Disclaimers: anche se eravate convinte del contrario i personaggi della combricola di Slam Dunk non sono miei :ma di quel brav'uomo di Inoue...che se avesse deciso di fare il venditore di carciofi non mi avrebbe permesso di sbrodolare con i suoi fantastici pg! Keita Taniguchi e pochi altri sono miei. Questo in particolare, però, ha il nome del mio amico di penna giapponese...quindi gli va parte del mio affetto!
Dediche: a Releuse e a Dea73 che hanno promesso di minacciarmi qual ora poltrissi al posto di scrivere (ma lo fanno per il mio bene eh! ) a Hina sensei *___* e a tutte le ragazze che amano Slam Dunk e che non hanno ancora smesso di ricamarci sopra!
Ed ora… ... benvenute nella mia personalissima Kanagawa!
La Cenerentola del Basket
parte IV
di Seika
Yohei guardava di sottecchi Hanamichi. Dopo aver tentato per un paio di volte di uscire, dovendo poi sempre rimandare per un motivo o per un altro, quel giovedì pomeriggio era riusciti finalmente a vedersi.
Il rosso aveva finito prima le ultime visite della giornata, ritagliandosi un paio d’ore in più da dedicare al suo migliore amico. Mito, invece, aveva spiegato al Guntai la sua impressione che il rosso avesse bisogno di parlare e forse sfogarsi un po’: sapeva che qualcosa bolliva in pentola ed era certo che con tutta l’armata al completo Hanamichi non sarebbe mai riuscito a sputare il rospo. Forti di una fraterna amicizia non vi erano gelosie o invidie, quindi i tre compresero perfettamente la situazione lasciando ai due spazio nel loro Pachinko preferito.
Così erano lì, Mito e Sakuragi, alla sala giochi dove usavano bighellonare quando Hanamichi non dedicava ancora il suo tempo libero al basket.
Ma se durante le prime ore, perse fra risate e schiamazzi, i due erano stati spensierati e allegri come al solito ora che si apprestavano ad uscire, avendo finito i soldi, il rosso aveva decisamente mutato atteggiamento.
Come al suo solito, però, Sakuragi cercava di mascherare per quanto poteva il suo stato d’animo che, ovviamente, si rifletteva come in uno specchio sul suo viso. Comunque, anche se non fosse stato così platealmente visibile, Yohei conosceva talmente bene l’altro da sapere che qualcosa lo turbava.
Hanamichi dal canto suo stava cercando di non far vedere quanto fosse agitato. Dentro di sé un turbinio di emozioni lo stava confondendo. Quell’uscita, lo sapeva fin da quando gli era saltato in mente di proporla il sabato precedente, era destinata ad una confessione… che sperava avrebbe portato un po’ di sollievo nel suo animo tormentato. Trovare le parole, però, era tutt’altro che semplice! Come poteva introdurre con il suo migliore amico l’argomento? *Ehm… Yohei, sai … mi sono innamorato di Rukawa!* oppure *Sai tutte le ragazze che dicevo di amare? Bè vuoi metterle a paragone con la volpe? Non si può proprio!* …. *Lo so che ti sembrerà assurdo ma vedi… sono innamorato di un ragazzo!* Oddio, tutto quello che la mente gli suggeriva gli sembrava pazzesco e ridicolo; non sarebbe mai riuscito ad uscirsene con una frase come quelle!
Perso nei suoi mille pensieri il rossino non si accorgeva di attirare così ancora di più l’attenzione e la preoccupazione dell’amico che, cercando un posto che ritenesse “comodo e appartato” per la conversazione che sicuramente sarebbe arrivata, si diresse verso la spiaggia.
Il clima temperato che accompagnava quegli ultimi giorni di settembre aveva portato in spiaggia qualche indomito bagnante. La sabbia calda e il mare tranquillo ed azzurro ancora attiravano gli amanti del mare, anche se il loro numero era decisamente calato nelle ultime settimane. I due amici si trovarono quindi a disposizione una grande fetta isolata di spiaggia. In lontananza qualche bambino giocava con la sabbia, cercando di creare con quel fragile elemento qualcosa di bello e importante. Ad accompagnarli solo qualche risata lontana e il confortante fruscio del mare.
“Ah! Che pace qui!” disse Yohei togliendosi scarpe e calze e adagiandosi sulla giacca della divisa scolastica, distesa come asciugamano di fortuna. Voleva comunicare all’amico come fosse tranquillo e sereno… nel perfetto stato d’animo per ascoltare. “…già!” rispose solo Hanamichi, giocherellando con la sabbia in mezzo alle sue gambe piegate. Seguì un lungo periodo di silenzio, che nessuno dei due si decideva a violare.
