DISCLAMERS: i personaggi non sono miei, ma dei mitici Inoue e Takeuchi. Io mi diverto solo a torturarli per mio diletto personale!      ^__^
NOTE: nel primo capitolo vi erano parecchi salti temporali. In questa seconda parte la storia dovrebbe seguire un andamento più lineare.
I personaggi di Sailor Moon sono presi direttamente dal manga, quindi i nomi e i caratteri discordano sensibilmente dall’anime. Per rendere più chiara la lettura, vi prego di leggere prima questo schema che ricapitola i nomi delle guerriere, nel seguente ordine: gruppo - nome originale- nome guerriera- nome italiano.
Inner Senshi (guerriere del sistema solare interno in Italia): Usagi/Sailor Moon (Bunny); Ami/Sailor Mercury (Emi); Rei/Sailor Mars (Rea); Makoto/Sailor Jupiter (Morea); Minako/Sailor Venus (Marta).
Other Senshi (guerriere del sistema solare esterno in Italia): Haruka/Sailor Uranus (Heles); Michiru/Sailor Neptune (Milena); Setsuna/Sailor Pluto (Sylia); Hotaru/Sailor Saturn (Ottavia).
 


La leggenda

parte III

di Soffio d'argento


Tokyo

Erano già trascorsi tre giorni da quella fuga di Usagi. Mamoru aveva perlustrato tutti i luoghi vicino la città, ma non era riuscito a trovare né Usa né Hotaru, inoltre, come sempre accadeva nelle migliori occasioni, le Other Senshi erano scomparse. Il giorno dopo la conversazione con lui, insieme alle Inner era andato a cercare di avere più informazioni, ma aveva trovato la casa completamente deserta. Non c’era nulla che potesse confermare la loro presenza, anche se passata, lì. Mamoru aveva dato un pugno ad un muro, maledicendo se stesso per la sua incapacità. Sarebbe mai riuscito a proteggere la ragazza che amava più della sua stessa vita?

Mamoru richiuse la porta d’ingresso alle sue spalle e sospirò di frustrazione. Si tolse la cravatta e allentò la camicia. Ormai non riusciva più a concentrarsi a lezione. Decise di prepararsi una tazza di the, in attesa di nuove notizie da parte di Luna. Anche quel giorno la spia della segreteria telefonica brillava. Probabilmente era ancora Rei che lo informava delle ultime novità. Sbuffò indeciso se ascoltarla o no, tanto non riportava di certo buone notizie, poi si decise e ascoltò i messaggi in poltrona, sorseggiando ad occhi chiusi una tazza dal liquido ambrato.

“Mamoru? Sono io, Usagi. Volevo solo dirti di non stare in pensiero. Io sto bene, sto solo rilassandomi un po’. Ci vediamo presto. Di’ a tutti che sto bene, Usagi”.

Nonostante sapesse che si trattava di un messaggio registrato, Mamoru si alzò di scatto dalla sedia e alzò la cornetta, ma il lento e ripetitivo segnale di linea libera fu l’unica cosa che sentì. Portò indietro il nastro per ascoltarlo un’altra volta. Niente Mamo-chan, niente indicazioni, le solite sciocche bugie per non farlo preoccupare e, soprattutto, niente “Ti voglio bene” o “Ti amo”. Niente di niente. Prese in mano la scatola in cui teneva le pietre in cui si erano tramutati i suoi sottotenenti. In quel momento aveva un disperato bisogno di un consiglio, di una parola di conforto. Chiuse gli occhi e richiamò Kunzite.
<< Maestà… >> la sua voce cavernosa e profonda pareva venire dagli inferi.
<< Generale, perché mi sento così inefficiente? Serenity ha bisogno di me e io non riesco neppure a starle accanto. Se solo il mio potere non fosse così poco potente. >>
<< Maestà, voi possedete il cuore della Terra, dovete solo imparare a svilupparlo. >>
<< Ma quando? E intanto Serenity rischia la vita nel cercare di proteggermi. >>
Mamoru si portò le mani fra i capelli, intrappolandole fra le ciocche seriche. Una mano diafana si appoggiò alla sua spalla, nel tentativo di donargli un po’ di conforto, ma il suo corpo di non vivente, scivolò lungo i pendii del nulla.
<< Maestà guardatemi! >> Mamoru alzò lo sguardo: << Maestà quello che affronterete metterà in gioco la vita di tutto il mondo e la principessa questo lo sa. Dovete farvi forza, altrimenti rischierete davvero di essere un peso per la principessa. Dovete trovare il ragazzo e strapparlo al suo destino. Dovete riportare la luce nei suoi occhi. Maestà, il destino del mondo è nelle vostre mani. >>
Kunzite scomparve. Mamoru si alzò e andò a fare una doccia. Si stava comportando come un ragazzino sciocco e insicuro. Finché Serenity fosse stata insieme alle Other Senshi la sua sicurezza era assicurata, nel frattempo lui e le Inner avrebbero trovato questo ragazzo leggendario e avrebbero impedito al destino di compiersi, o almeno ci avrebbero provato con tutte le loro forze. E poi, lo sentiva, presto avrebbe rivisto Usagi e allora… l’avrebbe abbracciata. Quel messaggio in segreteria doveva esserle costato molto. Avrebbe voluto tenere lui e le Inner lontani dal nuovo pericolo, per questo era scomparsa, ma allo stesso tempo si era preoccupata e aveva cercato di rimediare…
La piccola Usagi. Come faceva a non amarla?

