La Guerra Eterna

Parte VIII

di I 4 dell’Apocalisse

 

 

I fiori appassiscono.

Non esiste fiore che non sia destinato a morire.

Tranne lei…

 

Le candide mani si posavano delicatamente sulle morbide rose bianche che, leggere, rimanevano adagiate nella loro elegante agonia sui bordi del prezioso vaso di cristallo del salone. Con un pizzico appena, raccoglieva gli steli dal ripiano su cui erano posati, per sistemarli nel modo più esteticamente ineccepibile possibile in quella sorta di anfora, che rifletteva i raggi della luna calante, che giungevano a riflettersi dalla finestra poco distante. Un sorriso, maledetto come la sua anima, campeggiava sul volto niveo. I neri capelli le incorniciavano quel viso, pur essendo raccolti dietro la testa in un aggrovigliarsi studiato di trecce e di nastri di raso scarlatti. I grandi occhi della contessina non si curavano di nulla, se non del sofisticato lavoro che stava compiendo. Ripensava a quello che era accaduto con il padre, quella pedina nelle sue mani, che la stava aiutando a togliere di mezzo ogni elemento che potesse ostacolare la sua felicità con Lawrence. Perché lui era suo e non poteva sicuramente essere uno squallido vampiro inesperto e socialmente inferiore a portarglielo via. Non sia mai che la figlia del Conte sia umiliata da un soldatino di piombo!

Pensava e sognava, in un sogno dai colori del sangue, della morte e del lutto, a quello che Axel avrebbe potuto fare ad Andrew. Massacrarlo, distruggerlo, sfinirlo. E perché no: ucciderlo.

Non sognava altro. Solo quello. La fine di ogni problema e l’esclusività nel cuore del torturatore, del suo futuro sposo, del suo amato.

Dalila non aveva grandi debolezze. O almeno, nessuno conosceva un suo punto debole. Per quanto fosse vanitosa, narcisista, egocentrica, passionale, gelosa e subdola, la natura l’aveva davvero terribilmente dotata di un forte autocontrollo, che la rendeva capace di nascondere ogni più oscura fragilità. Ma come chiunque altro, anche la contessina aveva il suo tallone d’Achille.

E il suo nome era Lawrence.

L’aveva visto in tutta la sua bellezza quando era diventata vampira. Lui l’aveva notata e lei pure. Uno sguardo reciproco durante la Festa di Ade. E dopo quelle danze, nulla fu più come prima. Tra di loro c’era sempre stata una particolare alchimia. E ora, con Andrew, qualcosa pareva essersi incrinato. Non sembrava proprio che Lawrence si comportasse come una volta. Dalila non concepiva l’idea che lui dovesse crescere la propria prole, che la dovesse guidare verso l’oscurità, come Axel aveva fatto con lei a suo tempo. Lui era cosa sua, una sua proprietà, una sua prerogativa.

 

Passi.

Una successione di passi pesanti, scarponi forse, tintinnio di oggetti metallici, sordo battito sul pavimento di pietra. Gli occhi in quel momento, si levarono di scatto dalla composizione che stava realizzando. Ormai le rose cominciavano a passare in secondo piano. Perché un altro e più interessante incontro si stava per consumare.

Lo avvertiva. La propria aura sentiva quella che più agognava. Come poteva confonderla? Come poteva sbagliarsi su un qualcosa di così assoluta importanza come lui.

Perché proprio di Lawrence si trattava. Il sorriso perse progressivamente la sua sottile malignità, per diventare sempre più un’espressione amorevole, dolce, romantica.

Lei lo amava. E tutto ciò che faceva era per lui. Per loro. Nemmeno considerava cosa stesse per accadere. Ma nemmeno le importava, in realtà. Ciò che voleva era poterlo stringere.

Rimase di spalle rispetto alla porta d’ingresso, appena aperta, che mostrava il corridoio attraverso un piccolo spiraglio. Restò con le spalle voltate, guardando fuori dalla finestra, fingendo di non vederlo, di non percepirlo nemmeno. Nella sua testa ancora l’immagine dei volteggi, delle sue gelide mani trattenute da quelle dell’amato in quella lugubre notte, dove è il mondo dei Morti che prende il sopravvento su quello dei vivi, o presunti tali. E in quel trionfo di Morte, il loro sguardo, il loro amore, il loro bacio. Solo questo ora nella sua mente. Un rapido susseguirsi di immagini. Ma la musica delle danze si fondeva nella sua mente con le grida di Andrew, straziato dalla mano impassibile del Conte, padre e amante.

Ma quella scia di pensieri non durò a lungo.

Un calcio. Rumore sordo del legno che sbatte contro il muro, dei battenti che cozzano con la pietra grigia della parete, mostrando in un’eroica espressione d’ira il volto di Lawrence. Il suo Lawrence.

