Disclaimers: i personaggi non sono miei, ( ahimè ;_; se
lo fossero si divertirebbero di più ;P), ma dei rispettivi autori. Le parti
comprese fra asterischi in originale sono scritte in corsivo. D’ora in avanti sarà tutto frutto della mia fantasia, a parte qualche necessario riferimento ai fatti pregressi.^^ Ho saltato i riferimenti all’incontro tra Kurikara e Soryu,visto che i fatti li conosciamo praticamente tutti^^
L’anima riflessa nell’ossidiana Parte
II di Korin Kurikara osservò a lungo il cielo in tempesta, in
silenzio poichè non aveva più nemmeno Futsu con cui parlare. Carezzò la lama
forgiata da poco, un oggetto senza coscienza che non gli avrebbe recato alcun
conforto e a cui da quel momento in avanti avrebbe dovuto affidarsi
completamente. Trasse un respiro profondo, chinando il capo, per un attimo
incurante dei fulmini, dei tuoni e del vento reso mortale dalla sabbia; aveva
smesso di gridare la sua disperazione il giorno in cui il sole era sorto in
un cielo azzurro profondo, dalla bellezza sinistra e silenziosa. Aveva
pensato che i suoi figli avessero taciuto rassegnati, come aveva creduto che
l’oscurarsi del cielo fosse il loro desiderio di vendetta risvegliatosi
all’improvviso, ma dopo aver visto il suo rivale era arrivato a chiedersi per
la prima volta se invece che loro stessi non stessero piangendo per il
Gensokai e tutti i suoi abitanti. Sospirò ancora. Soryu era cambiato in
quegli ultimi secoli: era rimasto fiero quanto iracondo, eppure qualcosa in
lui appariva in qualche modo più morbido e mentre lo sfidava con lo sguardo
aveva riscoperto intatto dentro di sé il rispetto che provava per lui. Piegò
all’insù un angolo della bocca, con amarezza. Soryu era fedele fino ad essere
ottuso, gli bastava servire la sacralità della legge e dell’Imperatore, era
troppo legato a questo per porsi domande, non si era mai reso conto che se
non avesse posseduto una così alta nobiltà d’animo i suoi figli non avrebbero
mai avuto le sembianze dolci della parte più profonda del suo spirito. Poteva
solo *sperare* che le sue parole avessero un seguito nei suoi pensieri. D’un
tratto rise piano. Tzuzuki invece non era cambiato per nulla. Ricordava come
se fossero passati solo pochi istanti la prima volta in cui lo aveva visto, o
meglio, *udito*, perché i suoi lamenti portati dal vento leggero del mattino
lo avevano colto di sorpresa. Si era sporto dalle mura diroccate, aggrottando
le ciglia verso le figure chiaramente distinguibili che stavano avanzando
nella sabbia. Aveva trattenuto il respiro per un attimo, soffocato dalla
meraviglia e dalla sensazione senza nome che gli aveva stretto la gola. Un
Drago dal Fuoco Nero. Touda. Aveva lottato con se stesso per calmare il
respiro e infine aveva ceduto, coprendosi il viso con una mano e soffocando
un singhiozzo con una risata nervosa. Nemmeno nei suoi sogni più folli
avrebbe immaginato di trovare un superstite tra quelli che lo avevano
sostenuto. La sua attenzione poi era stata di nuovo catturata dalla figura
piagnucolante che il Drago stava prendendo a male parole, torreggiando su di
lei. Era rimasto allibito quando, avvicinatosi, aveva visto Touda arretrare
alle spalle dell’altro e incrociare le braccia sul petto, in attesa. Più di
tutto però ricordava la sensazione che lo aveva catturato appena incrociato
lo sguardo con quello di Tzuzuki: aveva percepito la sua forza e la natura di
tutti gli shinsho che aveva conquistato e poi qualcosa lo aveva toccato
scorrendogli sotto la pelle, un potere troppo intenso per appartenere ad un
essere umano, ma tiepido e dolce, al punto che il Re aveva avuto l’
impressione che il suo sangue si fosse raddensato e trasformato in miele; e
allora aveva compreso quanto potesse essere pericoloso quel bizzarro
visitatore. Kurikara socchiuse gli occhi, concentrandosi sul rumore
dei tuoni. Se quel giorno le grida dei suoi figli non fossero risuonate
ancora tanto violentemente dentro di lui avrebbe ceduto senza resistenze; Tzuzuki sapeva amare in modo
incondizionato, ricevendo altrettanto, gli era bastata un’occhiata per vedere
cosa si nascondeva dietro i tratti impassibili del suo figlio superstite. Il Re piegò le labbra in un lievissimo sorriso. Pensare
al fatto che Touda vivesse gli donava un sollievo profondo, perfino una
speranza, capace di dare un po’ di sollievo al suo spirito inaridito dal
dolore. Sbuffando piano poggiò la lama su una spalla e cominciò a scendere
gli scalini coperti di polvere. Era vero che Tzuzuki sembrava sempre uguale a
se stesso, eppure quando gli si era avvicinato al punto da poter scorgere il
riflesso dell’orizzonte nel suo sguardo viola aveva percepito qualcosa che
non ricordava. Con cautela fece scorrere la porta perché con facesse rumore;
era un gesto dettato più dall’abitudine che altro, poiché quel giorno il
vento e i tuoni risuonavano rabbiosi anche all’interno del suo rifugio.