Kanagawa.

Mitsui ascoltava distrattamente gli schemi di gioco che il coach stava spiegando. Il giorno dopo sarebbero partiti per Tokyo e lui e Kimi erano stati messi nella stessa camera! Quando si dice la fortuna! Ma di fortunato non c’era stato solo lui…
<< Maledizione kitsune! Mi spieghi perché, fra una squadra intera, devo dividere la stanza con te? Non potevo capitare con Yasuda? >>
<< Guarda che non è stata certo una mia scelta, scimmia decerebrata! >>
<< Come osi! Io sono il Tensai! >>
<< Sì, dei poveri! >>
Ed ecco cominciare il solito show: Sakuragi si getta su Rukawa cercando di colpirlo, questi si scosta, Sakuragi tira di destro e il resto sono lividi su tutto il corpo. Mitsui si chiese se per caso Rukawa non provasse un gusto sadico nell’essere preso a pugni dal ragazzo che amava.
<< Certe cose non cambiano mai, eh Hisashi? >>
Hisashi si voltò sorridente, ma quello che vide smorzò il suo slancio. Come tre giorni prima, accanto a lui c’era Fujima, sempre impeccabile e allegro, con quegli occhi svegli e furbi. Hisashi detestava ammetterlo ma, se avesse dovuto vedersela con lui per l’amore di Kimi, sarebbe stata una lotta davvero ardua. Fujima era eccellente a scuola, campione di basket, aveva persino allenato per anni la squadra di basket della sua scuola! Era carino, almeno così dicevano tutte quelle pazze del suo fan club, affabile, sempre gentile… insomma era un tipo perfetto per Kiminobu, ma lui non si sarebbe arreso facilmente. Non dopo aver capito di essere talmente cotto del megane da non pensare ad altri che a lui.
<< Kogure! >> gli si avvicinò sorridendo: << Ah Kenji, pure tu qui? Non si studia all’università? >>
<< Io e Kimi abbiamo finito la settimana scorsa di studiare per gli esami, così potremo venire tutti insieme a vedere le partite del campionato, contento Mitsui? >>
<< Verranno anche Toru e Maki, se riescono a liberarsi. Non vedo l’ora di partire! >> sorrise con il suo fare gentile il megane.
 

Ayako fischiò l’inizio della partita d’allenamento. Da quanto erano iniziati i preparativi per il campionato nazionale, ogni giorno si disputava una partita dall’allenamento. I ragazzi erano molto carichi e si allenavano con grinta, tranne uno di loro, che sembrava molto giù di tono. Da qualche tempo, se n’erano accorti tutti, Hanamichi sembrava vivere in un mondo parallelo. Non usciva più con gli amici, non litigava con nessuno, tranne che con Rukawa. Lui sembrava il suo contatto con il mondo esterno, eppure anche quei litigi sembravano forzati. In campo aveva perso la sua energia e sbagliava passaggi e posture semplicissime. In poche parole sembrava non esserci più. Ogni giorno, poi, terminati gli allenamenti, tornava a casa senza neppure fermarsi a fare una doccia, seguito dall’immancabile Armata Sakuragi.
Tutti erano molto preoccupati, la sua energia era sempre stata un ottimo incentivo per tutta la squadra. Con i suoi attacchi d’egocentrismo acuto e le sue manie di grandezza, aveva sempre trascinato la squadra anche nelle situazioni più precarie. E il più preoccupato, neanche a dirlo, era proprio il volpino che seguiva, con attenzione, ogni sua mossa e, si disse Mitsui, provocava volontariamente Hanamichi, per accertarsi delle sue reazioni. 

