Piccola (mica tanto…) fic che non c’entra con le altre one-shot…ma avevo tanta voglia di scriverla *_*
La leggenda del principe incatenato
Parte I
di Hymeko
Kaiba appoggiò la testa accanto alla vecchia
mappa. Non riusciva più a tenere aperti gli occhi…stava studiando quel
documento egizio da più di sei ore.
Sbirciò l’orologio…erano quasi le due di notte, e il giorno dopo avrebbe avuto
un incontro d’affari importante. Non aveva il tempo di perdersi dietro a quel
pezzo di papiro ingiallito dai secoli, eppure…non riusciva a staccarsi. La sua
mente…no, più precisamente il suo cuore…era in fiamme. Era in grado a malapena
a dormire, i suoi sogni erano popolati da visioni della gola desertica
rappresentata con linee tremolanti.
Fissò il proprio riflesso nel vetro della finestra, stentando a riconoscersi.
Seto Kaiba con le occhiaie per la mancanza di sonno, i capelli arruffati e un
thermos di caffé vuoto vicino.
”Come ho fatto a ridurmi così?”
Cosa c’era di tanto importante, in quel canalone, da avere il potere di
ribaltare la sua vita?
Gettò un’ultima occhiata alla mappa, prima di metterla via. Doveva dormire…e
sognare. Cosa, lo sapeva già. Camminare a piedi nudi sulla sabbia, e dirigersi
verso quella parete rocciosa particolare, dove si alternavano l’oro della
sabbia e i colori ocra della terra. Il luogo collegato alla leggenda del
principe incatenato, narrata sui bordi del documento…era lì che si doveva
recare. Seguendo quei geroglifici che riusciva a capire, nonostante non avesse
mai studiato egittologia.
Si infilò sotto le coperte. La neve scendeva copiosa…si ritrovò a sperare che
l’appuntamento del giorno dopo saltasse…che le strade fossero impraticabili,
per permettergli di rimanere a casa ad immergersi sempre più in quel disegno…
Sbuffando, si girò di lato. Nemmeno quello era da lui. Abbandonare il sentiero
della sua vita per…un pezzo di papiro. Voltare le spalle al futuro, per donare
la propria mente al passato.
Se avesse avuto degli amici, avrebbe chiesto loro consiglio. Ma era solo, con
un fratellino che lo adorava, a cui non poteva assolutamente dare pensieri.
Raggomitolandosi stretto, chiuse gli occhi…stranamente, desiderava sognare la
valle. Lì, gli sembrava d’esser finalmente completo, unito a qualcosa
di davvero importante, una parte di lui dispersa dal vento dei millenni. Raggiungendo
la causa scatenante dell’incendio che gli devastava l’animo, avrebbe finalmente
conquistato un equilibrio, lo sapeva…una parte di lui odiava il genere umano,
mentre un’altra amava Mokuba, e…qualcosa, o qualcuno, di sconosciuto.
Girandosi sull’altro fianco chiuse gli occhi. Una risposta…aveva solo bisogno
di una risposta.
Per la prima volta in vita sua, si era lasciato guidare dall’istinto. La sua
mente ultrarazionale era stata messa da parte, cacciata in un angolo. Nulla di
ciò che stava facendo gli sembrava scientifico, quindi aveva deciso di
adattarsi. Avrebbe seguito il suo cuore, sino in fondo. Consegnata l’azienda
nella mani del fratellino, era volato via con uno dei loro aerei, verso l’altra
parte del mondo. E lì era iniziata la sua avventura…
Guidò con attenzione, fino all’imbocco della gola. Mokuba era rimasto
scioccato, quando gli aveva comunicato la sua decisione: andare in Egitto, alla
ricerca della fonte di quell’inquietudine, per spegnere il fuoco che lo
divorava.
Aveva qualcosa da fare, lì. Ne era certo…doveva raggiungere quella gola,
trovare la parete, e…il resto lo avrebbe scoperto una volta arrivato.
