Che freddo cane!
Ma alzando la testa vedo il premio di quel freddo. Un cielo sereno, acceso di colori pastello nel tramonto anticipato dell'inverno, pulito com'è raro da vedere in questa città, e che la fa sembrare quasi bella...
Contemplo il campetto deserto, quell'asfalto vecchio e ormai pieno di cunette, con le righe del campo all'americana, i canestri con le retine stracciate e la vernice scrostata.
Nessun rumore a parte quello delle macchine sulla strada, degli autobus alla fermata, degli aerei che rombano in cielo. Il silenzio aspetta soltanto me, il percuotere del mio pallone di cuoio sull'asfalto, quel suono pronto a disperdersi in questo vuoto che mi circonda.
Di tutte le sere, proprio stasera non c'è nessuno...
Alzo le spalle, metto il pallone sottobraccio e vado in campo. Chiedendomi chi mai mi aspettassi di trovare a farmi compagnia.
Scusa, l'altro canestro è senza retina, posso stare qua a tirare con te?
Sento improvvisa una fitta di nostalgia.
Aveva sedici anni, Claudio, quando attaccò bottone con me su questo campo; i capelli corti, nessuna aria da fighetto, nessuna presunzione: faceva quasi tenerezza. Aveva un pallone da poco prezzo, di quelli tutti colorati come bagasce che i genitori regalano ai figli, quando pensano che questi abbiano la solita mania passeggera.
Cavolo, come giochi bene!
Mi era venuto da ridere al complimento. Ovvio che giocassi decentemente, e mi ero trattenuto dal dirgli dove avevo giocato, non volevo fare il puzzone.
Gli avevo fatto i complimenti a mia volta. Ed avevo scoperto che giocava nella mia nuova società, nella categoria cadetti; aveva iniziato da un paio d'anni, ma si vedeva che non gli avevano mai insegnato davvero la tecnica, mi osservava con occhi avidi.
Com'è che tieni le mani quando tiri?...
Così era cominciata la nostra amicizia.
Un tiro dopo l'altro.
Tutti i santi giorni che Dio mandava sulla terra, Claudio veniva in questo campetto, tranne ovviamente quando pioveva... finiva i compiti e si precipitava qui con lo zainetto in spalla, scaricava la roba ai piedi del canestro, tirava fuori la palla e si metteva a giocare, da solo o con qualche amico: pronto a piantare tutto e tutti non appena mi vedeva, per chiedermi di giocare con lui.
E c'erano spesso delle ragazzine ad accompagnarlo, un po' troppo piccole per i miei gusti ma comunque carine; si sistemavano sulla panchina a chiacchierare, illividendosi al freddo o cuocendosi al sole per guardarlo giocare, con una pertinacia che dava da pensare. Ma lui sembrava non accorgersi della cosa, continuava candidamente a correre dietro al pallone come se niente fosse...
Chissà, forse già da allora le ragazze non gli interessavano poi così tanto.
Faccio una smorfia, raccogliendo la palla.
Ma sei veramente gay, Claudio? O... ti ci hanno fatto diventare?
Mi dà fastidio questo pensiero...
Non è niente che riguardi l'omosessualità in se stessa, Claudio può fare della sua vita quel che vuole; ma se fosse veramente gay, mi chiedo come abbia potuto non accorgermi prima di una cosa tanto importante in lui. E poi non me ne ha mai parlato... e questo mi brucia ancora di più. Mi ha sempre confidato tutto - mi aveva persino raccontato della sua prima volta con una ragazza - e questa volta invece ha taciuto...
Non si è fidato di me? Aveva paura che lo allontanassi?
Sciocchezze!
Aveva paura che lo contraddicessi. Che parlassi male dell'uomo di cui si è innamorato.
Ginger.
Prendo il pallone e lo scaglio al canestro opposto, lontano una dozzina di metri. Una fiondata che non entrerebbe mai... la palla sbatte violentemente contro il tabellone, rischiando di spaccarlo.
Poi ritorna indietro, rimbalzando verso di me. La raccolgo, ansimando, il mio fiato che esce in nuvolette rapprese dal freddo.
Beh, Claudio, hai avuto ragione! Ti avrei parlato male di Ginger.
Perché mi ha portato via un amico.
Accidenti a lui!
Eh già, tutto è cambiato dal suo avvento. La confidenza di Claudio con me, andata al diavolo. L'amicizia, passata in secondo piano. Perché? Semplice: Claudio ha sempre cercato il sostegno di una figura adulta, una sorta di "fratello grande" che gli desse la sicurezza che gli mancava. Io ho fatto del mio meglio, sono diventato il suo migliore amico, il suo punto di riferimento... ma di colpo mi son trovato a competere con un tipo grande e maestoso, tutto trasudante arrogante sicurezza in se stesso, scostante, ricco e indipendente.
E ho perso.
Claudio ha deciso per Fausto.
A cui però piace in ben altro senso che l'amicizia, e qui mi sorgono i dubbi su quanto siano genuini i sentimenti del ragazzo... mi chiedo se Ginger non se lo sia rivoltato a suo piacimento, approfittando della sua insicurezza.
