DISCLAMERS: i personaggi non sono miei, ma dei
mitici Inoue e Takeuchi. Io mi diverto solo a torturarli per mio diletto
personale! ^__^
NOTE: nel primo capitolo vi
erano parecchi salti temporali. In questa seconda parte la storia dovrebbe
seguire un andamento più lineare.
I personaggi di Sailor Moon
sono presi direttamente dal manga, quindi i nomi e i caratteri discordano
sensibilmente dall’anime. Per rendere più chiara la lettura, vi prego di
leggere prima questo schema che ricapitola i nomi delle guerriere, nel
seguente ordine: gruppo - nome originale- nome guerriera- nome italiano.
Inner Senshi (guerriere del
sistema solare interno in Italia): Usagi/Sailor Moon (Bunny); Ami/Sailor
Mercury (Emi); Rei/Sailor Mars (Rea); Makoto/Sailor Jupiter (Morea); Minako/Sailor
Venus (Marta).
Other Senshi (guerriere del
sistema solare esterno in Italia): Haruka/Sailor Uranus (Heles); Michiru/Sailor
Neptune (Milena); Setsuna/Sailor Pluto (Sylia); Hotaru/Sailor Saturn
(Ottavia).
La leggenda
parte III
di
Soffio d'argento
Tokyo
Erano già trascorsi tre giorni da quella
fuga di Usagi. Mamoru aveva perlustrato tutti i luoghi vicino la città, ma
non era riuscito a trovare né Usa né Hotaru, inoltre, come sempre accadeva
nelle migliori occasioni, le Other Senshi erano scomparse. Il giorno dopo
la conversazione con lui, insieme alle Inner era andato a cercare di avere
più informazioni, ma aveva trovato la casa completamente deserta. Non
c’era nulla che potesse confermare la loro presenza, anche se passata, lì.
Mamoru aveva dato un pugno ad un muro, maledicendo se stesso per la sua
incapacità. Sarebbe mai riuscito a proteggere la ragazza che amava più
della sua stessa vita?
Mamoru richiuse la porta d’ingresso alle sue
spalle e sospirò di frustrazione. Si tolse la cravatta e allentò la camicia.
Ormai non riusciva più a concentrarsi a lezione. Decise di prepararsi una
tazza di the, in attesa di nuove notizie da parte di Luna. Anche quel giorno
la spia della segreteria telefonica brillava. Probabilmente era ancora Rei
che lo informava delle ultime novità. Sbuffò indeciso se ascoltarla o no,
tanto non riportava di certo buone notizie, poi si decise e ascoltò i
messaggi in poltrona, sorseggiando ad occhi chiusi una tazza dal liquido
ambrato.
“Mamoru? Sono io, Usagi. Volevo solo dirti
di non stare in pensiero. Io sto bene, sto solo rilassandomi un po’. Ci
vediamo presto. Di’ a tutti che sto bene, Usagi”.
Nonostante sapesse che si trattava di un
messaggio registrato, Mamoru si alzò di scatto dalla sedia e alzò la
cornetta, ma il lento e ripetitivo segnale di linea libera fu l’unica cosa
che sentì. Portò indietro il nastro per ascoltarlo un’altra volta. Niente
Mamo-chan, niente indicazioni, le solite sciocche bugie per non farlo
preoccupare e, soprattutto, niente “Ti voglio bene” o “Ti amo”. Niente di
niente. Prese in mano la scatola in cui teneva le pietre in cui si erano
tramutati i suoi sottotenenti. In quel momento aveva un disperato bisogno di
un consiglio, di una parola di conforto. Chiuse gli occhi e richiamò Kunzite.
<< Maestà… >> la sua voce cavernosa e profonda
pareva venire dagli inferi.
<< Generale, perché mi sento così
inefficiente? Serenity ha bisogno di me e io non riesco neppure a starle
accanto. Se solo il mio potere non fosse così poco potente. >>
<< Maestà, voi possedete il cuore della Terra,
dovete solo imparare a svilupparlo. >>
<< Ma quando? E intanto Serenity rischia la
vita nel cercare di proteggermi. >>
Mamoru si portò le mani fra i capelli,
intrappolandole fra le ciocche seriche. Una mano diafana si appoggiò alla
sua spalla, nel tentativo di donargli un po’ di conforto, ma il suo corpo di
non vivente, scivolò lungo i pendii del nulla.