Anche quel giorno, terminata la partita dall’allenamento e con il benestare dell’allenatore, il rossino era uscito in fretta e furia, seguito dal volpino, a distanza di sicurezza. Ormai era un copione che si recitava ogni giorno: Hanamichi usciva in fretta dalla palestra, Kaede faceva finta di allenarsi e invece aspettava che fosse abbastanza lontano per vestirsi in fretta e furia e seguirlo, ovunque fosse andato.
Non riusciva ancora a dimenticare quella presenza inquietante incontrata qualche sera prima. Era uscita dal nulla, n’era certo, e gli aveva ordinato di allontanarsi dal suo rossino. Premesso il fatto che Kaede Rukawa non accettava ordini da nessuno, chi era quella donna? Perché aveva quell’aspetto non umano? E perché gli aveva ordinato di stare lontano dal rossino?
Rispondere a questi quesiti era impossibile, quello che si sentiva di fare era seguire Hanamichi fino a casa e assicurarsi che vi giungesse sano e salvo. Probabilmente se si fosse ritrovato quella donna di fronte non sarebbe riuscito a fare nulla, ma almeno doveva tentare di proteggere la persona che amava. Ce n’aveva messo del tempo a capire, ma alla fine ce l’aveva fatta e non aveva intenzione di tirarsi indietro.
Il rossino e i quattro dell’armata girovagarono un po’ per i bassi fondi di Kanagawa, parlarono con tipi dalla faccia poco rassicurante, fecero a pugni con una banda di mammolette e, alla fine, accompagnarono Hanamichi a casa. Rimasero un po’ a ridere del rosso davanti al cancelletto, poi, quando Hanamichi era scoppiato minacciando di dare testate a tutti, erano andati via, tutti tranne Yohei che era entrato in casa. Rukawa era rimasto dietro il muro di recinzione di una villetta non troppo distante da casa del rosso, indeciso sul da farsi. L’ultima, ma anche prima volta, in cui era stato a casa di Sakuragi, aveva perso tutto il tempo a litigare con la scimmia, invece di fargli le domande che gli ronzavano in testa. Quella stessa sera, poi, al ritorno a casa, aveva incontrato quella strana creatura e i suoi pensieri si erano raddoppiati. Lui non aveva mai creduto al paranormale, né a nulla che non potesse essere spiegato con la mente. Era un tipo razionale Kaede Rukawa e non si lasciava influenzare da nulla, però quello che aveva visto quella sera aveva poco del normale. Era senz’altro… cosa? Un fantasma? Un demone? Uno spirito dannato? Questo non riusciva a spiegarselo, ma era certo che non fosse umano e in quel momento, più di capire chi o cosa fosse, doveva capire cosa voleva da Hanamichi e forse lui avrebbe saputo rispondergli.
Si decise ad affrontare la situazione, fece per uscire allo scoperto, ma fu fermato da Yohei, o meglio dalla sua uscita da casa del rossino. Lo vide salutarlo con la mano, dirgli qualcosa che aveva fatto innervosire il rosso e andare via ridendo. Kaede Rukawa si nascose nell’ombra e attese che Yohei si allontanasse un po’ di più.
Una veloce macchina sportiva rossa per poco non lo travolse, sfrecciando troppo veloce in quelle stradine. La volpe si scostò giusto in tempo e questo gli permise di vedere al volante della macchina un ragazzo dagli strani capelli chiari, una faccia conosciuta ma non ricordava dove. Al suo fianco c’era una bella ragazza dai lunghi capelli, anch’essa rievocava un ricordo che però non riusciva ad afferrare. Dietro invece era seduta una ragazza dai lunghissimi capelli biondi. Non riuscì a vedere di più, ma quello che lo colpì fu che si fermarono a casa del rossino. Posteggiarono di fronte alla villa e scesero tutte e tre. La ragazza bionda capeggiava il piccolo gruppo, ma non sembrava sicura delle sue scelte. Il ragazzo accanto a lei le mise un braccio attorno alla spalla, mentre l’altra ragazza suonò il campanello.
Vide il rossino uscire come una furia con un panino in bocca, avvicinarsi al cancello e scambiare qualche parola con il trio, poi entrò in casa e Kaede udì perfettamente il cancello aprirsi e le ragazze entrare. Ospiti del do’hao…
Il volpino si avvicinò alla macchina, facendo attenzione a non essere visto. Guardò la targa e vide che era di Tokyo. Cercò di guardarvi all’interno, ma l’auto era dotata di finestrini neri e non era possibile capire cosa nascondesse all’interno.
Senza neppure pensarci un attimo di più, suonò deciso il campanello. Non era da Kaede Rukawa brancolare nell’indecisione. Suonò un paio di volte e ad aprirgli venne proprio il rosso.
<< Si può sapere chi diavolo… >>
<< Do’hao! Ti sembra questo il modo di aprire la porta? >>
Il rosso si appoggiò allo stipite e, per una volta, ebbe la soddisfazione di rivolgergli lo stesso sguardo che Kaede gli riservava quando sbagliava qualche tiro importante o stava per insultarlo. Alzò un sopracciglio e lo osservò un attimo.
<< E a te sembra questo il modo di auto-invitarti a casa mia? Aspetta che ti apro la porta. >>
Hanamichi fece accomodare Kaede in salotto, dove c’erano già il ragazzo e le ragazze di prima. Haruka, Michiru e Usagi erano i nomi delle tre ragazze che erano venute a trovare il rossino. Haruka, quella che lui aveva erroneamente scambiato per un ragazzo, era una famosa pianista, Michiru, la ragazza al suo fianco, molto bella e curata, era invece una famosa violinista. Erano un duo molto amato ed apprezzato in tutto il mondo. Cosa ci facevano a casa di Sakuragi? E perché la ragazza con loro aveva uno sguardo tanto triste?
Ben presto il rossino gli spiegò che Haruka era un’amica di lunga data. Erano cresciuti insieme, in Irlanda e negli ultimi anni si erano persi di vista, fino a quando, qualche settimana prima, si erano rivisti in un bar di Kanagawa e lì aveva conosciuto pure Michiru e Usagi, la ragazza dai lunghissimi capelli biondi, e insieme erano andate a trovarlo.
<< Tu sei un compagno di squadra di Carl? >>
Kaede strabuzzò gli occhi. Chi era Carl? Intuendo il suo imbarazzo, Haruka scoppiò a ridere.
<< Carl è il mio secondo nome. Era con quello che ero conosciuto nel mio paese. >>
<< Conosci l’Irlanda, Kaede? >> gli chiese Michiru sorseggiando del the caldo: << E’ una terra piena di leggende, di magia e mistero…. Si dice che sia la patria dei folletti e delle piccole creature dei boschi…. Dovresti visitare l’Irlanda… >>

