La
Dodicesima Luna
di Naika
Ondeggiano piano,
dolcemente, flettendosi sui lungi stelli flessuosi, il vento le accarezza
sussurrando tra loro parole che si perdono nella quiete della sera.
Le lunghe piume delle
spighe sfiorano l’aria leggere, un tocco gentile che sa di amore e
riverenza.
Un airone candido si
alza in volo, poco lontano, le grandi ali bianche, un elegante pennellata
sul cielo plumbeo, mentre il Sole lentamente si corica e, per un momento, i
riverberi della sua vestaglia di seta rosa e oro si riflettono sul placido
specchio d’acqua.
Una cicala fa frinire
le ali spostandosi con un saltello pigro da una canna di bambù all’altra
mentre una gallinella d’acqua accompagna i suoi pulcini al nido,
accuratamente nascosto tra l’erba alta, accanto alle lunghe chiome di un
salice.
Un silenzio fatto di
mille respiri leggeri e del calore degli ultimi raggi di sole, aleggia nella
valle.
Un silenzio fatto del
sussurro del vento e dell’inudibile sciabordio delle acque quiete.
Non ha suono il passo
della Sera mentre scende dalle nuvole rade.
Le ombre, sue compagne,
scivolano dolcemente, intrecciandosi leggere con le nebbie argentee che
salgono dal loro giaciglio tra le canne, stiracchiando le lunghe braccia
diafane nell’aria imbrunita.
Con uno sbadiglio anche
l’ultimo scoiattolo si accoccola nella sua calda tana, affondando il musetto
rosso tra le zampe, mentre, una dopo l’altra, si accendono le stelle e la
civetta allarga le ali scure alzandosi in volo.
Non v’è testimone o
spettatore.
Non c’è nessuno che può
vederlo.
Leggero.
Guardingo.
Elegante come il
fluttuare dell’erba smeraldina sotto la carezza dell’ultimo vento.
I suoi capelli sono
neri quanto il manto su cui sono intessute le stelle.
La sua pelle è candida
come la grande luna piena, che specchia il suo sorriso malinconico nelle
acque scure del piccolo lago, poco fuori Kanagawa.
I suoi occhi sono blu,
dello stesso insondabile,colore, dello specchio d’acqua che ora lo accoglie,
mentre egli s’immerge, lentamente, nel suo abbraccio liquido.
La terra è tiepida
dotto i suoi piedi nudi, conserva ancora parte del calore del giorno svanito
dietro la linea dell’orizzonte lontano.
“La dodicesima Luna...”
mormora sollevando per un momento il volto, verso il cielo nero.
Un sussurro che il
vento raccoglie nelle sue mani trasparenti per portarlo lontano, increspando
la cristallina distesa acquea su cui, per un momento, non l’immagine candida
del giovane, ma la ben più grande ombra di una creatura alata, si era
delineata.
L e piccole onde si
allungano a sfiorargli le gambe, ad accarezzargli la pelle nuda, facendo
ondeggiare i rami del salice che tra esse si bagnano.
Il giovane li sposta
delicatamente, come scostasse i capelli dalla fronte di un amante e le
piccole lucciole che lì riposavano si alzano in volo disegnando per lui luci
iridescenti che si rifletto sull’acqua scura, mescolando il riflesso del
loro scintillio a quello delle stelle e dell’immensa luna.
Rukawa lasciò ricadere
le fronde ed esse scivolarono nuovamente al loro posto, silenziose, come un
lento sipario verde, dietro le sue spalle nude, a celare, una volta ancora,
la Porta.
Hanamichi boccheggiò
cercando di mettersi in piedi ma ricadde pesantemente sul pavimento con un
lamento di dolore.
Tutto il suo corpo
bruciava.
I muscoli tiravano in
maniera terribile, aveva la vista offuscata e il respiro pesante.
Non riusciva a capire
che cosa gli stesse succedendo.
Era rincasato al
tramonto e, come ogni sera, aveva cominciato a prepararsi la cena quando
quello strano malessere si era impadronito di lui.
Aveva aperto la
finestra cercando un po’ di sollievo al calore bruciante che era esploso
dentro di lui ma la situazione non era migliorata.
Anzi.
L’immensa, candida
luna, nel cielo di quella notte dal profumo particolare aveva incatenato il
suo sguardo, bruciandogli la vista, piantandosi nella sua testa.
Sentì distintamente che
dentro di lui qualcosa andava in frantumi.
Boccheggiò portandosi
le mani al petto, cercando di calmare il battito impazzito del suo cuore.
Un’auto passò sulla
strada sotto la finestra di casa sua facendo un fracasso terribile.
Si portò entrambe le
mani alle orecchie gemendo.
Il cibo che aveva messo
sul fuoco spandeva per casa un odore intenso, fortissimo, che gli dava la
nausea.
Doveva uscire.
Doveva andarsene.
Le quattro mura del suo
appartamento gli sembravano improvvisamente così strette!
Senza pensare a nulla,
reso folle dal dolore che tutte quelle sensazioni gli davano, accavallandosi
una sull’altra rischiando di farlo impazzire, uscì, correndo, di casa.
Poter vedere il cielo
scuro sopra di lui gli fece tirare un piccolo sospiro di sollievo ma
un’altra auto passò sulla strada, illuminandolo con i suoi fari.
Hanamichi gridò
coprendosi gli occhi, accecato dalla luce abbagliante.
Tutti i suoi sensi
sembravano essere acuiti in maniera dolorosa.
Sentiva gli odori che
venivano dalle altre case, le conversazioni che si svolgevano al loro
interno, il rombo delle auto lontane.