“Allora Yo… che mi dici? Cosa è successo nelle ultime settimane?” iniziò con finta noncuranza il rosso. Aveva deciso che avrebbe preso il discorso molto alla larga! Mito sussultò appena, senza per sua fortuna essere notato dal distratto Sakuragi. La primissima cosa che gli era venuta in mente era stato lo spot… ma non gli sembrava particolarmente saggio uscirsene con quell’argomento così, di getto. “Uhm, il solito direi” iniziò quindi portandosi una mano al mento nel gesto di pensare “io e gli altri abbiamo cazzeggiato in giro, abbiamo guardato qualche allenamento… poi la scuola è iniziata. Il solito tran tran.” “Ah.” No, niente di interessante. “Come ti sembra la squadra? Persa senza il genio?” continuò. L’altro sorrise “Sì, qualcosa del genere. Comunque scommetto che non vedono l’ora che tu rientri.” “Non può essere altrimenti. Non possono andare da nessuna parte senza di me! Non se li filerebbe proprio nessuno!” si gasò il rosso. *Già, tranne una casa sportiva per uno spot!* pensò Mito, standosene impassibilmente zitto.
Il silenzio calò di nuovo sui due amici, gli argomenti veri ancora inviolati.
“Senti Yo…” Erano passati dieci minuti buoni di silenzio, in cui Hanamichi aveva cercato di figurarsi ogni possibile frase da dire al suo migliore amico per introdurre il discorso Rukawa, nonché ogni sua possibile reazione! “Uhm?” “Ecco… l’uscita di oggi… io, volevo poter parlare con te in privato di una cosa.” le guance di Sakuragi avevano rapidamente raggiunto la tonalità dei suoi capelli. “Dimmi.” Rispose tranquillo ma serio Mito, finalmente il rosso si era deciso. Si tirò su a sedere per far capire all’amico che aveva tutta la sua attenzione. “Ecco…” Hanamichi si portò imbarazzato una mano dietro la testa, a massaggiarsi i corti capelli color del fuoco. Lo sguardo fisso a terrà e le gote sempre più rosse. “Non che sia una cosa di chissà quale importanza, eh?” cercò di difendersi. Kuso! Ma perché doveva essere così difficile! Aveva confessato a Yohei decine di cotte! “Io, sì insomma… ecco, q-quest’estate ho …ho capito di.. di essere interessato a qualcuno…” Oh Kami! L’aveva fatto, l’aveva detto! Ora non poteva davvero più tirarsi indietro! “Ah-a.” commentò solo Mito, ributtandosi sulla sabbia… forse Hanamichi non si era ancora deciso come aveva pensato un attimo prima. “Bè, tutto qui? Ah-a?” commentò il rosso arrabbiato ed offeso per la scarsa attenzione dell’amico… e lui che ci aveva messo così tanto coraggio ed impegno nell’iniziare quell’argomento! “Hana, non è certo la prima volta che te lo sento dire!” rispose il moro. “Ma… ma questa volta è diverso! Io… io… credo di essermi innamorato…” le ultime parole furono pronunciate con un filo a mala pena udibile di voce.
Mito si alzò nuovamente, fissando l’amico che puntava ostinato gli occhi sulla sabbia. C’era qualcosa che non tornava! “Ok scusa Hana” iniziò “in verità neanche questa frase mi è proprio nuova, ma mi sembra di intuire che, rispetto al solito, questa volta la cosa sia più importante, giusto?” cercò di indovinare Yohei. “….” Sakuragi guardava di sottecchi il suo migliore amico, alzando solo gli occhi ma non il viso, pronto a ritrovare il confortante nascondiglio che la sabbia gli offriva. “Parlami di questa persona… è forse un’infermiera del Centro?” lo invitò il ragazzo. “N-no.” Rispose Hanamichi rosso come un peperone nell’immaginarsi la volpe vestita da crocerossina… Kuso! “Uhm, forse una paziente allora… la riabilitazione insieme è molto romantica.” Continuò scherzando l’altro. “Ma cosa dici!” “Bè, allora non so dimmi tu…o… o Kami, aspetta!” Yohei si era fatto ad un tratto serio, sbiancando leggermente e sgranando gli occhi dal terrore. “Non me lo dire Hana! Non è possibile! I-io, non voglio saperlo! Questa cosa mi sembra troppo contro natura!”
