DISCLAMERS: i personaggi non sono miei, ma dei
mitici Inoue e Takeuchi. Io mi diverto solo a torturarli per mio diletto
personale! ^__^
NOTE: nel primo capitolo vi
erano parecchi salti temporali. In questa seconda parte la storia dovrebbe
seguire un andamento più lineare.
I personaggi di Sailor Moon
sono presi direttamente dal manga, quindi i nomi e i caratteri discordano
sensibilmente dall’anime. Per rendere più chiara la lettura, vi prego di
leggere prima questo schema che ricapitola i nomi delle guerriere, nel
seguente ordine: gruppo - nome originale- nome guerriera- nome italiano.
Inner Senshi (guerriere del
sistema solare interno in Italia): Usagi/Sailor Moon (Bunny); Ami/Sailor
Mercury (Emi); Rei/Sailor Mars (Rea); Makoto/Sailor Jupiter (Morea); Minako/Sailor
Venus (Marta).
Other Senshi (guerriere del
sistema solare esterno in Italia): Haruka/Sailor Uranus (Heles); Michiru/Sailor
Neptune (Milena); Setsuna/Sailor Pluto (Sylia); Hotaru/Sailor Saturn
(Ottavia).
La leggenda
parte II
di
Soffio d'argento
Kanagawa
Era già trascorsa una settimana dal giorno in
cui Mitsui aveva invitato Kogure a cena. Quella sera era stata molto
piacevole, dopo tanto tempo aveva ritrovato il gusto della compagnia. Lui e
il megane avevano chiacchierato e scherzato come non facevano da molto. Beh
in verità la maggior parte della conversazione era stata tirata su da
Kiminobu, ma non perché Hisashi non si trovasse bene con lui, ma proprio per
l’esatto contrario. Era così felice di poter di nuovo stare solo con lui,
che non voleva perdersi nulla delle sue parole. La sua risata era
cristallina e aveva il potere di contagiare l’ascoltatore.
Alla fine della sera, però, nonostante tutti i
suoi propositi, non aveva avuto il coraggio di confessare al Megane cosa in
realtà provasse per lui. L’aveva accompagnato fino a casa, nonostante le
leggere proteste di quest’ultimo. Giunti davanti al cancello della sua
abitazione, aveva dovuto fare uno sforzo enorme per stringergli solo la mano
e non baciarlo.
L’aveva seguito con lo sguardo per tutto il
piccolo vialetto e l’aveva visto sparire dietro la porta, regalandogli un
bellissimo sorriso.
Mitsui era tornato a casa subito dopo, e aveva
dato un calcio a tutte le lattine che aveva trovato lungo il cammino.
“Tutto sommato non è andata male. In fondo ho
l’intero viaggio a Tokyo per parlargli”
Da quella settimana Kiminobu aveva iniziato a
venire a vedere gli allenamenti ogni pomeriggio. Veniva dopo l’università
con ancora la borsa dei libri, si toglieva la giacca e parlava un po’ con
Anzai e un po’ con Ayako e sorrideva. Che meraviglioso sorriso, pensava
Hisashi e i pomeriggi sembravano così brevi e gli allenamenti leggeri, da
riuscire a caricarlo.
Quel pomeriggio però sembrava non finire più.
Kiminobu era in ritardo. Certo era anche vero che non aveva mai promesso di
vedere gli allenamenti ogni pomeriggio. Probabilmente era stato frenato da
un impegno improvviso, un compito più difficile…. Era pur sempre
all’università, aveva più impegni e responsabilità. Era una persona matura.
E questo riportava il problema al punto iniziale. Kiminobu era, senza ombra
di dubbio, il classico bravo ragazzo sempre bravo a scuola, razionale, che
non provocava liti… insomma il classico fratello maggiore o mamma chioccia,
come veniva chiamato all’interno della squadra. Era sempre gentile con tutti
e si preoccupava per chiunque. Insomma… il problema stava proprio qui: che
poteva vederci un ragazzo simile in lui? Lui che non evitava le risse e anzi
a volte le aveva pure provocate; lui che aveva un passato da nascondere; lui
che di certo non eccelleva a scuola, lo dimostrava il fatto che era stato
persino bocciato l’anno precedente. Kiminobu poteva aspirare a qualcuno di
meglio e soprattutto a qualcuno che non fosse un ragazzo.