Anche quella sera Kaede uscì da casa di Hanamichi senza riuscire a porgli alcuna domanda. Non capiva cosa stesse accadendo, ma troppe coincidenze si stavano radunando proprio a Kanagawa. L’Irlanda. La ragazza dai capelli del profumo del mare, aveva detto che era una terra di magia… non l’aveva mai guardato, ma sapeva, aveva sentito, che quel discorso era un messaggio proprio per lui. Haruka e Michiru. Perché se pensava a loro non poteva far altro che immaginare il mare in tempesta? Usagi? Lei era la più strana, se pensava a lei lo invadeva una tristezza infinita.
Senza accorgersene Kaede si ritrovò nello stesso vicolo di qualche sera prima. Era illuminato stavolta, eppure non si sentiva tranquillo. Ma che pensava? Lui era Kaede Rukawa, la star dello Shohoku, non poteva avere paura di… di cosa? Neppure lui sapeva bene. Scosse la testa e proseguì, sbadigliando e dandosi dell’idiota mentale. Alla fine del vicolo, però, immersa nelle semioscurità, notò un’auto. Fuori dall’auto, benché non fosse facile distinguere bene, vide una figura esile. Si fermò istintivamente. Poi decise di avanzare. Era stupido rimanere lì, in quel vicolo, senza la possibilità di fare nulla. Se davvero fosse stato un demone non avrebbe di certo avuto possibilità di scappare. Ma i demoni, poi, guidano la macchina?
Ritrovatosi dinnanzi all’auto, la riconobbe come quella di Haruka e infatti, appoggiata alla portiera, c’era Usagi.
<< Ti devo parlare Kaede. >>
<< Hn. >> rispose con il suo solito monosillabo.
<< Ti va di venire un attimo con noi? >>
Usagi si scostò per aprire la portiera. Kaede valutò cosa avrebbe comportato salire e andare via con loro, ma la curiosità di sapere era troppo forte e così accettò.
Haruka guidava velocemente, sorpassando con enorme maestria le macchine ferme ai semafori. Kaede, abituato a addormentarsi ovunque, stranamente non riusciva a prendere sonno. Haruka voltò verso destra e prese la strada che portava al grande parco poco fuori Kanagawa. Durante il tragitto nessuno di loro parlò e il silenzio tranquillizzò non poco l’ala dello Shohoku.
Giunti a destinazione, scesero dalla macchina. Il volpino seguì le tre ragazze che s’inoltravano nel bosco. Le tre ragazze si fermarono davanti ad un grosso albero. Haruka e Michiru uscirono degli strani oggetti, simili a caleidoscopi o forse a penne, ma nel buio non riuscì a vedere bene; Usagi prese dalla tasca dei pantaloni una grossa spilla. Tutte e tre alzarono quegli oggetti in mano e pronunciarono le parole più incredibili per Kaede.
<< Silver Moon Crystal Power Make up! >>
<< Uranus Crystal Power Make Up! >>
<< Neptune Crystal Power Make Up! >>
Kaede arretrò inconsciamente, fino a che le sue spalle toccarono un albero. Cosa volevano le Sailor Senshi da lui? E cosa avevano a che fare con Hanamichi? Strinse i pugni fino a farsi male. Non era da lui arretrare di fronte a qualcuno, ma in una settimana gli era già successo due volte. Eppure tutto quello era troppo grande persino per lui, il terrore dei teppistelli di Kanagawa.
<< Dobbiamo raccontarti una cosa… e abbiamo bisogno di molto tempo… >>sussurrò Usagi.
La sua voce sembrava provenire da un’era molto lontana e sapeva di nostalgia. Ora sapeva il perché di quegli occhi tristi, era come se stesse sopportando nel suo piccolo cuore tutto il dolore del mondo e per un attimo, un breve attimo, Kaede n’ebbe compassione. Usagi gli sorrise dolcemente. Kaede avanzò verso di loro e un varco si aprì alle loro spalle. Annuì deciso e seguì le guerriere Sailor all’interno. Appena varcarono il portale, esso si richiuse.
Il vento soffiò forte. La sua voce, simile alla straziante sofferenza di un’anima in pena, portava con sé una canzone… un’antica leggenda…