La luce dei lampioni lo
rendevano cieco, tanto gli bruciavano la retina.
I palazzi sembravano
enormi mostri incombenti su di lui che non aspettavano altro che cadergli
addosso e schiacciarlo sotto un cumulo di macerie.
E poi, in mezzo a quel
mare di follia alle sue narici giunse il profumo leggero dell’erba umida.
Un odore familiare.
Un luogo dove sarebbe
stato al sicuro.
Guidato solo da quell’istinto
Hanamichi prese a correre verso il parco di Kanagawa.
“Kaede...”
Un piccolo mugolio e
poi lentamente le palpebre fremettero sollevandosi piano a velare gli occhi
blu.
“Madre...” mormorò il
ragazzo mentre l’aria profumata di Asgard gli scivolava nuovamente nei
polmoni.
“Sei in ritardo tesoro,
dove sei stato?” chiese dolcemente la donna.
Kaede scosse piano il
capo allungando un paio di volte le lunghe ali nere, le scapole gli dolevano
leggermente come ogni qualvolta riprendeva il suo vero aspetto.
“Al campetto...”
mormorò fendendo l’erba scintillante con la lunga, pericolosa, coda, mentre
le grandi mandibole si tendevano in un pigro sbadiglio, lasciando che la
doppia luna del regno fatato scintillasse, ad ammonimento, sulle sue zanne
arcuate.
Rukawa soffiò piano
strofinando il muso contro il collo della madre, assaggiando l’aria
familiare del Regno con la lingua biforcuta.
Raja gli sorrise nel
ricambiare il suo gesto d’affetto, prima di fare un passo indietro e
spalancare le sue grandi ali carminio.
“Vieni...” mormorò
alzandosi in volo “... gli altri draghi ci aspettano.”
Hanamichi aveva
attraversato le strade ansimando, tossendo nel tentativo di respirare.
La ‘cosa’ che dentro di
lui ruggiva per uscire, non gli aveva dato tregua finchè non era arrivato al
piccolo parco di Kanagawa.
Quante volte aveva
bighellonato tra quegli alberi con i suoi amici?
Centinaia.
Eppure MAI aveva
provato le sensazioni che in quel momento lo travolsero.
Il rumore del vento tra
gli alberi, il profumo della terra, il cielo nero e la grande Luna candida.
I loro colori, i loro
odori erano più... veri.
Come se il mondo in cui
aveva vissuto fino a quel momento non fosse stato che una scenografia
dipinta sul cartone e ora lui avesse trovato la porta per uscire dal teatro.
Camminò, trascinandosi,
per i vialetti fiancheggiati dalle panchine finchè non scorse due pioppi dal
lungo tronco bianco, perfettamente allineati.
I loro tronchi, sotto
la luce di quella Luna che lo aveva seguito con sguardo silenzioso,
scintillavano d’argento.
Dentro di lui il dolore
che era riuscito per un momento a dimenticare, pulsò, espandendosi
violentemente e Hanamichi cadde sulle ginocchia a pochi passi dagli alberi,
la bocca spalancata alla ricerca dell’aria che improvvisamente gli era stata
strappata dai polmoni.
Gli sembrava che ogni
pezzo del suo corpo tirasse per andare in una direzione diversa e aveva la
terribile consapevolezza che se non si fosse sbrigato a fare qualcosa
sarebbe morto lì, così.
Una nuvola oscurò la
Luna per un momento prima di diradarsi.
La luce argentea tornò
a bagnare il corpo del ragazzo accasciato a terra e l’elegante tronco dei
pioppi.
Faticosamente Hanamichi
si trascinò verso di essi.
Non sapeva perchè ma
doveva raggiungerli...
Doveva prima che
qualunque cosa stesse distruggendo il suo corpo lo uccidesse.
Strisciò sull’erba
umida, che forniva un debole refrigerio al suo corpo incandescente, finche
non giunse all’invisibile confine delimitato dai due tronchi lucenti e lì...
scomparve.
Rukawa seguì il volo
del drago rosso fino alla grande radura centrale.
Sua madre atterrò per
prima in uno spazio piuttosto appartato mentre anch’egli ripiegava le ali
scure lungo il corpo serpentino, adagiandosi a terra senza far rumore.
Notò che la maggior
parte dei draghi presenti si erano voltati a guardarli e che sua madre aveva
sollevato il capo con portamento fiero.
Si concesse un piccolo
sorriso interiore a quel gesto, Raja si meritava un po’ d’orgoglio dopo
quello che aveva fatto per lui.
Lei lo aveva salvato
dopo che aveva perso entrambi i genitori.
Anche se sarebbe stato
più corretto dire ‘dopo che li aveva uccisi’.
Compiva solo un anno
quella notte, quindici lune prima, quando il suo potere si era risvegliato,
chiamandolo.
Il dolore era stato
insopportabile e la paura folle.
Sua madre e suo padre
avevano formato per lui il Cerchio, intrecciando le loro lunghe code,
attorno a lui, innalzando i loro poteri per permettere al suo di schiudersi
liberamente.
Ma la loro forza non
era bastata.
Quando per la prima
volta le sue palpebre di drago si erano sollevate per lasciargli scorgere le
grandi lune di Asgard accanto a lui non c’era più nessuno.
A lungo il cucciolo
aveva pianto cercando i suoi genitori prima che la fame e la sete lo
spingessero a vagare tra le lande verdi di quella valle a lui sconosciuta ma
dall’odore così familiare.