Quel giorno Mitsui, il mago dei tre punti
dello Shohoku, giocava proprio male. Era molto nervoso e guardava la porta
chiusa almeno una volta ogni minuto. Nessuno riusciva a spiegarsi il suo
comportamento, nessuno esclusi due elementi della squadra, molto svegli:
Kaede e Ayako.
“C%$£o Mitsui! Vuoi riprenderti! Non vuoi mica
che le matricole pensino di te che sei una schiappa o che, ancora peggio,
qualcuno si accorga del motivo che ti spinge a comportarti così?!” queste
parole le rivolgeva Mitsui alla sua coscienza, ma il suo stile quel giorno
sembrava aver preso una curva discendente senza fine.
Improvvisamente la porta della palestra si
aprì e ci mancò poco che Mitsui lasciasse cadere la palla ed andasse a
stritolare Kiminobu per aver tardato. L’allenatore Anzai approfittò
dell’arrivo del senpai per ordinare una pausa. I ragazzi si sedettero a
terra, mentre Ryota e Ayako raggiunsero subito Kogure.
<< Come mai tutto questo ritardo, senpai?
Ormai ci siamo abituati alla tua presenza giornaliera e quando non vieni
qualcuno gioca molto male. >>
Per poco Mitsui non si strozzò con l’acqua e
meditò seriamente di far fuori la manager che, incurante degli sguardi
minacciosi di Hisashi e attoniti di Ryota, continuava a fare domande su
domande al senpai.
<< Beh hai ragione Ayako. Il fatto è che oggi
avevo pure finito prima, ma ho avuto… ehm… diciamo un contrattempo. >>
Hisashi non capiva perché il senpai si
passasse la mano fra i capelli nervosamente.
<< Allora è questo che sono per te, Kimi-chan?
Una seccatura? >> disse una voce allegra e scarlatta provenire da dietro la
porta.
Una mano chiara, quasi diafana, aprì
delicatamente la porta di legno e fece il suo ingresso. Salutò i giocatori
dello Shohoku, un tempo suoi rivali, con un inchino e si portò accanto a
Kiminobu.
<< Ma dai Kenji stavo scherzando. >>
Che diavolo ci faceva Kogure con Fujima?
Questo era il pensiero che passava nella mente di tutti.
Da quel momento Hisashi giocò peggio di prima.
Sbagliava i passaggi, non centrava neppure i “tiri dei poveri”, come li
chiamava Sakuragi e litigò con alcuni kohai un paio di volte. Il tutto sotto
lo sguardo vigile e meravigliato di Kiminobu, che non riusciva a capire
assolutamente perché Hisashi quel giorno fosse così nervoso e arrabbiato.
Infatti ogni sua mossa gli richiamava il sentimento della rabbia. E pensare
che era venuto di corsa giusto per vederlo giocare…
Ma quel giorno Hisashi non era l’unico
giocatore ad essere perso nel suo mondo. Hanamichi, infatti, sembrava
lontano mille miglia, come fosse sulla Luna. A dirla tutta era da un po’ che
il chiassoso e pieno di vita Hanamichi, si era trasformato in un ragazzo
serio e riflessivo. La banda non sapeva più che pensare e aveva provato più
volte a trascinarlo nelle solite scorribande, ma senza successo. Yohei
sembrava il più preoccupato, nonostante non lo desse a vedere. Non si
perdeva neanche un allenamento e restava lì, vigile, scrutando ogni
espressione del suo amico. Ma non era il solo a preoccuparsi. Dall’ombra la
volpe seguiva ogni sua mossa. Non capiva proprio cosa potesse essergli
successo. Si dedicava agli allenamenti senza eccedere nelle solite
proclamazioni a genio, durante gli esercizi era sempre assorto nei suoi
pensieri e alla fine fuggiva con velocità così sorprendente che Kaede spesso
non riusciva neppure ad incrociarlo negli spogliatoi. E poi, cosa ancora più
strana, non cedeva alle provocazioni. Sembrava assente persino quando Kaede
lo chiamava do’hao o stupida schiappa.
