DISCLAMERS: i personaggi non sono miei, ma dei mitici Inoue e Takeuchi. Io mi diverto solo a torturarli per mio diletto personale!      ^__^

NOTE: nel primo capitolo vi erano parecchi salti temporali. In questa seconda parte la storia dovrebbe seguire un andamento più lineare.

I personaggi di Sailor Moon sono presi direttamente dal manga, quindi i nomi e i caratteri discordano sensibilmente dall’anime. Per rendere più chiara la lettura, vi prego di leggere prima questo schema che ricapitola i nomi delle guerriere, nel seguente ordine: gruppo - nome originale- nome guerriera- nome italiano.

Inner Senshi (guerriere del sistema solare interno in Italia): Usagi/Sailor Moon (Bunny); Ami/Sailor Mercury (Emi); Rei/Sailor Mars (Rea); Makoto/Sailor Jupiter (Morea); Minako/Sailor Venus (Marta).

Other Senshi (guerriere del sistema solare esterno in Italia): Haruka/Sailor Uranus (Heles); Michiru/Sailor Neptune (Milena); Setsuna/Sailor Pluto (Sylia); Hotaru/Sailor Saturn (Ottavia).

 

 


La leggenda

parte II

di Soffio d'argento



 

Kanagawa

 

Era già trascorsa una settimana dal giorno in cui Mitsui aveva invitato Kogure a cena. Quella sera era stata molto piacevole, dopo tanto tempo aveva ritrovato il gusto della compagnia. Lui e il megane avevano chiacchierato e scherzato come non facevano da molto. Beh in verità la maggior parte della conversazione era stata tirata su da Kiminobu, ma non perché Hisashi non si trovasse bene con lui, ma proprio per l’esatto contrario. Era così felice di poter di nuovo stare solo con lui, che non voleva perdersi nulla delle sue parole. La sua risata era cristallina e aveva il potere di contagiare l’ascoltatore.

Alla fine della sera, però, nonostante tutti i suoi propositi, non aveva avuto il coraggio di confessare al Megane cosa in realtà provasse per lui. L’aveva accompagnato fino a casa, nonostante le leggere proteste di quest’ultimo. Giunti davanti al cancello della sua abitazione, aveva dovuto fare uno sforzo enorme per stringergli solo la mano e non baciarlo.

L’aveva seguito con lo sguardo per tutto il piccolo vialetto e l’aveva visto sparire dietro la porta, regalandogli un bellissimo sorriso.

Mitsui era tornato a casa subito dopo, e aveva dato un calcio a tutte le lattine che aveva trovato lungo il cammino.

“Tutto sommato non è andata male. In fondo ho l’intero viaggio a Tokyo per parlargli”

Da quella settimana Kiminobu aveva iniziato a venire a vedere gli allenamenti ogni pomeriggio. Veniva dopo l’università con ancora la borsa dei libri, si toglieva la giacca e parlava un po’ con Anzai e un po’ con Ayako e sorrideva. Che meraviglioso sorriso, pensava Hisashi e i pomeriggi sembravano così brevi e gli allenamenti leggeri, da riuscire a caricarlo.

Quel pomeriggio però sembrava non finire più. Kiminobu era in ritardo. Certo era anche vero che non aveva mai promesso di vedere gli allenamenti ogni pomeriggio. Probabilmente era stato frenato da un impegno improvviso, un compito più difficile…. Era pur sempre all’università, aveva più impegni e responsabilità. Era una persona matura. E questo riportava il problema al punto iniziale. Kiminobu era, senza ombra di dubbio, il classico bravo ragazzo sempre bravo a scuola, razionale, che non provocava liti… insomma il classico fratello maggiore o mamma chioccia, come veniva chiamato all’interno della squadra. Era sempre gentile con tutti e si preoccupava per chiunque. Insomma… il problema stava proprio qui: che poteva vederci un ragazzo simile in lui? Lui che non evitava le risse e anzi a volte le aveva pure provocate; lui che aveva un passato da nascondere; lui che di certo non eccelleva a scuola, lo dimostrava il fatto che era stato persino bocciato l’anno precedente. Kiminobu poteva aspirare a qualcuno di meglio e soprattutto a qualcuno che non fosse un ragazzo.