Consultò una mappa moderna, non quella in papiro. Era troppo antica e fragile,
per poter affrontare di nuovo la sfida del deserto. L’aveva quindi imparata a
memoria, minuziosamente, e lasciata in custodia al fratellino.
Appena messo piede nel deserto, la certezza d’aver fatto la cosa giusta l’aveva
invaso. Sì, era quello che doveva fare. Viaggiare sulla sabbia e arrivare lì,
dove tutto si sarebbe concluso.
Fermò la jeep, attendendo che la polvere si posasse. La stretta forra si apriva
dinnanzi a lui, le pareti alte una trentina di metri, striate d’ocra, rosso e marrone.
Scese, affondando nella sabbia. Non sentiva il caldo, né il pulviscolo lo
infastidiva. Il suo viaggio era giunto alla fine…doveva solo percorrere gli
ultimi metri, e la vallata l’avrebbe accolto nel suo abbraccio.
Ripartì. Il cielo era azzurro, e il sole picchiava forte sui bordi brulli. I
suoi occhi si erano abituati in fretta all’ombra del canalone, annullando il
forte contrasto fra l’aria buia lì dentro, e il riverbero della luce
esterna.
Quel luogo emanava delle sensazioni così strane…calma, ma anche una singolare
nostalgia, mischiata a timore. Come se…sapesse inconsciamente di dover stare
attento, che quel sito poteva sia salvarlo che rovinarlo…
Guardò nello specchietto. Nessuno lo seguiva, ma non per questo poteva
considerarsi al sicuro. Il suo istinto sembrava sbattergli in faccia la propria
forza…aveva sempre deciso di non seguirlo, ma lì ne era assolutamente schiavo.
Senza quello sarebbe già morto, e lo sapeva. Anche se non aveva ancora ricevuto
una vera minaccia.
Sbirciò i capelli che scappavano fuori dalla bandana verde pistacchio. Erano
biondi, tinti del colore del grano ancora acerbo.
Sorrise, al ricordo del viso di Mokuba. Aveva dovuto impiegare tutta la propria
autorità per convincerlo a non chiamare un dottore…in effetti, quel
comportamento non era esattamente degno di lui. Così come gli occhiali
rettangolari dalle lenti gialle…le odiava di quella sfumatura.
Ma, oltre ad essere un ulteriore metodo per renderlo irriconoscibile, avevano
un piccolo segreto: in realtà erano dei microschermi al plasma, con cui
controllare la zona circostante.
I suoi sensi, che non facevano che metterlo in guardia su tutto, lo avevano
costretto a un eccesso di precauzioni: quella zona era sì il suo traguardo, ma
era infestato di presenze ostili. Doveva stare attento, sembrare semplicemente
un appassionato di geologia un po’ svampito, recatosi nel deserto a soddisfare
la sua innocua passione…fermò l’auto, parcheggiando. Era arrivato. Il punto
esatto, ove il suo cuore palpitava con più forza.
Scese dalla vettura, riparandosi la bocca dalla sabbia. Sentiva decine di occhi
invisibili fissarlo. Sospirò…era solo un geologo. Uno studioso perditempo.
Annusò il vento, riempiendosene i polmoni. Ammirò le pareti rocciose che lo
circondavano…le conosceva palmo a palmo, erano il luogo preferito dove
trascorrere il suo riposo.
Scelse uno spiazzo riparato dall’ombra di un picco, e iniziò a esporre i propri
strumenti. Nulla di eccessivamente sofisticato e moderno: non doveva sembrare
pieno di soldi, o avrebbe attirato anche i ladri, oltre ai guardiani di quel
luogo. No, semplicemente una serie di lenti d’ingrandimento, una bilancina
d’ottone, un portatile sgangherato con una parabola ammaccata, e tanti sacchettini di plastica, dove raccogliere i campioni.