Quella sera Kaede non si fece ingannare e
aspettò il compagno di squadra vicino al cancello, naturalmente dietro un
albero, in modo che nessuno lo potesse vedere. Come immaginato, Hanamichi
uscì subito dopo, seguito dall’inseparabile Yohei. Si appiattì contro la
superficie dell’albero e acuì i sensi. Riuscì, però, solo a carpire parte
della conversazione.
<< La banda inizia a preoccuparsi. Mi hanno
chiesto di parlarti. >> questo era Yohei, pensò Kaede.
<< Non è nulla, Yo-chan. >>
<< Ehi Hana mi prendi per deficiente? C’è
qualcosa che non va in te e se ne sono accorti tutti. >>
<< Lascia stare Yohei, non capiresti, perché
non capisco neppure io. >>
<< Questa non è una novità! >> cercò di
riderci sopra Yohei.
<< Già… però… è come se…. Provo una gran
tristezza mista a malinconia e non so spiegarmela. So solo che la notte non
dormo e quando lo faccio sogno… >>
Ma in quel momento, il rombante rumore di un
motorino, non permise all’ex-matricola d’oro dello Shohoku di capire cosa si
stessero dicendo.
In previsione del pedinamento, Kaede quel
giorno era venuto a scuola senza bicicletta. Si mise all’inseguimento dei
due ragazzi restando ad un centinaio di metri dietro di loro. Purtroppo non
poteva avvicinarsi di più, poiché avrebbe rischiato di farsi vedere, ma la
voglia di sentire cosa si stessero dicendo era così tanta che spesso
rischiava di fargli desiderare di essere trasparente, per potersi avvicinare
senza essere visto.
Yohei e Hana si diressero immediatamente a
casa di quest’ultimo. Yohei rimase una decina di minuti, mentre Kaede rimase
fuori, nascosto in un angolo buio aspettando le prossime mosse. Poco dopo
Yohei uscì da casa, salutato dal rossino. Kaede rimase ancora fermo in
quell’angolo buio. Alla fine prese il coraggio ed andò a suonare il
campanello di casa Sakuragi.
Venne ad aprirgli una bella donna dai capelli
rosso fuoco. Aveva un aspetto gioviale e giovanile.
<< Sei un amico di mio figlio? >> chiese la
donna avvicinandosi.
<< Mamma! Dove hai messo la mia camicia nera?
>> arrivò, da dentro la casa, la voce squillante di Hanamichi alle prese con
i vestiti.
<< Dai entra! Mio figlio sarà contento di
ricevere visite. >>
La casa era molto grande e accogliente. Al
contrario della sua si notava subito il calore di una mano femminile. Vi
erano candele profumate agli angoli della casa e cuscini colorati sul divano
bianco. La madre gli fece segno di aspettare il figlio lì, mentre lei lo
andava a chiamare. Kaede diede un’occhiata al grande salotto. Aveva pareti
bianche e una porta a vetro incorniciata da candide tende di cotone. C’era
una bella foto di una famiglia felice appesa al muro, sopra il caminetto.
Non avrebbe mai pensato che potesse essere così ricco. Kaede aveva sempre
considerato il rossino uno spiantano, non che questo potesse influenzare
l’idea che si era fatta di lui, ma contribuiva a dargli un’immagine di
mistero. In fondo chi poteva vantare, nella squadra di basket, di sapere
qualcosa del passato del rosso?
<< Volpe? Che ci fai qui? >> chiese un
meravigliato Hanamichi.
Kaede indugiò a lungo sull’abbigliamento del
rossino. Indossava dei jean scuri molto aderenti e una camicia nera adagiata
sulle spalle, senza essere abbottonata. I capelli erano scarmigliati e
ricadevano sulla fronte in piccole ciocche. Il tutto accompagnato dalla
visione completa di Hanamichi a piedi scalzi. Kaede deglutì più volte e
dovette fare uno sforzo per ricordare il motivo che lo aveva spinto a
seguire il rosso e il suo migliore amico.