Kami, Yohei aveva capito tutto e l’aveva presa davvero male! Sakuragi sentì il suo cuore perdere battiti e il suo sangue gelarsi nelle vene. Stava perdendo il suo migliore amico?
“Y-yo! I-io… posso spiegarti!” “Hana, tu sei il mio migliore amico, ma non sono sicuro che questa cosa potrei accettarla!” “Ma… ma… ma…” balbettava solo il rosso, sull’orlo delle lacrime. “Se ti sei innamorato della Signora Sawa un motivo ci sarà, non lo metto in dubbio… ma lei potrebbe essere tua nonna, non puoi chiedermi di accettarlo!” sbottò il moretto puntando l’indice contro il suo migliore amico. Sakuragi fissava l’altro con gli occhi sgranati e la bocca aperta, bloccata in gola aveva la sua ultima protesta. “…. Sawa-san?” era riuscito infine a sospirare “….ma sei serio?” aveva poi aggiunto. Mito fu preso da un piccolo dubbio, forse il suo intuito aveva fatto leggermente cilecca e la sua fantasia si era lasciata un tantino trasportare. “N-non è di lei che ti sei innamorato?” chiese giusto per conferma. “…” “…” ok, forse si era sbagliato.
I due si guardavano in silenzio, occhi negli occhi. Uno alla ricerca di una giustificazione per quanto insinuato, con le guance che si stavano inesorabilmente imporporando per l’imbarazzo. L’altro con la volontà di assicurarsi se il suo migliore amico fosse o meno sano di mente e se fosse o meno il caso di continuare la confessione interrotta. “E’… è che continuavi a parlare di lei nelle tue telefonate…” si giustificò infine Mito con le guance rosse, guardando verso il basso “Sawa-san qui, Sawa-san là… insomma, dato il tuo tono serio ecco io avevo pensato…” lasciò in sospeso la frase, tanto quello a cui era giunto lo aveva palesato solo qualche minuto prima.
“Sawa-san ha ottant’anni.” Aveva dichiarato il rosso, ancora del tutto allibito. “…sì, me lo hai detto…” “Io non ne ho neanche sedici…” proseguì. “…sì, lo so…” “Potrebbe essere mia nonna, io la considero tale.” Continuò Sakuragi. “…” “Yo, ma come diamine ti è venuta in mente una scemata simile?!” sbottò infine riprendendosi; ora in realtà si era leggermente alterato. “Ha-hana… scusa io…”cercò di difendersi il moro, iniziando a meditare una fuga per scampare alla vendetta che l’altro sembrava stare preparando.
“E poi come hai fatto dico io…” ormai il rosso era fuori controllo, assolutamente accecato dall’imbarazzo e dalla rabbia “come hai potuto pensare che mi fossi innamorato di Sawa-san! Ma dico, come puoi compararlo alla Kitsune! Caspita! Sei cieco? Ti pare possibile?!” “Io voglio un bene infinito a Kaori-san, ma non è paragonabile all’amore che provo per quel frigorifero ambulante! Miseria Yo! Da te questo non me lo sarei mai aspettato!” concluse poi rossissimo in viso, incrociando le braccia e fissando gli occhi nocciola in quelli neri dell’altro, offeso e arrabbiato.
Chiaramente, nella foga caratteristica di Sakuragi, il ragazzo non si era assolutamente accorto di cosa stesse dicendo e come. Peccato però che Mito avesse colto attento ogni minima parola uscita dalla bocca dell’amico, rimanendo totalmente ammutolito e con gli occhi sgranati incapace di ribattere qualsiasi cosa.
Altri dieci minuti buoni passarono, con i due ragazzi incatenati dai propri sguardi. Uno ancora intento a sparare improperi mentalmente, l’altro a cercare di elaborare quanto sentito. Con lo scorrere dei minuti, però, Hanamichi piano cominciò a ripercorrere nella propria testa quanto era stato detto su quella spiaggia, rendendosi lentamente ma inesorabilmente conto delle dichiarazioni che gli erano sfuggite. La rabbia veniva gradualmente sostituita dall’imbarazzo e dalla paura, paura di una reazione da parte dell’altro che… tardava ad arrivare.