Quel giorno Mitsui, il mago dei tre punti dello Shohoku, giocava proprio male. Era molto nervoso e guardava la porta chiusa almeno una volta ogni minuto. Nessuno riusciva a spiegarsi il suo comportamento, nessuno esclusi due elementi della squadra, molto svegli: Kaede e Ayako.

“C%$£o Mitsui! Vuoi riprenderti! Non vuoi mica che le matricole pensino di te che sei una schiappa o che, ancora peggio, qualcuno si accorga del motivo che ti spinge a comportarti così?!” queste parole le rivolgeva Mitsui alla sua coscienza, ma il suo stile quel giorno sembrava aver preso una curva discendente senza fine.

Improvvisamente la porta della palestra si aprì e ci mancò poco che Mitsui lasciasse cadere la palla ed andasse a stritolare Kiminobu per aver tardato. L’allenatore Anzai approfittò dell’arrivo del senpai per ordinare una pausa. I ragazzi si sedettero a terra, mentre Ryota e Ayako raggiunsero subito Kogure.

<< Come mai tutto questo ritardo, senpai? Ormai ci siamo abituati alla tua presenza giornaliera e quando non vieni qualcuno gioca molto male. >>

Per poco Mitsui non si strozzò con l’acqua e meditò seriamente di far fuori la manager che, incurante degli sguardi minacciosi di Hisashi e attoniti di Ryota, continuava a fare domande su domande al senpai.

<< Beh hai ragione Ayako. Il fatto è che oggi avevo pure finito prima, ma ho avuto… ehm… diciamo un contrattempo. >>

Hisashi non capiva perché il senpai si passasse la mano fra i capelli nervosamente.

<< Allora è questo che sono per te, Kimi-chan? Una seccatura? >> disse una voce allegra e scarlatta provenire da dietro la porta.

Una mano chiara, quasi diafana, aprì delicatamente la porta di legno e fece il suo ingresso. Salutò i giocatori dello Shohoku, un tempo suoi rivali, con un inchino e si portò accanto a Kiminobu.

<< Ma dai Kenji stavo scherzando. >>

Che diavolo ci faceva Kogure con Fujima? Questo era il pensiero che passava nella mente di tutti.

 

Da quel momento Hisashi giocò peggio di prima. Sbagliava i passaggi, non centrava neppure i “tiri dei poveri”, come li chiamava Sakuragi e litigò con alcuni kohai un paio di volte. Il tutto sotto lo sguardo vigile e meravigliato di Kiminobu, che non riusciva a capire assolutamente perché Hisashi quel giorno fosse così nervoso e arrabbiato. Infatti ogni sua mossa gli richiamava il sentimento della rabbia. E pensare che era venuto di corsa giusto per vederlo giocare…

 

Ma quel giorno Hisashi non era l’unico giocatore ad essere perso nel suo mondo. Hanamichi, infatti, sembrava lontano mille miglia, come fosse sulla Luna. A dirla tutta era da un po’ che il chiassoso e pieno di vita Hanamichi, si era trasformato in un ragazzo serio e riflessivo. La banda non sapeva più che pensare e aveva provato più volte a trascinarlo nelle solite scorribande, ma senza successo. Yohei sembrava il più preoccupato, nonostante non lo desse a vedere. Non si perdeva neanche un allenamento e restava lì, vigile, scrutando ogni espressione del suo amico. Ma non era il solo a preoccuparsi. Dall’ombra la volpe seguiva ogni sua mossa. Non capiva proprio cosa potesse essergli successo. Si dedicava agli allenamenti senza eccedere nelle solite proclamazioni a genio, durante gli esercizi era sempre assorto nei suoi pensieri e alla fine fuggiva con velocità così sorprendente che Kaede spesso non riusciva neppure ad incrociarlo negli spogliatoi. E poi, cosa ancora più strana, non cedeva alle provocazioni. Sembrava assente persino quando Kaede lo chiamava do’hao o stupida schiappa.