Uno scatto e un sussulto. Di colpo prima il capo e poi il resto del corpo, si voltarono. Gli occhi smeraldini andarono a posarsi sull’amato. Chi è costui? Non può essere…

Lo sguardo rimase fisso su Lawrence. Non riusciva a leggere nulla di quello che stava sognando fino a pochi istanti prima. Scavavano i suoi occhi in quelli del torturatore, specchio della sua anima, strada privilegiata per giungere al suo cuore. Ma nulla. Niente. Solo ira, rabbia, sdegno, orrore.

Nessuno giunse. Nessuno venne a interrompere quella scena. Solo loro due. Dalila e Lawrence protagonisti indiscussi di una scena tragica, del dramma di un amore distorto e morboso, di un popolo che della distorsione e del malato hanno fatto una regola di vita.

“Lawrence…” mormorò appena, in un sospiro. Un leggero sorriso nervoso sfuggì al suo autocontrollo. “…sono felice di rivederti…” le parole uscivano come un lento muoversi di ingranaggi nella sua gola, difficoltose, ardue, cariche di imbarazzo. Che le avrebbe fatto? Cosa avrebbe risposto. Ansia. Profonda ansia. Senso di annegamento. Asfissia.

Un passo del vampiro verso di lei e un sorriso strano, terribile, sul di lui volto, ne valsero in tutta risposta un lento indietreggiare di Dalila. “Lawrence, caro, mi vuoi spiegare che su…”

“TACI!” Risuonò, spezzando nella bocca della vampira ogni altra frase, lorda di menzogna e di inganno. La contessina sbarrò gli occhi. Il suo autocontrollo si era andato perdendosi completamente. Non riusciva a muoversi. La vitae nelle vene lentamente gelava, si arrestava, le bloccava ogni movimento. Piano, tremavano le gambe. Le ginocchia pareva che avrebbero ceduto entro breve. Una mano si spinse a cercare conforto nel lungo vestito di velluto, stringendo in un pugno un lembo del prezioso ricamo in damascato. “Che ti pren…”

“STAI ZITTA!” Rapidi i passi di Lawrence si mossero in direzione della promessa, con uno sguardo che mostrava il fuoco, la rabbia, l’odio per colei che aveva toccato la sua più dolce creatura, il suo primo ed unico figlio, meravigliosa creazione, che rischiava di finire distrutta come un castello di carte, falsamente solido. Le mani si allungarono verso di lei, inguantate, l’afferrarono per le spalle, tenendola stretta, strattonandola, scuotendola. “Tu devi stare zitta! Non ti permettere di parlare, perché sono pronto a ucciderti con queste stesse mani che ora ti stringono la carne, Dalila!”

Gli occhi di lei si chiusero a quelle grida, a quella dolorosa presa, a quel vociare. Erano stretti, quasi cercasse di fuggire con la mente a quella situazione così complicata, dolorosa, difficile.

Lo sentiva. Lawrence l’avrebbe davvero uccisa. Per quanto l’amasse, l’avrebbe uccisa quella notte.

“Mi fai male…” suonò come una preghiera soffocata, appena pronunciata, come se quelle mani le avessero potuto impedire di respirare, se ancora le fosse stato possibile. Sapeva che le sarebbero rimasti dei segni sulla pelle, ma di poco si curava in quel momento. Prima di tutto pensava alla sua incolumità, all’uscire viva da quella situazione così complicata.

Forti e nodose, le mani di Lawrence non smettevano di stringere il suo collo. Terribile il suo sguardo, quella scena, la postura. Lei avrebbe potuto denunciarlo. Egli sapeva a cosa sarebbe andato incontro, se Dalila avesse spifferato tutto a suo padre. Ma poco gli importava di finire bruciato dal sole. Prima di tutto c’era suo figlio, c’era l’amore che nutriva per lui, ancor prima di quello che poteva provare per la Contessina, che ora odiava più di qualsiasi cosa al mondo. Ma più che lei, odiava la sua gelosia, la detestava e voleva spezzarla in quell’anelito violento di morte, che, in qualche suo sogno, l’avrebbe liberato da un gran peso. E così avrebbero potuto essere felici. Chissà. Andrew avrebbe chiamato quella donna “Madre” e lei lo avrebbe amato come un figlio. Non chiedeva altro, nemmeno nel suo furore. Voleva solo che la sua famiglia fosse felice.

Ma non si scomponeva il vampiro, non esitava a perdere quell’espressione di severità che lo caratterizzava. La guardava e continuava a fissarlo negli occhi. Lei capì.

Nessuna minaccia di morte lo avrebbe distolto dal proposito di rendere salvezza e giustizia al figlio. Anche a costo di morire al suo posto.