Dopo due giorni era
giunto nei pressi di una piccola grotta e lì aveva conosciuto Raja.
Costretta a vivere
fuori dal Nido, in quanto mezzosangue, la donna lo aveva accolto quando
ormai la sua vista era appannata e le sue gambe incapaci di sorreggerlo.
Lei l’aveva nutrito,
gli aveva insegnato a cacciare, a volare, senza chiedere nulla in cambio.
Infine, quando la
dodicesima Luna era calata, lo aveva riportato nel mondo Umano, con se,
facendolo divenire a tutti gli effetti suo figlio.
E lui era cresciuto
anno dopo anno, sotto lo sguardo benevolo e dolce di quella donna che era
divenuta tutto il suo mondo.
La loro era stata una
vita a due, separata dagli altri clan che li avevano ignorati con sgarbo
almeno finchè, a cinque anni, Kaede non aveva cambiato pelle per la prima
volta.
Con la Muta aveva
abbandonato le scaglie verde grigiognolo, che contraddistinguevano i
cuccioli, per assumere il suo vero colore.
Quello che avrebbe
deciso il suo posto in società.
Quello che avrebbe
sancito i suoi diritti e i suoi poteri.
E sotto lo sguardo
incredulo di Raja il suo manto si era rivelato nero, nero come la pece.
“La gerarchia dei
draghi prevede cinque razze.” gli aveva insegnato alcuni giorni prima, Raja,
quando gli aveva parlato di quale importante momento fosse la Muta, per ogni
Alato.
“I Figli della Fiamme,
dalle lucenti scaglie carminio intenso, i più numerosi e potenti fisicamente
ma dotati unicamente dell’alito di fuoco.”
“I Signori dei Veleni,
dalla pelle verde smeraldo, dalle cui gole scaturisce un acido velenoso e
corrosivo, ma la cui salute è messa spesso a dura prova da corporature
piccole e gracili.”
“I Sovrani dei Ghiacci,
dai sottili corpi pallidi, capaci di controllare le magie dell’acqua e di
tramutare il loro fuoco in affilatissime lame di ghiaccio.”
“E infine gli
Imperatori della Luce, gli splendidi draghi dalle scaglie dorate, in grado
di dominare i poteri della luce e di modificare a proprio piacimento il loro
aspetto.”
E Kaede aveva inclinato
il capo, di lato, sorpreso.
“E la quinta?” aveva
chiesto ragionando sulle parole della madre.
Raja aveva scosso il
capo “Sono estinti tesoro.”
“I Custodi del Nulla, i
draghi dal manto nero come la notte, coloro che custodivano i segreti della
Magia, perirono uno dopo l’altro molti secoli orsono.” Gli aveva spiegato.
“Vedi il loro potere
era immenso e cresceva smisuratamente da padre in figlio. Questo potrebbe
sembrare una cosa positiva...” aveva mormorato “....ma ricordi cosa ti ho
insegnato sulla Prima Notte e sul Cerchio?” aveva chiesto al piccolo Kaede.
Il cucciolo aveva
annuito ripetendo diligentemente: “La Prima Notte, i genitori del Drago
Dormiente intrecciano i loro poteri attorno ad esso creando un Cerchio
Magico che gli permette di liberare la sua Vera Forma.”
Raja aveva annuito “I
figli della Stirpe Oscura, troppo potenti per i loro stessi genitori,
finivano irrimediabilmente per spezzare il Cerchio, uccidendo così coloro
che lo avevano creato. Alla fine, si estinsero.” aveva mormorato
tristemente.
Dal giorno della Muta,
la loro vita non era cambiata ma l’atteggiamento degli altri draghi nei loro
confronti... quello era cambiato... eccome!
Rukawa riemerse dai
suoi ricordi quando sua madre si stiracchiò sedendosi sotto il suo albero
preferito.
Il moretto le si
accoccolò accanto appoggiando il capo sulle zampe preparandosi ad una lunga
dormita.
“L’anno prossimo
comincerai il Liceo...” mormorò di punto in bianco Raja riscuotendolo dal
suo sopore.
Kaede sollevò una
palpebra cercando di capire dove la donna volesse andare a parare.
“Ormai hai quindici
anni...”
il drago nero gemette
affondando il muso tra le zampe.
Di nuovo quella storia.
E va bene la legge dei
draghi prevedeva che lui si fidanzasse entro i quindici anni e allora?
Lui non aveva nessuna
intenzione di rispettare una regola stupida come quella per un semplicissimo
motivo: non c’era nessuno che valesse nemmeno la pena di essere considerato.
Raja sospirò cercando
un altro modo di approcciarsi al discorso.
“Lo sai, vero Kaede,
cosa succederà tra un paio di giorni...” mormorò.
Il moretto arrossì
violentemente ostinandosi però a non aprire gli occhi.
“Tesoro lo dico per te,
davvero starai male se non...”
“Mamma!!” tuonò Kaede
balzando in piedi nervoso.
I loro discorsi vennero
interrotti dal risolino di due giovani drago verde che passavano per la
quarta volta di fronte a lui, sospirando estasiate.
Gli ci mancavano solo
quelle oche!
Finchè era stato solo
il figlio ‘raccattato’ della mezzosangue Raja nessuna di loro lo aveva
degnato di un occhiata, se non per disprezzarlo.
Ora che egli si
rivelava in tuta la sua, lucente e pericolosa, notturna, bellezza, le
ragazze, e i ragazzi, non facevano altro che cercare di farsi notare da lui.
Certo perchè mancava
poco a....
Allontanò violentemente
quel pensiero.