Quella sera Kaede non si fece ingannare e aspettò il compagno di squadra vicino al cancello, naturalmente dietro un albero, in modo che nessuno lo potesse vedere. Come immaginato, Hanamichi uscì subito dopo, seguito dall’inseparabile Yohei. Si appiattì contro la superficie dell’albero e acuì i sensi. Riuscì, però, solo a carpire parte della conversazione.

<< La banda inizia a preoccuparsi. Mi hanno chiesto di parlarti. >> questo era Yohei, pensò Kaede.

<< Non è nulla, Yo-chan. >>

<< Ehi Hana mi prendi per deficiente? C’è qualcosa che non va in te e se ne sono accorti tutti. >>

<< Lascia stare Yohei, non capiresti, perché non capisco neppure io. >>

<< Questa non è una novità! >> cercò di riderci sopra Yohei.

<< Già… però… è come se…. Provo una gran tristezza mista a malinconia e non so spiegarmela. So solo che la notte non dormo e quando lo faccio sogno… >>

Ma in quel momento, il rombante rumore di un motorino, non permise all’ex-matricola d’oro dello Shohoku di capire cosa si stessero dicendo.

In previsione del pedinamento, Kaede quel giorno era venuto a scuola senza bicicletta. Si mise all’inseguimento dei due ragazzi restando ad un centinaio di metri dietro di loro. Purtroppo non poteva avvicinarsi di più, poiché avrebbe rischiato di farsi vedere, ma la voglia di sentire cosa si stessero dicendo era così tanta che spesso rischiava di fargli desiderare di essere trasparente, per potersi avvicinare senza essere visto.

Yohei e Hana si diressero immediatamente a casa di quest’ultimo. Yohei rimase una decina di minuti, mentre Kaede rimase fuori, nascosto in un angolo buio aspettando le prossime mosse. Poco dopo Yohei uscì da casa, salutato dal rossino. Kaede rimase ancora fermo in quell’angolo buio. Alla fine prese il coraggio ed andò a suonare il campanello di casa Sakuragi.

Venne ad aprirgli una bella donna dai capelli rosso fuoco. Aveva un aspetto gioviale e giovanile.

<< Sei un amico di mio figlio? >> chiese la donna avvicinandosi.

<< Mamma! Dove hai messo la mia camicia nera? >> arrivò, da dentro la casa, la voce squillante di Hanamichi alle prese con i vestiti.

<< Dai entra! Mio figlio sarà contento di ricevere visite. >>

La casa era molto grande e accogliente. Al contrario della sua si notava subito il calore di una mano femminile. Vi erano candele profumate agli angoli della casa e cuscini colorati sul divano bianco. La madre gli fece segno di aspettare il figlio lì, mentre lei lo andava a chiamare. Kaede diede un’occhiata al grande salotto. Aveva pareti bianche e una porta a vetro incorniciata da candide tende di cotone. C’era una bella foto di una famiglia felice appesa al muro, sopra il caminetto. Non avrebbe mai pensato che potesse essere così ricco. Kaede aveva sempre considerato il rossino uno spiantano, non che questo potesse influenzare l’idea che si era fatta di lui, ma contribuiva a dargli un’immagine di mistero. In fondo chi poteva vantare, nella squadra di basket, di sapere qualcosa del passato del rosso?

<< Volpe? Che ci fai qui? >> chiese un meravigliato Hanamichi.

Kaede indugiò a lungo sull’abbigliamento del rossino. Indossava dei jean scuri molto aderenti e una camicia nera adagiata sulle spalle, senza essere abbottonata. I capelli erano scarmigliati e ricadevano sulla fronte in piccole ciocche. Il tutto accompagnato dalla visione completa di Hanamichi a piedi scalzi. Kaede deglutì più volte e dovette fare uno sforzo per ricordare il motivo che lo aveva spinto a seguire il rosso e il suo migliore amico.