Si sfiorò distrattamente una tasca…lì c’erano i suoi assi nella manica. Nessuno
avrebbe sospettato nulla…iniziò a muoversi come avrebbe fatto uno studioso,
esplorando la zona e raccogliendo campioni. La minuzia con cui si dedicava alla
selezione copriva il tempo necessario a piazzare sul terreno un tipo diverso di
roccia, estraneo a quell’ambiente. Li aveva prodotti lui, nei laboratori della
Kaiba: delle pietre con le stesse caratteristiche esteriori di quelle del
deserto, ma con una cavità interna, in cui era inserita una microcamera ad alta
risoluzione, con visore notturno, e totalmente impermeabile alla rugiada della
notte. Avrebbe avuto il controllo sul passaggio, neppure un movimento gli
sarebbe sfuggito. Nessuno lo avrebbe disturbato, una volta giunto il momento
giusto.
I sassi pesavano al suo fianco…anche se non aveva ancora piazzato tutti quelli finti,
doveva tornare al piccolo campo. Aveva la sensazione che stesse arrivando
qualcuno.
………
”Buongiorno, straniero”
Kaiba finse un sussulto, manifestando meraviglia.
”Oh. Scusami, straniero, non era mia intenzione spaventarti”
L’altro fece qualcosa cui non era abituato: sorrise.
”Buongiorno a voi, buon uomo. Sedetevi, e bevete con me una bibita fresca”
”Ti ringrazio…dimmi, cosa ti porta fra le sabbie dell’Egitto?”
Continuando a imporsi di sorridere, Kaiba mostrò i campioni che aveva realmente
catalogato. Se voleva essere credibile, doveva davvero diventare un
geologo…fortunatamente, il suo Q.I. gli permetteva ben altro.
”Sono uno studioso dilettante delle ere di vita della Terra, qui a spendere le
mie vacanze a studiare il passato”
”Ti interessa l’antica civiltà che regnava qui?”
Mentendo spudoratamente, Kaiba scosse la testa:
”Non esattamente...io guardo a un passato ben più lontano, quando il mondo era
giovane. Vedete qui? Ci sono strani residui ferrosi, inconsueti per questa
area. È possibile che sia il frammento di un meteorite, o più semplicemente una
pietra portata da una carovana…non è affascinante?”
”…incredibilmente. Deve essere una vera passione, se passi in mezzo all’afa del
deserto il tuo riposo”
Kaiba alzò le spalle:
”Penso che il modo migliore per trascorrere le ferie sia fare ciò che si ama di
più. Non comprendo come le persone possano trascorrere le giornate
imbottigliate sulle spiagge, a prendere il sole senza muoversi. Ma in fondo,
non spetta a me giudicare”
”Già…ah, non mi sono ancora presentato…sono Rishi Nam, un commerciante”
”Piacere…Yun Lee, vengo dal
Sud della Cina”
Si era creato un alias perfetto, e lo aveva inserito in Rete. Chiunque fosse
andato a controllare, avrebbe trovare il signor Lee,
residente a Shangai, di professione importatore di
formaggi dall’Europa. Un lavoro abbastanza redditizio da permettergli di andare
lì, ma non abbastanza per essere appetibile.
”Com’è il tuo paese?”
”Colmo di contrasti fra nuovo e antico. Ancora più che qui. Ma ditemi,
conoscete bene questo territorio?”
”Sì. Hai bisogno di aiuto?”
Kaiba si sistemò gli occhiali sul naso, e indicò i bordi del burrone:
”Vedete lassù? Quegli strati di roccia recente mi attirano tantissimo.
Conoscete un sentiero per giungervi? Questa zona è uno scrigno di storia”
I due si fissarono…Kaiba mantenne la propria aria stupida, mentre l’altro lo
studiava. Doveva assolutamente andare lassù e piazzare delle microcamere, possedendo
totalmente la zona.