<< Maestà guardatemi! >> Mamoru alzò lo
sguardo: << Maestà quello che affronterete metterà in gioco la vita di tutto
il mondo e la principessa questo lo sa. Dovete farvi forza, altrimenti
rischierete davvero di essere un peso per la principessa. Dovete trovare il
ragazzo e strapparlo al suo destino. Dovete riportare la luce nei suoi
occhi. Maestà, il destino del mondo è nelle vostre mani. >>
Kunzite scomparve. Mamoru si alzò e andò a
fare una doccia. Si stava comportando come un ragazzino sciocco e insicuro.
Finché Serenity fosse stata insieme alle Other Senshi la sua sicurezza era
assicurata, nel frattempo lui e le Inner avrebbero trovato questo ragazzo
leggendario e avrebbero impedito al destino di compiersi, o almeno ci
avrebbero provato con tutte le loro forze. E poi, lo sentiva, presto avrebbe
rivisto Usagi e allora… l’avrebbe abbracciata. Quel messaggio in segreteria
doveva esserle costato molto. Avrebbe voluto tenere lui e le Inner lontani
dal nuovo pericolo, per questo era scomparsa, ma allo stesso tempo si era
preoccupata e aveva cercato di rimediare…
La piccola Usagi. Come faceva a non amarla?
Kanagawa.
Mitsui ascoltava distrattamente gli schemi di
gioco che il coach stava spiegando. Il giorno dopo sarebbero partiti per
Tokyo e lui e Kimi erano stati messi nella stessa camera! Quando si dice la
fortuna! Ma di fortunato non c’era stato solo lui…
<< Maledizione kitsune! Mi spieghi perché, fra
una squadra intera, devo dividere la stanza con te? Non potevo capitare con
Yasuda? >>
<< Guarda che non è stata certo una mia
scelta, scimmia decerebrata! >>
<< Come osi! Io sono il Tensai! >>
<< Sì, dei poveri! >>
Ed ecco cominciare il solito show: Sakuragi si
getta su Rukawa cercando di colpirlo, questi si scosta, Sakuragi tira di
destro e il resto sono lividi su tutto il corpo. Mitsui si chiese se per
caso Rukawa non provasse un gusto sadico nell’essere preso a pugni dal
ragazzo che amava.
<< Certe cose non cambiano mai, eh Hisashi? >>
Hisashi si voltò sorridente, ma quello che
vide smorzò il suo slancio. Come tre giorni prima, accanto a lui c’era
Fujima, sempre impeccabile e allegro, con quegli occhi svegli e furbi.
Hisashi detestava ammetterlo ma, se avesse dovuto vedersela con lui per
l’amore di Kimi, sarebbe stata una lotta davvero ardua. Fujima era
eccellente a scuola, campione di basket, aveva persino allenato per anni la
squadra di basket della sua scuola! Era carino, almeno così dicevano tutte
quelle pazze del suo fan club, affabile, sempre gentile… insomma era un tipo
perfetto per Kiminobu, ma lui non si sarebbe arreso facilmente. Non dopo
aver capito di essere talmente cotto del megane da non pensare ad altri che
a lui.
<< Kogure! >> gli si avvicinò sorridendo: <<
Ah Kenji, pure tu qui? Non si studia all’università? >>
<< Io e Kimi abbiamo finito la settimana
scorsa di studiare per gli esami, così potremo venire tutti insieme a vedere
le partite del campionato, contento Mitsui? >>
<< Verranno anche Toru e Maki, se riescono a
liberarsi. Non vedo l’ora di partire! >> sorrise con il suo fare gentile il
megane.
Ayako fischiò l’inizio della partita
d’allenamento. Da quanto erano iniziati i preparativi per il campionato
nazionale, ogni giorno si disputava una partita dall’allenamento. I ragazzi
erano molto carichi e si allenavano con grinta, tranne uno di loro, che
sembrava molto giù di tono. Da qualche tempo, se n’erano accorti tutti,
Hanamichi sembrava vivere in un mondo parallelo. Non usciva più con gli
amici, non litigava con nessuno, tranne che con Rukawa. Lui sembrava il suo
contatto con il mondo esterno, eppure anche quei litigi sembravano forzati.
In campo aveva perso la sua energia e sbagliava passaggi e posture
semplicissime. In poche parole sembrava non esserci più. Ogni giorno, poi,
terminati gli allenamenti, tornava a casa senza neppure fermarsi a fare una
doccia, seguito dall’immancabile Armata Sakuragi.
