La Guerra Eterna

Parte VII

di I 4 dell’Apocalisse

 

 

Il sangue le sgorgava lungo le mani, piccole e sottili, un tempo morbide e levigate, rosso e denso, reso nero dall’oscurità della piccola stanza.

Vi era rinchiusa ormai da tre giorni, senza alcuna via d’uscita; la porta sbarrata dall’esterno e le finestre sigillate da enormi travi di legno inchiodate alle pareti, che lasciavano entrare pochi spiragli di luce.

Il nervoso si era impadronito della giovane fanciulla, ogni volta che per piccoli sbagli veniva chiusa all’interno dello sgabuzzino la sua mente contorta elaborava strani pensieri, a tal punto che immaginava la gola tagliata alle persone che la disprezzavano ed un cappio al collo di tutti quelli che la punivano.

Lavorava da pochi mesi in questa sartoria, diretta dalle stesse persone che la maltrattavano con tanta ferocia e da quando iniziò la sua mente mutò, divenne sadica e altrettanto masochista.

Le era vietato parlare con i colleghi, infatti non aveva alcuna amicizia. Riusciva solo a blaterare ai ratti del buoi stanzino, parole di morte, imprecando e maledicendo chiunque le si mettesse contro, includendo chi non l’aiutasse.

Portava sempre con se una lametta per le unghie, le curava molto, così come tutto il suo aspetto; nessuno si sarebbe m,ai immaginato che quella limetta cambiò il suo uso iniziale.

Le numerose cicatrici che riportava sui magri polsi ne erano la prova.

Non vi era anima viva nel suo ambiente di lavoro che non la insultasse e ciò le fece cadere la stima che aveva in se stessa, a tal punto che prese a rovinarsi, senza nemmeno sentire il dolore ed il bruciore fisico che si procurava per ogni singolo taglio.

 

Oramai passava la maggior parte del tempo nello sgabuzzino, ove iniziò a dimagrire per la mancanza sia di cibo che di acqua.

Smise di piagnucolare per la fame quando si rese conto di essere circondata da una forma di nutrimento al quanto primitiva e disgustosa, ma l’unica disponibile: ratti.

Se fossero stati malati non le importava, voleva solo riempirsi lo stomaco; è assurdo come la mente umana elabori il cibo quando si sta per morire di fame.

La sua lucente limetta per le unghie divenne sporca ed incrostata sia del proprio sangue che da quello dei luridi roditori, squartati e dissanguati sulle assi di legno del pavimento.

“Perché? Perché mi ci hanno rinchiuso?! Potevo rimanere in Istituto se solo mi avessero voluto! Dannato orfanotrofio, bruceranno tutti…”Sibilò la giovane ragazzina con una voce sottile e quasi stridula.

Prese a mordicchiarsi il labbro inferiore con gli incisivi, si sedette portandosi le ginocchia al petto continuando a blaterare con se tessa nel buio, una delle piccole forme di pazzia:

”Se ogni mia azione corrisponde ad un danno, allora si renderanno davvero conto di quanto possa essere realmente dannosa e letale…Vi farò a cubetti e vi darò in pasto ai lupi per l’insolenza che mi avete dimostrato…”.

Iniziò a barcollare mantenendo la medesima postura mentre con le mani afferrò un lembo del candido abito impregnato di sangue stropicciandolo con evidente agitazione.

Figure di cadaveri le scorrevano per la testa, cadaveri di tutti loro che seppero atteggiarsi solo in modo severo ed intollerante, cadaveri che desiderava fossero diventati tali per man propria.

Le sua paranoie divennero sogni, fonti di un lungo e travagliato sonno che cessò il mattino seguente: “Regan!! Torna immediatamente a lavoro! Non tollererò ne un altro ritardo, ne un altro errore!”.

La pallida fanciulla spalancò le palpebre dando forma alla voce che le rimbombava nei timpani. Vide una donna di corporatura non troppo massiccia, portava i capelli raccolti da una retina bianca, indossava un vestito sgualcito di colori opachi, aveva il viso ovale allungato sul mento, segnato da due guance cave e gli zigomi evidenziati, un naso appuntito e due occhi azzurri che avrebbero ucciso chiunque se solo con lo sguardo si fosse potuto.

L’aspetto della donna la riportava sui cinquant’anni circa, rozza e severa, la tipica direttrice che bacchetta i suoi dipendenti per un non nulla, perfida a tal punto di riuscire a cacciarli per giorni interi nello sgabuzzino senza alcun ritegno, motivata da un pessimo lavoro.

“Ma cosa è accaduto?!” affermò la donna spalancando terrorizzata le palpebre, portò lo sguardo al pavimento ricoperto dalle carcasse dissanguate e senza vita dei roditori, rimase immobile, sconvolta dall’orrida visione.

Regan sembrava non aver alcuna intenzione di alzarsi, non muoveva un muscolo, aveva udito ogni singola sillaba fuoriuscita dalle labbra della direttrice, ma sembrava che la cosa non le importasse alquanto, inoltre la luce che entrava dalla porta spalancata era talmente forte che le provocò un insano bruciore degli occhi che a malapena riusciva a tenere aperti; troppo tempo aveva passato al buoi contemplando le tombe, per lei era venuto il momento di agire.

Non aveva timore di essere arrestata, la vendetta per lei era più forte.

Dolce e fredda vendetta che si compì in un lampo, uno scatto svelto e indolore per la sua vittima, morta con la limetta conficcata nella gola; una riga di sangue le tinse il sottile e olivastro collo di un rosso acceso e cadde a terra in un sonoro tonfo.

La giovane per la prima volta dopo settimane sorrise, inquietante quella smorfia di allegria che per essa rappresentava un piccolo trofeo di una grande guerra.

La sua prima uccisione, la direttrice della sartoria, o meglio, l’ex direttrice della sartoria.

Rimase nella posizione del colpo ancora pochi istanti poi si alzò portandosi bene eretta con la schiena mento alzato e sguardo dritto, fiero come quello di un grande condottiero di ritorno da una grande e faticosa battaglia, ma ella non è e non sarà mai un condottiero, rimarrà per sempre una giovincella di sedici anni.

 

******

 

Si unisce finalmente anche l'ultimo dei cavalieri!!!!

Un capitolo un po’ corto ma significativo...bhe, almeno per me XDD

 

Reci

Carestia