<< Sono venuto per parlare. >>

<< Tu? Ma non farmi ridere. E di cosa? >>

<< Di te e del tuo strano comportamento. >>

Hanamichi gli fece segno di sedersi sulla poltrona di fronte alla sua e rimasero in silenzio, Hanamichi aspettando che fosse Rukawa a fare il primo passo e Kaede aspettando che Sakuragi si decidesse a parlare.

<< Allora? Perché ve ne state in silenzio? Vi ho portato del the con i biscotti. Spero che ti piaccia… scusa ma non so ancora il tuo nome. >> chiese la madre del rosso appoggiando sul tavolino il vassoio di porcellana.

<< Kaede Rukawa. >>

A sentire quel nome la madre di Hanamichi scoppiò a ridere, tanto che dovette sedersi sul divano per non rischiare di cadere a terra. Hanamichi era alquanto imbarazzato e cercava di far riprendere la madre, dandole di nascosto qualche pizzicotto sul braccio. Kaede, invece, osservava la scena incapace di capire cosa stesse accadendo. Per fortuna la madre di Hanamichi si riprese in fretta e cercò di spiegare a Kaede cosa l’avesse spinta a ridere.

<< E così tu sei l’algida kitsune! Mio figlio non fa che parlare di te, sul serio! >>

<< Mamma! Non hai altro da fare? >>

Il telefono squillò in quel momento e la madre si alzò per andare a rispondere. Hanamichi versò il liquido ambrato nelle tazze di fine porcellana e sperò che la volpe possedesse abbastanza buon cuore da non chiedere spiegazioni sufficienti.

<< E così tu non fai che parlare di me… >> disse Kaede sorseggiando il the.

Hanamichi tossì imbarazzato e cercò di cambiare discorso.

<< Dobbiamo parlare di quello che ti sta succedendo, Hanamichi. >>

 

Tokyo stesso giorno.

 

<< Allora? Avete visto Usagi? >>

Le Inner Senshi cercavano ormai Usagi da molto tempo. Quel pomeriggio era uscita da scuola prima dell’inizio delle lezioni pomeridiane e nessuno sembrava averla più vista. Non potendo telefonare alla madre di Usagi, per non rischiare che si preoccupasse inutilmente, Rei aveva telefonato a Mamoru, a casa per prepararsi ad un esame, ma neppure lui sembrava sapere qualcosa. Luna e Artemis, incaricati di sorvegliarla, l’avevano inspiegabilmente persa di vista.

Dalla settimana precedente, molte cose erano cambiate. Usagi era diventata più scostante e nervosa. Evitava di incontrarle ed era accaduto alcune volte che si era rivolta, persino a Mamoru, con modi molto sgarbati. Nascondeva qualcosa, di questo ne erano sempre più certi e questo era stato confermato dal suo arrivo. Era stato strano e scioccante rivederla con la sua forma originale. I suoi occhi neri le avevano scrutate, fissandosi in profondità, lasciando una sensazione di nostalgia.

Eppure non si erano meravigliate. Lei aveva sempre avuto quell’effetto su di loro. Sembrava portare dentro di se il sapore amaro dei giorni lontani, quando ancora vivevano nella loro patria sulla Luna.

Sailor Saturn era questo e molto di più. Era la guerriera che portava la morte. Era la distruzione. Si era presentata con il suo aspetto originario, quello di Hotaru Tomoe prima che si risvegliasse come Mistress 9.

 

Tokyo. Una settimana prima…

 

<< Mostrati a tutti. >> disse Minako alzandosi ed avvicinandosi alla figura nascosta nell’ombra.

La persona misteriosa uscì dalle tenebre che l’avvolgevano come una seconda pelle e le Inner Senshi vennero percorse da un brivido gelato.

