Disclaimer: I PERSONAGGI SONO TUTTI MAGGIORENNI e frutto della mia fantasia! Qualunque riferimento a persone o avvenimenti è puramente casuale.
JB è preso dal racconto originale: “Posa per me”. http://forum.ysal.net/viewtopic.php?t=2672

Rating: R/angst

 


La fine di tutto

di Fiore di Girasole

*fic scritta per il progetto letterario "Morceaux"

 

Tutto iniziò un giorno come tanti. Ero in palestra ad allenarmi quando mi presentarono un certo J.T. Braxton, che si spacciava per un grande imprenditore, il proprietario di una casa discografica. Quello lì, vedendomi combattere, aveva deciso di offrirmi dei soldi come sponsor. Ci pensai bene prima di accettare, innanzitutto m’informai sulle sue credenziali. In effetti si trattava veramente di un uomo ricco e stimato da tanti, nient’affatto un millantatore come avevo inizialmente creduto, anzi rimasi senza parole quando seppi che era lui il produttore di alcune band musicali e di rapper abbastanza famosi, che passavano spesso per radio. Sembrava un’occasione da cogliere al volo, da non lasciarsi assolutamente sfuggire. Ecco perché accettai, sebbene il mio sesto senso cercasse di frenarmi; non riuscivo a distogliere la mente dall’idea che quello sguardo truce non fosse semplicemente severo e, pur riconoscendogli di essere un uomo affascinante ed a modo, la sua presenza mi incuteva sempre una sensazione di disagio che mi rimaneva addosso anche una volta tornato a casa. Però, per quale motivo avrei dovuto preoccuparmi? Cosa mai avrebbe potuto fare, se io non l’avessi provocato in nessun modo? Nella peggiore delle ipotesi, avrei dovuto solo trovare un nuovo sponsor.

Che idiota sono stato. Credevo di aver capito come va questo mondo e che fosse tutto così dannatamente semplice… tutta quella preoccupazione aveva il suo motivo di esistere, se mi tormentava! Avrei dovuto dare ascolto all’istinto che diceva: “non fidarti” e non alla ragione, fredda, distaccata e puttana, che al contrario cercava di mostrarmi come scelte migliori, quelle più immediate, perché apparentemente più logiche. Se, in qualche modo, avvertivo quell’uomo come pericoloso, avrei dovuto attenermi a questo e rifiutare subito, senza pensarci oltre. Ma chi l’ha deciso che i pre-giudizi sono sempre infondati; che veramente l’apparenza inganna?
Per allontanare quel senso di inadeguatezza cercai tanto di svolgere al meglio il mio lavoro, m’impegnai ogni giorno instancabilmente, finendo a volte addirittura col trascurare il mio amore, e questa è l’altra cosa che non mi perdonerò mai.
Credevo però di fare soltanto il nostro bene, pensavo che se avessi vinto il titolo massimo infatti avrei potuto beh, magari non dico soddisfare qualunque nostro desiderio, ma certamente vivere in modo più sereno la mia storia con lui.

Delle volte – e quello era uno dei momenti più piacevoli – al contrario delle donne di tanti pugili, che vedevo insofferenti ad aspettare che i proprî uomini finissero di allenarsi, insisteva con l’aiutarmi. Allora saliva sul ring e ci scontravamo. Lo ammetto, Ethan era così sexy con indosso quei pantaloncini, a torso nudo ed i guantoni e il casco azzurri, che non riuscivo a smettere di guardarlo, oltretutto non volevo che si facesse male e ogni volta mi facevo un sacco di seghe mentali. Speravo non lo capisse mai, voleva solo aiutarmi a migliorare, non allenarmi ad indietreggiare di fronte ad un avversario. Lui invece, per non essermi troppo inferiore, quando lottava contro di me s’impegnava ancora più del solito e, cazzo, quante botte mi sono preso da lui! ‘E per fortuna che faceva “solo” kick-boxing!’ – e che tanti pensano sia uno sport inferiore, “da femminucce”, considerato che molte donne lo scelgono per autodifesa. Invece è vera boxe, solo che richiede più agilità e molta elasticità muscolare, insomma una via di mezzo tra uno sport violento e le arti marziali.
Spesso i nostri coach avevano da ridire sul fatto che ci allenassimo insieme, proprio per le differenze fisiche e di allenamenti: anche se fossimo stati iscritti per la stessa specialità, saremmo stati comunque di due categorie troppo diverse. Diverse un corno, che sul ring ero io quello considerato più forte ma in concreto era lui a pestarmi! Una volta è addirittura riuscito a prendermi di sprovvista con una spazzata per poi colpirmi con un destro, stendendomi al tappeto e facendo così preoccupare tutti. Rimasi stordito per alcuni secondi, il volto sanguinante. Alle labbra spaccate però ero abituato già da tempo, così ne approfittai per vedere se avesse il coraggio di farmi la respirazione bocca a bocca. Ma lui non si muoveva, forse spaventato all’idea di avermi steso definitivamente. “Ethan, non mi aiuti?” “Stronzo, lo stai facendo apposta!” e mi piantò un pugno nello stomaco talmente forte da piegarmi in due, al punto che preferii alzarmi piuttosto che restare ancora un bersaglio facile.
Certo che pure lui si scatenava alla grande sul ring! A dispetto del volto e del suo modo di fare sempre così dolce… in altri momenti infatti non si sarebbe mai sognato di colpirmi o insultarmi, neanche per scherzo. Nel rialzarmi indugiai un istante nel guardare il suo volto imbronciato, e mi sembrò bellissimo tutto madido di sudore, coi capelli neri che gli scendevano sulla fronte, gli occhi castano scuro che mi guardavano decisi… e come dimenticare quelle gote arrossate per lo sforzo e l’imbarazzo di aver compreso la mia sfacciata richiesta di poco prima?
Gli rivolsi un sorriso obliquo, a mo’ di sfida – non volevo affatto dargliela vinta nonostante non riuscissi del tutto a rialzarmi – e lui, invece di aiutarmi si tirò indietro, mostrandosi ancora offeso per aver rischiato di far comprendere agli altri che stavamo insieme.
“Questa me la paghi…” Aggiunsi con un filo di voce, mentre il mio stomaco, ancora dolorante, mi suggeriva di non farlo incazzare mai più.