Non voleva
assolutamente fare una cosa simile.
Era ingiusto!
Lui era un drago!
Non un gatto o un cane!
E allora perchè
doveva... doveva...
“A quindici anni
succede per la prima volta Kaede, per questo, solitamente noi ci fidanziamo
a quattordici...” gli aveva spiegato l’anno prima sua madre.
Ma lui non ci pensava
minimamente a fidanzarsi!
Aveva l’affetto di sua
madre e la passione per quello sport umano che lo faceva sentire vivo, il
basket, nient’altro aveva importanza.
Rukawa sospirò
accoccolandosi nelle proprio spire, posando nuovamente il lungo muso scuro
tra i fili d’erba umidi mentre osservava i suoi simili parlare tra loro o
lanciarsi in elaborati voli nel cielo notturno.
Alcuni maschi di drago
rosso si stavano prodigando in esagerate dimostrazioni di potere per
incantare una femmina di drago bianco che li fissava con altero
divertimento.
“Troppo in basso per
lei...” mormorò Kaede, tra se, osservando i due darsi un gran da fare.
La scala gerarchica era
rigida e inflessibile.
A nessun drago di rango
inferiore era dato di accoppiarsi con uno più in alto nella graduatoria dei
poteri a meno che non fosse l’altro a scegliere lui.
Almeno qualcosa di
utile nelle leggi di Asgard c’era.
Nessuno avrebbe potuto
chiedergli niente in quanto LUI era sul gradino più alto della scala
gerarchica.
Sbuffò di nuovo,
facendo saettare nervosamente la coda velenosa, quando le due drago verde
passarono di nuovo di fronte a lui.
“E’ il sesto giro che
fanno Kaede...” gli fece notare divertita Raja.
Rukawa sospirò e, con
uno scatto elegante del lungo corpo serpentino, si allungò, tendendo le ali
scure, saettando veloce e silenzioso verso il cielo notturno che così bene
si fondeva con le sue scaglie nere.
Le due ragazze
seguirono con un lungo “ahhh...” estatico il suo maestoso volo finchè egli
non scomparve oltre le coltri plumbee.
“Ma quanto è bello...”
sospirò la prima.
“Il più bello!” mugolò
la seconda.
“E poi è così
forte....” sospirò di nuovo la prima.
“Il più forte...”
mugolò ancora la seconda.
Raja roteò gli occhi
nauseata.
Infondo suo figlio non
aveva tutti i torti a non volersi fidanzare, ciò non toglieva, tuttavia, che
la natura avrebbe fatto il suo corso e fra qualche giorno Kaede si sarebbe
trovato con un bel problema da risolvere.
Rukawa lasciò che
l’aria notturna scivolasse sul suo corpo, fendendo il vento con le lunghe
ali, socchiudendo le palpebre mentre si alzava, sempre più in alto,
allontanandosi dalla radura troppo affollata per i suoi gusti.
Volò per diverse ore,
lasciandosi scivolare tra le correnti d’aria silenziose finchè una macchia
rossa non attirò la sua attenzione.
Forse perchè quel
colore tanto gli ricordava quello di sua madre, forse perchè c’era
evidentemente qualcosa che non andava nel giovane sdraiato a terra, il drago
nero prese a compiere lenti giri concentrici, scendendo, finchè non scorse
le forme di un drago rosso, accoccolato sotto un albero.
La creatura teneva il
muso nascosto tra le zampe e dalla lunga gola uscivano piccoli rantoli
difficoltosi.
Hanamichi sollevò il
capo nell’udire qualcuno avvicinarsi a lui.
Da quando era rinvenuto
non riusciva a capire più niente.
Il suo corpo bruciava,
la sua vista era appannata e confusa.
Quando aveva socchiuso
le palpebre e si era guardato intorno aveva scoperto che il suo corpo.. il
suo corpo era completamente cambiato.
Gli era uscito un
rantolo spaventato dalla gola che aveva spinto la sua lingua a saettare
nell’aria.
Una lingua biforcuta
come quella di un serpente.
Aveva gridato balzando
in piedi, inciampando nel corpo ingombrante per poi ricadere, stremato a
terra.
“Sei ferito?” gli
chiese il nuovo arrivato, destandolo dai suoi pensieri.
Hanamichi sollevò
stancamente il capo per osservare il nuovo arrivato.
Era un drago, uno
splendido drago nero, con due lucenti occhi blu.
Bello, registrò la sua
mente, bellissimo, per un drago.
Scosse il capo
forsennatamente.
Da quando pensava che
una lucertola troppo cresciuta fosse bella?
Possibile che quel suo
strano aspetto stesse prendendo il sopravvento anche della sua mente?
Cercò di ritrarsi
quando Kaede gli si avvicinò ulteriormente e solo allora il moretto potè
notare un particolare che prima gli era sfuggito.
Sul capo del drago
rosso spiccavano delle macchie più chiare.
“Un mezzo sangue...”
sussurrò, sorpreso, spiegandosi perchè fosse tanto distante dalla radura del
raduno.
Ormai la pratica di
uccidere i figli nati da matrimoni tra draghi e uomini era stata abolita da
secoli ma i ‘vecchi’, non nascondevano certo il loro disprezzo per quelle
creature che erano il frutto della trasgressione ad una delle loro più
antiche leggi.
Sua madre era stata per
anni oggetto di insulti e privazioni a causa di quell’insensato razzismo.
Lui stesso ne era stato
vittima finchè non aveva mostrato loro il suo vero aspetto.