Kojiro gli gettò un’occhiata che riuscì perfino ad essere feroce. Il Tengu
giaceva prono, privo di forze, con le braccia stese lungo il corpo e l’ala
rimastagli completamente aperta, poggiata sul pavimento. Lo shinsho si chinò
e sfiorò con un dito la ferita perfettamente cauterizzata. Kojiro emise un
suono gutturale, un lamento mascherato da un ringhio. “Direi che non morirai per questa.” commentò il Re. Il Tengu riprese fiato, fissando con ostinazione un
punto sulla propria spalla. Kurikara nel frattempo si era spostato sul suo
fianco sinistro e stava sfiorando con l’indice il profilo dell’ala integra.
Il ferito si morse il labbro inferiore, rabbrividendo appena. “Soryu e il suo padrone sono stati qui.” annunciò con
noncuranza “Per cercare il ragazzino che il tuo compagno si è portato via.” Il ferito espirò rapidamente, poi con un notevole sforzo
si sollevò un poco per girare il viso verso di lui. Il Re piegò le labbra in
un sorriso indefinibile, vagamente crudele mentre aspettava di proposito a
rispondere alla domanda che gli veniva rivolta in silenzio. “Se ne sono andati sani e salvi... tuttavia Soryu
sembrava troppo adirato per chiedersi se tu fossi vivo o morto.” Il prigioniero sospirò piano, sollevato. “Cosa sai di Tzuzuki, Tengu?” Kojiro mostrò una sorpresa genuina a quella domanda. “Meno di quanto tu non abbia saputo quando lo hai
rifiutato.” sussurrò, con la voce arrochita dalla debolezza. “Hm.” Kurikara aprì le dita, facendole scorrere leggere tra le
piume, lisciandole pensieroso. Kojiro trattenne il respiro per un attimo: lo
shinsho non sembrava rendersi conto di quanto fosse intima quella carezza
distratta. “Cosa ne farai di me?” sussurrò. Il Re scrollò le spalle. “Ci penserò…forse potrei accontentarmi della tua ala.” ****** Soryu volava in un silenzio quasi perfetto, con gli
occhi appena socchiusi, persi nel cielo terso del Gensokai; steso sul suo
dorso, aggrappato alla criniera, Tzuzuki era ancora silenzioso. Si era
aspettato il consueto pianto dirotto e l’ammissione di una colpa inesistente,
invece il suo padrone sembrava essere sprofondato in una parte troppo
profonda dei suoi pensieri. Toccò terra lontano da Zio Tenku, tra gli alberi
secolari della foresta. Tzuzuki scivolò a terra e attese che riprendesse la
sua forma umana, quindi gli dedicò un sorriso mesto che nascondeva troppe
cose. Il Dragone Blu tese le dita,
sfiorandogli il viso in un gesto che aveva dedicato solo ai suoi figli. Lo
shinigami chinò gli occhi, ancora più avvilito da quella manifestazione di
tenerezza. “Cos’è successo, Tzuzuki?” La voce dello shinsho risuonò pacata, senza nessuna
traccia di durezza. Tzuzuki scosse piano la testa, con il solo risultato di
sentire la mano di Soryu scendergli sulla spalla e stringerla. “E’…difficile.” si scusò lo shinigami. “Cioè…non capirei?” chiese lo shinsho, pensieroso,
quindi aggrottò le sopracciglia “Invece un traditore può riuscirci?” Tzuzuki si irrigidì, ritraendosi impercettibilmente. “Ai miei occhi
Touda rimane un traditore.” affermò l’altro “ Tollero la sua presenza solo
perché tu lo desideri.” Lo shinigami annuì appena, distogliendo di nuovo lo
sguardo. Soryu emise d’un tratto un sospiro, un’ammissione di
sconforto o stanchezza che non si permetteva mai. Con il dorso delle dita sfiorò
di nuovo la guancia del suo padrone. “Io sono sempre severo con te… ma questo non significa
che non ti ami.” confessò. Tzuzuki deglutì a vuoto e aggrottò appena le
sopracciglia all’appannarsi dello sguardo, quindi chiuse gli occhi e smise di