<< Sono venuto per parlare. >>
<< Tu? Ma non farmi ridere. E di cosa? >>
<< Di te e del tuo strano comportamento. >>
Hanamichi gli fece segno di sedersi sulla
poltrona di fronte alla sua e rimasero in silenzio, Hanamichi aspettando che
fosse Rukawa a fare il primo passo e Kaede aspettando che Sakuragi si
decidesse a parlare.
<< Allora? Perché ve ne state in silenzio? Vi
ho portato del the con i biscotti. Spero che ti piaccia… scusa ma non so
ancora il tuo nome. >> chiese la madre del rosso appoggiando sul tavolino il
vassoio di porcellana.
<< Kaede Rukawa. >>
A sentire quel nome la madre di Hanamichi
scoppiò a ridere, tanto che dovette sedersi sul divano per non rischiare di
cadere a terra. Hanamichi era alquanto imbarazzato e cercava di far
riprendere la madre, dandole di nascosto qualche pizzicotto sul braccio.
Kaede, invece, osservava la scena incapace di capire cosa stesse accadendo.
Per fortuna la madre di Hanamichi si riprese in fretta e cercò di spiegare a
Kaede cosa l’avesse spinta a ridere.
<< E così tu sei l’algida kitsune! Mio figlio
non fa che parlare di te, sul serio! >>
<< Mamma! Non hai altro da fare? >>
Il telefono squillò in quel momento e la madre
si alzò per andare a rispondere. Hanamichi versò il liquido ambrato nelle
tazze di fine porcellana e sperò che la volpe possedesse abbastanza buon
cuore da non chiedere spiegazioni sufficienti.
<< E così tu non fai che parlare di me… >>
disse Kaede sorseggiando il the.
Hanamichi tossì imbarazzato e cercò di
cambiare discorso.
<< Dobbiamo parlare di quello che ti sta
succedendo, Hanamichi. >>
Tokyo stesso giorno.
<< Allora? Avete visto Usagi? >>
Le Inner Senshi cercavano ormai Usagi da molto
tempo. Quel pomeriggio era uscita da scuola prima dell’inizio delle lezioni
pomeridiane e nessuno sembrava averla più vista. Non potendo telefonare alla
madre di Usagi, per non rischiare che si preoccupasse inutilmente, Rei aveva
telefonato a Mamoru, a casa per prepararsi ad un esame, ma neppure lui
sembrava sapere qualcosa. Luna e Artemis, incaricati di sorvegliarla,
l’avevano inspiegabilmente persa di vista.
Dalla settimana precedente, molte cose erano
cambiate. Usagi era diventata più scostante e nervosa. Evitava di
incontrarle ed era accaduto alcune volte che si era rivolta, persino a
Mamoru, con modi molto sgarbati. Nascondeva qualcosa, di questo ne erano
sempre più certi e questo era stato confermato dal suo arrivo. Era
stato strano e scioccante rivederla con la sua forma originale. I suoi occhi
neri le avevano scrutate, fissandosi in profondità, lasciando una sensazione
di nostalgia.
Eppure non si erano meravigliate. Lei aveva
sempre avuto quell’effetto su di loro. Sembrava portare dentro di se il
sapore amaro dei giorni lontani, quando ancora vivevano nella loro patria
sulla Luna.
Sailor Saturn era questo e molto di più. Era
la guerriera che portava la morte. Era la distruzione. Si era presentata con
il suo aspetto originario, quello di Hotaru Tomoe prima che si risvegliasse
come Mistress 9.
Tokyo. Una settimana prima…
<< Mostrati a tutti. >> disse Minako alzandosi
ed avvicinandosi alla figura nascosta nell’ombra.
La persona misteriosa uscì dalle tenebre che
l’avvolgevano come una seconda pelle e le Inner Senshi vennero percorse da
un brivido gelato.