Tutti erano molto preoccupati, la sua energia
era sempre stata un ottimo incentivo per tutta la squadra. Con i suoi
attacchi d’egocentrismo acuto e le sue manie di grandezza, aveva sempre
trascinato la squadra anche nelle situazioni più precarie. E il più
preoccupato, neanche a dirlo, era proprio il volpino che seguiva, con
attenzione, ogni sua mossa e, si disse Mitsui, provocava volontariamente
Hanamichi, per accertarsi delle sue reazioni.
Anche quel giorno, terminata la partita
dall’allenamento e con il benestare dell’allenatore, il rossino era uscito
in fretta e furia, seguito dal volpino, a distanza di sicurezza. Ormai era
un copione che si recitava ogni giorno: Hanamichi usciva in fretta dalla
palestra, Kaede faceva finta di allenarsi e invece aspettava che fosse
abbastanza lontano per vestirsi in fretta e furia e seguirlo, ovunque fosse
andato.
Non riusciva ancora a dimenticare quella
presenza inquietante incontrata qualche sera prima. Era uscita dal nulla,
n’era certo, e gli aveva ordinato di allontanarsi dal suo rossino. Premesso
il fatto che Kaede Rukawa non accettava ordini da nessuno, chi era quella
donna? Perché aveva quell’aspetto non umano? E perché gli aveva ordinato di
stare lontano dal rossino?
Rispondere a questi quesiti era impossibile,
quello che si sentiva di fare era seguire Hanamichi fino a casa e
assicurarsi che vi giungesse sano e salvo. Probabilmente se si fosse
ritrovato quella donna di fronte non sarebbe riuscito a fare nulla, ma
almeno doveva tentare di proteggere la persona che amava. Ce n’aveva messo
del tempo a capire, ma alla fine ce l’aveva fatta e non aveva intenzione di
tirarsi indietro.
Il rossino e i quattro dell’armata
girovagarono un po’ per i bassi fondi di Kanagawa, parlarono con tipi dalla
faccia poco rassicurante, fecero a pugni con una banda di mammolette e, alla
fine, accompagnarono Hanamichi a casa. Rimasero un po’ a ridere del rosso
davanti al cancelletto, poi, quando Hanamichi era scoppiato minacciando di
dare testate a tutti, erano andati via, tutti tranne Yohei che era entrato
in casa. Rukawa era rimasto dietro il muro di recinzione di una villetta non
troppo distante da casa del rosso, indeciso sul da farsi. L’ultima, ma anche
prima volta, in cui era stato a casa di Sakuragi, aveva perso tutto il tempo
a litigare con la scimmia, invece di fargli le domande che gli ronzavano in
testa. Quella stessa sera, poi, al ritorno a casa, aveva incontrato quella
strana creatura e i suoi pensieri si erano raddoppiati. Lui non aveva mai
creduto al paranormale, né a nulla che non potesse essere spiegato con la
mente. Era un tipo razionale Kaede Rukawa e non si lasciava influenzare da
nulla, però quello che aveva visto quella sera aveva poco del normale. Era
senz’altro… cosa? Un fantasma? Un demone? Uno spirito dannato? Questo non
riusciva a spiegarselo, ma era certo che non fosse umano e in quel momento,
più di capire chi o cosa fosse, doveva capire cosa voleva da Hanamichi e
forse lui avrebbe saputo rispondergli.
Si decise ad affrontare la situazione, fece
per uscire allo scoperto, ma fu fermato da Yohei, o meglio dalla sua uscita
da casa del rossino. Lo vide salutarlo con la mano, dirgli qualcosa che
aveva fatto innervosire il rosso e andare via ridendo. Kaede Rukawa si
nascose nell’ombra e attese che Yohei si allontanasse un po’ di più.
Una veloce macchina sportiva rossa per poco
non lo travolse, sfrecciando troppo veloce in quelle stradine. La volpe si
scostò giusto in tempo e questo gli permise di vedere al volante della
macchina un ragazzo dagli strani capelli chiari, una faccia conosciuta ma
non ricordava dove. Al suo fianco c’era una bella ragazza dai lunghi
capelli, anch’essa rievocava un ricordo che però non riusciva ad afferrare.