“Lasciami…” Non lo avrebbe mai palesemente pregato. Troppo superba, troppo arroccata sui diritti del suo alto rango. Non sarebbe mai caduta così in basso.

“Se pensi che io abbia paura di perderti, mia cara, sappi che ti sbagli di grosso! Voglio che ti sia chiaro solo questo! Io ho paura di perdere mio figlio per colpa della tua stupida gelosia! Sono disposto a stringerti la gola fino a spezzarti l’osso del collo e perderti per sempre, per l’eternità starei senza di te, perché la tua cattiveria sta infettando la mia vita e ciò che ho costruito con il mio sangue e la mia dannazione. Se davvero mi ami come dici, farai quello che ti dico: andrai da tuo padre il Conte e gli dirai che vuoi che sia liberato Andrew Valentie, come pegno di nozze e di eterno amore. Se non lo farai, morirai con lui…” secca, la frase si concluse tra le sue labbra, tra quei denti stretti, che, massicciamente, rimanevano serrati come in una morsa. Sembrava quasi un mannaro, pronto a dilaniare la sua vittima. E questo non aiutò sicuramente Dalila ad uscire dallo sconvolgimento emotivo e dal turbinio di terrore che vedeva davanti a sé, negli occhi dell’amato.

“Dunque tu saresti disposto a perdermi per sempre? E dove sta tutto il tuo amore, che ora mi stai decantando? Dimmelo che non mi ami, Lawrence!” gli occhi si strinsero, il dolore era troppo forte, le sue dita premevano saldamente sulla propria pelle. A fatica la Contessina potè pronunciare quelle parole, che uscirono piano, lentamente, faticosamente.

Lo sguardo di lui rimase fisso su di lei. E con una freddezza inaudita, per la prima volta nella sua vita, una risposta pungente, un affondo nello spirito della vampira. “Se amarti significa non amare mio figlio, allora no, Dalila, non ti amo…”

La morte assunse le sue vere spoglie in quel momento in lei. Gli occhi si serrarono. Morbide, le palpebre si chiusero delicatamente. Era la fine. Stava per perdere tutto e non poteva permetterselo. Perché lui era il suo tutto. Come una cagna difendeva ciò che era suo, proteggeva i suoi confini, il suo territorio. Andrew, dalle segrete, la stava sconfiggendo. Dal luogo in cui l’aveva mandato a marcire, la stava annientando. E rossa, una lacrima uscì ad insanguinarle il volto, in segno di arresa, sconfitta. Aveva lottato tanto, aveva sfoderato ogni sua arma. Ma tutto invano.

“Come vuoi tu, amore mio…” E come un richiamo sincero, dolce, quelle parole accarezzarono l’udito di Lawrence, che, delicatamente, mollò la presa. Le sue mani si spostarono ora alle braccia, per stringerla con forza, ma con un recuperato tepore, con un sentimento sincero, forte, che la legava a quel mostro malvagio, che nella sua mostruosità, lo amava ciecamente. Ma ancora non se la sentiva di fare altro, di eccedere. Non voleva abbracciarla, non voleva baciarla. Ancora le faceva schifo, lo disgustava vederla, sebbene al contempo l’amasse.

Non aggiunse una parola, Lawrence, che nella sua compostezza, raggiunto l’obiettivo prefissatosi, si staccò da quel contatto per voltarsi. Rimase fermo. La speranza che lei comunque lo abbracciasse da dietro era grande in lui. Ma lei non agì. Rimase immobile, ad occhi chiusi, con le guance screziate di scarlatto.

Passò qualche istante.

Poi, questa volta più lentamente, con un passo più morbido dell’arrivo, Lawrence avanzò verso la porta. Le mani di Dalila, intanto, scorrevano al collo, dove prima si erano violentemente posate quelle dell’amato. Massaggiava quella pelle arrossata, i segni del suo malessere, dei suoi intrighi, della sua gelosia, del suo amore. Era come se quelle mani che l’avevano aggredita fossero state le proprie. Non aprì gli occhi. Voleva solo che lui se ne andasse. E fu molto chiaro anche al vampiro, che senza esitazione, riprese la sua camminata composta e sicura, allontanandosi da lei, come suo desiderio.

Piano.

Un passo.

Poi un altro.

Poi un altro ancora.

Una marcia funebre.

Un pegno d’amore.

La promessa venne mantenuta…

 

***Marzio/Pestilenza***

 

 

 

Vi ho fatto attendere, ma la saga non può concludersi qui. Quella maledetta di Dalila ha ceduto adesso, ma per chi pensa davvero che la sua cattiveria si sia esaurita, si sbaglia di grosso! Ne vedremo delle belle, promesso!