La Guerra Eterna Parte
IV di
I 4 dell’Apocalisse Faceva caldo quella notte.
Tutti nel villaggio vicino lo soffrivano, sudavano in quell’afosa serata
estiva di luna calante. Le stelle erano ben visibili: il Gran Carro si
mostrava in tutto il suo splendore agli occhi dei pastori che fantasticavano
intorno ai grandi falò che illuminavano tutta la campagna. Ma quel fuoco
bruciante che faceva ardere le gole degli umani non toccava assolutamente il
popolo del castello del conte Axel. Un popolo che non conosceva la morte o
che la conosceva fin troppo bene. Un popolo che si svegliava quando tutti
rientravano nelle loro case per la cena e per il sonno. Un popolo che
rifletteva il bagliore pallido della loro nivea protettrice sulle candide
pelli. E il risveglio fu
particolarmente piacevole per Dalila, la bianca Dalila, nera nell’animo,
oscura nel suo sguardo, atroce carnefice di innocenti. Gli occhi lentamente
si aprirono, osservando per prima cosa il baldacchino di quel letto alto e
pesante in ebano che la nascondeva alla vista degli astanti. Perché nella sua
grande stanza c’era qualcuno. Una presenza a lei molto familiare, una
presenza che amava e che odiava allo stesso tempo. Un’aura potentissima
immediatamente si fece avvertire, avvolgendola con tutto il suo potere. Un
brivido le cominciò a percorrere la schiena, scendendo fino ai magri lombi,
per poi invaderle la vita e le spalle. Un sorriso. E di scatto si alzò con il
busto, lasciando che i capelli corvini mollemente si adagiassero sul suo
corpo, incorniciandole il viso, albino come le lenzuola in cui era avvolta e
la camicia da notte di leggera mussola, che si accompagnava con le tende di
seta che la chiudevano come inestimabile gioiello in un prezioso scrigno. Lo
poteva scorgere, senza problemi, appena un’ombra tra le ombre dietro il
tessuto semitrasparente che la celava e la proteggeva, occultandola appena.
Ma la sua aura lo rendeva assolutamente noto all’anima della vampira. “Padre!” con tono quasi
infantile, attendendo una sua parola, una qualsiasi. Colui che l’aveva
portata tra le sue schiere, che l’aveva amata, come una figlia e come
un’amante. Una luce nera lo avvolgeva e non poteva non avvolgere lei stessa,
che da quella luce era rinata, per non conoscere mai più la morte. Egli non
si mosse, benché quell’appellativo affettuoso non potesse non fargli nascere
un dolce sorriso, malizioso se osservato da un occhio attento. Proprio non
poteva. La sua figlia prediletta, colei che era stata designata, un giorno, a
diventare una delle personalità più influenti all’interno del palazzo. Una
figlia del Conte ha un determinato destino, segnato fin dal giorno della sua
morte. Mai sarebbe finita a fare il lavoro sporco, seppur quella piccola rosa
fosse ben degna di svolgerlo. Una delle figlie più crudeli e subdole del
grande sovrano era Dalila: egli sapeva benissimo che per la sua ambizione
sarebbe stata capace di vendere il suo stesso padre e di tradirlo anche con
un mannaro, anche con lo stesso conte Hans. Ma quella piccola rosa era
un’arma a cui era necessario affidarsi. Come un ragno aveva intessuto una
rete, entro cui aveva imprigionato le massime autorità vampiriche, cosciente
del suo potenziale, cosciente della sua bellezza e della sua intelligenza.