<< Era da tanto che non ci si vedeva, care
Inner Senshi. >>
<< Sailor Saturn? Cosa ci fai qui? >>
La guerriera più pericolosa delle Senshi, si
presentò al loro cospetto con le sembianze di quella che, un tempo molto
lontano, era stata Hotaru Tomoe. Indossava un lungo vestito nero che le
copriva ogni centimetro di pelle, come quando, nell’immenso laboratorio di
ricerche fondato dal dottor Tomoe, nascondeva le cicatrici degli esperimenti
del padre. Aveva i capelli un po’ più lunghi. Sembrava una normale ragazzina
di quattordici anni, se non fosse stato per i suoi occhi. Due buchi neri
capaci di risucchiare il tutto. A guardarla in profondità ci si poteva
perdere, risucchiati da un vortice nero senza limiti. La pelle, del viso e
delle mani, era così bianca da farla sembrare un’ombra evanescente, un
fantasma venuto dal passato, ma il suo sorriso ammaliante sembrava quello
delle sirene incontrate dagli argonauti.
<< Cosa sei venuta a fare qui, Saturn? >>
Saturn fece un giro attorno al tavolo e si
avvicinò alla finestra che dava sulla strada principale.
<< E’ possibile che non abbiate ancora capito?
Non sentite che il mare è di nuovo in tempesta? >> poi si volse verso le
altre Senshi: << Lui si sta svegliando. Non ci sono speranze di salvezza. Il
suo cuore di tenebra non può essere distrutto. Tutto è finito. >>
<< Che diavolo significa? >> chiese Ami.
<< State lontane. Non giocate a fare le
eroine. Non potete farcela contro di lui. Se combatterete morirete. Pensate
solo a salvare la futura Regina Serenity, la
speranza del mondo. Se lei dovesse morire…il futuro cesserebbe di esistere.
>>
Una nube avvolse la guerriera della morte come
un pesante sudario. Minako si lanciò verso di lei, ma Saturn scomparve,
lasciando il vuoto dietro di sé.
<< Tipico delle Other Senshi. Devono sempre
fare le uscite di scena con gli effetti speciali. Non so cosa stia
accadendo, ma so che stavolta non ne usciremo. Cosa pensate di fare? Io la
mia decisione l’ho già presa, ma non posso decidere pure per voi. >> disse
Minako qualche minuto dopo.
<< Noi siamo come sorelle. Neppure la morte ci
potrà dividere. >> risposero le altre ragazze.
Da quel giorno avevano intensificato i
controlli su Usagi. Luna e Artemis vegliavano sui suoi sogni agitati, le
ragazze la sorvegliavano a scuola, mentre Mamoru l’andava a prendere alla
fine delle lezioni per riaccompagnarla a casa. Questo era durato solo tre
giorni. Il quarto giorno Usagi aveva stupito tutti uscendo prima del tempo e
così aveva fatto per i giorni a venire. A scuola il suo carattere era
diventato freddo e scostante e alle domande pressanti delle ragazze, aveva
cominciato a rispondere prima a monosillabi e poi gridando che era capace di
badare a se stessa.
Cosa stava accadendo all’allegra ragazzina che
tutti era riuscita sempre a conquistare con la dolcezza dei suoi gesti e la
leggerezza delle sue parole?
Quel giorno Mamoru andò a prendere Usagi a
scuola, ma Minako lo informò dell’uscita solitaria della compagna.
<< Che diavolo sta succedendo? >> domandò
preoccupato il ragazzo.
<< Non lo so, ma… >>
<< Ma? Parla Minako. >>
<< E se Usagi volesse affrontare tutto da
sola? Fino ad ora siamo stati tutti noi la sua forza, l’amore e i suoi
affetti, ma Usagi ha un cuore grande e… se davanti ad un pericolo immenso
avesse deciso di combattere da sola, senza farci rischiare la vita? Pensaci:
i tasselli tornerebbero al loro posto. >>
<< Quella sconsiderata di Usagi. E che
facciamo adesso? >>
I ragazzi si divisero in 4 gruppi: Minako e
Makoto provarono a cercarla al parco e nei luoghi che solitamente
frequentava; Rei tornò al tempio per interrogare il fuoco sacro; Ami e
Mamoru andarono a cercare le Other Senshi e Sailor Saturn in particolare,
mentre Luna e Artemis rimasero al quartier generale sotto il “Crown Game
Center”.