”…sì. Un poco più avanti…sulle pareti si snodano dei viottoli. Ma sono ripidi e
pericolosi…piuttosto, all’imbocco della valle, ci sono delle stradine più dolci
ma più lunghe”
”Uhm…”
Kaiba soppesò quella risposta…qual era la cosa giusta da fare?
”…penso darò un’occhiata a entrambe le vie. Potrebbe esserci qualche roccia
interessante…”
soggiunse, gli occhi luccicanti.
”Come vuoi, ma stai attento, straniero. Queste vie sono infide, lo spettro
degli antichi re vi aleggia”
L’altro alzò le spalle:
”Non sono interessato alle leggende o ai regnanti. Sono qui per ciò che mi
piace fare, senza dare fastidio a nessuno”
”Sei saggio, e io sono felice di averti conosciuto. Ma ora devo andare, mia
moglie mi aspetta”
”Buon viaggio, e grazie per le informazioni che mi avete dato. Spero che ci
rivedremo ancora”
”Passo di qui ogni tanto…e spero di rivederti anch’io”
Si salutarono ancora, e Kaiba si rimise al lavoro. Aveva molto su cui pensare.
Il giorno dopo, senza dimostrare troppa fretta, avrebbe esplorato la parte
superiore della gola.
Kaiba si calò lentamente su una piccola sporgenza. Il suo cuore scandiva i
secondi, mentre il sudore gli colava lungo le braccia. Era vicino, dannatamente
vicino. Mentre scendeva, aveva notato una piccola apertura nella
parete…attraverso quella sarebbe giunto alla sua meta definitiva, avrebbe
trovato il tesoro. Qualsiasi cosa fosse.
Sospirò, mettendosi a cavalcioni. Aveva le mani
legate…degli uomini lo stavano osservando da ore, da quando era arrivato lì
quella mattina. Li aveva visti giungere grazie alle sue pietre, e al portatile
che indirizzava nei suoi occhiali il segnale dal satellite. Probabilmente anche
il ritorno al piccolo bungalow affittato era sotto controllo.
”Maledetti…”
borbottò fra sé, masticando un bastoncino di liquirizia per giustificare il
movimento delle labbra.
Dato che avevano deciso di essere le sue guardie, li avrebbe ripagati con la
più terribile delle monete: la noia. Si appoggiò alla parete dietro di lui,
nell’ombra di una rientranza, e iniziò un lento, minuzioso lavoro di pulitura.
Aveva raccolto dei bei campioni di roccia lucente, e forse qualche fossile
acquatico, segno della passata appartenenza di quel luogo al mare. Se
quell’uomo fosse tornato, o un altro si fosse presentato, avrebbe sfoggiato
tutta la sua cultura. Che senso aveva possederla, in fondo, se non la si poteva
esibire con nessuno?
Il passaggio era stretto e sporco, e sudore misto a polvere gli colava lungo il
viso. Ma non gli importava…la sua pazienza era stata infine premiata. Tossì,
sistemandosi le bandane che portava attorno ai capelli e al viso. Gli
proteggevano il capo e la bocca dalla sporcizia, ma il suo respiro era comunque
difficoltoso. Il pulviscolo volteggiava di fronte a lui, nella luce discreta di
una piccola torcia.
Aveva tenuto gli occhiali, nonostante il visore notturno che penzolava al suo
collo. Qualcosa dentro di sé l’aveva rimproverato quando se l’era messo, e
quindi lo aveva tolto subito.
Anche con la semplice luce della torcia riusciva a esplorare gli interstizi
delle pietre, a controllare il dislivello fra le giunture. Desiderava
raggiungere in fretta il cuore della montagna, e la fonte di quel richiamo da
sirena, ma era anche a conoscenza dei rischi. Doveva essere prudente, e
controllare la presenza di eventuali trappole, sebbene una vocina nel fondo gli
dicesse che non ne era stata piazzata nemmeno una.
’Sarebbe troppo strano…’
pensò tossicchiando.