<< Era da tanto che non ci si vedeva, care Inner Senshi. >>

<< Sailor Saturn? Cosa ci fai qui? >>

La guerriera più pericolosa delle Senshi, si presentò al loro cospetto con le sembianze di quella che, un tempo molto lontano, era stata Hotaru Tomoe. Indossava un lungo vestito nero che le copriva ogni centimetro di pelle, come quando, nell’immenso laboratorio di ricerche fondato dal dottor Tomoe, nascondeva le cicatrici degli esperimenti del padre. Aveva i capelli un po’ più lunghi. Sembrava una normale ragazzina di quattordici anni, se non fosse stato per i suoi occhi. Due buchi neri capaci di risucchiare il tutto. A guardarla in profondità ci si poteva perdere, risucchiati da un vortice nero senza limiti. La pelle, del viso e delle mani, era così bianca da farla sembrare un’ombra evanescente, un fantasma venuto dal passato, ma il suo sorriso ammaliante sembrava quello delle sirene incontrate dagli argonauti.

<< Cosa sei venuta a fare qui, Saturn? >>

Saturn fece un giro attorno al tavolo e si avvicinò alla finestra che dava sulla strada principale.

<< E’ possibile che non abbiate ancora capito? Non sentite che il mare è di nuovo in tempesta? >> poi si volse verso le altre Senshi: << Lui si sta svegliando. Non ci sono speranze di salvezza. Il suo cuore di tenebra non può essere distrutto. Tutto è finito. >>

<< Che diavolo significa? >> chiese Ami.

<< State lontane. Non giocate a fare le eroine. Non potete farcela contro di lui. Se combatterete morirete. Pensate solo a salvare la futura Regina Serenity, la speranza del mondo. Se lei dovesse morire…il futuro cesserebbe di esistere. >>

Una nube avvolse la guerriera della morte come un pesante sudario. Minako si lanciò verso di lei, ma Saturn scomparve, lasciando il vuoto dietro di sé.

<< Tipico delle Other Senshi. Devono sempre fare le uscite di scena con gli effetti speciali. Non so cosa stia accadendo, ma so che stavolta non ne usciremo. Cosa pensate di fare? Io la mia decisione l’ho già presa, ma non posso decidere pure per voi. >> disse Minako qualche minuto dopo.

<< Noi siamo come sorelle. Neppure la morte ci potrà dividere. >> risposero le altre ragazze.

 

Da quel giorno avevano intensificato i controlli su Usagi. Luna e Artemis vegliavano sui suoi sogni agitati, le ragazze la sorvegliavano a scuola, mentre Mamoru l’andava a prendere alla fine delle lezioni per riaccompagnarla a casa. Questo era durato solo tre giorni. Il quarto giorno Usagi aveva stupito tutti uscendo prima del tempo e così aveva fatto per i giorni a venire. A scuola il suo carattere era diventato freddo e scostante e alle domande pressanti delle ragazze, aveva cominciato a rispondere prima a monosillabi e poi gridando che era capace di badare a se stessa.

Cosa stava accadendo all’allegra ragazzina che tutti era riuscita sempre a conquistare con la dolcezza dei suoi gesti e la leggerezza delle sue parole?

Quel giorno Mamoru andò a prendere Usagi a scuola, ma Minako lo informò dell’uscita solitaria della compagna.

<< Che diavolo sta succedendo? >> domandò preoccupato il ragazzo.

<< Non lo so, ma… >>

<< Ma? Parla Minako. >>

<< E se Usagi volesse affrontare tutto da sola? Fino ad ora siamo stati tutti noi la sua forza, l’amore e i suoi affetti, ma Usagi ha un cuore grande e… se davanti ad un pericolo immenso avesse deciso di combattere da sola, senza farci rischiare la vita? Pensaci: i tasselli tornerebbero al loro posto. >>

<< Quella sconsiderata di Usagi. E che facciamo adesso? >>

I ragazzi si divisero in 4 gruppi: Minako e Makoto provarono a cercarla al parco e nei luoghi che solitamente frequentava; Rei tornò al tempio per interrogare il fuoco sacro; Ami e Mamoru andarono a cercare le Other Senshi e Sailor Saturn in particolare, mentre Luna e Artemis rimasero al quartier generale sotto il “Crown Game Center”.