Erano tutti convinti che fossimo amici affiatati, quindi nessuno intuì nulla di noi quando decidemmo di andare a vivere insieme. Nessuno tranne quel verme…
Ci provò con me una volta: me lo vidi piombare nello spogliatoio dopo un incontro ed io ero lì da solo per cambiarmi. Parlavamo del match, di qualche azione in cui ero parso leggermente insicuro. Non potevo certo prevedere quali intenzioni avesse, perciò non mi feci scrupoli a denudarmi davanti a lui. A guardare le donne che si porta appresso, specialmente quella castana formosa che gli ronza attorno in questo periodo, chiunque penserebbe che sia eterosessuale, ed anch’io avevo fatto l’errore di non accorgermi del suo vero interesse nei miei confronti. E non tardò a farmi delle avances, che respinsi imbarazzato, ma purtroppo insistette finché non riuscì a strattonarmi verso di sé e pregai, Dio sa quanto pregai, che l’asciugamano attorno alla vita rimanesse ben saldo. JB doveva essere veramente forte – oppure molto deciso, ed io troppo sconvolto – se ebbe la forza di prendermi di sprovvista e bloccarmi per il polso. Disse che gli piacevo e le donne per lui non erano altro che bambole gonfiabili e bei soprammobili, ostentazioni di potere e indubbiamente lo saranno ancora. Disse che siamo uguali, che ad entrambi piacciono gli uomini, ma non è vero, cioè a me non piaceranno mai nel modo disgustoso e prepotente in cui piacciono a lui.
Quel porco non fu contento finché non mi strappò un bacio, e se è vero che per questo mi feci fregare, per il resto gli impedii di cogliermi di sorpresa. Che si accontentasse! Aveva già ottenuto parecchio per i miei gusti.

Ciononostante, la mia non si rivelò una scelta felice. Rifiutarlo servì solo ad inaridirlo ulteriormente e da allora non mi ha più dato tregua. Ha cercato in ogni modo di ottenermi, anzi, di prendersi ciò che voleva, con qualunque mezzo gli venisse in mente; ma non avrei mai potuto credere che me l’avrebbe fatta pagare così cara, che si sarebbe spinto fino a…
Compresi che non me lo sarei mai scrollato di dosso quando mi mise alcuni suoi uomini alle calcagna ed iniziò persino a pretendere che io vincessi o perdessi gli incontri in base alle soffiate che riceveva dal suo allibratore, in modo da puntare molto ed essere sicuro di vincere con la massima facilità o almeno poter consigliare ad alcune sue conoscenze su quale nome scommettere. Io però mi sono sempre rifiutato di farlo, non potevo assolutamente, così come non potevo nemmeno concedermi a lui: la dignità prima di tutto!
Ed allora cercò di convincermi che impegnarsi da soli era troppo faticoso, che con qualche aiutino sarebbe stato più facile… però, NO! Anche questo non potevo farlo, nemmeno quando iniziò a minacciare il mio ragazzo.
A volte mi chiedo cosa sarebbe successo se almeno per qualcosa gliel’avessi data vinta. Forse non sarei arrivato sino a questo punto, e starei ancora con Ethan. Oppure quel farabutto non avrebbe mantenuto la parola data e sarei rimasto da solo ugualmente.


***

Cosa mi resta di te ora, Ethan? Soltanto le tue cose ed un po’ di foto sbiadite, ricordi che in certi momenti, come adesso che le stringo fra le mani, vorrei gettar via perché mi costringono a pensare a te, ma non sono te e mentre le guardo non riesco a sciogliere quel nodo alla gola che quasi mi soffoca.
Mi manchi da impazzire, mi mancano i tuoi gesti, le tue premure; la tua fantasia nel fare l’amore. Ricordo ancora quella mattina in cui venisti a portarmi il caffè a letto e per caso inciampasti nella lunga coperta, versandomi addosso il contenuto della tazzina.
Ahh, che ricordi! Mi stavi chiedendo quante zollette volessi, ed io che mi ritrovai a risponderti con un urlo. D’altronde vorrei vedere te al mio posto, svegliarti all’improvviso con l’addome ustionato dal caffè! E tu, subito, preoccupato di avermi potuto fare molto male…
“Perdonami, non l’ho fatto apposta. Ti giuro, ho fatto molta attenzione.”
Io che, con le lacrime agli occhi, ancora imprecavo contro il calore della mia bevanda preferita e tu che guardavi intorno, alla ricerca di un pacchetto di fazzoletti. Poi all’improvviso ti vidi bloccarti, un ghigno malizioso sul tuo volto angelico.
“Chiudi gli occhi!”
“Eh?”
“Eddai, fidati.”
Cosa non si fa per amore!

Feci come mi dicesti: chiusi gli occhi, attendevo un bacio. Però mi sentii privare completamente della coperta e sapevo bene di essere completamente nudo. Il mio cuore iniziò a battere all’impazzata appena realizzai che forse avevi in mente di leccarmi via il caffè con tantissime dolci lappate. Invece avvertii sul petto una sensazione di ruvido.
“AHH! che mi fai!?” esclamai, preoccupato, con un tono acuto da femminuccia. A dire il vero odio chi se n’esce con quei gridolini da ‘ommioddio’ e poi sono il primo a farli. Eppure, cazzo! Ci ho sempre tenuto molto a sembrare un macho, invece chissà perché non mi riesce quasi mai.
“Amore mio,” – mi dicesti divertito – “non vorrai che ti lasci addosso tutto quel caffè. Ho fatto danno e devo ripulire, no? Se però non vuoi, lascio perdere.”
Che tono malizioso usasti in quel momento. Ti guardai meravigliato, ci conoscevamo già da tempo, eppure riuscivi a sorprendermi ancora.

Amore mio,’ eri tu il mio amore, quello splendido ragazzo che ancora mi chiedevo quale santo misericordioso mi avesse aiutato a conquistare.
Ed eri tutto intento a posare delle zollette di zucchero su quel liquido scuro che si era depositato nei solchi dei miei muscoli scolpiti da anni di allenamenti. Pian piano che si scioglievano poi, con le dita me le spalmavi addosso, impiastricciandomi tutto. Sai, anche se non te lo dissi mai apertamente, quel massaggio fu così tanto piacevole…
“Ah…” – iniziai a gemere – “non smettere, ti prego.” – E tu proseguisti, leccandomi tutto fino all’ultimo residuo di zucchero al caffè. Ti sollevasti dal mio addome solo per dire che sapevo di caramello, che era un bell’accostamento con la mia pelle scura come il cioccolato al latte. E nel dire così, già ti abbassavi di nuovo su di me, per proseguire il tuo giro turistico ad esplorazione del mio corpo, andando a leccare dove prima non eri giunto.
Quel giorno avevi intenzione di farmi venire un infarto, se non col caffè bollente, allora con quei giochini mediante le zollette, oppure dopo con quel tipo di sesso che mi concedevi poche volte – solo nelle occasioni speciali – perché ti imbarazzava da morire. Ti posai una mano sulla testa per fermarti.
“Aspetta, non sentirti obbligato solo perché sai che a me piace.”
“Davvero, non c’è problema. Prima, quando ti ho visto sporco di caffè io… ecco… so che di solito mi vergogno, però, oggi ho tanta voglia di farlo.”
Diventasti più rosso dei miei guantoni preferiti, quelli che non userò mai per non sciuparli – perché autografati dal mitico Cassius Clay (1) e che fanno bella mostra nello studio, pur con tutte le accortezze dovute a una reliquia – e facemmo l’amore, con te imbarazzato, come sempre; dolcemente, come sempre. Anzi di più, perché quel gusto di caffè abbondantemente dolcificato si era impregnato nella tua lingua e, forse la tua vicinanza, oppure il fatto che mai come quel giorno avessi acceso il desiderio di entrambi, credo che raramente sia stato così bello.