Il drago a pochi passi
da lui rabbrividì scuotendo piano le ali, con un lamento, e Kaede si
riscosse dai suoi pensieri, avvicinandoglisi di nuovo.
“E’ la prima volta che
ti trasformi?” gli chiese gentilmente cercando di ricordare ciò che sua
madre gli aveva spiegato.
A differenza dei draghi
‘puri’ per cui la metamorfosi era naturale, per i mezzo sangue prendere
l’aspetto serpentino comportava la rinuncia, seppure momentaneamente, a metà
del loro essere.
La trasformazione
risultava per tanto dolorosa e in qualche caso anche letale, soprattutto
perchè solitamente essa si manifestava verso i quindici anni prendendo
completamente alla sprovvista il mezzosangue.
Il rossino gli confermò
la sua ipotesi mormorando un spaventato: “trasf.. trasf... cosa?”
Sembrava stordito e
aveva una certa difficoltà a respirare.
Rukawa valutò
velocemente quello che doveva fare.
La prassi avrebbe
voluto che lui segnalasse agli altri la presenza del ragazzo e lasciasse
agli anziani la scelta se aiutare o meno il giovane drago rosso.
Tuttavia dubitava che
il Consiglio avrebbe scelto una qualsivoglia possibilità in favore del
rossino, dato la sua evidente natura per metà umana.
Inoltre il drago era
evidentemente da solo.
Se nessuno avesse
innalzato in fretta un Cerchio per lui sarebbe sicuramente morto.
E lui non poteva
permettere che un mezzo sangue come sua madre morisse.
Pertanto, ignorando le
regole, Rukawa decise di intervenire direttamente senza lasciare così il
tempo a nessuno di vietargli di agire.
Si stese al suo fianco
creando con il proprio corpo un grande nido di scaglie scure in cui avvolse
l’altro drago, spalancando un’ala corvina sul corpo stanco del mezzo sangue,
come fosse una coperta.
“Appoggiati a me...”
gli sussurrò dolcemente accarezzandogli piano il muso con il suo mentre
lasciava che la sua magia scivolasse attorno a loro, avvolgendo il ragazzo
che giaceva tra le sue braccia.
Il drago rosso emise un
piccolo sospiro di sollievo quando l’aura argentea innalzata da Kaede si
richiuse intorno a lui formando un enorme cerchio sull’erba smeraldina.
Posò il capo contro il
suo petto, chiudendo gli occhi stancamente, lasciandosi scivolare nel sonno.
Hanamichi venne
svegliato dai primi raggi dell’alba.
Si sentiva stordito ed
indolenzito.
Aveva fatto un sogno
assurdo...
Sussultò quando si rese
conto che sopra la sua testa non c’era il soffitto della sua camera ma un
cielo azzurro, appena velato dalle grandi fronde degli alberi.
Scattò in piedi con un
gemito che uscì dalla sua lunga gola come un piccolo mugolio stupito.
La splendida creatura,
sdraiata accanto a lui, socchiuse le palpebre con un mormorio infastidito
scuotendo piano il capo per riscuotersi dagli ultimi rimasugli di sonno.
“Sei sveglio...”
mormorò con voce bassa e profonda, sciogliendolo dal suo abbraccio e
stiracchiando le lunghe spire corvine.
Hanamichi annuì
sentendosi improvvisamente vulnerabile e infreddolito, ora che l’altro non
lo scaldava più con il suo corpo.
Ricacciò quel pensiero,
a fondo nella sua mente, mentre faceva scorrere lo sguardo sul corpo
maestoso del drago nero.
Proprio un drago.
I draghi non
esistevano.
Almeno così aveva
sempre creduto.
Eppure quello dinanzi a
lui era un drago.
Lui stesso...
Abbassò lo sguardo sul
proprio corpo, incredulo.
Lui stesso era un
drago!
“Che... che cosa mi è
successo?” balbettò.
Seppure non potesse
dirsi un gran conoscitore di rettili gli parve che sul lungo muso serpentino
dell’altro comparisse un’espressione sorpresa.
“Come ti chiami?” gli
chiese questi senza rispondere alla sua domanda.
“Hanamichi...” sbottò
il rossino “...e non cambiare discorso ti ho fatto una domanda stupida
lucertola!”
Rukawa lo fissò
sbigottito ed incredulo.
Stupida lucertola?
Di certo il rossino non
era a conoscenza delle regole basilari di Asgard.
Regola numero uno...
mai insultare un drago di più alto livello.
“Vorrei dire che è un
piacere... rossino!” disse divertendosi a farlo arrabbiare.
“Senti un po’ Calimero
io almeno mi sono presentato..” disse sfottente il drago rosso,
avvicinandoglisi minaccioso.
“Kaede....” ringhiò il
moretto, prima che i due si ritrovassero ad azzuffarsi violentemente in
mezzo all’erba alta.
Si fermarono, solo
quando furono esausti, sdraiandosi nuovamente uno accanto all’altro.
“I.. io resterò così?”
chiese di punto in bianco il rossino indicando il suo corpo serpentino.
“I tuoi genitori non ti
hanno spiegato nulla?” chiese corrucciato Kaede con voce tranquilla.
“Li ho perduti
entrambi...” mormorò mesto e Rukawa avvertì un’inspiegabile sensazione
scivolargli nello lo sterno.
Senza nemmeno
rendersene conto, gli si fece più vicino, avvolgendolo in un abbraccio
protettivo.
Erano così simili loro
due.
Eppure così diversi.
Il rossino non fece
opposizione al suo abbraccio, anzi, come aveva fatto la notte prima, posò il
capo contro il suo petto con un sospiro.