La macchina sfrecciò veloce in mezzo al traffico crepuscolare. La città sembrava invasa da uno strano fermento. Il tramonto rosso sangue scendeva lento, avvolgendo con i suoi raggi sanguigni la città agitata. Mamoru spinse l’acceleratore e imboccò la strada per il mare. Le Other Senshi, gli aveva detto una volta Usagi, avevano una casa al mare, vicino al vecchio faro, poco distante dal centro di ricerca dove lavorava Setsuna. Prima di dividersi in piccoli gruppi, Rei aveva telefonato a casa di Usagi, ma la madre gli aveva detto che Usagi sarebbe stata fuori per un po’ di giorni e che a prenderla era stata “una bella ragazza dai capelli neri come la notte e due occhi profondi come le stelle”. Era strano, disse ridacchiando, ma quella ragazza le aveva messo i brividi, ma Usagi aveva detto di non preoccuparsi, che sarebbe andato tutto bene.

Per fortuna le strade erano deserte, quindi Mamoru e Ami arrivarono lì prima del previsto. Scesero dalla macchina e fecero per suonare il campanello, quando qualcosa, il sentore di un pericolo molto vicino, li fermò. Si voltarono e scrutarono le ombre che scendevano accompagnate dalla notte. Non c’era nessuno, ma una spiacevole sensazione di pericolo li attanagliava. Inconsciamente Ami si appoggiò alla porta e perse l’equilibrio, cadendo all’interno. La porta d’ingresso era rimasta aperta. Guardò per un attimo Mamoru e insieme si precipitarono all’interno della casa. Quello che videro li bloccò all’istante. Setsuna, Haruka e Michiru erano incoscienti e avvolte da una sottile trama nera. Lievitavano a mezz’aria. Attorno a loro una deformazione spazio temporale le avvolgeva.

<< E’ una nebulosa. Che sta succedendo? >>

<< Una nebulosa? Chi credi che sia stato? >> Mamoru non riusciva a darsi una spiegazione logica.

<< Mercury cristal power make up! >>

Sailor Mercuri usò i ricettori all’interno degli orecchini per mettersi in contatto con Luna e Artemis.

<< Luna. Artemis. Mi sentite? >>

<< Ti sentiamo Ami. E’ successo qualcosa? >>

<< Attivate la ricezione visuale. Siamo a casa di Haruka, ma… >>

Artemis attivò il computer centrale, quello ancora in contatto con il computer sulla Luna. Quando l’immagine si fece più nitida, la gravità della situazione fu palese a tutti. Sailor Mercury non sapeva cosa fare, un passo falso e le sue amiche sarebbero state risucchiate dal vortice.

<< Abbi un po’ di pazienza, Ami. Interroghiamo subito il computer centrale. Vediamo cosa si può fare. Dove sono Hotaru e Usagi? >> domandò Luna.

<< Non lo so. Qui non c’è nessuno oltre a noi. >>

Il vortice spazio temporale alle spalle delle Other Senshi, si dilatò, assorbendo parte del soffitto e le porte a vetro che davano sul giardino. Ami provò ad avvicinarsi alle Other, ma un campo magnetico la respinse con forza contro la parete di fronte. Per fortuna Mamoru la prese al volo, impedendole di sbattere contro la parete.

<< Ci siamo Ami! >>

<< Dimmi Artemis. Cosa possiamo fare? >>

<< Ami questa è una situazione difficile, ma ci sei solo tu lì e solo tu le puoi salvare. >>

<< Dimmi cosa fare e io lo farò, Luna. >>

Sailor Mercury ascoltò attentamente le istruzioni di Luna e Artemis. I due gatti le dissero che l’unico modo per impedire che il vortice risucchiasse le ragazze, poteva essere solo uno: espandere il potere Sailor fino ai limiti estremi della galassia, ma per fare questo avrebbe portato al limite anche le sue energie. Sailor Mercury non rimase a pensarci su. Stare senza fare nulla avrebbe messo in pericolo la vita di tutti gli abitanti del mondo.