Mi viene da sogghignare.
Però, il mitico Ginger, l'arbitro tutto d'un pezzo... gay!
Che sorpresa è stata. Alla faccia del mito della virilità e dei cliché sui finocchi. Sfido chiunque a sospettare una cosa simile da lui...
Anche se forse l'unico indizio è che in borghese è quasi troppo perfetto, troppo elegante, come quei modelli delle riviste patinate, che per essere eccessivamente belli finiscono per sembrare invariabilmente equivoci.
Problema che io non ho, bello non lo sono mai stato.
Invidia?...
Forse, ammetto a me stesso.
Accantonato perché sono brutto?
Ma allora che amicizia era quella di Claudio per me, se si appoggiava a sciocchezze come l'aspetto fisico?
Un simulacro di relazione gay?
Chiudo gli occhi, perché ci ho pensato tante volte negli ultimi tempi, a questa cosa...
E' vero, voglio bene a Claudio, forse troppo. Ma non c'è niente di fisico in questo, gli voglio bene come a un fratello, è ovvio che mi faccia male l'idea di perderlo, non c'è bisogno di tirare in ballo l'omosessualità.
Come si fa a non voler bene a Claudio, dopotutto?
Il ragazzo più naturale e spontaneo del mondo.
La nostra prima simpatia si è cementata convivendo praticamente ogni giorno, in palestra o sul campo; lo vedevo crescere, condividevo i suoi sogni, i suoi problemi, dimenticavo i miei. E Claudio ricambiava il mio affetto con la sua fiducia, la sua costanza. Con qualche caduta nei giorni in cui aveva la testa tra le nuvole, certo, come capita a tutti: ma altrimenti, in tanti piccoli modi sapeva farmi capire che avevamo creato qualcosa di bello, quel giorno che ci eravamo scambiati la parola su questo campetto...
Mi viene il magone. Sì, qualcosa di veramente bello!
Ma è finito, no? Lo vedo qui, lo posso toccare con mano.
E non è l'unica cosa che finisce stasera.
Riattacco a tirare. Guardo la palla che entra in canestro, la maledico, le chiedo sotto sotto di uscire, di farmi vedere che sono arrivato al capolinea.
E invece quella bastarda continua ad entrare, un canestro dopo l'altro...
Mi cadono le braccia. Ecco, guarda quanto avrei ancora da offrire!
Quanti campi ho calpestato, non potrei neanche tenerne il conto! Quanto sudore ho buttato via. Quante ore a imparare quel che sto facendo adesso... ed ho avuto i maestri migliori. A furia di ripetere le stesse cose per innumerevoli giorni, hanno fatto del mio corpo una macchina automatica.
Ma per trasformarmi in questa macchina, il mio fisico è stato sottoposto a sforzi sbagliati, proprio nell'età dello sviluppo. E nel momento che potevo raccogliere i frutti di quel che avevo seminato... ho allungato la mano, e le gambe mi son mancate da sotto.
Proprio alle porte del successo... che sfortuna.
Prendo la palla in una mano, pieno di voglia di urlare, e parto in una rincorsa per andare a schiacciare, con la voglia di tirar giù questo maledetto canestro.
Sfortuna, eh? Non ho mai potuto scegliere! Tutto è sempre dipeso dagli altri, il bene e il male! E quando finalmente sono diventato padrone di me stesso, mi avevano già rovinato, e non perché non avessi talento, neanche per cattiveria, no, solo perché a qualcuno doveva pur toccare... ed è toccato a me!
Primo passo in area.
Secondo passo, carico per il salto...
"Argh!"
Il dolore lancinante mi punisce con una immediatezza spietata.
Mi blocco, metto giù l'altra gamba, mi piego un istante.
Passa... presto...
Ormai lo so. Dovrei esserci abituato, no? Da quanto tempo vado avanti così? Quanta angoscia ho mandato giù, aspettando quel che medici e paramedici potevano dirmi, la loro risposta alla mia ossessionante domanda: Quando potrò tornare a giocare?
Perché era la mia vita...
E loro a rispondermi parlando di settimane, o mesi, che significavano dolore e perdita di tempo (non di soldi perché ho sempre avuto l'assicurazione, e quelli che l'avevano stipulata con la mia società mi maledicevano!); significavano impegno, fatica, e rottura di balle per andare negli studi a farsi curare.
Io però ero pratico, sopportavo tutto, mi portavo da leggere durante le terapie, mi facevo le iniezioni da solo - e pensare che da piccolo avevo terrore degli aghi - non saltavo un allenamento, e se mi disperavo mi bastava andare a vedere una partita per riavere la forza di andare avanti, sentire la voglia che pulsava in me, la voglia di esserci anch'io, lì in campo con i ragazzi, questo mio desiderio più forte di tutto, tutto il dolore, tutta l'amarezza, tutta la voglia di mollare.
No, non sto piangendo! E' solo l'aria fredda...