…un ragazzo nato tra cielo e terra nelle cui mani vi è il destino del mondo… non riuscirete a portarmelo via. Nelle sue mani giace la falce della morte. Lui è l’inizio e la fine… un ragazzo nato tra cielo e terra…  

Kanagawa, un’ora prima della partenza per Tokyo. 

<< Qualcuno ha visto Rukawa? >> Ayako chiedeva nervosamente a tutti i compagni di squadra.
Nessuno sembrava aver notizie del volpino. La sera prima Hisashi aveva voluto organizzare una piccola festa a casa sua, ma il telefono di Kaede aveva suonato a vuoto.
<< Yasu hai telefonato a casa sua? >>
<< Sì Ayako, ma suona a vuoto. >>
<< Narcolettico com’è si sarà scontrato con qualche bidone della spazzatura. State tranquilli che arriverà presto… e chi lo ammazza quello? >> scoppiò a ridere il rossino, ma la sua risata sembrava falsa persino alle sue orecchie.
<< Do’hao. >>
<< Che vi avevo detto? L’erba cattiva non muore mai! Benarrivato kit! >>
Rukawa sorrise, lasciando i compagni di squadra con gli occhi sbarrati e le bocche spalancate. Prese la borsa che aveva appoggiato a terra e la mise sulle spalle.  Si avvicinò a Sakuragi e gli tirò in testa la sacca.
<< Ma sei scemo, kitsune? Cos’è… il sonno ti ha dato alla testa? >>
<< Così impari! >>
Da fuori il cancello della scuola, si sentì una macchina partire velocemente. Kaede non si voltò, né disse nulla. Strinse di più la presa sulla sacca e si sistemò sul bus, nel posto a lui assegnato, e si addormentò.
Il viaggio fu troppo breve per Kaede che non aveva avuto modo di dormire la notte precedente. Aveva cercato di sonnecchiare sul bus, ma prima il sedile scomodo, poi i continui movimenti del do’hao, la voce dell’idiota che litigava con Ryota e Hisashi, il suono delle sventagliate di Ayako, la voce petulante dell’Akagi, non riuscirono a farlo dormire.
In verità, n’era ormai perfettamente consapevole, era altro a tenerlo sveglio. Ciò che aveva visto la sera prima, ciò che aveva udito, non era ancora riuscito ad assorbirlo e fluttuava leggero nella sua mente. Le immagini e le parole si mescolavano insieme producendo un gorgo oscuro dal quale veniva irrimediabilmente risucchiato.
Quello che aveva visto…. Sarebbe mai riuscito ad assolvere il compito che gli avevano affidato? Socchiuse gli occhi e vide la sagoma del rossino accanto a lui. Era seduto di traverso, praticamente gli dava le spalle. Le aveva molto larghe e forti. I capelli rossi sembravano fuoco e distruggevano ogni sua remora. La sua voce era ingombrante come la sua presenza e si faceva strada a forza nella sua vita. Era un gran teppista e perdigiorno, ma dubitava fosse in grado, volontariamente, di far del male a qualcuno. Lo aveva sempre considerato un ragazzo semplice, ingenuo, forse troppo petulante, eppure non riusciva a scacciare dalla sua mente le parole di Haruka.
“Se fosse necessario… non avremmo altra scelta, mi dispiace.”
Respirò profondamente e riaprì gli occhi. Cercare di dormire era inutile, troppi ricordi si affollavano alla sua mente appena chiudeva gli occhi.
Si voltò verso il rossino, intento a discutere con Ryota. Più in là Kogure parlava con l’allenatore, mentre Hisashi non lo perdeva mai d’occhio. Le matricole del primo anno erano seduti nei posti vicini al Mister ed erano stranamente silenziosi. Per loro era il primo anno di campionato nazionale e la tensione li irrigidiva. Si accoccolò nel suo sedile. La manica della giacca della tuta, si sollevò leggermente. Sul polso sinistro faceva bella vista uno strano orologio con una mezzaluna sopra il quadrante. Era bianco. Usagi glielo aveva messo al polso, poco prima di riportarlo a casa.