cercare di cacciarne le lacrime. “Lo so.” sospirò, a sua volta “ Non ho mai dubitato di
questo” Alzò finalmente gli occhi, per reggere lo sguardo
dell’altro. “Non si tratta di fiducia, davvero.” Soryu socchiuse gli occhi, irritato dal fatto che
continuasse ad eludere la sua domanda. Il suo padrone deviò di nuovo lo
sguardo verso il basso. “Il fatto è che con Touda è… più facile” arrancò
Tzuzuki, spostando rapidamente il peso da un piede all’altro “ Lui…” “Tzuzuki.” Lo shinsho sospirò di nuovo, stancamente, e per un
attimo strinse i pugni. “Tzuzuki tu *non*
sei un peccatore.” Gli strinse il viso fra le mani e poggiò la propria
fronte contro la sua. “Altrimenti ti avrei strappato il cuore solo per avere
pensato di potermi avere.” Tzuzuki rabbrividì, di nuovo consapevole delle parole
che gli avevano svelato la sua natura. Gli tremò il respiro in gola, eppure
afferrò i polsi dello shinigami prima di soffocare un singhiozzo. “Ma io…” Inaspettatamente lo shinsho gli cinse le spalle con le
braccia, in modo gentile e discreto,
eppure affettuoso. “Cosa dobbiamo fare con te, Asato? Non hai ancora capito
che nessuno di noi ti avrebbe voluto se tu fossi come ti giudichi?” “Io uccido la gente…” Per un attimo l’espressione del Dragone Blu rasentò la
ferocia, quindi allontanò con gentilezza il suo padrone. “Gli umani muoiono.” disse, con il tono di chi sta ormai
per perdere la pazienza dopo aver ripetuto all’infinito le stesse cose “Dal
momento in cui sono concepiti cominciano a consumare il tempo che è loro
concesso, muoiono ogni giorno, ad ogni respiro… voi andate a prenderli quando
il loro momento è venuto, perché ti ostini a non capirlo? Quanti ti hanno
portato rancore per averli condotti con te?” Tzuzuki scosse piano la testa. “La prospettiva cambia quando finalmente si acquista la
consapevolezza di come stanno le cose, perché non riesci a liberarti da tutte
queste pastoie?” Tzuzuki scosse la testa, come se non lo avesse nemmeno
udito. “Io…ho ucciso la mia famiglia...io…” Tzuzuki esitò, con le labbra socchiuse come se le parole
vi si fossero adagiate sopra senza intenzione di andare oltre. “…non sono
umano.” confessò infine, quindi il suo viso si deformò come se una fitta
dolorosa gli avesse attraversato il torace, e attese delle ineluttabili
parole di condanna. Soryu aggrottò le sopracciglia, poi il suo viso cambiò
espressione, ammorbidendo le labbra in un sorriso lieve. “Di questo siamo sempre stati certi.” annunciò
serenamente. Di nuovo fece scivolare le dita lungo la guancia del suo
padrone. “Tutti noi sappiamo che sei troppo potente per essere un
umano…ma ai nostri occhi la cosa non
riveste la minima importanza, ti amiamo troppo per badare ad una sciocchezza
simile. Sei ciò che devi essere e per quanto tu sia inaffidabile, non abbiamo
mai avuto motivo di pentirci della nostra scelta.” Tzuzuki osservava
immobile lo shinsho, stentando a credere alle proprie orecchie, con il
viso atteggiato nell’espressione indecifrabile che precedeva il pianto, che
puntualmente venne a scuotergli il petto e lo spirito non appena le parole di
Soryu gli permisero di riprendere fiato. Il Dragone Blu tornò a cingergli le
spalle con le braccia e attese che lo shinigami riprendesse il controllo di
sé. “Scusa.” mormorò infine Tzuzuki. Lo shinsho scosse piano la testa e per un attimo lasciò
vagare lo sguardo tra le foglie degli alberi, indeciso, quindi scrollò le
spalle. “Ci staranno aspettando, andiamo.” Al limitare della foresta Kijin corse loro incontro.