Giunse a un bivio, e scelse la strada senza indugio. Sapeva dove andare…doveva
scendere a sinistra, verso ovest, dove il sole tramonta. Per gli
Egizi…l’Aldilà. Segnò col gesso la via da seguire, e riprese a strisciare.
Aveva con sé una borraccia, un piccolo kit per il pronto soccorso, una corda e
una pistola…lo intralciavano lungo il percorso, ma non era riuscito ad andare
senza. Lo disgustava soprattutto portare la pistola, ma l’idea di trovarsi
disarmato di fronte ai custodi di quelle terre l’aveva convinto in fretta.
Picchiettò su una lente...non riceveva nulla. I metri di roccia che lo
racchiudevano bloccavano il segnale, tagliandolo fuori dal mondo. Se per caso
fosse rimasto vittima di un crollo, per lui sarebbe stata la fine. Mokuba non
aveva idea di dove fosse, e lui aveva provveduto a nascondere la jeep in un
grotta esattamente sotto di lui.
Tremò…l’idea di esser sepolto vivo non lo allettava affatto. Sbirciò indietro,
a fatica…nulla. Come di fronte. Il silenzio regnava incontrastato…quel luogo
era una tomba.
’Potrebbe diventare la mia’
pensò, bevendo un sorso d’acqua.
Scosse la testa. Anche quei guardiani non avevano idea di dove fosse. Quello
era il sesto giorno di finti studi…già al terzo la sorveglianza era calata. Si
era infilato lì dentro al tramonto, dopo aver controllato che nessuno fosse a
meno di tre chilometri. Il vento avrebbe pensato a cancellare tutte le tracce…o
lo faceva quella sera, o non l’avrebbe fatto mai più.
Stranamente, l’aria era meno peggio di quella che s’era aspettato. Sì piena di
polvere, ma non irrespirabile. Era stato fortunato. Si era portato dietro una
piccola bombola ad ossigeno, ma l’aveva lasciata nella macchina, deciso a fare
una prova col minor carico possibile.
’Probabilmente filtra attraverso la roccia…’
Ogni tanto gli pareva che qualcuno gli alitasse sul viso…presumibilmente i
vecchi superstiziosi avrebbero detto che erano gli spiriti degli antichi, lì
per maledirlo.
Sorrise. Era arrivato alla fine del suo percorso. Il tunnel piegava
violentemente verso il basso, e si apriva su una camera…poteva vedere sin da lì
una diversa tonalità di colore, una specie di marrone scuro che si spandeva su
un pavimento…ci era riuscito. Era giunto al termine.
’Non avere fretta’
Si rimproverò…non doveva essere imprudente. I rischi in quel tratto erano
altissimi, non doveva rovinare tutto proprio alla fine.
Tastò con delicatezza tutte le pietre di fronte a lui, strisciando con calma,
il cuore che sembrava voler schizzare fuori dal suo petto. Si stava
avvicinando, mattonella dopo mattonella. Lo scopo per cui era lì, il richiamo
che lo aveva trascinato a compiere un folle viaggio nelle terre di una delle
più antiche e maestose civiltà del Medio Oriente.
Arrivò all’imboccatura, e il sudore e i tremiti gli fecero cadere la torcia.
”Merda”
borbottò, facendosi scivolare all’interno. Il soffitto era basso, doveva per
forza stare a gattoni. Era arrivato…era finalmente arrivato.
Recuperò la torcia e percorse la stanza col fascio di luce. Piccolo, buia e…
”AAAAAAHHHHHH!!!!”
Kaiba schizzò indietro, sbattendo violentemente la testa e la schiena. La
torcia era di nuovo caduta, ma poteva vederlo lo stesso.
Non era solo. Non era solo.
Incatenato al muro c’era un ragazzo.
Vivo.
Un ragazzo incatenato vivo in un’antica tomba egizia.
Lo stava guardando, forse più scioccato di lui.
