Disclaimers: anche se eravate convinte del contrario i personaggi della combricola di Slam Dunk non sono miei :ma di quel brav'uomo di Inoue...che se avesse deciso di fare il venditore di carciofi non mi avrebbe permesso di sbrodolare con i suoi fantastici pg! Keita Taniguchi e pochi altri sono miei. Questo in particolare, però, ha il nome del mio amico di penna giapponese...quindi gli va parte del mio affetto!
Dediche: a Releuse e a Dea73 che hanno promesso di minacciarmi qual ora poltrissi al posto di scrivere (ma lo fanno per il mio bene eh! ) a Hina sensei *___* e a tutte le ragazze che amano Slam Dunk e che non hanno ancora smesso di ricamarci sopra!
Ed ora… ... benvenute nella mia personalissima Kanagawa!
La Cenerentola del Basket
parte V
di Seika
Yohei guardava preoccupato le nocche dell’amico sbiancarsi per la tensione.
Il rosso stringeva spasmodicamente i pugni, preso da una silenziosa rabbia che sembrava sempre sul punto di dover esplodere.
I due amici erano accucciati dietro una siepe che costeggiava una rete metallica, che a sua volta delimitava un campetto da basket. Il sole era alle loro spalle. Erano stati attenti a questo dettaglio, non volevano certo farsi scoprire… e poi volevano poter vedere chiaramente quanto si presentava di fronte ai loro occhi. O almeno questo valeva per Hanamichi.
Mito, in effetti, avrebbe preferito levarsi da lì. Dentro di sé una preoccupazione crescente gli stava suggerendo che era meglio defilarsi, cercar di far ragionare l’amico in maniera razionale e prendere un po’ di tempo. Ma il viso contratto dalla rabbia e quei pugni ermeticamente serrati lo facevano desistere da ogni tentativo di opporsi alle decisione di Sakuragi. Tutto ciò che poteva fare era stare in allerta, pronto… nel caso il rosso fosse scattato con l’intento di menare le mani.
Il sabato era passato un po’ in sordina e Yohei si era illuso che l’altro si fosse completamente scordato dei suoi intenti di pedinamento nei confronti di Rukawa. Ma quella mattina, sul presto per essere una domenica, era stato buttato giù dal letto da una telefonata di Hanamichi, che aveva insistito con sua madre perché lo svegliasse data l’urgenza con cui lo cercava. Aveva dovuto quindi cedere, senza poter davvero contrastare la furia rossa. Si erano accordati per vedersi il pomeriggio, subito dopo pranzo, al fine di arrivare al campetto di basket incriminato e stanare i sospetti.
Solo che le cose non erano andate poi così lisce.
Mito aveva fatto tardi, avendo dimenticato la promessa fatta al padre di tagliare l’erba del giardino di casa. Hanamichi si era allora presentato al suo cancello, già fumante di rabbia e ben poco disposto al ragionamento. Non avendo il coraggio di contraddirlo, il moretto si era quindi sbrigato nel finire il suo compito domenicale ed era poi uscito di corsa, dirigendosi con l’amico alla fermata della metro.
Agitato per il silenzio irreale in cui Sakuragi si era chiuso da quando si erano incontrati, Yohei non si era accorto di essere arrivato alla fermata in cui avrebbero dovuto scendere. Erano quindi stati costretti a scendere alla successiva e Hanamichi si era subito messo a camminare velocemente e a grandi passi, quasi sfiorando una corsa, andamento che Mito aveva invece dovuto adottare a causa delle sue più corte gambe. Partendo poi da un punto in cui riusciva a stento ad orientarsi, il moretto si accorse ben presto di non sapere bene come raggiungere i campetti sportivi vicino alla spiaggia. Non volendo però ricevere una clamorosa testata dal vulcano al suo fianco, Yohei aveva preferito ostentare una finta sicurezza, pregando in silenzio Kami perché gli facesse presto riconoscere qualche via e sapere così dove andare.
Il rosso per tutto il tempo non aveva emesso una sola sillaba. Questo più di ogni altra cosa sconvolgeva l’altro. Per la prima volta in vita sua, infatti, Mito non riusciva assolutamente a decifrare cosa passasse nella mente dell’amico.
Con ben due ore e mezza di ritardo rispetto alla tabella di marcia, infine, i due avevano raggiunto l’entrata del parco che ospitava il campetto loro meta.
“Ci siamo…” si era azzardato finalmente a sillabare Mito, ricevendo in cambio un grugnito poco rassicurante da parte del compagno.
Più lentamente e con circospezione, i due ragazzi avevano percorso la stradina che si addentrava in mezzo agli alberi e ai grandi prati ricoperti di verdissima erba, mentre all’orizzonte il sole cominciava già lento a tramontare. Mito aveva camminato in silenzio, a fianco del suo migliore amico, osservando la sua ombra allungarsi di fronte a sé, rendendosi solo marginalmente conto di come il cielo si stesse tingendo sempre più di rosso e di come le voci delle persone intorno a loro sfumassero sempre più in un silenzio irreale.
Essendo quasi le sei del pomeriggio, non era affatto sicuro che avrebbero incontrato ancora qualcuno al campetto, in effetti non era nemmeno certo che i tre giocatori ci si fossero recati.
Ma con sempre maggiore lentezza Sakuragi gli aveva imposto di fare un giro largo, passando in mezzo ai prati e scavalcando qualche siepe, in modo da poter giungere al campetto dalla parte opposta rispetto a quella dell’entrare e non rischiare così di essere scorti dagli eventuali occupanti.
E tutte queste “misure precauzionali”, alla fine, si erano dimostrate utili. Anche se solo Kami sapeva quanto il moro avrebbe preferito che si fossero dimostrate insensate…
Per un gioco beffardo del destino, pensava ora Yohei continuando a posare lo sguardo sul volto contratto di Hanamichi e seguendo poi il suo sguardo sul trio all’interno del campo da basket, avevano trovato proprio chi stavano cercando, nemmeno si fossero messi d’accordo. Senza contare che i tre più che giocare, cosa che avrebbe irritato il rosso ma sicuramente meno di quanto facesse lo spettacolo che avevano di fronte, parlottavano fra loro in maniera amichevole e confidenziale… andando inconsapevolmente a buttare alcool su una fiamma già molto, molto, alta.
***
Non si era mai considerato un hentai. Certo, quando per strada incontrava qualche bel ragazzo si girava a fissarlo, magari facendo anche un fischio di apprezzamento. Al Babylon, la sera, non esagerava nei commenti ma non si lasciava certo sfuggire i bei panorami presenti. Ma era tutto nella norma, tutto perfettamente comprensibile dati i suoi non ancora diciotto anni d’età e il suo status di single.
Però ora si trovava a rivalutare le sue conclusioni.
Da quando a scuola avevano proiettato il video di Sakuragi, infatti, Mitsui non riusciva davvero a levarsi dalla testa le immagini che gli si erano impresse sulle iridi. Capitava che stesse facendo i fatti propri e poi boom!, di botto, per chissà quale connessione mentale, gli si ripresentava davanti agli occhi un muscolo dorato e scattante, qualche soda rotondità, quei respiri tanto forti ed intensi da sembrare irreali…
Ma ciò che più sconvolgeva il ragazzo era che si eccitava al pensiero di un suo compagno di squadra. Un compagno che fino a pochi giorni prima occupava solo un’infinitesimale parte della sua attenzione. Senza contare, poi, che era il ragazzo di cui uno dei suoi migliori amici era innamorato! Mai Hisashi si sarebbe sognato di tradire un amico per amore, tanto più che la sua era palesemente attrazione fisica – e che attrazione! – ma voleva comunque evitare che il volpino si accorgesse dei suoi pensieri! Considerando come era scattato ai commenti sentiti in Aula Magna, infatti, non faticava ad immaginarsi atroci ritorsioni nei suoi confronti se Rukawa fosse venuto a conoscenza dei suoi pensieri. E poi… se a lui che conosceva bene Sakuragi, anche negli aspetti più ridicoli e chiassosi, lo spot aveva fatto quell’effetto, come poteva aver reagito chi del rosso conosceva solo la fama di attaccabrighe e la sua insolita capigliatura?