La macchina sfrecciò veloce in mezzo al
traffico crepuscolare. La città sembrava invasa da uno strano fermento. Il
tramonto rosso sangue scendeva lento, avvolgendo con i suoi raggi sanguigni
la città agitata. Mamoru spinse l’acceleratore e imboccò la strada per il
mare. Le Other Senshi, gli aveva detto una volta Usagi, avevano una casa al
mare, vicino al vecchio faro, poco distante dal centro di ricerca dove
lavorava Setsuna. Prima di dividersi in piccoli gruppi, Rei aveva telefonato
a casa di Usagi, ma la madre gli aveva detto che Usagi sarebbe stata fuori
per un po’ di giorni e che a prenderla era stata “una bella ragazza dai
capelli neri come la notte e due occhi profondi come le stelle”. Era strano,
disse ridacchiando, ma quella ragazza le aveva messo i brividi, ma Usagi
aveva detto di non preoccuparsi, che sarebbe andato tutto bene.
Per fortuna le strade erano deserte, quindi
Mamoru e Ami arrivarono lì prima del previsto. Scesero dalla macchina e
fecero per suonare il campanello, quando qualcosa, il sentore di un pericolo
molto vicino, li fermò. Si voltarono e scrutarono le ombre che scendevano
accompagnate dalla notte. Non c’era nessuno, ma una spiacevole sensazione di
pericolo li attanagliava. Inconsciamente Ami si appoggiò alla porta e perse
l’equilibrio, cadendo all’interno. La porta d’ingresso era rimasta aperta.
Guardò per un attimo Mamoru e insieme si precipitarono all’interno della
casa. Quello che videro li bloccò all’istante. Setsuna, Haruka e Michiru
erano incoscienti e avvolte da una sottile trama nera. Lievitavano a
mezz’aria. Attorno a loro una deformazione spazio temporale le avvolgeva.
<< E’ una nebulosa. Che sta succedendo? >>
<< Una nebulosa? Chi credi che sia stato? >>
Mamoru non riusciva a darsi una spiegazione logica.
<< Mercury cristal power make up! >>
Sailor Mercuri usò i ricettori all’interno
degli orecchini per mettersi in contatto con Luna e Artemis.
<< Luna. Artemis. Mi sentite? >>
<< Ti sentiamo Ami. E’ successo qualcosa? >>
<< Attivate la ricezione visuale. Siamo a casa
di Haruka, ma… >>
Artemis attivò il computer centrale, quello
ancora in contatto con il computer sulla Luna. Quando l’immagine si fece più
nitida, la gravità della situazione fu palese a tutti. Sailor Mercury non
sapeva cosa fare, un passo falso e le sue amiche sarebbero state risucchiate
dal vortice.
<< Abbi un po’ di pazienza, Ami. Interroghiamo
subito il computer centrale. Vediamo cosa si può fare. Dove sono Hotaru e
Usagi? >> domandò Luna.
<< Non lo so. Qui non c’è nessuno oltre a noi.
>>
Il vortice spazio temporale alle spalle delle
Other Senshi, si dilatò, assorbendo parte del soffitto e le porte a vetro
che davano sul giardino. Ami provò ad avvicinarsi alle Other, ma un campo
magnetico la respinse con forza contro la parete di fronte. Per fortuna
Mamoru la prese al volo, impedendole di sbattere contro la parete.
<< Ci siamo Ami! >>
<< Dimmi Artemis. Cosa possiamo fare? >>
<< Ami questa è una situazione difficile, ma
ci sei solo tu lì e solo tu le puoi salvare. >>
<< Dimmi cosa fare e io lo farò, Luna. >>
Sailor Mercury ascoltò attentamente le
istruzioni di Luna e Artemis. I due gatti le dissero che l’unico modo per
impedire che il vortice risucchiasse le ragazze, poteva essere solo uno:
espandere il potere Sailor fino ai limiti estremi della galassia, ma per
fare questo avrebbe portato al limite anche le sue energie. Sailor Mercury
non rimase a pensarci su. Stare senza fare nulla avrebbe messo in pericolo
la vita di tutti gli abitanti del mondo.