Lo facemmo col preservativo, come sempre; l’unica seccatura a rovinare l’idillio, come sempre! Per te non c’è mai stato problema, e d’altronde doveva andarci bene per forza perché col mio mestiere, nonostante i controlli e tutte le protezioni, è impossibile sentirsi sempre al sicuro. Di sangue ne vola parecchio sul ring, basta un gancio assestato meglio per un attimo di distrazione dell’avversario o perché uno dei due è leggermente più in forma, ed a volte gli schizzi arrivano quasi fuori da quel quadrato bianco recintato. ‘Ma perché mi piace la boxe? C’è quando in quel recinto ci si riduce davvero come buoi al macello!’
Se non altro, col preservativo non soffrivi molto quando ti facevo mio perché scivolavo facilmente nel tuo corpo e potevo spingere di più, anche tutto in una volta se lo desideravo; almeno per questo potevo seguire l’istinto senza timori eccessivi. Quando ti ho conosciuto eri vergine, eppure non ti ho mai visto piangere per il dolore della nostra unione. Io, al contrario, ho sempre sofferto dentro di me per doverlo fare in questo modo, perché avrei tanto voluto sentire anche lì la mia carne unirsi alla tua, la mia pelle sfregare sulla tua, non avere l’intralcio di quel guanto di gomma in mezzo.
Avrei voluto tanto spargere il mio seme dentro di te e poi, una volta uscito, sentirti umido e appiccicoso, non solo di sudore, ma anche di noi.

Ethan, tenevo così tanto a te, non avrei mai voluto rischiare di farti del male; ho sempre avuto una maledetta paura di farti del male!
Ed alla fine tutte quelle attenzioni, tutte quelle protezioni a che sono valse? A nulla! Solo a farmi diventare il genere di persona che ho sempre detestato di più, una specie di mammina iperansiosa, sempre preoccupato come sono di controllare qualunque dettaglio della mia esistenza! Incapace di mandare a fanculo per una volta una cazzo di protezione di qualunque tipo, anche soltanto per dimostrare di avere l’istinto di un uomo e non solo forza e comandi codificati come un androide, o l’istinto di un bue pronto a incornare il toreador.
Ogni volta che prendo i miei guantoni neri prima di salire sul ring, o che indosso il casco nero durante gli allenamenti; ogni volta che mi lego le scarpe – nere e persino i lacci della stessa tonalità! forse cercando d’intimorire l’avversario con quel colore cupo e minaccioso – mi sento una marionetta; e quei lacci sono i fili che decidono come farmi muovere.

“Non legarli troppo stretti, o perderai agilità.”
“Va bene.”
“E quella protezione per la testa, mi raccomando, non legarla stretta al mento se non vuoi sentirti soffocare.”
“Basterebbero i tappi per le orecchie come protezione alla testa e per non sentirmi soffocare.”
“Che hai detto?”
“Nulla, ripetevo a mente i suoi consigli.”
“Sì, come no! Piuttosto ricorda che quando avrai l’incontro non potrai fasciare le mani senza la presenza del giudice sportivo, e di farlo bene se non hai intenzione di sbucciarti le nocche.”
“D’accordo, coach. Sono un professionista, ormai credo di saperlo.”
“E i guantoni, chiamami che te li lego per bene.”
“Va bene, coach!”
Quante volte ho sognato di tirarle un pugno sul muso per farla stare zitta! Alle volte ci vorrebbe davvero e forse lo farei se non fosse una donna, sebbene ci voglia davvero molta fantasia per definire tale “quella lì”! Però immaginate la soddisfazione di farlo sul serio e dire: “Così va bene, coach?”
“Ah, Karl…” – ‘Che cavolo si è ricordata ancora?!’ – “Buona fortuna.”
Ecco, come al solito con quel sorriso affettuoso da genitore preoccupato ma fiducioso, mi frega; e dimentico ogni proposito omicida nei suoi confronti, di provare se un bel pugno di un pugile dei Pesi Welter in piena faccia sia o meno un’arma micidiale. Invece resto zitto, assorto, mi rendo conto che nessuno come lei può comprendere la mia solitudine. Mi vede pensieroso, oramai si è creato quell’affiatamento per cui a volte ci troviamo come sospesi in un attimo di quiete totale, un secondo in cui sembriamo entrare in simbiosi e comprenderci a vicenda. Sarà questa che chiamano intesa fra uomini? - Ah, già è una donna! - Beh, è innegabilmente qualcosa di imbarazzante per entrambi. Allora perché non riprendere a punzecchiarci come al solito?

“Ricorda anche di mettere il paradenti, se vuoi avere ancora la possibilità di baciare qualche ragazza!” e mi rivolge un sorriso ammiccante, di quelli che mi fanno rabbrividire. Se mai dovesse provarci con me, giuro che dimenticherei di farmi scrupoli a tirarle un bel gancio.
“Insomma basta coach, quando morirò sarà di sicuro a causa di tutte queste protezioni! E poi che schifo baciare una ragazza!” La vedo voltarsi verso di me “Che ha da guardarmi così? Ho solo detto che finché sarò un pugile, difficilmente avrò una ragazza.”
“Ah, bene allora. Avevo capito altro.”
Stavolta non resisto oltre, e le lancio addosso la prima cosa che mi capita sotto tiro. Peccato che quel maschio mancato abbia fatto in tempo a chiudere la porta…!


Vengo risvegliato da questi pensieri da Joe. Sì, come Rocky Joe, che volete farci se il mio Ethan per prendermi in giro si è divertito a chiamare così il gattino che mi ha regalato?! Cercai di convincerlo che quel nome non mi piaceva affatto, che mi avrebbero preso per un invasato, ossessionato dalla boxe al punto da chiamare persino il gatto come uno dei campioni più famosi… dei cartoni animati! Aahhah! Tutte le volte che ci penso mi viene da ridere: lui imbronciato perché gli era sembrata un’idea geniale mentre io parlavo seriamente, però come contraddirlo? In fondo non chiedeva mai nulla, e poi… ai nomi ci si abitua presto.
“Vieni, micio, facciamoci un po’ di coccole,” – gli dico ora con le lacrime agli occhi – “siamo rimasti soli.” – E la paura della solitudine mi annienta.