Urgeva una soluzione ma, più di ogni altra cosa, urgeva cercare un modo di distrarre Kaede almeno fino a lunedì. Mitsui ormai lo conosceva abbastanza per sapere come l’amico si sarebbe presentato a scuola, infatti, se avesse passato un week end rinchiuso nel suo vecchio mutismo, a rimuginare vendetta.
Con questi propositi, quella domenica pomeriggio, la guardia dello Shohoku si era presentata a casa di Sendoh, cercando manforte nel ragazzo per affrontare il bozzolo di ostilità in cui il suo compagno di squadra probabilmente si era rifugiato.
Approfittando della strada da percorrere, Mitsui aveva raccontato ad un meravigliato Akira ogni cosa successa il giorno prima, dal video di Hanamichi alla reazione di Rukawa, propria e di tutta la scuola. Il giocatore del Ryonan seguiva attento ogni parola, ridendo a tratti nell’immaginarsi le varie scene dello spot, ma rimanendo anche serio e concentrato, quando l’amico al suo fianco aggiungeva alle descrizioni le sensazioni e le emozioni che quella testa calda era riuscita a suscitargli. “…caspita, non riesco davvero ad immaginarmelo così etereo come lo descrivi tu. Come vorrei vedere anche io quel video!” esclamò Sendoh, alla fine del racconto dell’amico. “Non dovrai aspettare poi molto, tra qualche giorno saranno trasmessi entrambi su tutti i canali nazionali…” rispose Mitsui, fermandosi davanti al cancello di casa Rukawa e suonando deciso il campanello. “Ora però cerchiamo di far uscire la volpe dalla sua tana…” aggiunse facendo un cenno verso la finestra del salotto della casa, quella poco più a sinistra della porta dove, un leggero movimento della tenda, aveva rivelato un ragazzo ben poco disposto al dialogo.
Era stata una vera impresa ma, alla fine, ce l’avevano fatta.
La provvidenziale parlantina di Sendoh, unita alla risolutezza del numero quattordici, erano riuscite a sbloccare l’ostilità dell’ala piccola dello Shohoku, che sembrava in ogni momento pronto a sbranarsi chi gli stava di fronte.
Cercando di ridere e scherzare come al solito, ricevendo in cambio solo grugniti e sguardi biechi, il trio era infine giunto al campetto loro meta quasi quotidiana, partendo subito con il loro solito torneo personale dove Rukawa ebbe modo di sfogare frustrazioni e rabbia mal celata.
Erano andati avanti così per almeno due ore buone, senza mai fermarsi, o almeno Kaede non si era mai riposato. Mosso da una forza inarrestabile, infatti, l’asso dello Shohoku aveva continuamente vinto ogni incontro, lasciando i suoi due amici del tutto senza fiato. Alla fine però, dopo l’ennesima vittoria per venti a diciotto contro Mitsui, anche il volpino si decise a fermarsi un attimo, per tirare il fiato. I tre ragazzi si sedettero uno accanto all’altro, spalle alla recinzione metallica e viso verso il mare, dove il sole stava lentamente tramontando. In mano una Pocari Sweet a testa. “Bè caro mio, sei fregato…” “Hn?” non sapeva perché, ma Rukawa era certo che Sendoh ce l’avesse con lui. “…ora la popolarità di Sakuragi salirà alle stelle e tu avrai il tuo bel da fare con tutta quella concorrenza!” Mitsui sputò il sorso di bevanda che stava mandando giù: che delicatezza! Aveva raccomandato ad Akira di stare attento con le parole, per una volta, di non dire tutto quello che gli passava per la testa e di tastare per bene il terreno, prima di fare qualche riferimento al rosso in presenza di Rukawa. Allibito si voltò verso i due ragazzi, aspettandosi di dover bloccare la volpe dai suoi intenti omicidi nei confronti dell’amico, ma il volto pensieroso di Kaede lo lasciò ancor più a bocca aperta. “Hn.” Aveva solo replicato quest’ultimo, sorseggiando distrattamente la sua lattina. “Comunque sia questo cambia poco le cose, secondo me” continuò il giocatore del Ryonan, incoraggiato dall’attenzione che la volpe sembrava dare alle sue parole “questo perché, sia con o senza spot, tu non hai idea di cosa possa provare Sakuragi per te. Solo… la sua ‘fama’ renderà le cose… interessanti!” “Interessanti?” non si trattenne Mitsui. “Certo, interessanti! Innanzitutto perché il tutto gli capiterà tra capo e collo, senza che lui sappia bene come comportarsi; sarà un cucciolo smarrito bisognoso di aiuto!” cominciò a spiegare con aria maliziosa Sendoh “E poi se gli faranno la corte ragazze e… ragazzi… tu potrai capire chi dei due gli interessa di più, senza esporti troppo, o no?” concluse poi con una gomitata complice alla volpe, sedutagli di fianco. “Tu sei tutto suonato!” commentò solo Hisashi, con un sorriso leggero che gli increspava un angolo della bocca.
Rukawa restava in silenzio. Non sapeva se dar retta alle parole dell’amico o badare invece al suo buon senso, che gli diceva che quelle erano un mucchio di fesserie. “Non capisci Hisa” continuò finto offeso l’asso del Ryonan “anche tu Kaede, è necessario vedere la cosa in maniera distaccata! Non farti prendere dai tuoi ormoni che ti dicono di uccidere chiunque guardi quello spot e segregare il rosso in qualche posto remoto e inaccessibile. Dovrebbe farti piacere che il tuo ragazzo sia così popolare, invece!” “Tsk! Io non sono geloso… solo vorrei dire due paroline a quel pezzo di Do’aho a quattr’occhi… e pianificare un omicidio di massa… ma quello dipende da come si metteranno le cose.” Concluse poi con cipiglio serio la volpe, ma dai suoi occhi i due amici colsero la vena scherzosa con cui Rukawa stava in effetti cercando di sdrammatizzare. “Kami Sama! Kaede che scherza! Forse lo shock e la gelosia hanno avuto effetti irreversibili su di lui!” esclamò fintamente preoccupato Hisashi, guardando Akira con fare complice. “Già” continuò quest’ultimo “senza contare che il nostro ‘Mister Volpino’ non ha nemmeno controbattuto sul fatto che gli ho detto che Sakuragi è il suo ragazzo… tanto sicuro di te campione?” “Hn, lui è il mio ragazzo… solo che ancora non lo sa!” Sendoh e Mitsui a quell’uscita scoppiarono a ridere, strappando al loro amico qualcosa di simile ad un sorriso, nascosto però dalla Pocari Sweet che veloce si era portato alla bocca.
Bè, era più di quanto Hisashi avrebbe sperato per quel pomeriggio.
***
Che diamine stavano dicendo quei tre? Così vicini l’uno all’altro poi! Perché non si sforzavano di parlare un po’ più ad alta voce, miseria! Era un tensai lui, ok, ma il suo udito non si era ancora sviluppato ai limiti delle capacità umane! E guardateli come ridono, quei due rapitori di volpi stupide ed ingenue! Come si permettevano di prendersi tutta quella confidenza con il ragazzo di sua proprietà? Kami Sama, doveva entrare lì, interrompere qualsiasi cosa ci fosse da interrompere e rimettere tutti al loro giusto posto. Sendoh e Mitsui sotto tre metri di terra e Kaede fra le sue braccia.
Solo la mano del suo migliore amico, che veloce gli si era posata sulla spalla, fece desistere Sakuragi dai suoi intenti omicidi. Mito lo conosceva bene: aveva visto quanto al limite fosse arrivato e prima di dover intervenire più drasticamente, aveva semplicemente cercato di riportare il rosso con i piedi per terra. “Hana, non so cosa ti stia frullando per la testa, ma so solo che non sono cose buone…” iniziò allora Yohei “Posso capire la tua gelosia, ma non hai elementi su cui basarla. Io vedo solo tre amici che si riposano dopo una partita.” Cercò di farlo ragionare il moretto, fissandolo attento negli occhi nella speranza di intravedervi un minimo di volontà a razionalizzare.