“Usalo nelle emergenze. Noi staremo sempre dietro di voi.”
Si voltò verso il finestrino. Fuori il paesaggio era veloce e monotono. I colori si mischiavano fra loro formando un lungo mantello grigio. I pochi alberi che costellavano la strada, si muovevano veloci come foglie d’erba mosse da un tornado, piegandosi al passaggio del bus. All’orizzonte una coltre nera scendeva dal monte Fuji.
L’autista accese la radio che si diffuse come leggero sottofondo. Kogure lasciò il posto accanto all’allenatore e si sistemò accanto a Hisashi, che prese a chiacchierare felicemente con lui, dimenticando la compagnia rumorosa.
L’armata Sakuragi era salita con loro. Yohei, posto nel sedile dietro quello del rossino, fissava in silenzio il comportamento dell’amico, non perdendolo mai d’occhio. Era preoccupato, lo vedeva, eppure era stranamente tranquillo. Noma e Okuso si divertivano a prendere in giro Takamiya, che ingurgitava tanto di quel cibo da temere che potesse scoppiare da un momento all’altro.
Usagi e le altre, ne aveva il sospetto, non gli avevano rivelato tutta la verità, eppure quel poco era bastato per terrorizzarlo. Se la leggenda si fosse avverata…
<< Ehi kitsune! Sei sveglio? >>
<< A te che sembra, do’hao! >>
<< Che ne so io del comportamento delle volpi artiche! Magari stavi solo entrando in letargo! >>
<< Idiota. >>
Sakuragi scoppiò a ridere, affondando la testa nel sedile. I suoi occhi s’incupirono un attimo, ma poi tornò ad essere quello di sempre, si voltò verso Yohei e cominciò a discutere di un videogioco provato qualche sera prima…. Certe cose non cambiano mai, pensò Kaede, ma non è detto che non finiscano all’improvviso.
Poco più in là, Hisashi ascoltava il megane parlare degli schemi di gioco. Non era proprio così che aveva immaginato il viaggio per Tokyo, ma pur di sentirlo al suo fianco, avrebbe anche sopportato di sentire recitare la Divina Commedia. I suoi discorsi variavano alla velocità della luce, un attimo prima parlava di basket e il secondo dopo cominciava a raccontare le peripezie di uno studente universitario che ha come amici dei giocatori di basket alquanto eccentrici.
<< … e poi Kenji è saltato sulla sedia, mentre Maki cercava di bloccarlo… >>
Kenji… nella mente di Hisashi si stavano moltiplicando le immagini delle possibili torture da applicare a quel damerino da strapazzo. Possibile che in ogni discorso saltasse sempre fuori lui?
<< Mi ascolti Hisashi? >>
<< Certo che ti ascolto, megane! Piuttosto… non sei geloso? >>
Kiminobu lo guardò senza capire.
<< Del fatto che Kenji venga ad assistere al campionato insieme a Toru, invece che con te… sono stati compagni di squadra per molto tempo… >>
<< E ora lo sono in un’altra maniera... più profonda… >>
<< Come? >> Hisashi per poco non gridò quella parola: << Che significa? Compagni… in quel senso? >> domandò abbassando la voce.
<< Hai forse qualche pregiudizio Mitsui? >> chiese nervosamente Kiminobu.
<< No. Affatto. E’ solo che pensavo che Kenji stesse con te… siete sempre insieme e… >>
Kogure scoppiò a ridere, impedendo a Hisashi di finire la frase. Il tiratore da tre punti dello Shohoku lo guardò sbalordito, fino a che Kimi, avendo avuto compassione per lui, decise che era giunto il momento di dirgli tutta la verità.