Chiese a Mamoru di allontanarsi. Si avvicinò
alle altre guerriere sailor e chiuse gli occhi, raccogliendo tutto il suo
potere attorno a sé. Le maglie nere della deformazione, le avvinghiarono le
caviglie e salirono lungo il suo corpo, cercando di imprigionarla. L’aura di
Sailor Mercury si allargò fino ad includere i confini dello spazio.
<< Mercury cosmic explosion! >> ed esplose
all’improvviso, inghiottendo e annientando il vortice spazio dimensionale.
Le tre ragazze caddero sul tappeto con un
rumore sordo. Sailor Mercury, ormai al limite estremo delle sue forze, si
accasciò sul pavimento, sorridendo compiaciuta. Mamoru le fu subito a
fianco, cercando di apportare i primi soccorsi. Richiamò il suo potere di
pranoterapia e diede, lentamente, energia al corpo stanco e martoriato della
guerriera. Molte vene e capillari, nell’esplosione del potere cosmico di
Sailor Mercury, erano scoppiate, provando piccole emorragie interne.
<< Come sta? >> domandò con voce roca Setsuna,
ancora accasciata sul pavimento, mentre con una mano si massaggiava le
tempie.
Haruko si alzò da terra e si avvicinò a Sailor
Mercury.
<< Tieni la mia energia, coraggiosa guerriera.
>>
<< Anche la mia! >> l’accompagnò Michiru.
<< E la mia. >> le fece eco Setsuna.
Le aure delle tre Other Senshi si unirono in
quella della Inner e in breve Ami, tornata ad essere una studentessa delle
superiori, riprese forza.
<< Voi ci dovete delle spiegazioni. >> disse
per lei Mamoru.
<< Allora aspettiamo pure le altre. Fra poco
saranno qui. >>
Utilizzando il potere sailor del teletrasporto,
le altre ragazze raggiunsero in breve le compagne, nella villa che Haruko,
Michiru e Setsuna avevano comprato per la piccola Hotaru.
<< Vogliamo solo la verità. >> asserì Rei.
<< Prima diteci dov’è Usagi. >> pretese Mamoru.
<< E’ con Hotaru, non preoccupatevi. Finché
sarà con lei, sarà al sicuro. >>
Mamoru sentiva dentro di sé un misto di rabbia
e frustrazione. Ancora una volta non era riuscito ad essere d’aiuto alla
donna che amava da sempre. Avrebbe voluto proteggerla, ma lei non glielo
aveva permesso. E poi cosa avrebbe potuto fare? Il suo potere, il Tuxedo
Smoking Bomber, era poco più di un effetto speciale da cinema, se paragonato
ai poteri delle guerriere Sailor.
“Maestà. Imparerete a conoscere e usare in
profondità il vostro potere, il potere derivato dal cristallo d’oro. Voi
siete il futuro Re del mondo. Potrete proteggere la vostra Regina come il
vostro cuore vi sussurra.”.
Era questo che gli ripeteva il generale della
Kunzite nei loro incontri onirici. Però…. Quanto tempo ancora avrebbe dovuto
aspettare? Fino ad allora sarebbe stato solo un peso per Usagi.
<< Ora vi racconteremo tutto dall’inizio…. >>
Setsuna fece una breve pausa per recuperare le idee, Mamoru si sistemò
accanto a Rei e ascoltò: << Tutto ebbe inizio… >>
In un luogo non precisato…
<< Sei sicura Usagi? Vuoi proprio farlo? A
quest’ora Haruka e le altre staranno parlando con Mamoru e le Inner Senshi.
Adesso sarà tutto più semplice. >>
Il paesaggio montano che si estendeva davanti
alla grande baita immersa nel verde, era ciò che di più bello si potesse
vedere in natura. La notte aveva ammantato di blu gli alti alberi che
circondavano la baita. Il fuoco nel camino scoppiettava al ritmo silenzioso
della notte. Ai suoi piedi, Hotaru, non più bambina, teneva in mano un
vecchio libro dalla copertina corrosa dal tempo. Usagi stava seduta sul gran
divano bianco, di fronte al balcone e osservava le stelle.