“Siamo costretti a
mantenere quest’aspetto solo finchè rimaniamo qui..” gli spiegò Rukawa “...ossia
fino al calare della Luna Nuova sulla terra...” mormorò.
“Dov’è ‘qui’?” chiese
ancora il ragazzo perplesso.
Rukawa sollevò un
sopracciglio stupito.
Non sapeva proprio
nulla!
“Questa è Asgard, la
Valle della Magia, la nostra terra natia.” gli spiegò brevemente Rukawa.
“E quando calerà questa
Luna Nuova?” chiese il rossino, preoccupato che i suoi amici, non vedendolo
tornare, lo dessero per disperso.
“Ogni ora terreste
corrisponde ad un giorno di Asgard...” gli spiegò Rukawa tranquillamente “...era
notte quando sei giunto qui, sarà l’alba quando tornerai alla Porta da cui
sei passato...” disse.
Hanamichi rimase in
silenzio, immagazzinando quelle informazioni assurde.
La Porta di cui parlava
il drago nero... doveva trattarsi dei due alberi!
Attraverso loro lui era
giunto in quel luogo.
E lì... si era
trasformato.
Lui... un drago.
Quando l’avrebbe
raccontato a Yohei questi gli avrebbe dato del pazzo.
Chissà se poteva
trasformarsi anche fuori da Asgard.
Aveva il presentimento
di no.
Si riscosse brutalmente
dalle sue elucubrazioni quando il suo stomaco gorgogliò rumorosamente.
“Hai fame sento....”
sussurrò Kaede con un sorriso divertito “...vieni...” mormorò, alzandosi in
aria con un colpo d’ali preciso e potente.
Hanamichi tuttavia si
limitò a fissarlo con occhi sgranati dalla meraviglia prima di voltarsi a
fissare le proprie ali rosse.
“Posso volare?” chiese
con voce carica di gioiosa sorpresa.
“Do’hao!” sbottò Kaede
riatterrando accanto a lui.
“Hey come ti permetti
stupidissimo volpino!” lo riprese subito il rossino.
Rukawa lo fissò
contraddetto.
Prima gli aveva dato
della lucertola, ora della volpe!
Quel ragazzo aveva
davvero una spiccata passione per i nomignoli di animali.
“Ha parlato la scimmia
rossa...” sbottò ironico.
“Tzè io sono il tensai!”
disse superbo il ragazzo gonfiando il petto, mentre i suoi occhi si
accendevano di pagliuzze dorate.
“Ah sì allora fammi
vedere come voli, genio!” lo sfidò Kaede.
Il ragazzo, punto
sull’orgoglio, si diede una poderosa spinta, spalancando le lucenti ali
carminio e, per un momento, Kaede rimase incantato di fronte ai potenti
muscoli tesi, alle grandi ali scarlatte, spiegate, ai riflessi rubino che i
raggi dorati del sole ricavano da lui, avvolgendolo in un’aura di fulgida
bellezza infuocata.
Tutto questo PRIMA che
il balzo di Hanamichi si trasformasse in una caduta libera e il ragazzo si
piantasse, con un tonfo, a terra.
Rukawa spalancò gli
occhi incredulo, osservandolo lottare per districarsi, dalle sue stesse ali
e dalla coda, in cui si era aggrovigliato, prima di cominciare ridere.
Il rossino si mise
faticosamente in piedi ritrovandosi di fronte allo spettacolo di un maestoso
e altero drago nero che si rotolava a terra per le risate.
“Tu... brutto...”
ansimò furioso fiondandoglisi nuovamente contro.
Solo diverse
ammaccature più tardi Rukawa potè dare un inizio alle ‘lezioni di volo’.
E nonostante Hanamichi
continuasse a fare di testa sua, schiantandosi in continuazione, dimostrò
un’incredibile tenacia e una grandissima capacità di apprendimento,
riuscendo, al calar del sole, ad alzarsi in volo senza troppe difficoltà.
Per quella notte fu il
drago nero a procurare il cibo per entrambi ma promise al compagno di
insegnargli anche a cacciare il giorno successivo.
Hanamichi già
pregustava il cibo, dopo la faticaccia di quel giorno, quando l’altro Alato
aveva posto dinanzi a lui il corpo di un cervo.
Il rossino l’aveva
fissato per un momento con gli occhi spalancati prima di tornare a guardare
Kaede.
“Bhe che ti aspettavi,
un hamburger?” chiese divertito il moretto, staccando, con le lunghe fauci,
un pezzo di carne dalla sua preda.
Hanamichi seguì
incantato un filo di sangue, rosso, scivolare lungo il collo nero del drago,
regalando riflessi sanguigni alle sue scaglie scure.
Il suo stomacò protestò
vivacemente di nuovo riscuotendolo da quella visione, mentre la sua mente
gli fece notare che c’era una fonte di cibo molto vicina.
Rimase sgomento nel
constatare che il suo cervello si riferiva al cervo.
Incredibilmente, non
gli faceva poi tanto ribrezzo l’idea della carne cruda, anzi la sua mente
gli stava gridando di addentare e ingoiare quel cibo delizioso il prima
possibile.
Avvicinò il muso,
annusando la carne, prima di staccarne un pezzo.
Quella sera Hanamichi
scoprì che, del drago, non aveva solo le sembianze, ma anche gli istinti, la
carne cruda, che da umano infatti non gli era mai piaciuta, ora aveva un
sapore delizioso tra le sue fauci.
Il giorno dopo Rukawa
mantenne la promessa, insegnandogli le regole principali della caccia.