<< Kenji e Toru stanno insieme dall’ultimo anno del liceo. Io, Takenori, Kenji, Toru e Maki, frequentiamo la stessa facoltà (permettetemi la licenza letteraria. Mi piace pensare che siano tutti amici! NdA.) e siamo diventati molto amici, nulla più. Siccome si avvicinavano i campionati, tutti e quattro, per avere la possibilità di vederli, abbiamo studiato come dei matti e poiché Kenji doveva preparare un esame particolarmente difficile, ha chiesto il mio aiuto e io non ho rifiutato. Per questo negli ultimi tempi ci hai visto sempre insieme. Dato che venivo subito dopo aver terminato di studiare, Kenji era ancora con me e veniva a vedere gli allenamenti. Tutto chiaro adesso, Sashi? >>
Kiminobu diede a quel nomignolo un’intonazione così profonda da quasi procurargli una perdita di sangue dal naso. Rimase intrappolato allo sguardo e al sorriso di Kimi a lungo, fino a che questi si piegò per prendere un libro e iniziò a leggere.
<< Ma allora… tu… sei… >>
<< Libero? >> chiese Kimi alzando lo sguardo dal libro: << E’ una proposta Sashi? >>
Di nuovo quel tono. Mitsui, per la prima volta nella sua vita, arrossì sotto lo sguardo divertito del piccolo ex-vice capitano.
<< Se me lo chiedessi in una diversa maniera… >> continuò Kimi abbassando ancora di più la voce, dandogli una tonalità bassa e, a detta dei sensi di Hisashi, profondamente erotica: << …io potrei pure accettare… >>
“Ecco! Lo sapevo! Ca220! Ho avuto un incidente nel viaggio per Tokyo e sono morto sul colpo e adesso sono… in paradiso? Sì non può che essere il paradiso.”
Hisashi provò a dire qualcosa, ma Kiminobu lo interruppe nuovamente con una risata dolce e meno fragorosa:
<< Sto scherzando Hisashi. Torna pure a respirare… >>
<< No… non è questo… >> cercò di dire, ma i suoi pensieri non riuscirono a liberarsi dalle catene della sua mente, troppo impegnata a registrare ogni singolo cambiamento della tonalità della voce del ragazzo accanto a lui.
L’allenatore Anzai richiamò Kogure. Kiminobu si alzò senza neppure guardare il compagno al suo fianco. Posò il libro distrattamente sul sedile e cercò di uscire, ma Mitsui lo fermò per un braccio:
<< Ma tu sei… >> domandò titubante.
<< Gay? Sì. >> gli rispose sorridendo.
Il sorriso che nacque sul viso di Hisashi lo lasciò interdetto. Avrebbe voluto chiedere spiegazioni. Non voleva che fosse un ghigno di commiserazione o peggio ancora di disgusto. Non lo avrebbe mai accettato, non da lui. Forse era stato troppo diretto con quelle battute, ma gli sembravano la cosa giusta da dire al momento giusto, ma forse si sbagliava. Quel cretino di Akagi e i suoi consigli del cavolo! “Mitsui è un ragazzo diretto, poco incline al romanticismo e poco sveglio, ad essere sinceri. L’ho visto come ti guardava durante gli allenamenti e le partite, ma, se aspetti che sia lui a fare il primo passo, morirai di vecchiaia. Credimi! E’ cotto di te, almeno quanto tu di lui, anche se non capisco cosa tu ci possa trovare in un teppiste simile…”. Ma chi glielo aveva fatto fare ad ascoltarlo? E poi ci si era messo pure Maki….
Sospirò di rassegnazione. L’allenatore lo richiamò nuovamente e dovette lasciare inespresse le sue domande e le sue paure. Se Kiminobu si fosse voltato in quel momento, quello che avrebbe visto, forse, avrebbe dissipato ogni suo dubbio, ma Kimi era troppo preso dai suoi pensieri per tentare anche solo di capire, voltandosi a guardarlo, quindi proseguì dritto senza voltarsi. Si sedette vicino all’allenatore Anzai e lì rimase fino all’arrivo a Tokyo. Poco male, si disse Hisashi osservandolo parlare con l’allenatore, ci sarebbero di certo state altre occasioni e, ne era sicuro, avrebbe catturato per sempre il cuore di quel ragazzo che non faceva che stupirlo. Sashi… quel nome aveva un suono così particolare nella sua bocca… dolce e sensuale. Incrociò le braccia dietro la testa e si appoggiò al sedile. Sorrise e dopo tanto si sentì di nuovo felice.