È la vendetta della mafia per essermi sempre rifiutato di usare droghe, mettendomi contro alcuni delinquenti locali in quanto, così facendo andavo contro i loro interessi; per essermi sempre rifiutato di vincere o perdere a loro piacimento, costringendoli a fare puntate molto ridotte e senza la minima certezza di intascare qualcosa.
Mi sono rivelato d’intralcio e loro hanno pensato bene di liberare me di un… intralcio. Ma dopo aver fatto tanto per lui, anche se non so più dove cercare un punto di riferimento, si sbagliano se pensano che getterò la spugna: non l’ho mai fatto durante un incontro, non l’ho mai fatto in senso simbolico e non lo farò certamente adesso! A maggior ragione ora che mi hanno privato dell’amore più grande, perché tanto la mia vita senza di lui non vale nulla, ed in ricordo del suo amore non posso nemmeno sprecarla inutilmente. Posso soltanto continuare a battermi per lui, affinché sia fiero di me, ed è tutto ciò che posso offrirgli ora e che nessuno potrà mai negarmi, nemmeno se mi privassero della mia stessa vita.


“Fa’ in modo di perdere la finale del campionato, se non vuoi raggiungere il tuo fidanzatino.” – mi ha detto giorni fa Brad, lo scagnozzo di JB (quel farabutto di cui vorrei tanto spifferare alla stampa un po’ di retroscena), puntandomi contro il ventre una pistola e dimostrando così di avere serie intenzioni di mantenere la parola data – “Dici che lo amavi e non sei disposto a fare questo sacrificio per lui? Non sarebbe poi tanto contento di vederti morire come lui, anche se con te ci vorrebbe stomaco per portare a termine lo stesso servizietto.” – A quel punto si è avvicinato fino a parlarmi nell’orecchio, per sibilare quelle sue meschinità come un serpente, quell’essere viscido che non è altro! – “Sai, è stato un piacere torturarlo per te, scoparlo poi, meglio di una puttana: sapessi come gemeva, come cercava di divincolarsi.”
“Maledetto bastardo! Non fosse che rischierei di ammazzarti e finire in galera, ora ti pesterei a sangue, invece, proprio perché lo amo… sì, lo amo ancora!… io voglio fare di tutto per vincere la cintura della mia categoria. Anche se lui non sarà lì, tra gli spalti a vedermi trionfare, il suo spirito sarà fiero di me, e voi non potrete impedirmelo perché per vincere le vostre scommesse avete bisogno di tenermi in vita. Giusto?” – Non so come ho potuto osare tanto in quel momento nonostante le minacce, certo non per fiducia in me stesso, forse per reazione al timore che le sue parole mi avevano incusso. – “Dopo l’ultimo incontro potrete anche togliermi di mezzo, o potrei provarci io con voi, vedremo.”
In quell'istante, guardando gli occhi folli dell’altro accendersi di ira, ho temuto di essermi già guadagnato davvero un bel finale.
“Tzk, ti dai troppe arie, però hai ragione. Vedremo chi la spunterà.”


Ritorno ad abbracciarmi il gatto nero, ‘una pantera come te’ mi sembra ancora di sentirlo pronunciare dal mio amore. È in momenti come questo, quando ho tanti di quei flash-back che continuano ad alternarsi tra passato e presente e so che non potrò mai più stringerlo fra le braccia e baciarlo, che ho tanta di quella paura – di vivere, di sbagliare, di poter causare ancora sofferenza a qualcuno – e persino un animaletto mi dà protezione e conforto. Mi sto rammollendo: io grande, grosso e forte a piangere e disperarmi chiedendo aiuto ad un cucciolo indifeso.

Suona il telefono riportandomi brutalmente alla realtà, facendomi trasalire. Aspetto di tranquillizzarmi prima di andare a rispondere, ho bisogno di tutta la mia lucidità per potermela cavare anche solo in questo.
“Pronto, Karl?”
“Jade, avrei dovuto immaginarlo che fossi tu.”
“Sei tutto solo? Perché non vieni da me, giusto per vedere un film insieme. Ultimamente ti vedo sempre triste.”
“Ti sbagli, sto bene.”
“Allora vieni soltanto per vedere un film, anche se stai bene.”
‘Soltanto? Perché, per quale altro motivo dovrei andare?’ “E se fossi già impegnato per questa sera?”
“Non mi freghi, ci crederò il giorno in cui mi presenterai una persona speciale! Suvvia, cioccolatino, che ti costa accontentarmi per una volta?”
“D’accordo, arrivo, però non t’azzardare ancora a chiamarmi cioccolatino!”
“Non puoi startene chiuso in casa ogni giorno ed uscire esclusivamente per andare in palestra!”
“Sì, sì, va bene, ho capito. Ho già detto che vengo, ci vediamo più tardi.”
“Ti aspetto. Ciao.”
Caspita, che gran rompicazzi che è! E quanto non sopporto di non riuscire mai a dirle di no!
In pochi minuti mi preparo ed esco. Tanto stare a casa serve solo a rimuginare sui soliti pensieri e almeno sino alla fine del campionato non oseranno affatto farmi fuori.
Nel giro di una mezz’oretta sono da lei. Quando mi apre la porta stento a riconoscerla. ‘Non posso crederci, si è vestita da donna!’ E non fosse che non avrò mai il minimo interesse per il gentil sesso, devo ammettere che è piuttosto arrapante: la minigonna nera ed il top blu ne mettono in risalto il fisico scultoreo – con tutta la palestra ed il body building che fa e da molti più anni di me, è il minimo – e una volta tanto sembra persino carina con i capelli biondi, la frangetta rosa e qualche ciocca blu.

“Coach, ha cambiato gusti?”
“Uffa, sapevo che me ne avresti detta qualcuna! Temevo le battutine. Comunque no, volevo sentirmi diversa, però tante volte cambiare qualcosa all’esterno non serve a molto.”
‘Si riferisce a lei o a me? Perché mi sento sempre come se potesse leggermi nel pensiero?’ “In effetti, per un attimo ho stentato a riconoscerla.”
“Perché mi dai del lei quando parliamo di persona? Al telefono mi dai del tu.”
“Ah, davvero? Forse perché quando la vedo penso a lei solo come il coach.”
“In palestra va bene, ma qui non ce n’è bisogno.”
Annuisco, davvero non l’avevo mai notato.

Dopo questi convenevoli entro in casa e, devo ammetterlo, sono meravigliato nel vedere che non è assolutamente come pensavo. Si capisce che lei ha una personalità predatrice, però considerando l’indole ribelle, immaginavo di trovare tutto meno curato. Invece, nonostante il colore pacchiano dei capelli e i modi da maschiaccio lascino intendere una certa superficialità per i giusti accostamenti di cose, dimostra di avere molta cura dell’appartamento e buon gusto nell’arredarlo. Tranne per alcuni oggetti appesi che sembrano carcasse di animali, ma che schifo è?!