Dietro invece era seduta una ragazza dai lunghissimi capelli biondi. Non
riuscì a vedere di più, ma quello che lo colpì fu che si fermarono a casa
del rossino. Posteggiarono di fronte alla villa e scesero tutte e tre. La
ragazza bionda capeggiava il piccolo gruppo, ma non sembrava sicura delle
sue scelte. Il ragazzo accanto a lei le mise un braccio attorno alla spalla,
mentre l’altra ragazza suonò il campanello.
Vide il rossino uscire come una furia con un
panino in bocca, avvicinarsi al cancello e scambiare qualche parola con il
trio, poi entrò in casa e Kaede udì perfettamente il cancello aprirsi e le
ragazze entrare. Ospiti del do’hao…
Il volpino si avvicinò alla macchina, facendo
attenzione a non essere visto. Guardò la targa e vide che era di Tokyo.
Cercò di guardarvi all’interno, ma l’auto era dotata di finestrini neri e
non era possibile capire cosa nascondesse all’interno.
Senza neppure pensarci un attimo di più, suonò
deciso il campanello. Non era da Kaede Rukawa brancolare nell’indecisione.
Suonò un paio di volte e ad aprirgli venne proprio il rosso.
<< Si può sapere chi diavolo… >>
<< Do’hao! Ti sembra questo il modo di aprire
la porta? >>
Il rosso si appoggiò allo stipite e, per una
volta, ebbe la soddisfazione di rivolgergli lo stesso sguardo che Kaede gli
riservava quando sbagliava qualche tiro importante o stava per insultarlo.
Alzò un sopracciglio e lo osservò un attimo.
<< E a te sembra questo il modo di
auto-invitarti a casa mia? Aspetta che ti apro la porta. >>
Hanamichi fece accomodare Kaede in salotto,
dove c’erano già il ragazzo e le ragazze di prima. Haruka, Michiru e Usagi
erano i nomi delle tre ragazze che erano venute a trovare il rossino. Haruka,
quella che lui aveva erroneamente scambiato per un ragazzo, era una famosa
pianista, Michiru, la ragazza al suo fianco, molto bella e curata, era
invece una famosa violinista. Erano un duo molto amato ed apprezzato in
tutto il mondo. Cosa ci facevano a casa di Sakuragi? E perché la ragazza con
loro aveva uno sguardo tanto triste?
Ben presto il rossino gli spiegò che Haruka
era un’amica di lunga data. Erano cresciuti insieme, in Irlanda e negli
ultimi anni si erano persi di vista, fino a quando, qualche settimana prima,
si erano rivisti in un bar di Kanagawa e lì aveva conosciuto pure Michiru e
Usagi, la ragazza dai lunghissimi capelli biondi, e insieme erano andate a
trovarlo.
<< Tu sei un compagno di squadra di Carl? >>
Kaede strabuzzò gli occhi. Chi era Carl?
Intuendo il suo imbarazzo, Haruka scoppiò a ridere.
<< Carl è il mio secondo nome. Era con quello
che ero conosciuto nel mio paese. >>
<< Conosci l’Irlanda, Kaede? >> gli chiese
Michiru sorseggiando del the caldo: << E’ una terra piena di leggende, di
magia e mistero…. Si dice che sia la patria dei folletti e delle piccole
creature dei boschi…. Dovresti visitare l’Irlanda… >>
Anche quella sera Kaede uscì da casa di
Hanamichi senza riuscire a porgli alcuna domanda. Non capiva cosa stesse
accadendo, ma troppe coincidenze si stavano radunando proprio a Kanagawa.
L’Irlanda. La ragazza dai capelli del profumo del mare, aveva detto che era
una terra di magia… non l’aveva mai guardato, ma sapeva, aveva sentito, che
quel discorso era un messaggio proprio per lui. Haruka e Michiru. Perché se
pensava a loro non poteva far altro che immaginare il mare in tempesta?
Usagi? Lei era la più strana, se pensava a lei lo invadeva una tristezza
infinita.
Senza accorgersene Kaede si ritrovò nello
stesso vicolo di qualche sera prima. Era illuminato stavolta, eppure non si
sentiva tranquillo. Ma che pensava? Lui era Kaede Rukawa, la star dello
Shohoku, non poteva avere paura di… di cosa? Neppure lui sapeva bene. Scosse
la testa e proseguì, sbadigliando e dandosi dell’idiota mentale. Alla fine
del vicolo, però, immersa nelle semioscurità, notò un’auto. Fuori dall’auto,
benché non fosse facile distinguere bene, vide una figura esile. Si fermò
istintivamente. Poi decise di avanzare. Era stupido rimanere lì, in quel
vicolo, senza la possibilità di fare nulla. Se davvero fosse stato un demone
non avrebbe di certo avuto possibilità di scappare. Ma i demoni, poi,
guidano la macchina?
