza scuotendo il capo.

 

Ed lo guardò sospettoso ma non disse nulla. Al posto suo parlarono le sue dita, scivolate sul suo petto, sul suo addome, sotto la sua maglietta, a pizzicargli la pelle intorno all’ombelico. E le sue labbra sul collo.

 

Il calore divenne quello di una fornace.

 

Mani addosso, mosse con una perizia incredibile: Mark stesso si scoprì a ricordare ogni minima piega del corpo di Ed, in un certo senso era come ritornare a casa. Un piacere sicuro, caldo, confortante.

 

Labbra sulle labbra e un sussurro cullante.

 

“Lascia fare a me, questa volta.”

 

Mark chiuse gli occhi passandogli una mano fra i capelli: aveva *sempre* fatto lui..

 

Un braccio a tendersi verso il comodino: a prendere un preservativo, probabilmente e poi le sue labbra, di nuovo, a percorrere i sentieri sul suo corpo più abbronzato di ciò che era stato, più maturo e forte. Ma le tracce erano lì, Ed le trovava come se gli fossero state scavate nella carne viva. Non dimenticò un lembo di pelle, una sola carezza, un singolo punto in cui, sapeva, Mark pareva quasi sciogliersi dal piacere.

 

Avevano tempo, quella volta, tanto tempo, e un sacco di privacy. Ed lo stupì di nuovo: scostò appena i pantaloni del pigiama, mentre la custodia del preservativo veniva strappata e glielo srotolò addosso con un movimento unico delle labbra.

 

Come quando si ritrovavano soli a condividere lo spogliatoio del campetto della scuola, e avevano poco tempo perché dovevano uscire, tornare a casa, e c’era sempre la possibilità che qualcuno dei loro compagni tornasse indietro, o che il custode passasse prima a chiudere, o la donna delle pulizie..

 

Ora come allora le labbra di Ed lo fecero venire, in fretta e in silenzio. Mark arcuò il collo all’indietro mordendosi un labbro per non gemere troppo forte, anche se non c’era nessuno che avrebbe potuto sentirli o riprenderli o..

 

Ma Ed era lì, per lui. Ancora, come sempre.

 

Ed, dopo avergli tolto ciò che risultava ormai solo un fastidio, gli si strinse addosso con un abbraccio dolce e affamato insieme. Mark sentì la sua erezione premergli sul ventre e gli sorrise. Gli passò dolcemente le mani lungo la schiena, fra i capelli, sulla nuca. Lo obbligò a portare indietro il capo per poterlo baciare e anche il bacio, *quel* bacio, lo riconobbe: uno di quei baci che sembrano un addio, che contengono dentro di se tutto un poema di sensazioni e di parole che non potranno mai essere dette.

 

Aprì gli occhi e si aspettava di trovare quel viso affilato illuminato da due occhi troppo grandi rispetto al solito, a leccarsi le labbra attendendosi di essere ricambiato, almeno. Invece Ed lo stringeva, il viso contro il suo collo, la guancia sulla sua spalla.

 

Gli sfiorò di nuovo la schiena, con lentezza, una carezza lunga, estenuante, ripetuta fino allo sfinimento. Fino a quando Ed si scostò tremante, da lui, lasciandogli libero accesso al suo petto, a ..

 

“No.”

 

Mark lo fissò dritto negli occhi.

 

“Come ‘no’. ‘No’ cosa?!”

 

Inaspettato come una nevicata a luglio, Ed parve proprio arrossire.

 

“Voglio solo dormire con te. Posso?”

 

Mark modulò uno strano respiro e, con un movimento brusco, si tirò in piedi con Ed ancora strettamente aggrappato a lui.

 

“Non volevo obbligarti a stare scomodo, Ed.”

 

Il letto era piccolo. Dopo tutto la stanza era arredata con due letti singoli, divisi da una coppia di comodini. Ma ci sarebbero stati: bastava stringersi, e poi..

 

Ed scosse il capo avvicinando la fronte a quella di Mark lasciandosi appoggiare sulle coperte come se fosse un bambino. Era quel lato così incredibilmente .. tenero, affettuoso di Mark che l’aveva sempre fatto impazzire. Qualunque cosa la vita avesse cambiato del ragazzo che conosceva, non aveva modificato *quello*. Era l’unica cosa che contava.

 

Si sentiva impazzire. Gli bruciavano le vene, il cuore. Il desiderio era un fuoco bianco, accecante, che gli si era raggrumato tutto all’inguine.

 

Strinse con forza gli occhi premendo la fronte sul petto di Mark.

 

“Vieni qui.”

 

L’unica cosa che contasse. L’unica cosa che voleva da Mark, e che nessun altro avrebbe potuto dargli.. lottò leggermente contro le sue mani, intenzionate a stuzzicarlo in punti messi ben oltre sotto la sua vita.. ciò che voleva era lì.

 

Era stare lì.

 

“Ed..”

 

“Voglio dormire, Mark. Voglio stare qui e dormire. Per favore.”

 

Sentì il suo sguardo stupito. Forse si aspettava uno dei suoi soliti scherzi. Una delle sue ennesime battute. Forse si aspettava che da un momento all’altro gli sarebbe saltato sullo stomaco, cercando di farlo morire di solletico. Nonostante questo timore, non del tutto infondato, visto i trascorsi, le braccia forti di Mark lo tennero vicino, gli fece appoggiare il più comodamente possibile il capo sulla spalla e quelle labbra calde sussurravano appena a un palmo dal suo orecchio.

 

“Sei sicuro che sei.. comodo così, Ed?”

 

Era stupido e infantile. Erano.. erano due uomini maturi. Nessuno si aspettava che si comportassero come due ragazzini in vena di sentirsi malinconici.

 

Eppure a Mark non importava. E non era la sera giusta, quella, per farsi troppe domande. Né per farle ad Ed.

 

Era stato bene. Voleva.. poter ricambiare. E Ed non era il tipo che si tirava indietro per troppa ritrosia. No.

 

Lo sentì soffocare uno sbadiglio mentre il suo corpo, lentamente, si quietava. Come potesse Mark non riusciva a capirlo, ma Warner era sempre stato strano. Sempre.

 

Si concesse un nuovo sorriso prima di lasciarsi scivolare anche lui nel torpore che precede il sonno.

 

Un solitario pensiero maligno fece la sua comparsa un attimo prima di addormentarsi: la scalinata, lo spiazzo di fronte al tempio, le panchine. Quella mattina qualcuno avrebbe atteso a lungo. E invano.

 

Ma il dolore non ebbe tempo di fiorire, inghiottito dall’oblio.