Una perfetta anima diabolica. “Padre mio!” Un sussulto
nacque ancora da quel secondo richiamo. Un richiamo incantevole e falsamente
innocente, che riuscì a piegare la proverbiale alterigia di Axel. Non
resisteva. E nemmeno lei stessa poteva più resistere, nonostante fosse
chiaramente consapevole di averlo in suo potere. Il legame del loro sangue
era troppo forte, un sigillo indelebile, che non si sarebbe mai potuto
spezzare, un sigillo del grande re e della sua piccola e avvenente
danzatrice, la sua piccola Dalila. Axel si levò di scatto dalla
poltrona, mentre il nettare della sua eternità gli ribolliva nelle vene,
inesorabilmente. Un fuoco lo percorse, un’ardente fiamma, che nulla aveva a
che vedere con l’arsura estiva che pativano i miti pastorelli al di là delle
cinte murarie dell’imponente castello di Yreth. Perversione, sadica e
passionale perversione, che lo fece alzare dalla comoda seduta, per farlo
precipitare ai bordi di quel letto, così ampio rispetto alla piccola figura
della vampira, che conosceva già l’epilogo di quei richiami. Un fremito nel
suo cuore, un cuore spento ormai da secoli, che attendeva di essere riacceso
dalla vitae del suo amato e odiato padre. Una mano livida, non più molto
giovane, entrò tra i tendaggi del baldacchino. Sapeva benissimo cosa le
sarebbe aspettato. Lo sapeva e godeva di questo suo potere. Delicatamente,
con un gesto sensuale e lento, come una carezza sulla pelle, scostò di lato
il nero crine, flettendo appena il capo verso destra, a mostrare un punto ben
preciso della gola: la giugulare, carica di sangue, del sangue di un ignaro
cavaliere che ancora giaceva mortalmente disteso, esanime, sulle rive del
ruscello che scorre accanto al villaggio di Exen. E la mano di lui, tanto
anziana, quanto ancora potente ed invincibile, afferrò la bianca tenda,
mostrando alla piccola sirena il suo volto, sempre severo, sempre audace in
ogni sua impresa, anche la più semplice, strappando il delicato tessuto,
generando un rumore metallico insistente, mentre staccava ad uno ad uno, con
la sua forza, tutti i ganci in argento che sorreggevano il panneggio al
baldacchino: davanti a lui quello spettacolo di avvenenza e seduzione,
candida ed innocente, come una vittima pronta al sacrificio agli occhi del
suo sadico carnefice. “Figlia…” un appellativo
soffocato dalla passione, dal furore, dalla voce grave e tonante, seppur
stranamente calda e sottomessa, del sovrano. E ancora “Figlia…”, mentre il
suo corpo leggermente si abbandonava, in tutta la sua pesantezza, in tutta la
sua possente stazza, su quel virginale letto, che da molto ormai non era più
immacolato. E un sorriso sulle labbra della vampira. Un sorriso nuovo e
seducente, che invitava il suo padrone. Un sorriso a cui egli non poteva più
resistere. “Padre…” un richiamo che
venne dolcemente pronunciato, con tono mieloso, con quella promettente
espressione di piacere, che sapeva si sarebbe accentuata, che sarebbe
diventata presto un gemito di godimento e quindi orgasmo. Tutto per il suo
amato ed odiato padre. E Axel chiuse gli occhi,
coprì con le palpebre il suo sguardo, a cui avevano saputo piegarsi. La bocca
si avvicinò con sottile delicatezza al collo scoperto della figlia, porto
come dono sublime alla precisa richiesta di colui che le aveva donato nuova
vita nella morte. Con decisione le mani del Conte afferrarono le braccia
della giovane, tenendola ferma, tenendola immobile, temendo che potesse
scappare da un momento all’altro, sottraendosi per viltà a quell’agognato
piacere. Eppure egli sapeva che lei mai se ne sarebbe andata, che non si
sarebbe mai permessa. Quindi il morso. I canini
candidi penetrarono il collo di Dalila, trafiggendolo, torturandolo con
quella passione che muoveva ogni azione del sovrano, che la desiderava sopra
ogni cosa, che non voleva altri che lei in quel preciso istante, la sua
creatura più preziosa, la sua bambina, che avrebbe difeso ed esaudito in ogni
capriccio, in ogni più piccola richiesta. Questo era il vero potere della
Rosa Bianca di Yreth. La vitae quindi cominciò a fuoriuscire, raccolta nelle
labbra del vampiro, conservata nella sua bocca, gustata dalla sua lingua,
macchiata di ogni falsità, di ogni ignominia, ma che ora necessitava di
dolcezza, un’acida dolcezza che scorreva nelle vene di Dalila. Egli gemeva,