Ritrovatosi dinnanzi all’auto, la riconobbe
come quella di Haruka e infatti, appoggiata alla portiera, c’era Usagi.
<< Ti devo parlare Kaede. >>
<< Hn. >> rispose con il suo solito
monosillabo.
<< Ti va di venire un attimo con noi? >>
Usagi si scostò per aprire la portiera. Kaede
valutò cosa avrebbe comportato salire e andare via con loro, ma la curiosità
di sapere era troppo forte e così accettò.
Haruka guidava velocemente, sorpassando con
enorme maestria le macchine ferme ai semafori. Kaede, abituato a
addormentarsi ovunque, stranamente non riusciva a prendere sonno. Haruka
voltò verso destra e prese la strada che portava al grande parco poco fuori
Kanagawa. Durante il tragitto nessuno di loro parlò e il silenzio
tranquillizzò non poco l’ala dello Shohoku.
Giunti a destinazione, scesero dalla macchina.
Il volpino seguì le tre ragazze che s’inoltravano nel bosco. Le tre ragazze
si fermarono davanti ad un grosso albero. Haruka e Michiru uscirono degli
strani oggetti, simili a caleidoscopi o forse a penne, ma nel buio non
riuscì a vedere bene; Usagi prese dalla tasca dei pantaloni una grossa
spilla. Tutte e tre alzarono quegli oggetti in mano e pronunciarono le
parole più incredibili per Kaede.
<< Silver Moon Crystal
Power Make up! >>
<< Uranus Crystal Power
Make Up! >>
<< Neptune Crystal Power
Make Up! >>
Kaede arretrò inconsciamente, fino a che le
sue spalle toccarono un albero. Cosa volevano le Sailor Senshi da lui? E
cosa avevano a che fare con Hanamichi? Strinse i pugni fino a farsi male.
Non era da lui arretrare di fronte a qualcuno, ma in una settimana gli era
già successo due volte. Eppure tutto quello era troppo grande persino per
lui, il terrore dei teppistelli di Kanagawa.
<< Dobbiamo raccontarti una cosa… e abbiamo
bisogno di molto tempo… >>sussurrò Usagi.
La sua voce sembrava provenire da un’era molto
lontana e sapeva di nostalgia. Ora sapeva il perché di quegli occhi tristi,
era come se stesse sopportando nel suo piccolo cuore tutto il dolore del
mondo e per un attimo, un breve attimo, Kaede n’ebbe compassione. Usagi gli
sorrise dolcemente. Kaede avanzò verso di loro e un varco si aprì alle loro
spalle. Annuì deciso e seguì le guerriere Sailor all’interno. Appena
varcarono il portale, esso si richiuse.
Il vento soffiò forte. La sua voce, simile
alla straziante sofferenza di un’anima in pena, portava con sé una canzone…
un’antica leggenda…
“…un
ragazzo nato tra cielo e terra nelle cui mani vi è il destino del mondo… non
riuscirete a portarmelo via. Nelle sue mani giace la falce della morte. Lui
è l’inizio e la fine… un ragazzo nato tra cielo e terra… ”
Kanagawa, un’ora prima della partenza per
Tokyo.
<< Qualcuno ha visto Rukawa? >> Ayako chiedeva
nervosamente a tutti i compagni di squadra.
Nessuno sembrava aver notizie del volpino. La
sera prima Hisashi aveva voluto organizzare una piccola festa a casa sua, ma
il telefono di Kaede aveva suonato a vuoto.
<< Yasu hai telefonato a casa sua? >>
<< Sì Ayako, ma suona a vuoto. >>
<< Narcolettico com’è si sarà scontrato con
qualche bidone della spazzatura. State tranquilli che arriverà presto… e chi
lo ammazza quello? >> scoppiò a ridere il rossino, ma la sua risata sembrava
falsa persino alle sue orecchie.