Chiese a Mamoru di allontanarsi. Si avvicinò alle altre guerriere sailor e chiuse gli occhi, raccogliendo tutto il suo potere attorno a sé. Le maglie nere della deformazione, le avvinghiarono le caviglie e salirono lungo il suo corpo, cercando di imprigionarla. L’aura di Sailor Mercury si allargò fino ad includere i confini dello spazio.

<< Mercury cosmic explosion! >> ed esplose all’improvviso, inghiottendo e annientando il vortice spazio dimensionale.

Le tre ragazze caddero sul tappeto con un rumore sordo. Sailor Mercury, ormai al limite estremo delle sue forze, si accasciò sul pavimento, sorridendo compiaciuta. Mamoru le fu subito a fianco, cercando di apportare i primi soccorsi. Richiamò il suo potere di pranoterapia e diede, lentamente, energia al corpo stanco e martoriato della guerriera. Molte vene e capillari, nell’esplosione del potere cosmico di Sailor Mercury, erano scoppiate, provando piccole emorragie interne.

<< Come sta? >> domandò con voce roca Setsuna, ancora accasciata sul pavimento, mentre con una mano si massaggiava le tempie.

Haruko si alzò da terra e si avvicinò a Sailor Mercury.

<< Tieni la mia energia, coraggiosa guerriera. >>

<< Anche la mia! >> l’accompagnò Michiru.

<< E la mia. >> le fece eco Setsuna.

Le aure delle tre Other Senshi si unirono in quella della Inner e in breve Ami, tornata ad essere una studentessa delle superiori, riprese forza.

<< Voi ci dovete delle spiegazioni. >> disse per lei Mamoru.

<< Allora aspettiamo pure le altre. Fra poco saranno qui. >>

Utilizzando il potere sailor del teletrasporto, le altre ragazze raggiunsero in breve le compagne, nella villa che Haruko, Michiru e Setsuna avevano comprato per la piccola Hotaru.

<< Vogliamo solo la verità. >> asserì Rei.

<< Prima diteci dov’è Usagi. >> pretese Mamoru.

<< E’ con Hotaru, non preoccupatevi. Finché sarà con lei, sarà al sicuro. >>

Mamoru sentiva dentro di sé un misto di rabbia e frustrazione. Ancora una volta non era riuscito ad essere d’aiuto alla donna che amava da sempre. Avrebbe voluto proteggerla, ma lei non glielo aveva permesso. E poi cosa avrebbe potuto fare? Il suo potere, il Tuxedo Smoking Bomber, era poco più di un effetto speciale da cinema, se paragonato ai poteri delle guerriere Sailor.

 

“Maestà. Imparerete a conoscere e usare in profondità il vostro potere, il potere derivato dal cristallo d’oro. Voi siete il futuro Re del mondo. Potrete proteggere la vostra Regina come il vostro cuore vi sussurra.”.

 

Era questo che gli ripeteva il generale della Kunzite nei loro incontri onirici. Però…. Quanto tempo ancora avrebbe dovuto aspettare? Fino ad allora sarebbe stato solo un peso per Usagi.

<< Ora vi racconteremo tutto dall’inizio…. >> Setsuna fece una breve pausa per recuperare le idee, Mamoru si sistemò accanto a Rei e ascoltò: << Tutto ebbe inizio… >>

 

In un luogo non precisato…

<< Sei sicura Usagi? Vuoi proprio farlo? A quest’ora Haruka e le altre staranno parlando con Mamoru e le Inner Senshi. Adesso sarà tutto più semplice. >>

Il paesaggio montano che si estendeva davanti alla grande baita immersa nel verde, era ciò che di più bello si potesse vedere in natura. La notte aveva ammantato di blu gli alti alberi che circondavano la baita. Il fuoco nel camino scoppiettava al ritmo silenzioso della notte. Ai suoi piedi, Hotaru, non più bambina, teneva in mano un vecchio libro dalla copertina corrosa dal tempo. Usagi stava seduta sul gran divano bianco, di fronte al balcone e osservava le stelle.