Ma di Hanamichi Sakuragi si potevano dire tante cose, ma di certo non che fosse capace di mantenere il sangue freddo. Yohei aveva ragione. Dannazione lo sapeva! Ma era più forte di lui. Già venire a conoscenza di come la Kitsune se la spassava in sua assenza, con quei due damerini, lo aveva a dir poco sconvolto; vederlo poi ora con i suoi occhi, non faceva altro che peggiorare la situazione. Lui era abituato ad un volpino surgelato e scontroso. Indipendente e taciturno, capace solo di giocare a basket e dormire. Ma era di tutto questo che si era… innamorato! Questo e molto altro. Ma quel molto altro, che il rosso era certo di aver scorto a volte sotto la superficie, voleva che Rukawa lo dimostrasse solo a lui. Pretendeva che con lui si aprisse, che solo la sua compagnia potesse in qualche modo sbloccarlo. Certo in fondo, ma molto molto in fondo, era in qualche modo contento. Kami, forse contento era una parola grossa, ma comunque vedere il suo Kaede circondato da quello che era indubbiamente affetto lo faceva stare bene. Saperlo sempre solo lo lasciava infatti inquieto; il pallone da basket non poteva essere il suo unico amico, no? Però lì in mezzo, a controllare che la situazione non degenerasse, voleva esserci lui. Lui a stringere forte la volpe per fargli provare l’ebbrezza dell’amore, lui a fargli passare pomeriggi in spensierata allegria. Lui. Insieme. Invece ora si trovava davanti agli occhi una situazione inaspettata, che non sapeva come interpretare né come gestire. E questo lo mandava in bestia. Era decisamente necessario intervenire in qualche modo, prima che la cosa sfuggisse troppo dalle sue mani e la volpe si facesse tentare dagli estranei. Ma non sapeva cosa fare. Voleva, ma dentro di sé non si sentiva realmente pronto ad affrontare il trio. In verità, aveva il timore di quella che poteva essere la reazione di Rukawa: come avrebbe reagito alla sua piazzata? Il suo intento di dichiararsi rimaneva certo, ma così, di fronte a tutti, non gli sembrava il caso. Era dura riuscire ad essere sempre un tensai…
Sakuragi strinse forte i pugni e serrò la mascella. Mito però non se ne preoccupò; aveva perfettamente colto negli occhi del suo migliore amico quella battaglia interiore fra l’impulsività, che gli urlava di irrompere nel campetto e menare le mani, contro la ragione del cuore, che gli imponeva di comportarsi con un minimo di coscienza e astuzia, se aveva realmente intenzione di conquistare la Kitsune. Emettendo il più grande e silenzioso dei sospiri, Hanamichi girò le spalle al campetto sedendosi dietro la siepe che lo nascondeva. Davanti a lui solo qualche altro metro d’erba e più giù il mare, all’apparenza immoto, tinto di rosso per il tramonto. Una lieve brezza gli scompigliava pigra le ciocche ribelli. “Yo, mi sa che dovremmo restare qui finché quei tre non se ne saranno andati. Se ci muovessimo ora ci scoprirebbero di certo.” Disse solo, chiudendo piano gli occhi per godere meglio della carezza rilassante del vento. “Come vuoi Hana… come vuoi.” Rispose il moro, accomodandosi al suo fianco.
Non passò molto che i due amici sentirono distintamente il cigolio della porta metallica del campetto e dei passi allontanarsi. Mito si sporse leggermente oltre la siepe, per controllare la situazione. “Se ne sono andati.” Confermò. Dopo qualche minuto ancora Sakuragi si alzò, spolverandosi piano i jeans da terra ed erba, incamminandosi poi insieme a Mito verso l’uscita del parco. Di nuovo il silenzio accompagnava i due amici. Hanamichi evidentemente perso nei suoi pensieri, Yohei alla ricerca di qualcosa da dire per capire le intenzioni dell’altro.
Percorsero senza più nascondersi le stradine del parco, godendo della tranquillità che l’approssimarsi della sera regalava. Mamme e bambini erano ormai tornati nelle proprie case, solo un paio di persone intente a fare jogging dividevano quello spazio con loro. Anche il viaggio in metropolitana fu caratterizzato dal silenzio del rosso, che Mito continuava a guardare di sottecchi nella speranza di intuire qualcosa. Non cambiò nulla neppure nel breve tragitto dalla loro fermata all’angolo in cui, uno a sinistra e l’altro a destra, i due si dovevano separare per raggiungere ognuno la propria casa. Yohei, guardando la schiena del suo migliore amico allontanarsi, si decise. “Hey, Hana…” lo chiamò. Sakuragi si fermò e, girandosi solo quanto bastava per riuscire a vedere Mito dietro di sé, rispose “Non ti preoccupare Yo, il tensai sta alla grande. Non demordo mica, quella volpe è già mia! A domani!” e salutandolo con un cenno della mano proseguì per la sua strada.
Da quest’uscita, Yohei Mito, non fu affatto tranquillizzato.
***
Avevano cercato di convincerlo in tutti i modi, ma era stato irremovibile. Il Babylon sarebbe rimasto in piedi anche se lui, per quella sera, non ci sarebbe andato, giusto? D’altra parte Kaede Rukawa aveva altri programmi. Dopo il pomeriggio trascorso con Akira e Hisashi, doveva ammetterlo, il suo animo si era abbastanza acquietato. Quindi tutto ciò che gli premeva era di tornare a casa, cenare, fare una doccia veloce ed accoccolarsi nel suo lettone all’occidentale, con il video di una delle sue partite preferite dell’NBA. Si sarebbe addormentato presto e avrebbe avuto un giusto e rilassante riposo, in vista di un grintoso risveglio per arrivare a scuola carico, il lunedì mattina.
Proprio un bel programma. Peccato però che, salutati i suoi due amici e rientrato a casa, aveva visto sua madre finire di stirargli la nuova divisa dello Shohoku, quella utilizzata nello spot. Subito la sua mente era ripiombata fra le irriverenti immagini del suo tormento rosso, sudato ed ansante, una divinità pronta a portarlo direttamente in Paradiso o all’Inferno. Ma, immediatamente dopo, la sua divagazione personale virò bruscamente sui commenti e i fischi, sulle frasi ben poco innocenti di approvazione, che finita la proiezione del video gli studenti del suo liceo si erano concessi. Cominciò a fumare dalla rabbia. Decise allora che forse era meglio farsi la doccia subito, giusto per sedare i bollenti spiriti. Ma il getto dell’acqua non era stato sufficiente a ridonargli un minimo di autocontrollo sulle proprie emozioni; pensare al corpo di Sakuragi, così come gli si era presentato in quelle immagini, aveva riportato presto la sua eccitazione a valori di guardia, così come la sua frustrazione per l’intera situazione. Era uscito dalla doccia trattenendo un’imprecazione e asciugandosi in fretta. Tuttavia i suoi piani per la serata, decise, non sarebbero stati ulteriormente rovinati. Così si diresse in cucina sperando di poter cenare con un po’ di tranquillità ma, non appena sedutosi, a sua madre era venuta la geniale idea di tempestarlo di domande sullo spot, impaziente di vedere il proprio bambino in televisione! Dopo quella che alla volpe era sembrata una sequenza interminabile di domande scoccianti, a cui aveva risposto a suon di “Hn” e “Tsk!”, sua madre scontenta gli aveva detto “Deduccio, certo che sei proprio scontroso oggi! Potresti almeno dirmi quando inizieranno a trasmettere lo spot in tivù, no?” “Ottobre.” Fu tutto ciò che Rukawa concesse in quell’interrogatorio, lasciando Saori insoddisfatta. Non potendo più sopportare quella tortura indicibile, Kaede si era alzato da tavola, lasciando più di metà cena intonsa, dirigendosi a passo spedito verso la propria camera.
A quel punto solo l’NBA avrebbe potuto calmarlo. Il programma poteva ancora essere salvato, si ripeteva.
Ma dopo la prima partita il nervosismo ancora gli impediva di addormentarsi, cosa del tutto impensabile per lui. Aveva iniziato così a guardare una seconda e poi una terza partita. I suoi occhi però non ne avevano voluto sapere di chiudersi, né la sua mente di riposare. Passarono in questo modo alcune ore finché Kaede, guardando allarmato l’ora sulla sua sveglia, aveva deciso che avrebbe dormito… volente o nolente! Aveva quindi spento tutto, luce e televisione, augurandosi seccato una buona notte. Lenti erano scivolati su di lui i quarti d’ora e poi le mezz’ore, senza che Morfeo fosse venuto a fargli visita. Rukawa si era girato e rigirato nel suo letto, ad ogni minuto sempre più grande e bollente. Cosa diamine gli stava capitando? Non poteva lui, Kaede Rukawa, passare un’intera nottata insonne, per Kami!