accompagnato da un lieve mugolio di piacere prodotto dalla piccola, abbastanza
grande e abbastanza degna di conoscere quell’insana ebbrezza, mentre le gambe
si chiudevano, congiungendo le ginocchia, contraendo le dita delle mani e dei
piedi, in risposta a quel gesto, a quel sensuale e vitale atto. Il caldo
liquido color rubino scendeva lungo la gola di Axel che teneva a sé la sua
Dalila, la sua amata Dalila, che grazie a lui, era la creatura più
inviolabile tra gli abitanti del Castello. E dopo qualche minuto ecco
che sopraggiunse ciò che entrambi volevano. Un orgasmo avvolgente,
sopraffino, sublime, che solo a coloro che hanno conosciuto il morso di un
eterno è possibile comprendere. Una portata sconvolgente, come sempre. E un
gemito intenso, volutamente intenso, forte, quasi un grido, per soddisfarlo,
per farlo sentire come il più potente degli Dei della Notte. L’umida saliva
del Conte si distese su quei due fori, a curarla, mentre la presa decisa si
trasformò sempre più in un abbraccio mortale, ma non letale, bensì colmo di
affetto e di amore. Un amore tutto loro, tutto particolare, incomprensibile
ed ineffabile. Un amore fondato sul peccato e costruito su un insolito
incesto. Sentiva Dalila il gelo della pelle del sovrano sulla propria, mentre
la stringeva, mentre l’avvolgeva nelle sue spire. “Figlia…Figlia del Male, del
mio Dolore, del mio Tormento…” dolce sussurro nell’orecchio della sua
diletta, leggero soffio, ansimato, esalato come un sospiro di mortale, mentre
la mano delicatamente accarezzava la morbida pelle della vampira, mai
scalfita, perfettamente levigata e nivea. Sul volto di lei un sorriso: quel
sorriso malvagio, di falso compiacimento, di assoluta menzogna. Lo guardava,
studiava il suo collo e la sua possente statura, troppo più alta della
propria, così gracile e minuta al confronto della corporatura del Conte. Egli
l’amava sopra ogni cosa; per lei avrebbe fatto qualsiasi pazzia, anche la più
sconsiderata, per questa figlia intimamente ingrata e assolutamente
sconsiderata. Quel bacio di eternità, infatti, avrebbe avuto un premio, il
solito: tutto ciò che desiderava. Dalila stava solo attendendo che le fosse
rivolta la fatidica domanda, mentre con una mano corse al collo di lui, per
avvolgerlo e accarezzargli la nuca irrigidita per quelle sensazioni appena
provate, nella sua virilità, così lontana dalla propria essenza; lo
stringeva, in risposta a quel gesto di possesso che Axel le dimostrava, non
lasciandola nemmeno per un istante. Lo teneva a sé, come egli stesso faceva
con lei, forte, intensamente vicino al proprio petto, a quei piccoli seni,
una volta caldi, ora gelidi. Lasciava che respirasse il proprio profumo, la
cui fragranza ricorda la cipria, sensuale, femminile, assolutamente attraente
anche per il più potente e grande tra i vampiri della fortezza. E non era il
solo che aveva potuto assaporare quell’aroma che tanto amava. “Desideri qualcosa, Dalila?
Tutto quello che vuoi, mia amata…” un piccola pausa ”…figlia! Sai che io
posso tutto qui dentro! Dimmi ciò che più agogni e te lo porterò…” Il tono
era soffocato, sempre un continuo mormorio grave, imperioso anche in quella
richiesta, che quasi pareva una velata supplica, un bisogno di essere
perdonato per aver osato tanto con lei, con la sua Rosa Bianca. L’epilogo tanto atteso. Un
finale già scritto nella testa della vampira che si stava avverando. Il
solito copione che si ripeteva ogni volta. E in quel cliché non poteva
mancare la retorica di una finta ritrosia, che non aveva altro effetto che
aumentare il desiderio di esaudire ogni sua volontà. “Padre...io vi amo e non
posso chiedervi nulla. Non costringetemi ad approfittare del vostro
sentimento, di questo legame che ci unisce, ve ne prego!” Non lo guardava
negli occhi nel dire quelle parole così menzognere. In realtà non aspettava
altro. Lo continuava a tenere stretto, quella semplice pedina, appoggiando il
mento alla sua spalla, mentre sentiva i suoi baci sui capelli, le sue carezze
sulla schiena, il suo profumo intenso e amaro. Gli occhi di Axel erano
chiusi, serrati, come se stesse per piangere, abbandonandosi a lacrime di
disperazione per quel contatto, come un feroce alligatore che si dispera dopo
aver dilaniato il suo pasto. Al contrario gli occhi felini della vampira
rimanevano aperti, a osservarlo di soppiatto, attendendo la sua risposta.