<< Do’hao. >>
<< Che vi avevo detto? L’erba cattiva non
muore mai! Benarrivato kit! >>
Rukawa sorrise, lasciando i compagni di
squadra con gli occhi sbarrati e le bocche spalancate. Prese la borsa che
aveva appoggiato a terra e la mise sulle spalle. Si avvicinò a Sakuragi e
gli tirò in testa la sacca.
<< Ma sei scemo, kitsune? Cos’è… il sonno ti
ha dato alla testa? >>
<< Così impari! >>
Da fuori il cancello della scuola, si sentì
una macchina partire velocemente. Kaede non si voltò, né disse nulla.
Strinse di più la presa sulla sacca e si sistemò sul bus, nel posto a lui
assegnato, e si addormentò.
Il viaggio fu troppo breve per Kaede che non
aveva avuto modo di dormire la notte precedente. Aveva cercato di
sonnecchiare sul bus, ma prima il sedile scomodo, poi i continui movimenti
del do’hao, la voce dell’idiota che litigava con Ryota e Hisashi, il suono
delle sventagliate di Ayako, la voce petulante dell’Akagi, non riuscirono a
farlo dormire.
In verità, n’era ormai perfettamente
consapevole, era altro a tenerlo sveglio. Ciò che aveva visto la sera prima,
ciò che aveva udito, non era ancora riuscito ad assorbirlo e fluttuava
leggero nella sua mente. Le immagini e le parole si mescolavano insieme
producendo un gorgo oscuro dal quale veniva irrimediabilmente risucchiato.
Quello che aveva visto…. Sarebbe mai riuscito
ad assolvere il compito che gli avevano affidato? Socchiuse gli occhi e vide
la sagoma del rossino accanto a lui. Era seduto di traverso, praticamente
gli dava le spalle. Le aveva molto larghe e forti. I capelli rossi
sembravano fuoco e distruggevano ogni sua remora. La sua voce era
ingombrante come la sua presenza e si faceva strada a forza nella sua vita.
Era un gran teppista e perdigiorno, ma dubitava fosse in grado,
volontariamente, di far del male a qualcuno. Lo aveva sempre considerato un
ragazzo semplice, ingenuo, forse troppo petulante, eppure non riusciva a
scacciare dalla sua mente le parole di Haruka.
“Se fosse necessario… non avremmo altra
scelta, mi dispiace.”
Respirò profondamente e riaprì gli occhi.
Cercare di dormire era inutile, troppi ricordi si affollavano alla sua mente
appena chiudeva gli occhi.
Si voltò verso il rossino, intento a discutere
con Ryota. Più in là Kogure parlava con l’allenatore, mentre Hisashi non lo
perdeva mai d’occhio. Le matricole del primo anno erano seduti nei posti
vicini al Mister ed erano stranamente silenziosi. Per loro era il primo anno
di campionato nazionale e la tensione li irrigidiva. Si accoccolò nel suo
sedile. La manica della giacca della tuta, si sollevò leggermente. Sul polso
sinistro faceva bella vista uno strano orologio con una mezzaluna sopra il
quadrante. Era bianco. Usagi glielo aveva messo al polso, poco prima di
riportarlo a casa.
“Usalo nelle emergenze. Noi staremo sempre
dietro di voi.”
Si voltò verso il finestrino. Fuori il
paesaggio era veloce e monotono. I colori si mischiavano fra loro formando
un lungo mantello grigio. I pochi alberi che costellavano la strada, si
muovevano veloci come foglie d’erba mosse da un tornado, piegandosi al
passaggio del bus. All’orizzonte una coltre nera scendeva dal monte Fuji.
L’autista accese la radio che si diffuse come
leggero sottofondo. Kogure lasciò il posto accanto all’allenatore e si
sistemò accanto a Hisashi, che prese a chiacchierare felicemente con lui,
dimenticando la compagnia rumorosa.
L’armata Sakuragi era salita con loro. Yohei,
posto nel sedile dietro quello del rossino, fissava in silenzio il
comportamento dell’amico, non perdendolo mai d’occhio. Era preoccupato, lo
vedeva, eppure era stranamente tranquillo. Noma e Okuso si divertivano a
prendere in giro Takamiya, che ingurgitava tanto di quel cibo da temere che
potesse scoppiare da un momento all’altro.