Ad un certo punto, persino il suo stomaco aveva deciso di dare il suo contributo, cominciando a reclamare con sonori gorgoglii il resto della cena che non gli era stata concessa. Rassegnato, il moretto si era alzato, andando in cucina a spazzolare il piatto che la madre gli aveva lasciato da parte con un bigliettino: ti voglio bene Deduccio. Nonostante quell’orrido nomignolo, Kaede non aveva potuto trattenere un piccolo sorriso, accompagnato dal rimorso al pensiero di come aveva trattato sua madre. Lasciato il piatto vuoto nell’acquaio, si era infine diretto verso la propria camera sbadigliando, finalmente consapevole che qualsiasi angoscia lo stesse facendo fremere in quel momento, l’indomani sarebbe sembrata molto più facile da superare. La sveglia digitale sul comodino segnava le tre, quando Rukawa era finalmente riuscito ad addormentarsi. Chiaramente, però, l’allarme che puntualmente si mise a martellare alle sette del mattino seguente, non era servito a nulla: era impossibile destare la volpe dal suo letargo.
***
Così, nonostante i buoni propositi, Kaede si vide ‘costretto’ ad arrivare a scuola solo per le lezioni del pomeriggio e, ovviamente, per gli allenamenti. Tanto, perché dover correre come un forsennato cercando di fare in tempo, pensava ora il moretto pedalando svogliato verso lo Shohoku, non valeva la pena entrare per le lezioni del mattino se non c’era un Do’aho da investire con la propria bicicletta.
In effetti, nemmeno se si fosse scapicollato a scuola, tentando di arrivare al limite per la prima ora, Rukawa sarebbe riuscito ad incrociare il rosso quel giorno.
Sakuragi quella mattina, infatti, si era alzato davvero presto, dopo una lunga e riposante notte di sonno. Forse per la prima volta nella sua carriera scolastica, non aveva dovuto lottare contro il tempo nel prepararsi e nel fare – o meglio saltare – la colazione. I suoi genitori, piacevolmente sorpresi, avevano preso quella novità come la volontà del loro ‘piccolo’ di sancire il suo ritorno come un nuovo inizio. In fondo un nuovo inizio era proprio quello che il rosso aveva in mente, anche se non esattamente lo stesso che i suoi si aspettavano.
Uscendo di casa si era concesso un affettuoso bacio alla madre e una virile pacca sulla spalla al padre, si sentiva carico. Camminando per strade che aveva percorso innumerevoli volte, Hanamichi prestava nuova attenzione ad ogni particolare: il colore dei muri che lo circondavano, i poster affissi, gli alberi che spuntavano da dietro i recinti, le crepe dell’asfalto su cui camminava, l’azzurro del cielo sopra la sua testa, la limpida freschezza dell’aria che respirava. Intorno a lui chiacchiere e risate di altri studenti, raccomandazioni di mamme che accompagnavano i propri bambini a scuola, sbadigli svogliati di lavoratori diretti alla più vicina fermata della metropolitana. Tutto era così uguale a come era sempre stato ma, nello stesso momento, così infinitamente diverso. Perché quello era il grande giorno. Il suo grande giorno. Il giorno in cui avrebbe fatto capitolare Kaede Rukawa; il cuore del volpino sarebbe stato suo! Quello era il giorno del mitico tensai.
Trovare Mito che lo aspettava al solito posto, però, lo sorprese non poco. Essendo presto si era aspettato di non incrociare nessuno, almeno fino ai cancelli dello Shohoku. Yohei dal canto suo era certo che quella mattina Hanamichi si sarebbe alzato di buon ora e ci teneva a fare con lui la strada fino al liceo. Senza contare poi che, gli era venuto in mente la sera precedente poco prima di andare a dormire, non aveva ancora detto all’altro dello spot!
Camminando fianco a fianco con l’amico, ridendo e scherzando come se il pomeriggio prima fossero stati al Pachinko, invece che a spiare la volpe, Mito si chiedeva come introdurre il discorso. Non era certo di come Sakuragi avrebbe potuto reagire, in fondo lui sapeva di quanto timido potesse essere, soprattutto se messo al centro dell’attenzione in maniera tanto diversa da quella che lui solitamente ricercava. Fare il buffone, senza preoccuparsi mai della reazione degli altri, era un modo del rosso per combattere le sue insicurezze. Apparire in uno spot come un… sex symbol... probabilmente poteva gettare l’amico in uno stato di profondo imbarazzo. E poi era curioso. Yohei non voleva assolutamente perdersi la reazione dei suoi compagni, quando avessero finalmente scorto Hanamichi. Dati gli applausi di sabato, chissà cosa sarebbe potuto accadere ora.
Giunti davanti al cancello dello Shohoku, i due scorsero il resto dell’armata. “Tutti mattinieri oggi?” aveva chiesto perplesso il rosso. In effetti anche Takamiya, Noma e Okuso non volevano perdersi le reazioni di Sakuragi alla sua inaspettata popolarità. Magari ci scappava qualche scommessa. “Yo, ma glielo hai detto?” chiese sottovoce Noma all’amico, a nome di tutto il gruppo. Un rapido cenno della testa di Mito fece allargare un sorriso sulla faccia di Chuichiro, accompagnato da quello del resto della combriccola già intenta ad immaginarsi i mille e uno modi per sfottere il rosso.
Non appena Sakuragi aveva varcato i cancelli dello Shohoku, infatti, subito molte teste si erano girate nella sua direzione. In effetti Hanamichi non ci badava più di tanto, immerso com’era nei suoi contorti pensieri. Ma il Guntai al suo seguito, invece, notava eccome i piccoli gruppetti di persone che, parlottando a bassa voce, indicavano il loro amico. Il soggetto in questione, tuttavia, proseguiva diritto per la sua strada con la testa fra le nuvole. Favorito poi dall’ora, troppo presto perché ci fossero in giro tanti studenti, non veniva particolarmente distratto da quella inaspettata attenzione, proseguendo indisturbato verso la propria classe.
La notizia del suo ritorno, però, aveva fatto il giro della scuola in un battito di ciglia e solo l’inizio delle lezioni aveva salvato Hanamichi dall’assalto. Tutto ciò comunque non lo impensieriva minimamente. Tutti i suoi neuroni, infatti, erano unicamente concentrati sulla Kitsune.
Era soddisfatto: la sua levataccia gli aveva scampato un incontro prematuro. Sakuragi, infatti, voleva poter affrontare Rukawa in pace, faccia a faccia solo loro due. Il cortile della scuola, nell’ora di entrata, era decisamente troppo affollato! Alla fine delle lezioni era sicuramente meglio. Anzi, alla fine degli allenamenti lo era ancora di più! L’importante era riuscire ad ignorare la volpe durante quest’ultimi, cercando di evitare provocazioni o battibecchi… non era sicuro di come avrebbe potuto reagire in una situazione simile e poi…
“Signor Sakuragi, è fra noi?”
Akizawa, il professore di letteratura giapponese, si fermò proprio davanti al banco del rosso, tirandosi su gli occhialetti con un gesto stizzito. “Si crede già una grande star? Tanto da non dover prestare attenzione alle mie lezioni? Guardi che senza un minimo di cultura, riuscire nello sport non le servirà a niente nella vita!”. Così dicendo il professore batté con forza sul libro di testo abbandonato sul banco di Hanamichi, imponendogli di aprirlo e riprendendo poi la lettura là dove si era interrotto.
In tutto questo, il rosso non era stato in grado di ribattere una sola parola. Inebetito, osservava la schiena del professore riprendere la sua soporifera camminata, su e giù per la classe. Che diamine voleva da lui Akizawa? Come se fosse la prima volta che si distraeva durante una sua lezione, tra l’altro! E poi cosa centrava il basket? Era appena tornato da un lungo periodo di riabilitazione… niente sport, se non lo sapesse! Anche se, in tutto quello, una cosa giusta l’occhialuto l’aveva detta, doveva ammetterlo. Il professore pensava che si fosse montato la testa perché le sue doti sportive l’avevano fatto assurgere al livello dei grandi! Ok, le parole forse non erano state esattamente queste, ma il concetto che lui era un tensai ci stava tutto… o no?