“Che cosa sono quelle… cose lì?”
“Maschere vichinghe. Suggestive, vero?”
“Hm… fin troppo.” – mi chiedo come faccia a tenerle appese al muro – “Sono inquietanti.”
“Tutte le maschere sono inquietanti, anche quelle piuttosto angeliche, perché hanno la forma di un volto ma non parlano.”
‘Ringraziando il Cielo, anzi Odino, in questo caso.’
“Sono delle riproduzioni,” – riprende subito e qualcosa mi dice che avrà parecchio da raccontare – “ci voleva pure che fossero originali! Inoltre sono fatte di pelliccia sintetica, non come quelle di una volta. Ehi, non mi appenderei mai un animale morto in casa, come chi espone orgoglioso i busti delle proprie prede!”
“Per fortuna! O la pantera qui presente si sentirebbe in pericolo.”
Mi sforzo di sorridere, ma resta il fatto che quelle maschere di pelliccia, dalla forma del volto di un animale e, come se non bastasse, appese al muro, per quanto ecologiche non danno affatto una buona impressione. Sapere poi che le ha realizzate lei stessa, seguendo le indicazioni precise di un sito – tagliando i vari pezzi in un certo modo e cucendoli esattamente come facevano oltre mille anni fa – non mi aiuta affatto; anzi, mi mette solo in agitazione l’idea del tipo di esperimenti che sarebbe capace di fare, ma non posso affatto dirglielo. Oppure sì?
“Se non sbaglio però le maschere vichinghe erano di legno o metallo.”
“Anche. Ma quelle sono più corazzate, invece queste fanno più effetto. Eddai, ammettilo!”
“Già, direi che sono da infarto.”

Riesco poi a distoglierla dai suoi discorsi sui maschioni nordici – volti che, a differenza di quelle maschere avrei ammirato volentieri – e ricordarla del motivo per cui mi aveva telefonato, l’idea di vedere un film insieme. Ammesso che sia davvero per quello che mi ha fatto venire qui.
Che sappia cosa mi passa per la testa in questi giorni? Ma no, non sarebbe possibile. Di Ethan purtroppo non posso dirle nulla, e non solo perché non ho mai rivelato a nessuno la mia omosessualità. Tuttavia sono preoccupato perché lei sembra aver intuito che qualcosa mi tormenta, e che si stia scervellando per trovare il modo di spingermi a reagire o, quantomeno, di confidarmi.

“Ti vedo pensieroso, Karl. Negli ultimi tempi mi sembri scostante. È successo qualcosa?”
Faccio cenno di no con la testa, cercando di apparire abbastanza convincente. Fingo di essere assorto perché tutto preso dai programmi che danno in tv e penso seriamente che avrei dovuto restare in compagnia di Joe, ma passare ogni giorno rinchiuso in casa mi sembrava un’idea raccapricciante. Tuttavia, stare vicino ad una persona amica, che mi conosce da tempo senza poter dire nulla, è un supplizio ben peggiore. Se solo Ethan… se soltanto fosse qui con me, e ci fosse lui al posto di Jade…
“Ethan…” dico in un sussurro e mi avvicino con le labbra. Devo essere davvero fuso di testa per confondere il mio ragazzo con lei. Non c’entrano assolutamente nulla l’uno con l’altra, né fisicamente, né caratterialmente. Ritorno in me solo quando le nostre labbra sono così vicine da sfiorarsi.
“Scusa, io non posso. Vado via, è meglio.”
“Aspetta, mi lasci così? Io ormai credevo che… almeno quel bacio…”
“Stavo per fare una grande cazzata, Jade. Io non ti amo, non posso baciarti.”
“Karl, sarebbe stato solo un bacio.”
“Non puoi capire, io… il mio cuore appartiene ad un altro…” - mi mordo le labbra e poi tento di correggermi - “un'altra persona.”
“Ad un altro? Avevi detto ad un altro!? È per questo che non mi hai mai degnata nemmeno di uno sguardo?” - ‘Accidenti, sono stato poco attento ed ho finito col rivelarle tutto. Se si fosse trattato di qualcuno che conosco meno, cosa sarebbe successo?’ - “È quel ragazzo che vive con te, vero?” prosegue lei, che nel frattempo si è alzata e cerca di trattenermi per i polsi.
Per me è troppo. Non posso provare a parlarne perché il solo pensiero di ciò che è successo mi fa stare male. Seppure potessi farlo senza rischiare di metterla in pericolo, ora come ora non ci riuscirei e, sarà da vigliacchi, ma preferisco evitare l’argomento e defilarmi subito.
“Ci vediamo in palestra domani. Grazie per la serata.” quindi prendo e vado via sul serio.

‘Così, ancora una volta, cerco una via di fuga. Ma dove mai posso andare per fuggire dalle mie paure? Mi viene in mente quella canzone in cui un uomo per sfuggire alla morte non fa altro che andarle incontro. Se fosse quello il mio destino? Forse dovrei sperarci; forse… anch’io dovrei andarle incontro per ottenere finalmente la serenità? Chissà, magari se credessi nell’esistenza di un Paradiso e nella possibilità di incontrare altre anime lo farei, però purtroppo ho il dubbio sempre più inquietante di non aver mai creduto in nulla ed ora mi capita sempre più spesso di chiedermi se tutto ciò che ho fatto, tutto ciò per cui mi sono impegnato è stato per fiducia in me, per noia o solo per abitudine. E adesso? Perché continuo ad impegnarmi: per fiducia in me stesso? Per abitudine? Per inerzia? Per non pensare a Ethan, che è invece tutto ciò che voglio ricordare per sempre?...’

Torno a casa ancora più distrutto del solito: lui mi manca sempre di più, giorno dopo giorno mi sento sempre peggio e stasera quel quasi-bacio con Jade proprio non ci voleva. Non voglio rischiare di dimenticare il sapore delle labbra del mio Ethan. Mi stendo sul letto per affondare la testa nel cuscino, perché vorrei sprofondare da qualche parte, estraniarmi dal mondo, dimenticare tutto per un po’, ma qualunque sforzo pare inutile.
Prima pensavo ad una canzone, forse sarebbe una buona idea: accendo lo stereo – magari la musica paradisiaca della Dolce Triade (2) mi rasserenerà – e clicco play senza neppure controllare che ci sia il cd. Adoro tanto la loro musica che i loro cd li ho sempre fissi, uno nel lettore dvd per la tv, un altro nello stereo e il terzo nel pc.
Least that I could do/in memory of you./You taught me to the fly/no forgotten now./Turn the ship around/fly into the storm/scatter light all over the gloom...
Che cacchio di abitudine di lasciare impostata la funzione random, fra tante canzoni mi doveva capitare proprio questa che anche da allegro mi fa sempre commuovere! Quando pensavo alla musica paradisiaca, di certo non mi riferivo ad una visione del cielo e di qualcuno che vola tra le nuvole! Però stasera non ho la forza neppure di alzarmi per andare a spegnere. Speravo che mi capitasse il brano sulla corazzata, l’unico brano massiccio che ha sul serio il potere di rinvigorirmi.
keep flying/leaving tracks in the ether/can’t let that monster beat me/don’t think so/but they call it invincibile.
So I soar/though I’m deep inside the storm it won’t defeat me/shake me free/look out here comes trouble/maybe I’m just pushing through a dream/but all these things feel quite real to me...