Niente di più scontato. Lentamente l’abbraccio
cominciò a sciogliersi. Il Conte alzò piano le palpebre, tenendo sempre
bloccata per le braccia, con forza, la sua diletta. La osservava, non poteva
fare a meno di guardarla, la creatura che più ha amato dopo la sua morte. La
sua bambina lo curava nell’animo della sua dannazione con un’amorevolezza che
solo una persona che prova un forte sentimento può avere. Oppure la migliore
delle attrici. Non sorrideva: era severo, serio, assolutamente concentrato su
di lei, che avrebbe posseduto ancora altre dieci, cento e mille volte, se gli
fosse stato concesso. L’avrebbe tenuta sempre a sé, sempre accanto, facendone
una regina, la sua regina, se solo non fosse stata sua figlia. La immaginava
incoronata, con quel diadema un tempo appartenuto alla loro signora, Lilith,
che ormai aveva smesso di regnare per lasciare il posto alla sua progenie. E
quel retaggio antico le avrebbe donato, sarebbe stato così perfetto sul suo
capo. Un diadema di diamanti lucenti. Il tono si fece insistente.
Non poteva non ricompensarla per il suo amore, non rientrava questo nella sua
etica di Grande Cavaliere della Notte. Deglutì, prima di ripronunciare la
richiesta già avanzata prima. “Insisto, mia adorata!
Chiedimi qualcosa, anche la più stupida, anche la più insignificante. Ma
concedimi di farti dono di ciò che più desideri!” Abbassò il capo. Non
riusciva a guardarla dritto negli occhi. La sua colpa era molto grande,
ingigantita ulteriormente dalla perseveranza nel suo delitto. Il capo della ragazza si
reclinò ulteriormente, questa volta verso sinistra, mentre osservava il suo
sovrano quasi inchinato a lei, la quale non era altro che una delle tante
contessine che popolavano il castello. La più piccola e la più diabolica. Un
sorriso, quasi compassionevole, sorse sul volto, mentre una mano si portò
delicatamente al viso del padre. Una dolce carezza ne nacque, sfiorandogli la
pelle irsuta per la corta e pungente barba. “Se me lo chiedete in questo
modo, come posso io non esaudire il vostro desiderio? Voi mi tenete in pugno,
lo sapete.” Quale menzogna! “Ebbene. Ciò che io più bramo è che mi sia resa
giustizia di un torto fattomi qualche giorno fa, padre mio…” Sapeva come
muoversi con lui. E poteva benissimo prevedere ogni sua azione. Una furente
rabbia si potè leggere nello sguardo del conte. Qualcuno aveva osato oltraggiare
la sua Dalila, senza considerare l’ira del padre. Qualcuno aveva osato tanto,
violando le precise disposizioni da lui poste circa la persona della
contessina. “Chi ha osato tanto?” gridò,
senza alcun regale contegno, senza esitare una sola volta su quel minaccioso
tono. “Chi ha tentato di fare del male a te? Chi ha provato a sfidarmi?” Era
quasi incontenibile il grande leone che era in lui, la sua forza, il suo
furore. Non poteva essere successo questo, non era possibile. In primo luogo
per il proprio prestigio e per la propria autorità; e poi per quello che
rappresentava per lui la vampira che stringeva tra le braccia. “Dimmelo, dunque!” Rimase scossa la piccola,
turbata da quell’espressione che poche volte aveva saputo leggere nel suo
sguardo. Vacillò per un momento, spaventata dall’autorevole sovrano, che ora
si mostrava completamente nella sua natura, che da sempre incuteva terrore e
sottomissione. Ma fu solo questione di un attimo, perché con sicurezza tornò
a farsi padrona della situazione. “Padre, tranquillizzatevi, vi
prego. Ora vi spiegherò tutto.” Voce pacata e suadente nel calmarlo. L’esito
fu abbastanza controverso, perché ancora Axel faticava ad acchetarsi. “Sir
Lawrence, sapete…non è stato egli ad oltraggiarmi, ma quel figlio. Il suo nome
è Andrew, se non vado errando. Continua a stargli addosso e vuole
assolutamente mettermi nelle condizioni di trascorrere il minor tempo
possibile con il mio futuro sposo, al fine di…chissà che cosa! Sir Lawrence
non fa altro che parlarmi di lui e so anche, come mi è stato riportato da
fonti certe ed indiscutibili per veridicità, che anche con gli altri
cortigiani parla assai più frequentemente di lui che di me, come invece
avveniva prima del loro incontro! Per di più girano voci scandalose sul
vostro futuro genero, che affermano addirittura che egli sia…”confuso”,
diciamo. Mi capite? E’ inammissibile che si dicano cose del genere su un
membro di così grande prestigio per il casato! E tutti i nostri problemi sono