Perplesso si voltò piano, per cercare con lo sguardo Yohei, nel tentativo di capire se almeno l’amico avesse idea del perché Akizawa se la fosse presa così tanto con lui. Nel puntare, finalmente per la prima volta da quando era giunto a scuola, l’attenzione su ciò che lo circondava, Sakuragi notò altre cose abbastanza insolite. Due sue compagne di classe si erano avvicinate parlottando sommesse, per poi allontanarsi di scatto quando lui le aveva viste, non prima di lasciarsi sfuggire ognuna una risatina ed uno sguardo al suo indirizzo. Kami! Ne era certo, quelle non erano risa e sguardi di scherno... ma malizia ed interesse, quasi…ci stessero provando con lui! Ne aveva visti tanti simili, nei film in televisione o rivolti alla volpe da ogni, o quasi, essere femminile della scuola.
Con la coda dell’occhio scorse poi Yoshita, un suo compagno abbastanza popolare che faceva sempre finta di non conoscerlo… giusto per evitare di finire coinvolto in chissà quale losco affare, aveva sentito dire, chissà poi perché! Il ragazzo in questione, sempre in quella breve frazione di secondo in cui Sakuragi spostava il suo sguardo dalla finestra a Yohei, riuscì a sorridere al rosso, alzando due dita in segno di vittoria e… stima? Complicità? Kami, ma che voleva pure lui? Senza contare gli altri sguardi che ora, pericolosamente consapevole, il rosso sentiva puntati su di sé!
Mito, anche lui impegnato a far passare quella noiosa lezione con attività alternative, come scarabocchiare sul quaderno, non si era perso una parola dell’acido commento del professore al suo migliore amico. Era stato certo, per un attimo, della reazione violenta di quest’ultimo. Ma in effetti lo sbigottimento, per una situazione incomprensibile, aveva frenato ogni reazione impulsiva in Sakuragi, che adesso si stava finalmente rendendo conto di tutta l’attenzione che sin da quel mattino aveva attirato. Bè, una cosa buona Akizawa l’aveva fatta in quelle due interminabili ore: aveva riportato Hanamichi con i piedi per terra.
***
“Cosa cavolo sta prendendo a tutti!” aveva urlato Sakuragi non appena giunto sulla terrazza della scuola, al sicuro! Mito guardava l’amico tra il divertito e il rassegnato, mentre gli altri dell’armata scommettevano, sghignazzando poco velatamente. “Ma li avete visti?” continuava intanto il rosso “Prima in classe Akizawa mi dà addosso come se gli avessi fatto chissà che torto! Poi i nostri compagni mi hanno circondato come pazzi, appena la campanella ha suonato! Ed ora, in corridoio, mi sono visto assalire da gruppetti sbavanti di ragazze che tentavano di strapparmi i vestiti di dosso!” Hanamichi camminava gesticolando nervosamente, tentando di venire a capo di quella strana mattinata appena conclusasi.
“Guardate! Guarda qui Yo!” si era girato di scatto verso gli amici, facendo notare come la manica della sua divisa avesse strappi in più punti. “Ok che essendo il genio mi aspettavo un benvenuto come si deve, ma così si esagera!” concluse poi lasciandosi cadere per terra, a braccia incrociate e con un broncio da bambino infastidito sul viso.
“Ok Hana, manteniamo la calma” iniziò Takamiya con sguardo serio “intanto vediamo di dividerci equamente i bento che le tue ammiratrici ti hanno regalato!” disse poi, iniziando a ingozzarsi con quelli più a portata di mano. “Bè ma scusa, non ti fa piacere tutta questa attenzione da parte delle ragazze?” chiese divertito Okuso, afferrando un cestino a sua volta. “… ecco… io…” Sakuragi era riuscito a diventare rosso come i suoi capelli in meno di un secondo. “A Hanamichi interessa solo Haruko. E da lei non ha ricevuto ancora niente. Anzi, non l’ha nemmeno incrociata per colpa di quell’assalto!” arrivò in suo aiuto Yohei, che aveva iniziato a mangiare bocconi da un paio di cestini rosa. “Io ho notato anche qualche maschio nel mucchio, forse ti chiederanno di diventare loro amico!” disse Noma “ma ricordati che i tuoi veri amici qui siamo solo noi!” concluse afferrando un paio di bento e portandoseli davanti entusiasta. “…” Sakuragi si decise ad afferrare un cestino a sua volta, per nascondercisi dietro e non far vedere come le sue guance fossero inesorabilmente rosse. Meno male che c’era Yohei!
Distratto da questa più insidiosa conversazione, Hanamichi si era nuovamente dimenticato del perché lui ed i suoi amici stessero pranzando con bento preparati in casa. La pausa pranzo si era quindi svolta fra scherzi e risate serene, almeno fino al suono della campanella che sanciva l’inizio delle lezioni pomeridiane.
Quello stesso suono aveva accompagnato Rukawa dagli armadietti alla propria aula. Ancora due noiosissime ore lo separavano dagli allenamenti e dal suo sogno rosso. Dormire avrebbe fatto passare il tempo in un batter d’occhio. Purtroppo però il volpino non aveva fatto i conti con il trambusto che, da quella mattina, agitava buona parte degli studenti.
Una fastidiosa onda sonora investiva ogni angolo della scuola. Gridolini e risate, urla e fischi; tutto con l’impossibile capacità di nascondere la precisa provenienza di ognuno, ma con il risultato finale di far diventare un gigante rosso ancora più rosso dei suoi capelli. Mani affondate nelle tasche dei pantaloni e testa incassata nelle spalle, Sakuragi camminava con passo spedito verso la propria aula, tentando di ignorare tutto quell’inspiegabile interesse. Ovunque passava si levavano da ogni dove commenti e risate, sguardi che sentiva scivolargli addosso come una fredda e fastidiosa guaina che gli impediva di respirare.
Lui, che per carattere era sempre stato espansivo, estroverso e al centro dell’attenzione, ora si trovava in totale imbarazzo davanti a tanta popolarità. Ai Campionati Nazionali si era dimostrato davvero bravo, era un genio d’altra parte, ma non pensava che in così tanti avessero seguito le sue prodezze sportive… trovandole poi talmente eclatanti da fare tutto quel chiasso intorno a lui. Chissà cosa aveva subito la Kitsune allora, con in più la convocazione in Nazionale dalla sua!
Hanamichi, ovviamente, non era l’unica persona infastidita da quella insolita situazione. Rukawa, nonostante i suoi buoni propositi, non solo faticava a prendere sonno seduto al suo posto, ma non poteva evitare di sapere in ogni momento dove Sakuragi si trovasse. Infatti, ne era certo, quelle urla seguivano passo passo i suoi spostamenti. Compiva un enorme sforzo, il moretto, nel restare seduto cercando tra l’altro di mantenere la sua solita maschera di impassibilità. Aveva una voglia crescente di alzarsi e piantarsi in mezzo a quell’orda urlante, urlando a sua volta di smetterla, perché quello che stavano infastidendo era il suo Do’aho, il suo ragazzo! Nessuno si dovevano permettere tutta quella confidenza! Ma l’orgoglio e il timore lo tenevano lì, seduto su quella scomoda seggiola, a domandarsi cosa poter usare come tappo per le orecchie e su quale potesse essere invece il momento migliore per affrontare il suo idiota, per mettere a tacere quell’inquietudine che da sabato lo attanagliava.
Gli allenamenti non arrivarono mai troppo presto. La squadra era impaziente di rivedere Sakuragi dopo due mesi. Akagi voleva riprendere a pieno regime gli allenamenti, in vista del torneo invernale con la sua rosa finalmente al completo. Dati i risultati dei Nazionali sapeva che lo Shohoku aveva grandi possibilità, era impaziente di poterle mettere a frutto.
Myagi era contento di poter riabbracciare il suo amico. Dopo i campionati era riuscito ad avvicinarsi molto ad Ayako, soprattutto in vista della sua possibile nomina come nuovo capitano dello Shohoku. Era certo di aver fatto grossi passi avanti ed era impaziente di poter raccontare tutto al rosso.