Aveva avvertito nello spirito del padre un turbamento familiare, simile a
quello che gli scaldava l’anima quando Soryu gli stringeva la mano come se
fosse un bambino piccolo, quindi non si stupì quando vide il loro padrone che
lo salutava, con gli occhi arrossati e le labbra che tremavano appena sotto
il suo sorriso. Il giorno in cui Tzuzuki si era presentato per chiedere di
essere sottoposto alla prova, Kijin non aveva avuto il minimo dubbio riguardo
al suo esito. “Padre! Tzuzuki!” Si fermò ad un paio di passi da loro, nascondendo le
mani nelle ampie maniche, tornando alla posa elegante che teneva quando
passeggiava. “Hisoka è arrivato al monte Kurama” “Come sta?” chiese apprensivo il padrone. “Il signor Sojobo è riuscito a rallentare il processo di
degenerazione.” annunciò Kijin, ma le parole morirono prima del tempo sulle
sue labbra, lasciando la certezza che ci fosse dell’altro. “Ma può arrestarlo solo chi lo ha cominciato.” concluse mesto Tzuzuki e chinò il capo,
sospirando profondamente. Kijin strinse le dita tra loro, al di sotto delle ampie
maniche. “Allora possiamo solo aspettare, padre?” L’espressione di Soryu si indurì. “Per ora sì.” Inaspettatamente diede le spalle al figlio e al suo
padrone e si allontanò, consigliando a Tzuzuki, quasi in un ringhio, di
riposare e di non fare pensieri idioti. Kijin trasse un respiro profondo e chinò il capo. Non
aveva mai sentito l’anima di suo padre chiudersi su se stessa con tanta
decisione, rifiutando persino lui. “Perché non va a riposare? Attraversare la barriera è
faticoso perfino per uno shinsho…” Tzuzuki quasi sussultò nell’udire la voce di Rikugo.
L’astrologo gli sorrise con la solita cortesia, torreggiando alle spalle
dell’altro shikigami. “Come faccio a riposare in un momento simile?” Rikugo scosse la testa. “Non può fare nulla comunque e il monte Kurama non è
posto per noi né per lei.” socchiuse gli occhi, atteggiando i tratti del viso
in un’espressione indecifrabile “Touda è molto in ansia per la sua
salute…affronti un problema per volta.” Tzuzuki balbettò qualcosa, confuso e imbarazzato, quindi
chinò il capo e si avviò mesto verso Zio Tenku, il cui tetto dorato brillava
al di sopra della chioma degli alberi. Appena il padrone non fu più visibile,
Kijin sospirò, chinando il capo. “Ho paura.” sussurrò. Rikugo si volse allora verso di lui e gli toccò la
guancia con la punta delle dita. “Mio padre mi ha cacciato…” L’astrologo sorrise con gentilezza. “Rivedere Kurikara non deve essere stato facile per lui,
devi avere pazienza.” Il ragazzo annuì, amareggiato. “Ma anche il cielo è così confuso…cosa sta succedendo a
questo mondo?” L’altro shinsho trasse un respiro profondo e scosse la
testa. “Non lo so.” ammise. Esitò un istante, quindi si sedette sull’erba e tirò
gentilmente la manica dell’altro per farlo sedere accanto a sé. “Le stelle hanno cominciato a dare responsi poco chiari
molto tempo fa.” cominciò Rikugo “Ho creduto a lungo che fosse stato il
presagio della guerra che sarebbe scoppiata di lì a poco, eppure dopo la
sconfitta del Re Dragone non cambiò quasi nulla; tuttavia tu hai sempre
ottenuto responsi veritieri, per cui ho cominciato a credere di sbagliarmi…” “Hisoka sta morendo, il cielo mi ha mentito.” “O forse vede più lontano di noi, ma non è questo il
punto.” con un gesto rapido si aggiustò gli occhiali sul naso “Le stelle non
hanno mai detto che chi avrebbe dato inizio alla distruzione di questo mondo
sarebbe stato Kurikara Ryu-o, è quello che pensiamo perché la guerra ha