Una macchina sportiva rossa, correva veloce nella superstrada per Tokyo. Seguiva da lontano un bus che conduceva dei giocatori di basket alla Grande Mela del Giappone.
<< Usagi sei pronta per quello che accadrà? >>
La ragazza, dopo tanto tempo, sorrise.
<< Quel ragazzo, Kaede… lui potrà riportare la luce, me lo sento. >>
Ignare del futuro, le tre ragazze si apprestavano a tornare alla città che in futuro sarebbe entrata nella storia come Crystal Tokyo. Ad attenderle, in un luogo segreto, c’erano le altre Other Senshi. Tutto proseguiva come nei piani. Adesso non c’era altro da fare che aspettare.

Fine terza parte.

Autrice: scusate il ritardo… so che non sto rispettando la tabella di marcia e che questo capitolo avrei dovuto postarlo due settimane fa, ma altri impegni mi hanno tenuto occupata. Permettetemi di fare una dedica particolare a qualcuno che non c’è più. Non dirò il nome, ma solo che resterà sempre imprigionato nei miei ricordi e nel mio senso di colpa. Non è un essere umano, ma per me lo era diventato. Mi sono presa cura di lui fino ad oggi e mi mancherà. Forse pensate che sia stupido fare una dedica ad un animale che, per giunta, non c’è più, ma chi mi conosce sa e saprà anche capirmi.
Scusami se non sono stata all’altezza della situazione, come sempre… Ti voglio bene e mi mancherai. Un bacione, come quelli che ti davo, mentre ti accarezzavo, nel tentativo di farti mangiare…

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto.


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