Mitsui era curioso. Da quella mattina la scuola era stata in fermento, con i professori che tentavano solo blandamente di sedare i comportamenti non ‘a norma’, stranamente indulgenti sul perché di tanta agitazione. Non era riuscito però ad incrociare né Sakuragi, dato che ogni volta che aveva tentato di avvicinarsi alla sua classe una folla di ragazzine – e qualche ragazzo ricordò a se stesso sghignazzando – glielo aveva impedito, né Kaede. Non aveva davvero idea, quindi, di come potessero entrambi stare data la mattina ‘movimentata’, ma era decisamente impaziente di scoprire cosa sarebbe successo agli allenamenti.
Rukawa non ne poteva più. Aveva chiuso entrambi gli occhi e a tratti si era ricordato di russare un pochino, giusto per dare l’illusione a chi gli stava intorno che tutto fosse esattamente come al solito. Ma lui in realtà non si era mai neppure appisolato, tormentato dall’eco delle urla estasiate che lo avevano accolto a scuola e, per una volta, non rivolte a lui. Saltare le ore del mattino era stata davvero una grandissima idea, non avrebbe mai potuto resistere a quella tortura per tutto il giorno! Ora, finalmente, non solo tutte quelle voci petulanti sarebbero state zittite, era infatti certo che né Anzai né Akagi avrebbero permesso ad estranei di assistere agli allenamenti dato il caos generale, ma il Do’aho sarebbe stato finalmente davanti ai suoi occhi. Era impaziente… di tirargli un pugno per tutto quello che gli stava facendo passare.
Sakuragi voleva fuggire. Ovunque quelle risatine e quegli sguardi non lo raggiungessero. Forse doveva riprendere la sua aria da teppista e le cose si sarebbero di nuovo messe come all’inizio dell’anno? Era proprio vero che quando si desiderava una cosa bisognava stare attenti a cosa si chiedeva! Perché se poi il desiderio si realizza, esso può risultare sorprendentemente diverso da come ce lo si aspettava. Lui voleva essere considerato bravo nel basket, popolare e ammirato… ma tutto con un certo limite! Almeno per i suoi vestiti! Sperava che gli allenamenti si sarebbero svolti a porte chiuse, per evitare interruzioni e distrazioni. Era sicuro che Akagi, almeno da questo punto di vista, lo avrebbe salvato. Poi non vedeva l’ora di rivedere la sua squadra e… Rukawa. Ma soprattutto tenere d’occhio da vicino la situazione fra la volpe e quel traditore di Mitsui! Era impaziente Sakuragi, impaziente di far capire alla Kitsune che certi errori non erano ammessi.
***
Era riuscito, inspiegabilmente, a fare un tragitto tranquillo fra la classe e gli spogliatoi. Non aveva trovato che qualche ragazzina in estatica ammirazione, ma non sufficiente per bloccare il suo passo deciso. Anche il brevissimo spazio fra gli spogliatoi e la palestra era vuoto, Sakuragi si era quindi illuso che per quella giornata il peggio fosse passato.
Non appena, però, varcò la soglia della palestra, un coro di grida ed incitamenti accolse il rossino. Smarrito, il soggetto di tanta attenzione alzò lo sguardo agli spalti, scorgendo al fianco delle ormai intramontabili fan di Rukawa, moltissime nuove urlatrici che si rivolgevano al suo indirizzo. In qualche angolo, qualche più discreto – ma non per questo meno interessato – ragazzo, si preparava ad assistere curioso agli allenamenti.
“Ok, pensavo che il fondo lo avessimo toccato con Ru Ka e Wa, ma questo è troppo!” si incupì subito il capitano Akagi che, chiamando in aiuto Ayako e Kogure, tentò di far ritornare la quiete. Tutti vennero infatti spintonati fuori senza troppi complimenti, con la decisione che da quel giorno in avanti gli allenamenti della squadra di basket si sarebbero svolti a porte chiuse, almeno fino a nuovo ordine! Solo il Guntai si salvò da quel rastrellamento, andandosi ad accomodare vicino le panchine.
Hanamichi aveva seguito ogni cosa del tutto impietrito sul posto, inebetito per l’ennesima volta da quell’inspiegabile situazione. Talmente distratto da quel trambusto da non rendersi quasi conto di avere davanti di nuovo la sua squadra, finalmente. Ancora con la bocca aperta, passava lo sguardo dalla porta, dietro la quale era stata fatta sparire l’ultima fan, al suo capitano, che lento gli si avvicinava. “E chiudi quella bocca, idiota! E’ tutta colpa tua!” lo salutò Takenori, regalandogli poi un fraterno e affettuoso abbraccio. “Bentornato, era ora!”.
A quella, tutto il resto della squadra gli andò incontro, salutandolo felice per il suo rientro. Sakuragi non era mai stato così bene. Forse nemmeno la festa a sorpresa, che sua madre gli aveva preparato, era riuscita a fargli provare quella sensazione di calore che ora sentiva. Questo perché, a parte i suoi genitori e l’Armata, non aveva un così stretto rapporto con nessun’altro dei presenti. Ora invece i suoi amici lo festeggiavano, sinceramente contenti.
“Hey Genio, finalmente ti si rivede!” scherzò Ryota. “Non che non si stesse bene anche senza di te!” continuò Mitsui. “Non dargli ascolto Hana, non lo dicono ma sentivano la tua mancanza!” gli confidò Ayako. “Ayako non esagerare, se no poi questo idiota si monta ancor di più la testa.” “Dai Akagi, in fondo Sakuragi mancava anche a te!” intervenne Kogure. E così anche il resto della squadra, con lo stesso calore, stava dimostrando al rosso tutta la sua felicità per il suo ritorno. “Wa ah ah ah ah! Il Tensai è tornato gente!” si trovò ad esclamare Hanamichi, trasportato dallo stesso entusiasmo. “Tsk, Do’aho!”
Solo una persona non si era unita al coro.
Preso in contropiede, dalle sue ammiratrici prima e dalla squadra poi, il rosso si era scordato del tutto di un piccolo, insignificante dettaglio: la volpe. Questo non era sfuggito alla suddetta, che non aveva potuto non notare come quel pezzo di do’aho fosse stato distratto dai suoi ‘fan’ e di come non avesse prestato la minima attenzione a lui. Per fortuna il capitano era intervenuto prima che commettesse una carneficina, dal compiere la quale era stato trattenuto solo dalla mano di Mitsui, prontamente posatasi su un suo braccio.
Quando lo aveva visto entrare in palestra, finalmente in carne ed ossa davanti a lui, il suo cuore si era fermato. La bellezza che scaturiva da quel corpo, all’interno dello spot, non era frutto solo di un sapiente montaggio. No, Hanamichi era davvero cresciuto in altezza e il suo fisico si era irrobustito e definito ancora di più. I capelli gli contornavano il viso in ciocche scomposte, come piccole lingue di fuoco lasciate libere di bruciare. La fronte ampia era per lo più scoperta e gli occhi nocciola, anche se smarriti e sorpresi per tutto il caos che avevano attorno, erano sempre profondamente dolci e decisi.
Solo quando il capitano gli si era avvicinato, abbracciandolo, il tempo per Rukawa aveva ripreso a scorrere. Il volpino si era ritrovato a riprendere fiato; non si era nemmeno accorto di aver trattenuto il respiro per l’emozione dello spettacolo che aveva di fronte. Solo la sua solita impassibilità gli aveva fatto mantenere, per un occhio esterno, una dignitosa compostezza. Ma vederlo soltanto non poteva certo bastargli. Così, aveva dovuto attirare la sua attenzione. Perché era su di lui che il Do’aho doveva concentrarsi, lasciando perdere tutto ciò che gli stava attorno. Doveva farsi perdonare l’affronto dello spot.
Sakuragi si girò verso la voce che più di ogni altra aveva attirato la sua attenzione. Il momento di gioia estrema, dovuto alla calda accoglienza dei suoi compagni di squadra, dimenticato. Il silenzio rivestì l’intera palestra. Ogni persona presente osservava attenta ora Rukawa, ora Sakuragi, trattenendo quasi il fiato nell’attesa di quello che sarebbe stato il primo incontro dei due rivali inseparabili, dopo parecchio tempo.