Usagi e le altre, ne aveva il sospetto, non
gli avevano rivelato tutta la verità, eppure quel poco era bastato per
terrorizzarlo. Se la leggenda si fosse avverata…
<< Ehi kitsune! Sei sveglio? >>
<< A te che sembra, do’hao! >>
<< Che ne so io del comportamento delle volpi
artiche! Magari stavi solo entrando in letargo! >>
<< Idiota. >>
Sakuragi scoppiò a ridere, affondando la testa
nel sedile. I suoi occhi s’incupirono un attimo, ma poi tornò ad essere
quello di sempre, si voltò verso Yohei e cominciò a discutere di un
videogioco provato qualche sera prima…. Certe cose non cambiano mai, pensò
Kaede, ma non è detto che non finiscano all’improvviso.
Poco più in là, Hisashi ascoltava il megane
parlare degli schemi di gioco. Non era proprio così che aveva immaginato il
viaggio per Tokyo, ma pur di sentirlo al suo fianco, avrebbe anche
sopportato di sentire recitare la Divina Commedia. I suoi discorsi variavano
alla velocità della luce, un attimo prima parlava di basket e il secondo
dopo cominciava a raccontare le peripezie di uno studente universitario che
ha come amici dei giocatori di basket alquanto eccentrici.
<< … e poi Kenji è saltato sulla sedia, mentre
Maki cercava di bloccarlo… >>
Kenji… nella mente di Hisashi si stavano
moltiplicando le immagini delle possibili torture da applicare a quel
damerino da strapazzo. Possibile che in ogni discorso saltasse sempre fuori
lui?
<< Mi ascolti Hisashi? >>
<< Certo che ti ascolto, megane! Piuttosto…
non sei geloso? >>
Kiminobu lo guardò senza capire.
<< Del fatto che Kenji venga ad assistere al
campionato insieme a Toru, invece che con te… sono stati compagni di squadra
per molto tempo… >>
<< E ora lo sono in un’altra maniera... più
profonda… >>
<< Come? >> Hisashi per poco non gridò quella
parola: << Che significa? Compagni… in quel senso? >> domandò abbassando la
voce.
<< Hai forse qualche pregiudizio Mitsui? >>
chiese nervosamente Kiminobu.
<< No. Affatto. E’ solo che pensavo che Kenji
stesse con te… siete sempre insieme e… >>
Kogure scoppiò a ridere, impedendo a Hisashi
di finire la frase. Il tiratore da tre punti dello Shohoku lo guardò
sbalordito, fino a che Kimi, avendo avuto compassione per lui, decise che
era giunto il momento di dirgli tutta la verità.
<< Kenji e Toru stanno insieme dall’ultimo
anno del liceo. Io, Takenori, Kenji, Toru e Maki, frequentiamo la stessa
facoltà (permettetemi la licenza letteraria. Mi piace pensare che siano
tutti amici! NdA.) e siamo diventati molto amici, nulla più. Siccome si
avvicinavano i campionati, tutti e quattro, per avere la possibilità di
vederli, abbiamo studiato come dei matti e poiché Kenji doveva preparare un
esame particolarmente difficile, ha chiesto il mio aiuto e io non ho
rifiutato. Per questo negli ultimi tempi ci hai visto sempre insieme. Dato
che venivo subito dopo aver terminato di studiare, Kenji era ancora con me e
veniva a vedere gli allenamenti. Tutto chiaro adesso, Sashi? >>
Kiminobu diede a quel nomignolo un’intonazione
così profonda da quasi procurargli una perdita di sangue dal naso. Rimase
intrappolato allo sguardo e al sorriso di Kimi a lungo, fino a che questi si
piegò per prendere un libro e iniziò a leggere.
<< Ma allora… tu… sei… >>
<< Libero? >> chiese Kimi alzando lo sguardo
dal libro: << E’ una proposta Sashi? >>
Di nuovo quel tono. Mitsui, per la prima volta
nella sua vita, arrossì sotto lo sguardo divertito del piccolo ex-vice
capitano.
<< Se me lo chiedessi in una diversa maniera…
>> continuò Kimi abbassando ancora di più la voce, dandogli una tonalità
bassa e, a detta dei sensi di Hisashi, profondamente erotica: << …io potrei
pure accettare… >>
“Ecco! Lo sapevo! Ca220! Ho avuto un incidente
nel viaggio per Tokyo e sono morto sul colpo e adesso sono… in paradiso? Sì
non può che essere il paradiso.”