disturbato gli equilibri del Gensokai, ma non esiste nulla che possa
provarlo.” Kijin aggrottò le sopracciglia, un gesto così insolito
che attirò l’attenzione dell’astrologo. “Rikugo…tu avevi previsto come sarebbe finita la
guerra?” “Sì.” “E sapevi anche che saremmo nati io e Tenko?” Lo shinsho scosse la testa. Il ragazzo si morse il piano
labbro inferiore. “Ma com’è possibile?” sussurrò. “Non lo so.” ammise l’altro, quindi alzò lo sguardo
verso le nubi “I fatti stanno seguendo un disegno preciso, ma io non sono in
grado di comprenderlo.” Kijin chinò il capo, quindi si appoggiò a lui con
discrezione. La mano dell’altro risali il suo braccio destro fino a poggiarsi
sulla sua spalla sottile, in silenzio. ****** Tzuzuki gettò la
giacca con malagrazia e si sedette
sul bordo del letto di quella stanza così aliena al mondo in cui era
costruita. Si coprì il viso con le mani. Era troppo stanco e disperato
perfino per piangere e le parole del Re Dragone continuavano a ripetersi nei
suoi pensieri in maniera ossessiva, senza che riuscisse a metterle a tacere.
L’Imperatore era una figura sfuggente, perennemente rinchiusa nel suo palazzo
ma della cui esistenza nessuno aveva mai dubitato, a maggior ragione dopo che
aveva riversato parte della sua forza in Soryu permettendogli di vincere la
guerra…e di estinguere in un istante un intero popolo. Nessuno sapeva con
precisione il motivo che aveva spinto Kurikara a muovere guerra al Gensokai e
la superbia e il desiderio di potere a Tzuzuki erano parse solo delle scuse
nel momento in cui si era trovato per la prima volta di fronte alla minuta
figura del Re. Sospirò profondamente. Fece scorrere le dita sulle guance, e
socchiuse gli occhi, scoprendo un’ombra disegnata nitidamente sul pavimento.
Alzò la testa e la girò verso la finestra. Sotto l’intelaiatura, con le mani
poggiate sullo stipite Touda sembrava in attesa di un invito. Tzuzuki accennò
appena un sorriso. “Perché non entri?” “Non ero sicuro che saresti stato disposto a sopportare
la mia presenza.” Lo shikigami scosse la testa, invitandolo con un cenno.
Touda slacciò le fibbie degli stivali con lentezza, mascherando l’apprensione
che lo aveva divorato fino a quel momento. Si sedette a fianco del suo padrone senza guardarlo, la
schiena dritta, l’aria marziale e lo sguardo misericordiosamente nascosto dal
vetro scuro. “Ieri mi hai detto che Kurikara non fa nulla senza
valutarne le conseguenze…” “Sì.” “Perché ne sei così certo?” Il Drago sbuffò e poggiò i gomiti sulle ginocchia,
sporgendosi in avanti. “Ero tra i più potenti della mia gente, era mio dovere
assicurare la sua incolumità... ho avuto modo di conoscerlo.” Tzuzuki gli gettò un’occhiata sorpresa, quindi si morse
piano il labbro inferiore. “Allora mi sai dire perché ha attaccato Hisoka a quel modo?
Non poteva rappresentare un pericolo per lui.” La voce del padrone aveva vibrato leggermente, come se
stesse trattenendo il pianto. “Hisoka non doveva avvicinarsi a lui.” disse Touda,
mesto e gelido al contempo “Gli spiriti del fuoco faticano a controllare la
loro aggressività nei suoi confronti, anche io.” scrollò le spalle “Non siamo
creature pazienti, lo sai, avvisiamo una sola volta dopo di che passiamo ai fatti.” chinò al testa “Non
avrei dovuto lasciare andare quei due a cercarlo.” Tzuzuki sbatté le palpebre, sorpreso e vide Touda
arrossire lievemente e piegare le labbra in una smorfia rabbiosa. “Tu tieni molto a lui, noi teniamo a te, qualunque
shinsho avrebbe pensato di cercarlo.” aggrottò le sopracciglia “Cretino.”