“Sei troppo rumoroso!”
sbottò il moretto quando per l’ennesima volta Hanamichi fece fuggire la sua
preda a causa del frastuono causato dallo sbattacchiare delle sue ali.
“Senti un po’ io
ancora non mi sono abituato a queste!” sbottò scuotendo distrattamente le
ali.
“Do’hao...” sbottò il
moro “Non si è mai visto un drago che inciampa nella sua stessa coda come
fai tu!”
“Stupida volpe
mentecatta come ti permetti di insultare il genio!” disse infiammandosi
subito, il drago rosso.
“Il genio dei do’hao!”
sfottè il moro divertendosi un mondo nel vedere l’altro scaldarsi.
Era fin troppo facile
farlo arrabbiare.
“Ti faccio vedere
io!!!” ringhiò infatti Hanamichi, lanciandoglisi contro a tutta velocità.
I due presero ad
azzuffarsi, rotolandosi tra l’erba smeraldina, scambiandosi morsi e graffi
che, nonostante la lotta, non erano volti a far male ma semplicemente a
‘giocare’ con il compagno.
Successe tutto molto
velocemente.
Kaede si ritrovò sopra
il corpo del rossino e improvvisamente smise di cercare di colpirlo.
Si fissarono per un
lungo momento e poi Rukawa abbassò il capo cominciando a depositargli
piccoli morsi alla base del lungo collo scarlatto del mezzosangue.
“Che.. che stai...
facendo...?” ansimò il rossino che, seppur senza riuscire a spiegarselo, si
sentiva improvvisamente andare a fuoco.
Rukawa sentì a malapena
le sue parole.
Sua madre l’aveva
avvertito che sarebbe successo.
La stagione degli
amori.
Il suo corpo
ritrovandosi in una posizione tanto provocante, sopra quella di quello
splendido ragazzo aveva reagito.
Lo desiderava.
La passione era
letteralmente esplosa dentro di lui.
“La prima volta è
devastante Kaede, per questo ci cerchiamo un compagno prima dei quindici
anni...” gli aveva raccontato sua madre “...perchè quando giunge ‘quel’
momento sei con qualcuno di cui ti fidi, a cui poi donare te stesso”.
Le parole di Raja gli
rimbombavano nella testa.
Aveva creduto di poter
trattenere il proprio istinto... come si era sbagliato!
Il desiderio, il
bisogno, era davvero devastante.
Doveva accoppiarsi.
Non riusciva a pensare
a nulla che a quello.
Fantastico, pensò
ironicamente tra se, sono in calore!
Hanamichi si dibattè
debolmente sotto di lui, portando involontariamente i loro corpi a
sfiorarsi.
Kaede mugolò bloccando
il compagno sotto di se.
Gli occhi dorati del
mezzosangue erano sgranati eppure...
Hanamichi non riusciva
a spiegarsi che cosa stava succedendo.
Non aveva mai pensato a
l’altro drago in QUEI termini però ora... ora che stava succedendo, ora che
sentiva il suo respiro affannoso sopra di se...
Il suo istinto umano
gli diceva che non poteva fare quello che stavano per fare ma la sua parte
animale...
Quella era già pronta
ad accogliere il compagno.
“Hana...” ansimò Kaede
ad un soffio dal suo volto “...vuoi essere il mio compagno?” chiese piano.
Sakuragi cercò il suo
sguardo, specchiandosi in quei due laghi blu per pochi secondi prima di
annuire deciso e Rukawa lo possedette con un’unica spinta profonda che gli
strappò un grido di dolore.
Il drago nero maledisse
per un momento il suo istinto e la sua forma che gli impedivano di coccolare
il compagno come avrebbe voluto ma tra Alati l’accoppiamento non era che un
semplice gesto di possesso volto alla procreazione.
Non aveva niente di
romantico, era puro istinto violento, fatto di spinte e piacere.
Tuttavia dopo il primo
momento di irrigidimento Hanamichi non provò a rifiutarlo, anzi s’inarcò
sotto di lui, accogliendolo a fondo dentro di se finchè con poche spinte
violente entrambi si riversarono con un ruggito rauco.
“Scusami...” mormorò
piano Rukawa sfiorandogli il muso con il suo, pochi istanti più tardi,
quando il respiro di entrambi si era regolarizzato.
Hanamichi scosse il
capo, accollandosi contro di lui “Non mi hai fatto male...” mormorò
reprimendo uno sbadiglio.
“Kae..?” lo chiamò dopo
un po’ che stavano in silenzio.
“Hn?” chiese il moretto
sfiorandogli quasi distrattamente la coda con la propria.
“E’ così anche tra
esseri umani?” chiese il rossino, sfuggendo il suo sguardo.
Rukawa arricciò le
labbra.
“No, gli esseri umani
si coccolano, si baciano... è molto più...” cercò le parole senza trovarle.
“Vedi tra draghi l’atto
sessuale è solo passione, per gli uomini invece è anche... amore” spiegò
infine.
Il rossino annuì piano
prima di sollevare il capo e fissarlo seriamente.
“Allora, quando
torneremo nel nostro mondo mi piacerebbe fare l’amore con te...” sussurrò
strappando il respiro dai polmoni del volpino.
“Anche a me
piacerebbe...” mormorò Kaede stringendolo a se ...“ma purtroppo non sarà
possibile...” disse tristemente.
“Perchè no?” chiese il
mezzo sangue confuso e leggermente ferito da quel rifiuto.
Rukawa scosse piano il
capo “Una volta varcati i cancelli tu dimenticherai quanto è accaduto
qui...” gli spiegò.