Hisashi provò a dire qualcosa, ma Kiminobu lo
interruppe nuovamente con una risata dolce e meno fragorosa:
<< Sto scherzando Hisashi. Torna pure a
respirare… >>
<< No… non è questo… >> cercò di dire, ma i
suoi pensieri non riuscirono a liberarsi dalle catene della sua mente,
troppo impegnata a registrare ogni singolo cambiamento della tonalità della
voce del ragazzo accanto a lui.
L’allenatore Anzai richiamò Kogure. Kiminobu
si alzò senza neppure guardare il compagno al suo fianco. Posò il libro
distrattamente sul sedile e cercò di uscire, ma Mitsui lo fermò per un
braccio:
<< Ma tu sei… >> domandò titubante.
<< Gay? Sì. >> gli rispose sorridendo.
Il sorriso che nacque sul viso di Hisashi lo
lasciò interdetto. Avrebbe voluto chiedere spiegazioni. Non voleva che fosse
un ghigno di commiserazione o peggio ancora di disgusto. Non lo avrebbe mai
accettato, non da lui. Forse era stato troppo diretto con quelle battute, ma
gli sembravano la cosa giusta da dire al momento giusto, ma forse si
sbagliava. Quel cretino di Akagi e i suoi consigli del cavolo! “Mitsui è un
ragazzo diretto, poco incline al romanticismo e poco sveglio, ad essere
sinceri. L’ho visto come ti guardava durante gli allenamenti e le partite,
ma, se aspetti che sia lui a fare il primo passo, morirai di vecchiaia.
Credimi! E’ cotto di te, almeno quanto tu di lui, anche se non capisco cosa
tu ci possa trovare in un teppiste simile…”. Ma chi glielo aveva fatto fare
ad ascoltarlo? E poi ci si era messo pure Maki….
Sospirò di rassegnazione. L’allenatore lo
richiamò nuovamente e dovette lasciare inespresse le sue domande e le sue
paure. Se Kiminobu si fosse voltato in quel momento, quello che avrebbe
visto, forse, avrebbe dissipato ogni suo dubbio, ma Kimi era troppo preso
dai suoi pensieri per tentare anche solo di capire, voltandosi a guardarlo,
quindi proseguì dritto senza voltarsi. Si sedette vicino all’allenatore
Anzai e lì rimase fino all’arrivo a Tokyo. Poco male, si disse Hisashi
osservandolo parlare con l’allenatore, ci sarebbero di certo state altre
occasioni e, ne era sicuro, avrebbe catturato per sempre il cuore di quel
ragazzo che non faceva che stupirlo. Sashi… quel nome aveva un suono così
particolare nella sua bocca… dolce e sensuale. Incrociò le braccia dietro la
testa e si appoggiò al sedile. Sorrise e dopo tanto si sentì di nuovo
felice.
Una macchina sportiva rossa, correva veloce
nella superstrada per Tokyo. Seguiva da lontano un bus che conduceva dei
giocatori di basket alla Grande Mela del Giappone.
<< Usagi sei pronta per quello che accadrà? >>
La ragazza, dopo tanto tempo, sorrise.
<< Quel ragazzo, Kaede… lui potrà riportare la
luce, me lo sento. >>
Ignare del futuro, le tre ragazze si
apprestavano a tornare alla città che in futuro sarebbe entrata nella storia
come Crystal Tokyo. Ad attenderle, in un luogo segreto, c’erano le altre
Other Senshi. Tutto proseguiva come nei piani. Adesso non c’era altro da
fare che aspettare.
Fine terza parte.
Autrice: scusate il ritardo… so che non sto
rispettando la tabella di marcia e che questo capitolo avrei dovuto postarlo
due settimane fa, ma altri impegni mi hanno tenuto occupata. Permettetemi di
fare una dedica particolare a qualcuno che non c’è più. Non dirò il nome, ma
solo che resterà sempre imprigionato nei miei ricordi e nel mio senso di
colpa. Non è un essere umano, ma per me lo era diventato. Mi sono presa cura
di lui fino ad oggi e mi mancherà. Forse pensate che sia stupido fare una
dedica ad un animale che, per giunta, non c’è più, ma chi mi conosce sa e
saprà anche capirmi.
Scusami se non sono stata all’altezza della
situazione, come sempre… Ti voglio bene e mi mancherai. Un bacione, come
quelli che ti davo, mentre ti accarezzavo, nel tentativo di farti mangiare…
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto.
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