Mito guardava tra il preoccupato e il rassegnato il suo migliore amico, sperando che non ricadesse nei vecchi errori. Mitsui invece, quasi per istinto, si era avvicinato piano al moretto, forse per dargli un sostegno morale.
Il movimento, però, non era sfuggito all’occhio attento del rosso che, da quando aveva inquadrato nella propria visuale la figura longilinea della Kitsune, era intento ad ammirarne ogni minimo particolare. Si riscopriva ad emozionarsi nel guardare il corpo snello e scattante, la pelle bianca e perfetta, i capelli così lisci e lucidi che sembravano risplendere sotto le luci al neon. Lo sguardo però, profondo e ammaliante, sembrava nello stesso tempo duro e accusatorio… quasi infastidito da qualcosa, forse dalla sua presenza?
Quegli occhi così ostili e quel gesto traditore di Mitsui fecero schizzare alle stelle la rabbia di Sakuragi, che si trovò a fumare dalla rabbia. La cosa non passò inosservata a nessuno, tanto palesemente si potevano leggere le emozioni sul bel viso color miele. Avendo paura che una furiosa rissa potesse scoppiare da un momento all’altro, chi ancora stava intorno al rosso si allontanò cautamente. Persino Akagi rimase impietrito dallo sguardo omicida del suo numero dieci.
L’unico che si avvicinava era Yohei: il ragazzo aveva capito cosa avesse dato così fastidio al suo amico e voleva evitare il peggio, facendogli anche capire che su di lui poteva contare. Anche Rukawa, per più di un attimo, si trovò impreparato davanti alla reazione di Hanamichi. Infondo non gli aveva detto nulla che non fosse risaputo, o che non fosse stato detto e ridetto più volte. Non capiva il motivo della furia che vedeva negli occhi dell’altro. Anzi, proprio quella lo fece arrabbiare ancora di più! Come si permetteva il Do’aho di mostrarsi così ostile e furibondo? Era lui a dover sopportare l’intera scuola innamorata della sua testa rossa! Era lui ad aver aspettato tutto quel tempo per rivederlo, trovandosi poi quella sorpresina come premio!
Due paia di occhi. Due fuochi.
Un unico e continuo filo di elettricità li univa. I presenti tenevano il fiato sospeso, assolutamente intenzionati a non intromettersi, aspettando una qualsiasi mossa successiva. Sakuragi sarebbe balzato addosso alla Kitsune, iniziando una memorabile zuffa? Era ciò che chiunque si aspettava.
Hanamichi guardò ancora per un attimo il volpino e, sorprendendo tutti e forse anche se stesso, con un’ultima occhiata di fuoco si girò dandogli le spalle. “Allora, non si iniziano più gli allenamenti?” disse rivolto ad Akagi che, guardandolo negli occhi annuì soltanto, radunando poi tutti perché iniziassero il riscaldamento.
L’atmosfera si rilassò notevolmente, anche se nessuno aveva il coraggio di fare strane battute o domande, soprattutto per evitare che la tempesta sfiorata poco prima si abbattesse furiosa. Sakuragi ignorava la Kitsune. Rukawa ignorava il Do’aho.
In realtà Hanamichi sapeva sempre dove il moretto fosse, che scatto stesse facendo per raggiungere il canestro… quante volte Mitsui gli si avvicinava anche solo per lanciargli un’occhiata! Kaede aveva perfettamente sotto controllo ogni mossa della scimmia, ogni sua risata o spostamento… ogni tentativo malcelato per evitarlo!
Mito guardava scuotendo rassegnato la testa la pantomima del suo migliore amico, pensando che forse sarebbe stato meglio che il rosso si fosse scatenato poco prima contro Rukawa, piuttosto che arrivare ad ignorarlo così apertamente. Mitsui credeva che mancasse poco perché il suo amico esplodesse. Era quasi convinto che, per la prima volta, lui e gli altri avrebbero visto il numero undici urlare e sbraitare. Certo, riflettendoci meglio questa era un’ipotesi quanto mai impensabile ma a lui, che aveva imparato a conoscerlo, Kaede sembrava sul punto di scoppiare e tirare un pugno in faccia ad Hanamichi, giusto per sfogarsi un po’!
Ma, in realtà, non successe niente di tutto ciò. Le due matricole continuarono semplicemente a far finta di ignorarsi. Cercando accuratamente l’altro con gli occhi ma nello stesso tempo evitando ogni contatto visivo, seppur casuale.
Alla fine degli allenamenti più strani che lo Shohoku ricordasse, gli animi erano comunque sollevati. Sakuragi, lo aveva dimostrato ampiamente, era in ottima forma. In generale, infatti, si poteva affermare che il rosso non fosse poi tornato indietro rispetto al livello di preparazione che aveva raggiunto prima dell’infortunio. Il suo corpo non aveva dimenticato quei movimenti così duramente imparati anzi, sembrava se possibile più solido e scattante, pronto ad affrontare anche lunghe prove. Ma sopra ogni altra cosa, certo, gli allenamenti restavano essenziali, perché la sua tecnica migliorasse e i suoi gesti acquistassero maggiore fluidità… quindi, decise Akagi avvicinandosi al suo numero dieci, da quel giorno stesso Sakuragi avrebbe ripreso con i fondamentali, giusto un’oretta dopo la sessione normale.
“Che cosa?! Ma gorilla, non puoi pretendere che faccia quegli insulsi esercizi dopo due ore e passa di allenamento! Sono ancora convalescente io!” cercò di protestare l’interessato, guadagnandosi solo un gorilla punch da parte del suo capitano. “…e non chiamarmi gorilla deficiente! Comunque se vuoi davvero ritornare in squadra come titolare, senza essere da meno degli altri, ti conviene fare quanto ti dico. E non voglio lamentele!” lo liquidò Akagi, dirigendosi verso gli spogliatoi.
Hanamichi guardava sconsolato le spalle del numero quattro allontanarsi verso il conforto delle docce, chiedendosi cosa avesse fatto di male per dover scontare anche quel supplizio! Poco dopo, credendola una risposta alle sue preghiere, rivide spuntare il capitano dalla porta dietro cui era sparito, sperando seriamente che questi si fosse ricreduto sul suo allenamento extra.
“Mi stavo dimenticando… questo è per te...” disse invece Akagi, porgendo all’inebetito rossino un DVD “…e vedete di non picchiarvi!” aggiunse infine, allontanandosi. Sakuragi si trovò nuovamente a guardare sconsolato il capitano allontanarsi verso gli spogliatoi. Aveva sperato che per una volta il senpai fosse indulgente, in fondo sapeva quanto odiava i fondamentali! Così come sapeva che era appena tornato dalla riabilitazione… un po’ di riposo per Kami! Con un moto di stizza si trovò a stringere i pugni ricordandosi solo in quel momento dell’oggetto che aveva in mano. Con un grosso punto di domanda che gli ronzava in testa, Hanamichi si mise ad osservare il CD, del tutto anonimo se non per la scritta ‘spot’, che occupava una piccola parte del fronte: che diamine era?
Imprecando a bassa voce Sakuragi si diresse alla cesta dei palloni: prima iniziava quegli odiosi esercizi e prima tornava a casa! Quella giornata era nata storta e non era certo migliorata con il tempo! E pensare che quella mattina era uscito di casa carico e deciso… invece prima ci si erano messi tutti i suoi compagni, che lo avevano inseguito e circondato per tutto il giorno, poi quel traditore di Mitsui, che si permetteva confidenze e libertà con la volpe proprio sotto il suo naso e poi la Kitsune stessa, che…“…e vedete di non picchiarvi!”
Rukawa aveva accolto con entusiasmo la fine degli allenamenti. La situazione con il Do’aho era pesante ai limiti del ridicolo e la sua rabbia non aveva fatto altro che aumentare. Solo anni di allenamento gli avevano permesso di giocare sempre agli alti livelli che tutti conoscevano… ed evitare di andare a massacrare il bel viso di Sakuragi a suon di pugni e gomitate! Nella speranza di poter recuperare un po’ di calma, si era quindi deciso per il suo solito allenamento supplementare, rimanendo poi nuovamente sconvolto nel sentire il capitano impartire alla scimmia degli esercizi extra di fondamentali.