Sento una pena immensa per me stesso, ma continuo a tirare, anche se non vedo bene so che la palla entra, sento il rumore sensuale della retina ad ogni canestro.
Claudio, perché non sei qui?!
Ma non viene più, e non mi chiama da settimane; ed io semplicemente non ce l'ho fatta a rompergli le balle di proposito. C'è un messaggio nel suo silenzio, e cioè... che di me non gli interessa più niente.
Dopo tutto quel che ho fatto, dopo essere sempre stato disponibile, ecco che accade il miracolo, Claudio, stavolta sono io, il tuo ex-sostegno, ad aver bisogno di te, ma tu... hai altro da fare, in questo momento, vero?
Già; probabilmente, mentre io sono qui a gelarmi i coglioni, lui è a casa di Fausto, al calduccio, a farsi coccolare; e se per qualche caso gli venisse da pensare a me, si direbbe: "Gianni? Lui è grande, esperto, sa sempre cosa fare. Di che mi preoccupo?"
Già di che si può preoccupare? Non sa neanche cosa mi hanno detto all'ultima visita ortopedica...
"Senti, Gianni, ho dato un'occhiata alla tua ultima TAC."
"Che cos'è quella faccia?"
"Ti avevo avvertito che dovevi smettere di giocare."
"Ho ridotto l'attività..."
"Cosa credevi di ottenere, sforzando un ginocchio come il tuo? Di fargli bene?"
"L'ho usato! Non posso staccarmelo per metterlo in cassaforte..."
"Ormai quel che è stato è stato, ti faccio questo discorso solo per il futuro."
"Futuro?"
"Te lo dico fuori dai denti, Gianni. Tra vent'anni questo ginocchio non lo pieghi più. Ti riempi d'artrite e zoppichi fino alla fine dei tuoi giorni e soffri un sacco di dolori."
"Alternativa?"
"Ti opero subito."
Groppo alla gola al pensiero di rivedere ferri, anestesie, lenzuoli verdi e tintura di iodio. "Ancora?... Beh, però dopo potrò almeno fare un poco di attività... due tiri, un po' di jogging, di nuoto..."
"Niente jogging. E niente nuoto, finché non sono sicuro che l'operazione è andata bene. E meno di tutto, Gianni... niente pallacanestro, siamo intesi? Troppo traumatico. E la stessa cosa vale per il calcio o lo sci..."
"Mai fatto calcio e mai sciato in vita mia, come potevo con queste ginocchia..."
"Ecco, e allora adesso nell'elenco mettici dentro anche il basket. Devi dire basta."
"Finché non guarisco?"
"No. Perché non guarisci, Gianni. Questo te lo puoi scordare."
Sangue che se ne va dalla faccia. "Come, non guarisco?..."
"Guarda qua, e qua, lo vedi com'è ridotto il tuo ginocchio? Non sono il Padreterno, i miracoli non li posso fare, non del genere che vuoi tu."
"E allora, se non guarisco, perché mi vuoi operare?!"
"Ti sistemo solo per evitare guai peggiori. Per camminare decentemente e fare una vita normale. Ma l'attività agonistica, te la scordi. Non hai più margini per farla. E sarebbe meglio anche farla finita con lo sport in generale."
Silenzio da parte mia. Terribile, totale silenzio.
"Del resto non sei più tanto giovane, non sei un professionista che ci dovrebbe campare, con lo sport, dài Gianni, non dirmi che è un sacrificio insopportabile attaccare queste benedette scarpe al chiodo..."
No, certo. Non è un sacrificio insopportabile.
Me lo ripetevo come un mantra, mentre tornavo a casa. Mi dicevo: oh meno male che ho un buon motivo per ritirarmi! Vado in ferie, ragazzi. Tutte queste sere da passare sul divano, in pace, invece che in palestra. Tanto tempo guadagnato per i fatti miei.
Per poi mettermi a tavola, accendere la radio e sentire quello spot pubblicitario prima della trasmissione TuttoBasket:
"Lo riconoscete questo suono?"
Palleggi, cigolio di scarpe su parquet...
Il mio stomaco si è contorto in un nodo scorsoio, la forchetta mi è caduta di fianco al piatto... ho spento la radio, mi son preso la testa tra le mani.
Ed ho pianto come un disperato, a singhiozzi, con tutto il mio dolore e la mia rabbia.
Non è giusto, non è giusto, non è giusto!!!
Ho pianto, e pianto, e poi invece di mangiare ho aperto il frigo e vuotato una birra dopo l'altra, fino a sbronzarmi, e sono andato a letto, sperando di dormire, ma non ce la facevo, i ricordi mi tormentavano, i cattivi pensieri, riassaggiavo la bile di tutti i miei fallimenti, ed ogni istante mi svuotava inesorabilmente...
Fino a lasciarmi senza forze.
In quel momento, finalmente... mi sono rassegnato.
Okay. Mi faccio operare.
Ma prima di prepararmi, ho voluto venir qui.
Per celebrare la conclusione della mia carriera sportiva.
Sono sempre stato un romantico, dopotutto...
Alzo la testa, con un sospiro