Scoppio a piangere. Dovrei essere forte, lo so, però poi ci si stanca di essere sempre forti e queste parole le sento così adatte a me...


***

Mi tornano in mente questi ricordi e pensieri come se li rivivessi di nuovo, mentre sono sul ring, ormai all’ultima ripresa. Nel bene o nel male so che questo lungo tormento tra poco si concluderà e molto dipenderà da come saprò impormi adesso. Schivo un sinistro del mio avversario e getto uno sguardo tra la folla. Quel maledetto mi sta fissando lo so, lo riconosco subito nell’oscurità circostante perché nero com’è e vestito con un elegante completo bianco, quel demone sembra più che mai un cavaliere senza testa. Lo aiuterei volentieri a diventarlo, se ciò servisse a qualcosa, se servisse a portare indietro il mio amore e liberare me dalla sua vendetta. Per un attimo mi viene da associare questa visione a quella delle maschere di Jade, e la puttana di quel farabutto mi appare una possibile vittima sacrificale, poveretta. Il tutto mi dà un senso di repulsione tale che mi porta ad abbassare la guardia.
Sono esausto e nauseato, il mio avversario di oggi è veramente molto forte e non vedo l’ora che l’incontro finisca, che suoni quel cazzo di gong! È per non accumulare tanta stanchezza e tanto stress, che molti cedono agli stupefacenti? Beh, resterà un dubbio, non ci tengo affatto a provare. Posso scendere in basso quanto voglio, ma non al livello di rovinare l'unica passione che mi è rimasta.
Stavolta il mio avversario mi frega con un allungo che non riesco ad evitare e che sono certo mi lascerà un livido, però in questo modo dimentico finalmente ogni pensiero e per il tempo residuo dell’incontro mi concentro meglio che posso. Peccato che quando mi decida a darmi una mossa sia già tardi. Ancora qualche schivata e qualche altro colpo reciprocamente messo a segno, ma poi l’ultimo round finisce e se l’aggiudica il mio rivale. Dopo un intero match in parità, quel possente gancio di prima ha fatto la differenza.

Non ci credo, è finita? Me ne capacito quando l’arbitro prende me e l’altro per i polsi e, al centro del ring, dice il punteggio, ma il mio braccio resta giù. Sono talmente provato ed incredulo da avvertire tutto offuscato, da non sentire nemmeno per quanti punti ho perso, da non pensare nemmeno a guardare la tanto agognata cintura.
“Ho perso…” Dopo tanti allenamenti, tanti sacrifici. Solo perché per una volta non sono riuscito a mantenere il sangue freddo… Avrò deluso tutti quelli che credevano in me. Avrò deluso anche Ethan, dopo tutte le volte che ho promesso che questa vittoria l’avrei dedicata a lui. So che posso riprovarci, ma non sarà lo stesso perché era stavolta che mi premeva vincere. Ora che ci penso, aver perso significa pure che, senza volerlo ho fatto il gioco di…
Rimango imbambolato lì sopra, tutti staranno pensando che sia semplicemente la delusione di una sconfitta. Jade che, ancora una volta, dimostra di avere una grande sensibilità, da mamma-chioccia invece che da coach-burbero-e-severo, comprende che non è semplicemente quello a farmi male e sale sul ring accanto a me. Mi passa l’asciugamano di spugna e mi attira a sé in un abbraccio. È così piacevole sentirsi strofinare quell’asciugamano addosso… in testa, in particolar modo, mi riscuote in parte dal torpore.
“Ehi, campione, bell’incontro. Sei stato davvero grande.”
“Io… ho perso.”
“E ci riprovi l’anno prossimo, no? Dico sul serio, è stato veramente un bell’incontro. Forse tu eri troppo emozionato per accorgertene.”
“Sì?”
Sono nuovamente distratto. Prima che mi assalgano i giornalisti o di andare nello spogliatoio, voglio controllare cosa fanno quegli scagnozzi. Vedo JB alzarsi assieme ad altre persone, applaudire al vincitore come uno spettatore qualunque. Sono convinto però che quella carezza al fondoschiena della sua donna e il ghigno malefico che mi lancia, siano un avvertimento per ricordarmi di non illudermi di essermi liberato di lui, che sono suo in ogni senso, che può giocare con me a suo piacimento, così come sta facendo ora con quella ragazza e con le sue guardie del corpo. Mi guardo attorno rapidamente, penso che qui dentro siamo quasi tutti sue pedine.

Con stizza passo a Jade l’asciugamano ed i guantoni, getto via il paradenti e scendo dal ring. Ignoro le richieste dei giornalisti che cercano di bloccarmi per un’intervista a caldo sull’incontro, e dei fans che nonostante tutto vogliono un autografo e mi reco in fretta nello spogliatoio. Ho voglia di sfogarmi e una volta lì, finalmente posso farlo come mi pare.
“Merda!” – tiro un pugno contro l’armadietto, distorcendo la lamiera, in fondo non me ne importa più nulla di prestare attenzione alle nocche. – “Come faccio adesso?”
Quelli non me li toglierò mai di mezzo, né lui né i suoi uomini. E dire che non ho mai fatto nulla per cacciarmi in questa situazione!
Non ho il tempo di pensarci che entra Jade, sorpresa del mio comportamento e seccata di aver dovuto portare lei indietro le mie cose.
“Karl! Almeno l’asciugamano potevi portarlo con te!”
“INSOMMA, JADE, NON DEVI ENTRARE NELLO SPOGLIATOIO!”
“Ehi, datti una calmata, per favore!”
“Calmarmi?! Cristo santo, potresti vedermi completamente nudo, lo sai. Eppure dovunque vado, ti ritrovo sempre tra… le scatole, è meglio.”
“Non rivolgerti a me con quel tono, e poi… magari lo faccio apposta, non mi disgusterebbe affatto, sai? Oltretutto, a guardarti adesso, non mi pare che ci sia molto da toglierti di dosso…”
Sta scherzando per caso? La guardo come stordito, negli ultimi tempi ho dovuto pensare a tante cose tutte insieme che chissà, forse sono davvero io a non rendermi conto di quando sbaglio o esagero. Lei invece mi guarda le mani e vede che sono ancora fasciate, comprende che dev’essere per forza qualcos’altro a rendermi così inavvicinabile in questo momento, non la sconfitta. Allora, senza più proferire parola, si avvicina e le prende tra le sue. Inizia a liberarle dall’ennesima inutile protezione che, giunti a questo punto, avrei potuto benissimo risparmiarmi. Lo fa lentamente, quasi avesse il timore di mettere a nudo delle ferite ed allo stesso tempo per una forma di rispetto – della mia decisione di non dirle la verità. Anch’io comprendo all’improvviso perché tutte quelle premure nei miei confronti, quel suo modo di fare da un po’ a questa parte più femminile, meno competitivo del solito. È innamorata di me. Ha una voce molto dolce adesso, quando mi rivolge di nuovo la parola.
“Perché non vai a fare una bella doccia? Nel frattempo vado a prendere del caffè. Ti va? Così non rischio neppure di vederti nudo.”
Sorride, ma è un sorriso triste, ed annuisco sebbene poco convinto: il caffè che fanno qui è veramente pessimo e non sono nemmeno così pudico da vergognarmi di lei, che conosco da una vita.
“D’accordo…”
Perché ho l’impressione di aver rovinato qualcosa di prezioso, di aver rotto un equilibrio sacro per entrambi?
Provo a parlare ma quel groppo in gola non vuole andarsene. Stanotte sembra davvero rappresentare per me la fine di tutto.