cominciati con l’arrivo di quel ragazzino!” Ancora abbassò il capo, mentre la
mano che accarezzava il volto del sovrano si portò alla fronte, a
sorreggerla. Gli occhi si strinsero e una stilla di calda vitae rossa, una
lacrima, segno il viso della giovane, che venne rigato rapidamente,
scivolando lungo le gote, fino al mento. Quella visione, degna di una
primadonna di teatro, magistralmente interpretata, fece ulteriormente
infuriare Axel, che immediatamente scattò in piedi, sbattendo anche contro il
letto, generando uno strofinio sul pavimento di cotto molto fastidioso: un
rombo quasi. La sua Dalila piangeva per colpa di uno squallido vampiro. Un
semplice nipote, che già odiava nel profondo del suo animo. Un nipote che
voleva vedere polverizzato, distrutto, consumato. Si prefigurava già la sua
fine, la sua condanna a morte: un patibolo in pieno giorno. Niente di più
atroce! “Pagherà! Fosse l’ultima cosa
che farò, credimi figlia mia!” Voce compassata, che mal celava il suo reale
stato d’animo. Non urlava, perché non voleva spaventare la sua bambina, già
troppo tormentata. Non lo meritava. Non aggiunse altro. Non
sapeva nemmeno come concludere quel discorso, quel loro incontro che si
risolveva nel più amaro dei modi possibili. Si volse tacendo e si diresse
rapido verso la porta. Il passo imponente e pesante generò un rumore sordo,
reso ancor più temibile dal tintinnio di catene e ferraglie che adornavano il
prezioso manto regale. La porta cigolò nell’aprirsi e rimbombò nella stanza
nel richiudersi. Dalila non sollevò il capo,
lasciando che la sua lacrima macchiasse anche il lenzuolo entro cui giaceva
seduta. Una piccola screziatura color rubino sul livido e luminoso candore di
quel letto e della sua camicia da notte di leggera mussola. Nel momento in
cui fu certa che il padre se ne fosse realmente andato, alzò allora il capo.
L’espressione era ancora particolarmente contrita, distrutta, dispiaciuta,
avvilita. Una donna che scopre che il proprio uomo degna di maggior
considerazione un altro uomo che non la sua futura sposa. Rimase così ancora
per qualche istante, quando ormai i passi di Axel non erano più assolutamente
udibili. E quindi ecco la verità. Finalmente qualcosa di vero. Un sorriso
cominciò ad allargarsi sul suo volto, dapprima appena dipinto, quindi sempre
più evidente, fino a mostrare i canini, i suoi amati canini, che attendevano
come ogni notte di essere affondati nel collo di qualche ignara vittima. Ed
ecco una risata, una risata fragorosa, forte, che riempì con la sua sonorità
tutta la stanza, che la pervase con le sue reali emozioni, le più sincere,
tutt’altro che soavi e gentili come quelle propinate al padre. Di scatto uscì dalle
lenzuola, scoprendo le gambe rapidamente, levandosi in piedi con fare
baldanzoso e felice. Era felice. Estremamente felice. Il sorriso si strinse,
pur sopravvivendo, mentre cominciò ad emettere una melodia improvvisata,
festosa e gioiosa. In pochi passi raggiunse quindi l’ampia specchiera in
legno appesa al muro, non tanto distante dal letto, mentre una mano andava ad
accarezzare appena i capelli, ancora scompigliati per il sonno diurno e per
il focoso incontro con il Conte. E la sua immagine si rifletteva nello
specchio, bellissima come ogni notte, come ad ogni risveglio. Avvicinò allora
il volto al vetro gelido, seppur più caldo delle sue labbra, che lo baciarono
dolcemente; un breve tocco, prima di tornare a sorridere apertamente. La
destra corse ad afferrare una vecchia spazzola dal manico in avorio, molto
preziosa, per potersi così pettinare i capelli. Li voleva spazzolare, per
renderli sempre più perfetti. E cominciò a dare qualche colpo, insistendo
forte, tirando con decisione, continuando a ripetere quel gesto innumerevoli
volte. Ad un tratto si interruppe,
restando a fissarsi riflessa; la mano che teneva la spazzola venne allora
condotta al petto. L’espressione tornò immediatamente seria. Infine un
mormorio, sottile e minaccioso. “Così imparerai a non toccare
più ciò che mi appartiene…” ***Pestilenza - Marzio*** Spero di aver fatto un buon
lavoro, visto che anche per me è la prima esperienza come "fanficcista"
o "fanficciatore" o "fanficciaro"! Comunque fatemi sapere e
ditemi se vi ha generato strani disturbi gastrointestinali. Non rimborso
nessuno, ma cercherò sicuramente di migliorarmi, per quanto mi è possibile!
*__*
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