concluse. Tzuzuki sorrise lievemente. “Grazie.” Touda sbuffò e con un gesto piuttosto rude calò la mano
sulla sua spalla, tirandoselo vicino. Il padrone si adagiò contro di lui, sospirando mesto. “Dimmi…” “Cosa?” “Anche tu hai sempre saputo che non sono umano?” Il Drago si irrigidì, quindi strinse le dita sulla
spalla dell’altro. “Non c’è nessuno tra gli shinigami potenti che non possa
accorgersene…ma per noi la cosa non conta; te l’ho già detto: sei un buon
padrone e una brava persona, non ti serviamo solo perché abbiamo stipulato un
contratto con te; se fosse così Suzaku ti avrebbe già divorato.” piegò le
labbra in una smorfia “E non continuerebbe a cercare di farmi la pelle: non
mi perdonerà mai per quello che è successo a Kyoto.” “Ma…” “A lei non
importa che sia stato tu a volerlo.” tagliò corto Touda “La colpa è mia
perché ho desiderato accontentarti.” Tzuzuki si morse il labbro inferiore, a disagio. “Ora non sono sicuro che potrei ubbidirti se me lo
chiedessi ancora.” Lo shinigami arrossì, poi piegò appena un angolo della
bocca all’insù. “Non credo che lo rifarei.” Raddrizzò la schiena e sorrise appena. “E’ strano sai…ho sempre voluto ignorare questa parte di
me, che mi ha causato così tanta paura e sofferenza in vita e poi, dopo così
tanto tempo, scopro che a nessuna delle persone che mi sta vicino ora
interessa che io non sia ciò che sembro…è buffo, non trovi?” Touda scrollò le spalle. “Ironico.” ribatté l’altro, pensieroso “Come il fatto che a fartelo scoprire sia stato
proprio quell’uomo.” aggrottò le sopracciglia “Che per inciso è scomparso in
un modo che andava molto al di là delle sue possibilità.” D’un tratto il Drago emise un suono profondo, quasi un
ringhio. “Siamo intrappolati in un gioco molto pericoloso.”
concluse quasi a se stesso. Lo shinigami si irrigidì. “Cosa…” Touda nel frattempo si era alzato di scatto. “Fatti un bagno e una bella dormita, Asato.” disse
perentorio, quindi si voltò per gettargli un’occhiata tagliente “E sia chiaro
che io non ho mai detto queste ultime parole.” Tzuzuki chinò il capo. “Certo.” Un leggero spostamento d’aria e la luce della luna che
entrava liberamente dalle finestre gli annunciarono che il Drago Nero se ne
era andato. Sopirò, affondando il viso nei palmi, quindi dopo qualche istante
si lasciò cadere sul letto, allargando le braccia. Altre domande e nessuna
risposta, di nuovo, come sempre. ****** Soryu aprì la porta della propria stanza con rabbia e la
richiuse senza curarsi del drammatico lamento dello stipite. Percorse a lunghi passi la sala, furibondo. Oltre
ad avere ridotto in fin di vita uno shinigami, Kurikara aveva offeso ancora
una volta e senza ritegno la persona più sacra del Gensokai, nascondendosi
dietro quell’aria di superiorità strafottente che lo aveva sempre
caratterizzato. Certo da uno spirito consumato dal Fuoco Nero non poteva
aspettarsi niente di meglio. Con un ampio gesto del braccio spazzò il
tavolino, riducendo in pezzi la fine porcellana del servizio da tè infine,
emettendo un ringhio profondo, si lasciò cadere su una sedia dall’alto
schienale. Appoggiò la fronte nel cavo di una mano, respirando a fondo. Un
simile attacco di rabbia non era cosa dignitosa, a maggior ragione per lui. * “Esiste veramente in questo mondo l’Imperatore Koutei
Ohryu?” * Il Dragone Blu si massaggiò le tempie, sfregandole
appena con le dita, quindi rivolse lo sguardo alla mano destra poggiata
elegantemente sul bracciolo. Durante l’ultima battaglia con essa aveva
sfigurato il viso del suo nemico e reciso con un gesto brusco e deciso i suoi
capelli scuri. Scosse la testa, mordendo inconsciamente il labbro inferiore.
Quell’episodio gli aveva donato una fama imperitura ed aveva segnato in un
istante la fine della guerra, eppure non era mai riuscito a liberarsi da un
sottile e subdolo senso di colpa che continuava impietosamente a perseguitarlo.