Sarà l’effetto calmante dell’acqua tiepida o delle tante lacrime che ho versato, ma quella doccia ha un effetto lenitivo sul mio cuore. Quando chiudo l’acqua mi sento svuotato. Tornato nello spogliatoio vedo che Jade si è ricordata di portarmi il caffè e premurata di uscire subito dopo dalla stanza, per non imbarazzarmi. C’è persino un tovagliolo con qualcosa dentro ed un bigliettino. “So che ti piace con le zollette.
“Jade, Jade… perdonami, non potevi innamorarti di un uomo più sbagliato per te.”
Resto assorto per alcuni secondi, a contemplare quel bigliettino e quelle zollette. Anche senza aver assaggiato il caffè, mi pare di avvertire la stessa sensazione di tepore nell’animo di quando era lui a passarmi lo zucchero…
Non so dire per quale motivo mi viene spontaneo richiudere quel tovagliolo e metterlo in tasca. Bevo in fretta il caffè senza nemmeno badare al fatto che sia amaro e mi rivesto prima che posso. È inutile fissarsi sul passato, ormai non si può più fare nulla, però se mi do una mossa forse ho tempo per fare finalmente qualcosa di buono, così, se dovesse andare tutto nel peggiore dei modi, dietro di me potrei lasciare un buon ricordo.
Prendo il borsone con le mie cose, socchiudo la porta per spiare che non ci siano giornalisti nei paraggi. Non l’avrei mai detto ma con la confusione che c’è mi è più facile passare inosservato, così percorro il corridoio per l’uscita, meglio andare da lì, farò molto prima anche per raggiungere l’auto.

Vado da Jade, devo parlarle adesso, non posso certamente farmi buttare giù dalla disperazione e far pesare tutto su di lei; farla soffrire come me in questo momento. In fondo ognuno di noi ora può contare solamente sull’altro e dobbiamo essere più uniti che mai.
Suono alla sua porta e mi apre subito; ha il volto basso, sembra un po’ imbarazzata.
“Karl, che ci fai qui? Io sono appena arrivata. Dovresti andare a riposarti o domani come farai con la conferenza stampa, vorranno sapere tutto dell’incontro. Anzi, come hai fatto a defilarti così in fretta da tutti?”
“Semplicemente ho pensato… che vadano a quel paese! Alla fine, non m’importa di aver perso, mi basta sapere che non ti ho delusa.”
“Ehi, non cercare di commuovermi e nemmeno di farmi montare la testa. Sai che…”
Non la lascio proseguire più di tanto, non è di parole che ho bisogno, e neanche lei. La stringo con decisione tra le mie braccia e la bacio. È notte e dalla porta aperta sento solo il vento freddo che ci passa accanto, facendoci rabbrividire. Senza staccarmi da quel bacio profondo la prendo per le cosce e la sollevo. Lasciamo che la porta si chiuda da sola mentre, con lei in braccio, mi dirigo verso la stanza da letto.
Una volta distesi ci stacchiamo per riprendere fiato, Jade mi guarda incuriosita, posso capire che non si aspettasse di vedere avverare i suoi sogni erotici su di me, non dopo l’ultima volta che ero stato qui.
“Karl… come mai questo cambiamento improvviso? Non ti piacevano gli uomini?”
“Infatti! Non ho sempre detto che ci vorrebbe coraggio a definirti donna, coach?”
“Mi prendi in giro, che gran bastardo. Te ne approfitti solo perché sai che…”
“… che?…”
“Accidenti… che ti amo! Anche se non mi vorrai mai… e non provare mai più a farmi arrossire come adesso.”

Mi colpisce con un cuscino, io faccio lo stesso e quel gioco riesce a distrarci dalle tante preoccupazioni.
Tra una cuscinata e l’altra posso comprendere finalmente che nella vita c’è sempre un’altra possibilità, ma bisogna avere il coraggio di andare incontro ai cambiamenti ed affrontarli, cercare di dare rilevanza sempre al lato positivo di ogni cosa. Come trovare in lei la dolcezza che prima vedevo solo in Ethan; quella dolcezza che ora mi accoglie dentro di sé, mordendo e gemendo per ogni spinta, ogni movimento deciso dei miei fianchi tra i suoi. Graffiando, quando il piacere di entrambi giunge al culmine e vengo dentro di lei, sentendo il suo corpo contrarsi naturalmente nella speranza di trattenere il mio al suo interno ancora per qualche attimo.
Fremo, e solo allora realizzo ciò che abbiamo appena fatto insieme.
“Jade, noi due… e non avevo neppure preservativi con me.”
“Non preoccuparti, prometto che se resto incinta lo terrò. Sarebbe tuo, campione.”
Oddio, rischio di sentirmi male, non ci avevo affatto pensato, ma sinceramente prima avevo persino dimenticato di stare facendo l’amore con una donna.
“In effetti… forse non sarebbe male, però vedi, io… non è questo a preoccuparmi.”
“Dimmi la verità, ti sei messo contro della gentaglia? Come hai potuto?”
“Dimmi, ti sembro il tipo? Non l’ho mai desiderato, Jade, te lo posso assicurare, ma non costringermi a parlare di più, te ne prego. Promettimi che farai attenzione.” ‘Anche Ethan non c’entrava niente.’
“E il tuo ragazzo? Come mai non siete più insieme? Ti ha lasciato per questo?”
Come non detto… Impiego un po’ a rispondere, non poteva farmi una domanda più atroce di questa.
“N… non… chiedere nulla, anzi per favore dimentica tutto, per quanto possibile. Ah, giacché ci sei, promettimi che, nel caso, ti prenderai cura anche di Joe.”
“Joe? Perché mi dici così? Non farmi preoccupare, è un altro ragazzo?”
“Lui è… diciamo una pantera come me. Per favore, non farmi altre domande, non stanotte.”
“Va bene, come vuoi.”