Che fare? Andarsene per cercare rifugio in qualche campetto fuori da quella palestra, facendosi quindi battere dalla sola presenza del Do’aho, o andare avanti come al solito? *Non esiste che Kaede Rukawa si fa dire cosa fare e come. Non sia mai che io rinunci ad una sfida senza combattere!* pensò il moretto stizzito, risolvendosi dunque per la via più difficile ma più gloriosa, almeno per il suo orgoglio. Si mise quindi davanti al canestro opposto rispetto a quello vicino cui, con la coda dell’occhio, vedeva discutere Sakuragi e Akagi. Il numero quattro era poi sparito verso gli spogliatoi, lasciando dietro di lui un rossino chiassoso e per l’ennesima volta incurante della sua presenza! Maledetto… Tra un tiro e l’altro vide il gorilla rispuntare in palestra e porgere ad Hanamichi un CD con lo spot incriminato.. “…e vedete di non picchiarvi!” arrivò alle sue orecchie.
Tutto si svolse in una manciata di secondi. Rukawa si decise per un bel dunk proprio mentre Sakuragi, imprecando, si dirigeva verso la cesta dei palloni. Appena i piedi del volpino toccarono il parquet, la mente di Hanamichi registrava finalmente l’ultima frase del capitano e i due ragazzi, quasi contemporaneamente si voltarono di fronte, l’uno verso l’altro.
Ormai era impossibile continuare a fingere di ignorarsi.
Soli, nella palestra dello Shohoku, i due rivali inseparabili si scrutavano. Occhi negli occhi, persi nelle iridi dell’altro. Hanamichi finalmente consolato per quell’estenuante e strana giornata. Kaede del tutto dimentico della frustrazione e della rabbia sentite fino a quel momento.
Ma in un attimo, il loro soverchiante orgoglio ebbe nuovamente la meglio. Sakuragi fu inesorabilmente sommerso dalle immagini della volpe che scherzava e sorrideva ad altre persone all’infuori di lui. Con quella bocca, che ad un tratto si era messo a fissare alternandola agli occhi blu cobalto, incautamente pronta a regalare baci a chi mai se li sarebbe dovuti sognare! Rukawa sentiva forti ansimi nelle sue orecchie. Erano i respiri rochi del Do’aho, che coprivano ogni altro suono ed ogni altro senso, immergendolo in un atmosfera incandescente in cui la scimmia faceva sentire quei suoi sensuali bisbigli d’amore a chiunque. Chiunque avesse un televisore e sufficiente coraggio per affrontare quella visione. Chiunque fosse abbastanza fortunato perché, altrimenti, mai avrebbe potuto assistere a quello spettacolo.
Rabbia. Subitanea, cocente, irrazionale. Ghiaccio e fuoco. Fuoco e ghiaccio.
Mentre lento un passo ne richiamava un altro.
E un altro.
E poi un altro ancora.
Fino a portare i due ragazzi vicini, di fronte. Solo un ulteriore passo di entrambi costituiva la distanza fra i loro corpi. Due paia di occhi si squadravano, senza vedersi veramente. Quelle iridi erano infatti immerse in assurdi viaggi mentali, che facevano perdere alle due matricole ogni contatto con la realtà. “Do’aho.” un sibilo d’odio, mentre due occhi blu oceano si assottigliavano pericolosamente. “Baka.” un altro sibilo d’odio, mentre due pozzi nocciola si facevano sempre più caldi ed infuocati.
Come trasportati da una corrente invisibile, i due iniziarono a muoversi, quasi contemporaneamente. Ma quel movimento non li faceva in alcun modo avvicinare. Si giravano intorno, infatti. L’uno sempre di fronte all’altro, ma ognuno disegnando con lenti passi un cerchio immaginario. Senza mai perdere il contatto fra i loro sguardi. Sembrava di vedere due animali feroci. Due animali feroci intenti a studiarsi. Un puma e una tigre.
Inesorabilmente il puma stringeva i suoi occhi sempre più scuri e liquidi, i tratti del ‘muso’ non più impassibili ma distorti dalla rabbia e dalla foga. La tigre non perdeva di vista il suo avversario, fiera. Un ghigno sempre più pericoloso distorceva la sua espressione. Sempre con una lentezza impossibile, quei passi iniziarono a disegnare cerchi via via più piccoli, più vicini, fino a quando, quelle due belve feroci, non si trovarono davvero ad un soffio, l’una di fronte all’altra. “Do’aho.” un sussurro straripante di rabbia. “Baka.” la risposta nella stessa condizione.
E fu nuovamente un attimo.
Due bocche finalmente sapevano dove trovare il loro giusto posto.
Proprio come due belve feroci che sferrano il proprio attacco, Rukawa si era avventato su Sakuragi e Hanamichi si era avventato su Kaede. Solo l’impeto di ognuno aveva impedito a quei due corpi di cadere per la spinta dell’altro, rimanendo invece in piedi, avvinghiati. La volpe aveva circondato la testa del rosso con il suo braccio destro, impossessandosi con le dita di quelle ciocche di lino e costringendo quella bocca a stare incollata alla sua, sopraffatta ad ogni suo volere. Il tensai aveva afferrato con la mano destra il collo del moretto imponendo a quella testa, con la sua grande mano, di restare incollata a lui e impossessandosi così delle labbra dell’altro, soggiogate dalle proprie, implacabili.
Nello stesso tempo, però, la mano sinistra di Rukawa era puntata al petto di Sakuragi, nel tentativo di spingerlo via e liberarsi dalla sua stretta, fastidiosamente arrogante e meritevole solo di una reazione violenta. Hanamichi, nello stesso modo, spingeva con la sinistra la spalla di Kaede, sforzandosi di allontanare quel fastidioso e altezzoso attacco, che lo stava facendo davvero imbestialire.
Le bocche si divoravano. Le labbra di uno cercavano disperatamente quelle dell’altro, anelando quel contatto e quel nuovo sapore così buono e afrodisiaco. Volevano succhiare quelle labbra, conoscere ed assaggiare. Ma, nello stesso tempo, i denti mordevano. Irrazionalmente consci di quella prepotente violazione, l’uno stava cercando di ferire l’altro, per punirlo dell’insolenza di cui si stava macchiando, per punirlo della rabbia e delle libertà che si stava prendendo.
Le lingue esploravano. Si cercavano, si sfioravano, inebriate da quel nuovo gioco appena scoperto. Ma nello stesso tempo si sfidavano e si scacciavano, sentinelle silenziose di un luogo che non era mai stato violato prima e che ora si trovava forzatamente esposto. Due corpi stavano così in tensione, stretti, l’uno nell’abbraccio dell’altro. Ma nello stesso tempo si respingevano, cercando di allontanare il proprio temerario assalitore.
In piedi, i due rivali inseparabili, nel mezzo di una palestra vuota, si stavano amando ed odiando nello stesso momento.
I muscoli del braccio destro tesi a tirare e trattenere l’uno la testa dell’altro, per impedire alle loro bocche di separarsi. I muscoli del braccio sinistro, invece, gonfi nello sforzo di spingere via l’avversario, a cui non volevano cedere terreno.
In un limbo senza tempo, i due ragazzi continuavano a scambiarsi i loro silenziosi insulti a suon di baci.
L’incanto venne spezzato dal rumore del CD che Sakuragi ancora, in qualche modo, stringeva fra le sue dita e il collo della volpe.
Frastornati, i due ragazzi si separarono di un passo, cominciando a respirare pesantemente alla ricerca di ossigeno. Il braccio che prima tirava l’altro ancora a mezz’aria, incapace di trovare un posto in cui accomodarsi. Il braccio che fino a poco priva spingeva, invece, abbandonato su un fianco. Subdolo, un senso di inquietudine si impadronì di quelle frastornate menti: Hanamichi stringeva spasmodicamente i pugni, mentre Kaede assottigliava pericolosamente gli occhi. La verità era che quelle due teste non avevano minimamente registrato ciò che era appena accaduto, perse in mondi lontani. Ora, come due calamite a contatto, quei corpi si respingevano senza alcuna possibilità d’incontro. Girando ognuno le spalle all’altro, come due automi, Sakuragi e Rukawa abbandonarono la palestra senza una sola parola, alla ricerca della lucidità perduta.
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