Chiuse gli occhi, sospirando appena. Aveva seguito gli ordini che gli erano
stati dati come avrebbe fatto qualsiasi buon generale, aveva visto morire
molti dei suoi sottoposti ed un numero nettamente superiore di rivoltosi,
aveva percorso i campi riarsi dalle battaglie coperto di sangue e polvere e
visto prigionieri tagliarsi orgogliosamente la gola di fronte a lui per il
timore di cedere…e nulla era riuscito a turbarlo fino al giorno dell’ultimo
scontro. Non aveva un ricordo preciso del momento in cui la forza
dell’Imperatore si era riversata in lui scendendo burrascosa dal cielo, però
ricordava fin troppo bene cosa aveva fatto il Re Dragone di fronte a
quell’avvenimento:* gli aveva dato le spalle *. Si era voltato solo quando la
minaccia del fendente aveva ormai superato la sua guardia, prendendo la lama
in pieno viso. Soryu sentì il fiato vibrargli in gola. Il sangue di Kurikara gli era schizzato negli occhi ma
anche con la vista annebbiata da quel rosso pastoso aveva visto sul viso del suo nemico una sorta di ottusa
sorpresa, come se si fosse accorto solo allora della sua presenza; il suo
occhio si era animato un solo istante, nel momento in cui aveva sentito la
presa sui suoi capelli, ma qualunque cosa il Re avesse pensato essa era stata
stroncata dall’attacco convulsivo che lo aveva scosso violentemente mentre la
fonte del suo potere veniva dispersa dal vento. Mentre lo teneva fermo, il
Dragone Blu si era reso conto di quanto fosse esile il suo corpo, e debole, e
solo quando Kurikara era divenuto inerte si era accorto che il suo sguardo
vitreo era rivolto ad un punto imprecisato oltre le sue spalle. Quando si era
voltato, nella foschia ormai rosata che gli alterava la vista, aveva visto i
suoi figli per la prima volta. “Dèi.” sussurrò Soryu. Si appoggiò allo schienale, stringendo le dita sui
braccioli. Ripercorrendo i ricordi di quei giorni aveva scoperto
che mentre il potere in eccesso fuoriusciva dal suo corpo era rimasto inerme
per qualche frazione di secondo, un tempo più che sufficiente perché uno
spadaccino abile come Kurikara potesse decapitarlo comodamente, invece egli
si era voltato invocando il nome dei suoi compagni, chiamandoli figli. “Sembri pensieroso, Soryu.” La voce giunse cupa e priva di strafottenza dal
terrazzo. Touda era appollaiato sulla balaustra, gli occhi privi di
protezione. Il Dragone Blu sbuffò in maniera teatrale e gli scoccò
un’occhiata di avvertimento. “Non ho voglia di parlare con te.” piegò le labbra in un
ghigno rabbioso “Non devi badare a Tzuzuki?” Touda atteggiò la bocca in una smorfia irritante. “E’ meglio che rifletta per conto suo.” tagliò corto. “Che vuoi?” Il Dragone Nero sollevò un sopracciglio, gettandogli
un’occhiata eloquente. Soryu parve accasciarsi sulla sedia. “Il tuo Re sembra godere di ottima salute.” disse con
voce inespressiva “E continua a dire sciocchezze.” “Allora perché sei così turbato?” L’altro shikigami scrollò le spalle. “Voglio dirti una cosa.” annunciò il Drago Nero, quindi
la sua espressione si fece indecifrabile
“Fin dall’inizio dei tempi il Re Dragone è condannato ad indossare le
sembianze di un bambino e questo lo ha portato a considerare il suo popolo
come la propria progenie… * tu* saresti disposto a sacrificare i tuoi figli
per qualcosa in cui non credi?” Il Dragone Blu scosse lentamente la testa, attonito.
Touda chinò lo sguardo, per un istante, quindi calò il vetro scuro sugli
occhi e si alzò in piedi, rimanendo in equilibrio sulla ringhiera. Le lunghe
code dell’abito gli ondeggiarono intorno, simili alla chioma a cui aveva rinunciato. “Apri gli occhi, Soryu. Il Gensokai ha cominciato a
morire già prima della Guerra.” Soryu rimase ad osservare la balaustra sgombra ancora
qualche istante, quindi si chinò in avanti poggiando le mani sulle tempie,
cercando disperatamente un appiglio che lo salvasse dal gorgo dei dubbi.
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