Mi risveglio all’alba, stanco come non lo ero da tempo. Rammento di non essere a casa mia e mi guardo attorno. Jade dorme profondamente, poggiata contro il mio petto. Sembra tranquilla, ma preferisco alzarmi per rivestirmi. ‘È meglio andare a casa, non voglio complicarle inutilmente la vita.’ Mi muovo adagio per non svegliarla, le sistemo la frangetta colorata e la bacio un’ultima volta, sperando con tutto il cuore che non lo sia in assoluto, è troppo preziosa per me, oltre al mio gattino paffuto ho soltanto lei. Cerco i vestiti e mentre li indosso rivivo mentalmente le vicissitudini degli ultimi tempi: è tutto così assurdo che stento a credere che siano veramente successi tanti fatti.
Nell’indossare la giacca ricordo di avere qualcosa in tasca. Zollette… Sorrido mentre penso a tutta la dolcezza che quei cubetti di zucchero hanno rappresentato. Ricambio perciò il favore di farle trovare pronto almeno il caffè – tanto Jade è mattiniera e non tarderà ad alzarsi – e, accanto, quelle zollette. Dopo ciò che hanno significato per me, penso che d’ora in poi le assocerò sempre ad un pegno d’amore.
Ricambio anche il gesto affettuoso del bigliettino, non sono mai stato bravo in queste cose. Rimugino un po’ su cosa scrivere, ma alla fine la frase migliore è la più semplice, che poi è ciò penso davvero: “Per essere stata così dolce con me. Karl.
Mi affaccio nella stanza da letto per guardarla ancora una volta. Ho di nuovo quella sensazione di ieri, di essere giunto alla fine di un altro capitolo, e se Dio esiste vorrei veramente che almeno per ora non mi costringesse a voltare pagina. Tuttavia, devo ugualmente farmi coraggio. Mi chiudo la porta alle spalle ed entro in auto. Torno a casa senza alcuna fretta, rincuorato dal pensiero che lì ci sia Joe ad aspettarmi. Però ho a stento il tempo di uscire dall’auto, quando odo una voce divenuta purtroppo familiare.

“Ti stavo aspettando…” – mi volto, è Brad, quel figlio di puttana che mi ha minacciato l’altra volta. – “E così stavolta hai fatto come ti era stato detto, eh?”
“Che cosa volete ancora da me? Direi che sono a posto, no? Volevate che perdessi ed immagino avrete vinto parecchio, o mi sbaglio…”
“No, nient’affatto. Vedi, amico… non è tanto per insudiciare la mia fedina penale più di quanto non sia già. Il problema è che, siccome ti sei dimostrato sempre particolarmente cocciuto, ostinandoti a fare come volevi, stavolta il mio capo aveva pensato bene di cambiare idea e scommettere una bella somma sulla tua vittoria. Era convinto che tu avresti vinto di proposito, pur di non darcela vinta. Ahah, vedi? A forza di guardare i tuoi incontri mi fai venire in mente i giochi di parole.”
“Ho un’idea ancora più costruttiva per i tuoi giochi di parole: innanzitutto perché non li eviti, così mi dici chiaro e tondo cosa vuoi? E poi, perché non vai a farti fottere? Dal tuo capo o da un tuo pari basta e avanza: se siete così frustrati da infastidire gli altri, vi farebbe bene accoppiarvi tra serpi della stessa specie. Non potete prima minacciarmi per qualcosa e poi per l’esatto opposto, rimangiandovi tutto. Ed io non ho tempo né voglia di dar retta a chi non ha le palle nemmeno di mantenere sempre la stessa opinione.” Occavolo! Anche stavolta ho parlato a sproposito ed a giudicare dallo sguardo, è stata la più grande cazzata della mia vita.
“Stai attento a ciò che dici, stronzo. Prima avrei potuto dire che a quest’ora mi annoiavo ed avevo bisogno di una chiacchierata tra uomini. Se invece tu hai bisogno di una risposta più concreta per ragionare… spero che questa ti sia sufficiente.” – Lo vedo infilare una mano sotto la giacca ed estrarre una pistola. Quell’invasato ha veramente intenzione di farmi la pelle.
“Ehi, cosa fai con quell’arma? Perché ce l’avete tanto con me? Non ho mai fatto nulla di male. Si può sapere perché vi siete fissati?”
“Odio chi fa troppe domande, specialmente quando le risposte sono ovvie. Su, vieni con me senza fare tante storie oppure ti giuro che oltre al tuo ragazzo non ti resterà neanche la tua bella.”
“No, lei no, codardo che non sei altro! Non tirarla in mezzo che non ne sa nulla delle nostre questioni!”
“Allora, ti decidi? Sei davvero irritante, ed insisti pure nel dire che non comprendi per quale motivo ce l’abbiamo a morte con te.”
“Sei un vigliacco! E il tuo boss più di te, che non ha le palle di fare il lavoro sporco in prima persona.”

Veniamo alle mani, ma per fortuna ho la prontezza di spirito di assestargli un calcio alle palle. Riesco a togliergli di mano la pistola e ricominciamo a batterci. E per fortuna non mi lascio sorprendere facilmente, perché si rivela essere anche lui un gran lottatore. ‘Ecco perché JB ha sempre mandato lui da me e non quegli altri fighetti incravattati delle sue guardie del corpo!’
Sembra una scena da film, peccato che non abbia il tempo di godermela, di apprezzare quella lotta virile, più dei tanti incontri disputati fino ad ora sul ring. Vorrei poter sorridere al pensiero dell’adrenalina che il mio cervello può finalmente produrre in quantità industriale. Quello stronzo però, approfitta di una schivata per chinarsi a raccogliere l’arma – direi che ci stiamo ampiamente godendo quelli che potrebbero essere i nostri ultimi istanti di vita su questa terra – e cerco di togliergliela di mano, nonostante tutto non vorrei mai che nessuno di noi due si facesse male perché nonostante io sia un pugile ho sempre odiato la violenza.
Ma sicuramente, qualunque Essere Superiore esista, aveva già deciso di farmi voltare pagina ancora una volta.

Parte un colpo ed entrambi sgraniamo gli occhi, però non provo dolore, non avverto nulla, a parte un boato rimbombare nelle orecchie… e nel sentire quel rumore sordo vedere quasi a rallentatore come una moviola il sangue fuoriuscire e sporcarmi le mani; nel guardare quel corpo crollare flaccido sul selciato e la pistola cadere per terra fumante, mi rendo conto di aver appena ucciso un uomo e che pure per me è davvero finita, in tutti i sensi.
Niente più sogni di gloria, niente più speranze per ancorarmi alla vita o ricercare la morte. Solo ora finalmente comprendo, nel vedere quella scena consumarsi sotto i miei occhi, a causa mia. Ancora una volta nella speranza di difendermi ho finito solo per compiere la scelta sbagliata e ne pagherò le conseguenze. Se anche dovessi sfuggire alla gente o al mio destino, non potrei mai sfuggire da me stesso, perché i colpi si avvertono subito e i segni si vedono dopo, ma le cicatrici restano lì per sempre.

 



Note:

(1) Cassius Clay: il nome con cui è conosciuto Muhammad Alì.
(2) Dolce Triade: è una delle più famose band di j-pop, autrice delle colonne sonore di “Mononoke Hime” e di “Last Exile”.