<< E’ la cosa migliore. Per tutti. >>

Hotaru richiuse il libro e si sedette al suo fianco. Le passò una mano fra i lunghi capelli biondi. Usagi sentì un pressante bisogno di piangere farsi largo fra la sua coscienza, ma non cedette. Non era il momento di piangere. Presto, molto presto, Lui si sarebbe svegliato e allora…

 

Kanagawa, stesso giorno, stessa ora.

 

Kaede Rukawa, brillante giocatore dello Shohoku, tornava a casa dopo una stressante conversazione con il rossino. Durante quell’ora trascorsa a casa di Hanamichi, aveva cercato in tutti i modi di capire cosa lo preoccupasse, ma la scimmia rossa aveva eluso con capacità innata ogni sua domanda. Alla fine, stava ritornando a casa più confuso di prima.

Per accorciare il tragitto, imboccò una stradina buia che costeggiava il parco. La luna era oscurata e le lampadine dei lampioni stradali erano state distrutte. Poco male. In tutta Kanagawa non c’era nessuno, forse escludendo Sakuragi, che potesse metterlo in pericolo. Nessuno era mai uscito illeso in una rissa contro di lui. Eppure avvertiva una piccola sensazione di paura. Come se qualcuno, nascosto nelle tenebre, lo stesse osservando.

<< Chi c’è? >> domandò più a se stesso.

<< Non puoi farci nulla. Lui è il predestinato. Lascialo andare. >>

<< Chi diavolo sei? >>

In quel momento, una macchina passò lungo strada vicina e la luce dei suoi fari illuminò brevemente la figura immersa nelle tenebre. Era ammantata e le mani, ma forse era solo un effetto della poca visibilità, erano bianche come la morte. Quella figura rimase immobile, ma la sua voce risuonò nella mente e nel cuore di Kaede.

 

…un ragazzo nato tra cielo e terra nelle cui mani vi è il destino del mondo…  

 

E detto questo scomparve, inghiottita dalla notte. Kaede uscì in fretta da quella stradina buia e in quel momento le luci dei lampioni brillarono. Si voltò di scatto ma non vide più nessuno. Era stato uno scherzo? Cosa volevano dire quelle parole? E soprattutto chi era quella donna e cosa voleva da Hanamichi? Perché lui n’era certo: quella donna voleva il suo do’hao.

 

FINE SECONDA PARTE

 

Autrice: mah! Anche questo capitolo è andato!

Mamoru: sì, ma dov’è Usagi?

Autrice: nooooooooooo! Almeno tu, Mamo-chan, non mi stressare con la storia “ridammi il mio amore!”.

Mamoru: non chiamarmi Mamo-chan! Può farlo solo Usa!

Ru: a proposito… perché non succede nulla fra me e Hana-kun?

Autrice: come volevasi dimostrare!

Ru: è________é  Ridammi il mio koibito!

Autrice: a parte il fatto che è tuo solo se lo decido io… poi io non prendo ordini da nessuno!

Sen: ma autrice! Io e Hiro non ci siamo!

Autrice: ^^;;;  Ehm… hai ragione Akira, ma vedi, la coppia MitsuixKogure sta prendendo più spazio del previsto. E poi tu sei sempre nelle mie storie. Per una volta spazio agli altri! ^______^

Sen: ç__________ç      T_________T

Autrice: vabbeh! Ho capito! Vedo quello che posso fare! Ma non ti garantisco nulla. Ho troppi personaggi da gestire e poco tempo per farlo!

Sen: vuol dire che altrimenti scrivi una ff solo fra me e il mio dolcissimo Hiro-kun!

Autrice: O_________O    Lo sapevo che non dovevo cedere!

Sen: ^____^

Ru: è___é

Mamoru: ?______?

Autrice: bastaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa!

I declaimers li conoscete, quindi per ora vi posso salutare e vi rimando al prossimo capitolo, sperando che vi sia piaciuto! Il “Mercury cosmic explosion” l’ho inventato io! Perciò è solo mio!!!!! Bacioniiiiiiiiiiiii!

 

Alla prox!





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