Il presidente tastò la tasca, grato di essersi portato dietro l’arma. Non la
estrasse, il suo odio per le armi era più forte della paura. Invece raccolse la
torcia e gliela puntò contro, sulla faccia, per vederlo meglio.
L’altro gemette, tentando di nascondere il volto contro il muro cui era imprigionato.
”Ah…”
Kaiba abbassò la torcia. Non ci aveva pensato, ma quella luce intensa, che dava
un po’ fastidio anche a lui, doveva essere davvero dolorosa per degli occhi
abituati all’oscurità da…quanto?
Anche nella penombra poteva osservarlo bene…sembrava un giovane della sua età,
più o meno, talmente ricoperto di polvere che non riusciva a comprendere il
colore della pelle.
L’unico tratto distintivo erano i suoi capelli, sparati per aria nonostante il
peso della sporcizia…da quanto tempo poteva esser lì?
”…il principe incatenato”
mormorò, mentre la leggenda splendeva nei suoi pensieri. Poteva davvero
essere…lui?
Scosse la testa. Se fosse stato vero, quel giovane doveva essere un principe
egizio!
Allungò una mano…il viso dello sconosciuto si era leggermente voltato verso di
lui, lo stava guardando impaurito.
’È più spaventato di me…spero sia innocuo’
Il suo cuore gli diceva di sì, quindi gli sfiorò un braccio sporco…era caldo e
morbido. Non era un sogno, né una mummia. Era vivo.
”S-Santissimo cielo…”
mormorò, mentre il giovane si muoveva, e le catene ai suoi polsi tintinnavano.
Studiò il ragazzo, troppo scioccato per parlare…era di fronte a lui…l’aveva davvero
dinnanzi, il principe della leggenda…
Si diede un pizzicotto su un braccio, talmente forte da farsi lacrimare gli
occhi…ma lui era ancora lì, le palpebre socchiuse, a ripararsi dalla luce.
L’aria non era tanto viziata da causargli allucinazioni…
”…scusa”
mormorò, spostando incredulo il fascio luminoso verso un’altra parete.
”Hmn…”
Il giovane tentò di parlare, ma un colpo di tosse mozzò le sue parole…Kaiba si
affrettò a offrirgli la borraccia.
”Piano…bevi piano…così”
Sapeva che probabilmente era inutile parlargli, ma non aveva idea di che fare.
Si era preparato a tutti i tipi di incontro, da scarabei giganti a mummie
assassine, ma un ragazzo vivo era troppo anche per lui…appoggiò la schiena
contro la parete e attese, mentre quello sconosciuto trangugiava la sua acqua.
”Hg…”
”Va meglio?”
”S..t…”
Un altro colpo di tosse, e il giovane tacque, tentando di calmare il proprio
respiro. Nonostante sembrasse in buone condizioni fisiche appariva provato,
quasi che il ritorno alla vita fosse qualcosa di troppo faticoso.
Con un salviettina umidificata Kaiba gli pulì, per quanto possibile, il volto.
Non erano da lui quelle gentilezze, se ne rendeva conto, ma quel ragazzo gli
faceva davvero pena. Non sapeva se fosse o meno un frutto della sua mente che
stava impazzendo, o davvero un egizio incarcerato, o uno scherzo di cattivo
gusto, ma per la prima volta provava compassione verso un estraneo. E,
marginalmente, era in grado di avvertire la quiete in lui, l’incendio che
l’aveva trascinato lì che si era assopito, e un senso di completezza che lo
colmava. Aveva raggiunto il suo scopo…quel ragazzo.
Sospirò. Non offriva resistenza ai suoi tocchi, si lasciava detergere docilmente. Sembrava anzi apprezzare molto quel panno fresco e
umido…forse erano millenni che non avvertiva l’acqua sulla pelle.
Si morse l’interno di un labbro…doveva cercare di parlare con lui.
’È il momento di sapere se sei davvero un genio’
pensò, deciso a trovare un modo per comunicare.