<< E’ la cosa migliore. Per tutti. >>
Hotaru richiuse il libro e si sedette al suo
fianco. Le passò una mano fra i lunghi capelli biondi. Usagi sentì un
pressante bisogno di piangere farsi largo fra la sua coscienza, ma non
cedette. Non era il momento di piangere. Presto, molto presto, Lui si
sarebbe svegliato e allora…
Kanagawa, stesso giorno, stessa ora.
Kaede Rukawa, brillante giocatore dello
Shohoku, tornava a casa dopo una stressante conversazione con il rossino.
Durante quell’ora trascorsa a casa di Hanamichi, aveva cercato in tutti i
modi di capire cosa lo preoccupasse, ma la scimmia rossa aveva eluso con
capacità innata ogni sua domanda. Alla fine, stava ritornando a casa più
confuso di prima.
Per accorciare il tragitto, imboccò una
stradina buia che costeggiava il parco. La luna era oscurata e le lampadine
dei lampioni stradali erano state distrutte. Poco male. In tutta Kanagawa
non c’era nessuno, forse escludendo Sakuragi, che potesse metterlo in
pericolo. Nessuno era mai uscito illeso in una rissa contro di lui. Eppure
avvertiva una piccola sensazione di paura. Come se qualcuno, nascosto nelle
tenebre, lo stesse osservando.
<< Chi c’è? >> domandò più a se stesso.
<< Non puoi farci nulla. Lui è il
predestinato. Lascialo andare. >>
<< Chi diavolo sei? >>
In quel momento, una macchina passò lungo
strada vicina e la luce dei suoi fari illuminò brevemente la figura immersa
nelle tenebre. Era ammantata e le mani, ma forse era solo un effetto della
poca visibilità, erano bianche come la morte. Quella figura rimase immobile,
ma la sua voce risuonò nella mente e nel cuore di Kaede.
“…un
ragazzo nato tra cielo e terra nelle cui mani vi è il destino del mondo… ”
E detto questo scomparve, inghiottita dalla
notte. Kaede uscì in fretta da quella stradina buia e in quel momento le
luci dei lampioni brillarono. Si voltò di scatto ma non vide più nessuno.
Era stato uno scherzo? Cosa volevano dire quelle parole? E soprattutto chi
era quella donna e cosa voleva da Hanamichi? Perché lui n’era certo: quella
donna voleva il suo do’hao.
FINE SECONDA PARTE
Autrice: mah! Anche questo capitolo è andato!
Mamoru: sì, ma dov’è Usagi?
Autrice: nooooooooooo! Almeno tu, Mamo-chan,
non mi stressare con la storia “ridammi il mio amore!”.
Mamoru: non chiamarmi Mamo-chan! Può farlo
solo Usa!
Ru: a proposito… perché non succede nulla fra
me e Hana-kun?
Autrice: come volevasi dimostrare!
Ru: è________é Ridammi il mio koibito!
Autrice: a parte il fatto che è tuo solo se lo
decido io… poi io non prendo ordini da nessuno!
Sen: ma autrice! Io e Hiro non ci siamo!
Autrice: ^^;;; Ehm… hai ragione Akira, ma
vedi, la coppia MitsuixKogure sta prendendo più spazio del previsto. E poi
tu sei sempre nelle mie storie. Per una volta spazio agli altri! ^______^
Sen: ç__________ç T_________T
Autrice: vabbeh! Ho capito! Vedo quello che
posso fare! Ma non ti garantisco nulla. Ho troppi personaggi da gestire e
poco tempo per farlo!
Sen: vuol dire che altrimenti scrivi una ff
solo fra me e il mio dolcissimo Hiro-kun!
Autrice: O_________O Lo sapevo che non
dovevo cedere!
Sen: ^____^
Ru: è___é
Mamoru: ?______?
Autrice: bastaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa!
I declaimers li conoscete, quindi per ora vi
posso salutare e vi rimando al prossimo capitolo, sperando che vi sia
piaciuto! Il “Mercury cosmic explosion” l’ho inventato io! Perciò è solo
mio!!!!! Bacioniiiiiiiiiiiii!
Alla prox!
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