Hanamichi trasalì
sollevando il muso per guardarlo preoccupato, senza capire, e Rukawa
sospirò.
Dimenticava sempre che
con lui doveva cominciare a raccontare sempre dal principio.
“Vedi nel riprendere la
tua forma umana la tua parte di drago verrà rinchiusa dentro di te e con
essa i ricordi a lei legata, ti ricorderai di me solo fra dodici lune,
quando ci reincontreremo qui...” gli spiegò.
“Ma tu ti ricorderai di
me?” chiese Hanamichi preoccupato.
Il volpino annuì “Io
sono un drago puro pertanto non perderò i ricordi...” lo rassicurò.
“Allora vieni a
cercarmi!” propose il rossino soddisfatto della sua trovata.
Kaede gli sorrise
mestamente “Dimmi dove abiti...” lo sfidò bonariamente.
Il drago rosso aprì la
bocca e poi la richiuse.
“Non riesco a
ricordarmelo...” mormorò affranto.
Kaede annuì “La stessa
cosa che ti accade quando ti trasformi in drago, perdi i ricordi del tuo io
umano, li ritroverai solo una volta tornato nel tuo tempo...” mormorò.
“Ma ricordo il mio
nome, e anche che i miei genitori sono morti!” protesto il rossino piccato.
“Perchè questi sono
particolari della tua vita umana che sono uguali anche in quella di drago.
Così come sai che hai quindici anni o che il tuo corpo è muscoloso e forte
anche nell’aspetto umano...” sussurrò sfiorandogli il collo con il muso.
Hanamichi rabbrividì
strofinandosi contro di lui e Rukawa avvertì nuovamente l’impellente
desiderio di averlo.
“E se... Kaede aspet...”
Hanamichi ansimò pesantemente mentre il compagno lo spingeva a terra “se
usci... usciamo dalla stessa Portahhhhhh?” le ultime vocali si persero in un
lungo gemito quando il drago nero si spinse dentro di lui.
Solo diverse minuti più
tardi Hanamichi potè porre di nuovo la sua domanda, tuttavia la risposta non
fu quella sperata.
“Quando la Dodicesima
Luna tramonta ci troviamo automaticamente oltre la porta per cui siamo
entrati...” gli disse infatti Kaede “...e mentre la mia è in riva al lago di
Kanagawa chissà dov’è la tua...” mormorò tristemente.
Il rossino appoggiò
mestamente il capo sulle zampe.
“Vuol dire che non c’è
possibilità per noi?” mormorò piano.
“Ci rivedremo, qui, tra
un anno” mormorò Kae sfiorandogli il volto, dolcemente.
“Un anno è lungo...”
mormorò il mezzo sangue e Rukawa annuì spingendolo nuovamente sotto di se
“E’ vero..” gli sussurrò accarezzandogli il collo “...ma tu dimenticherai
anche questo...”
Rukawa emerse dalle
acque del lago passandosi una mano tra i capelli umidi.
I vestiti lo
attendevano dove li aveva lasciati solo sei ore prima.
Si rivestì in fretta e
si diresse verso il punto in cui Raja lo stava aspettando.
Un anno.
Troppo, troppo tempo.
Non poteva aspettare
così tanto, erano passati solo dieci minuti da quando l’aveva lasciato
andare e già Hanamichi gli mancava!
Sollevò una mano
sfiorandosi le labbra ancora leggermente gonfie.
Chissà che sapore aveva
la sua bocca nella forma umana, si chiese silenziosamente mentre affiancava
la madre nella strada verso casa.
Doveva essere
delizioso.
Caldo.
Passionale.
Allontanò con rabbia
quei pensieri.
Perchè lui doveva
mantenere tutti i suoi dannati ricordi mentre il rossino si stava
probabilmente dirigendo tranquillamente verso casa chiedendosi come aveva
fatto ad addormentarsi all’aperto?
Non era giusto!
Chissà dov’era in quel
momento.
Chissà se un giorno,
per caso, lo avrebbe incontrato per strada e l’avrebbe riconosciuto,
nonostante le sembianze umane.
Sì, era sicuro che non
appena i loro occhi si sarebbero incrociati lo avrebbe riconosciuto.
“Kaede...”
Il ragazzo sussultò
voltandosi verso la madre che da un po’ lo fissava in silenzio.
“C’è qualcosa che non
va tesoro?” chiese dolcemente.
Rukawa sbuffò piano.
“E’ successo qualcosa
su Asgard mentre eri via?” gli chiese preoccupata.
Lei riusciva a
ricordare, con il passare del tempo aveva imparato a controllare il suo
potere e pertanto riusciva anche a non perdere i suoi ricordi.
Chissà quanto ci
avrebbe voluto perchè Hanamichi acquisisse quella sua stessa dominanza della
magia!
“Su tesoro dobbiamo
tornare a casa abbiamo tante cose da fare e poi tra due giorni comincia la
scuola!” gli disse cercando di scuoterlo un po’.
Rukawa sbuffò di nuovo
“Adesso la scuola è il mio ultimo pensiero...” borbottò cupo.
“Ma tesoro!” protestò
Raja prendendolo sotto braccio “Non si sa mai! Potresti incontrare qualcuno
di speciale allo Shohoku!”
Kaede scosse il capo,
mestamente.
Lui non voleva
incontrare nessuno.
Rivoleva semplicemente
il suo amante!
Un giorno... un giorno
l’avrebbe ritrovato e allora.... allora gli avrebbe fatto mantenere la sua
promessa.
fine.... (per ora)
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