”Chi sei?”
gli chiese, passando senza convinzione dal giapponese all’inglese, poi tedesco,
francese, italiano, spagnolo, turco…tutte lingue di cui aveva una conoscenza
perfetta o quasi nulla, dipendeva dal giro di affari in quel paese. Sbuffando,
accettò la sfida, andando a scovare in sé risorse che non sapeva di avere:
parole in ebraico, aramaico, celtico, greco
antico…infine egizio.
(per rendere le frasi in antico egizio uso il font Papyrus…adatto,
no? ^_- n.d.Hymeko)
”Ah…”
Aveva reagito. Ne era certo.
”Mi
comprendi?”
gli chiese, la pronuncia che traballava un po’.
L’altro annuì, entusiasta. Forse incredulo, di aver trovato qualcuno
in grado di parlare con lui.
”Chi
sei?”
ripeté Kaiba, scostandogli una ciocca dal viso…
”Atem”
La voce incerta gli sfiorava appena le orecchie, debole e remota,
come non fosse stata usata per anni.
’Atem…almeno so il suo nome’
Si rese conto che non era un nome arabo, ma egizio…se era uno scherzo
o un’allucinazione, era davvero incredibile…
”P-Perché
sei qui?”
La scintilla che aveva acceso i suoi occhi si spense, soffocata da
qualcosa di talmente oscuro da far impallidire quella cella:
”Maledizione”
mormorò, senza aggiungere altro, strofinandosi gli occhi.
”T-Ti
senti bene?”
”Mi fanno male gli occhi…è tutto annebbiato”
”Aspetta…aprili bene”
Il presidente gli versò del collirio, rinfrescando quei bulbi oculari
maltrattati da millenni di polvere.
”Cos’è?”
”…un misto di acqua e camomilla”
gli spiegò, senza aggiungere nulla. Non era certo che sarebbe stato
in grado di comprenderlo…lo osservò chiudere le palpebre, e lasciarsi
andare a un leggero riposo.
Ma Kaiba aveva bisogno di sapere…era stato strattonato sin lì, necessitava
di risposte:
”Sei
il principe della leggenda?”
”…sono diventato una leggenda?”
rispose con un’amarezza incredibile, per le sue condizioni.
”…ho
trovato una mappa…in cui è scritto di un principe incatenato per l’eternità…”
”Non per l’eternità…i poteri dei sacerdoti non erano così grandi da
tenerci divisi per sempre”
Kaiba lo osservò. Anche se fisicamente era lì, la sua mente era tornata
al passato, persa in ricordi che non condivideva.
”…non
capisco. Come puoi essere ancora vivo, se sei un principe egizio?”
mormorò. Una parte di lui desiderava che fosse la verità, mentre un’altra
esigeva delle prove…come poteva essere davvero lì dai tempi del Regno?
”Mi
hanno maledetto…per la mia colpa. Con tutti i loro poteri, condannandomi
qui, a questa non-vita”
”…cosa ci può essere di tanto grave da…meritare tutto questo?”
Una lacrima scese lungo la polvere che copriva la guancia del ragazzo,
che la raccolse un dito, osservandola estasiato:
”Grazie
per avermi donato la tua acqua…ora posso di nuovo piangere”
”…principe”
L’altro scosse la testa:
”Non
mi chiamare così…loro lo facevano sempre…prima di scoprirla”
Sapeva di essere indiscreto,
ma non aveva scelta…doveva sapere…
”Scoprire…”
”…la mia colpa…amare la persona sbagliata”
Kaiba si bloccò un attimo, cercando nella propria mente il sapere
cui conducevano quelle parole:
”Ma…per
gli Egizi, il peccato più grave…era”
Spalancò gli occhi…l’aveva letto su una rivista scientifica…
”…tu
amavi…un altro maschio?”
Il principe lo guardò, senza aggiungere nulla.
Fine parte I
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