Ormai pronto al peggio, Sakuragi allungò un braccio verso la spalla dell’amico, ancora imbambolato che lo fissava. “Y-yo?” azzardò scuotendolo leggermente. “…” “C-ci sei?” il rosso sentiva dei brividi di paura percorrergli la schiena. “…” “T-ti prego Yo, non fare così. D-dimmi qualcosa.” Kami, che stupido che era stato!
“Hana… hai detto che sei innamorato della Kitsune?” le prime parole di Mito. “E-ecco… io credo, credo di sì…” rispose l’altro con il viso rivolto al mare e solo un occhio a sbirciare le reazioni del moro. “Ma per Kitsune tu intendi Rukawa?” Yohei sembrava non connettere ancora molto bene. “…chi-chi altri scusa?” le guance più rosse dei capelli. “Ma Kaede Rukawa, voglio dire… Rukawa Kaede?” “Yo sì, lui! Quanti altri ne conosci?” sbottò di nuovo Hanamichi, la tensione lo aveva fatto scoppiare. “E’ un ragazzo…” “…g-già…” “…”
Yohei si lasciò nuovamente andare all’indietro, sdraiandosi sulla sabbia. “E’ strano…” sospirò corrucciato. Quelle due parole si conficcarono nuovamente come due coltelli nella schiena del rosso, che ora sudava nuovamente freddo ma a ragione. Il fatto che l’altro si fosse steso, però, indicava che non voleva né andarsene mollandolo lì con la sua rivelazione, né tanto meno attaccarlo con insulti o condanne… o almeno ci sperava. “L-lo so che… che può essere considerato… s-strano…” gli occhi fissi sulla sabbia, non aveva il coraggio di guardare l’amico né da nessun’altra parte “i-io ho sempre corso dietro alle ragazze!” “No, non per questo.” Rispose il moro. Kami, la situazione era davvero pessima. “L-lo so, io sono un ragazzo e anche la volpe … anche la volpe lo è.” Continuò Sakuragi con un filo a mala pena udibile di voce. Se solo l’amico avesse saputo come era stato difficile per lui stesso accettare la cosa, forse ora sarebbe stato un tantino più comprensivo invece di essere così accusatorio! “Sì, ma non è per questo…” Merda! Non poteva cercare di venirgli un po’ incontr… “Cosa?!” esclamò il rosso stupito, girandosi per la prima volta verso il compagno disteso.
Anche Mito, che stava fissando il cielo assorto, si voltò verso Hanamichi per guardarlo negli occhi, le sopracciglia corrucciate a dimostrare la sua perplessità. Piano si tirò su a sedere, continuando a fissare il rosso. Sembrava alla ricerca delle parole giuste per esprimere ciò che aveva in mente. “…no, è strano per un altro motivo.” Iniziò. “E’ strano perché… perché, ecco… è come se mi avessi detto qualcosa che già sapevo. Solo… forse, in un altro modo.” Il moretto si grattava la testa pensoso, non era tanto chiaro nemmeno per lui. “Eh?!” rispose infatti l’amico perplesso. “Uhm, non so Hana, come ti dicevo è strano. Tu… tu mi hai detto che ti piace Rukawa. Ma è come se tu mi avessi confessato qualcosa che in fondo già sapevo, non sono tanto stupito… anche se mi hai detto che ti piace proprio il tuo peggior rivale. Insomma… non è che per caso già me l’avevi detto?” si illuminò Mito. “Yohei ma ti pare? L’ho capito solo da un mese io! Come avrei potuto dirtelo prima?” esclamò il rosso. “Uhm… è un mese quindi?” ora allo smarrimento iniziale si stava sommando la curiosità. “S-sì, più o meno.” Rispose l’altro di nuovo in imbarazzo, ma felice che l’amico si dimostrasse interessato piuttosto che mortalmente schifato. “Potevi dirmelo anche prima! Anche se forse al telefono non sarebbe stato il massimo, in effetti!” dichiarò Mito.
“S-senti Yo. Ma, ma a te va bene anche se… anche se mi sono innamorato di un ragazzo?” Ok, l’aveva detto. Il moretto si voltò verso l’amico, comprendendo il dubbio che lo tormentava e sorridendo per le guance rosse e lo sguardo basso. “Bè, non ho mai pensato alla cosa devo dire. Ma ora come ora direi di no. Tu sei sempre Hana, il mio migliore amico.” Rispose per poi aggiungere “ francamente… mi diverte l’idea che ti sia innamorato proprio della persona che odiavi di più! Solo tu avresti potuto cacciarti in una situazione simile!” sorrise Mito tirando una pacca sulla spalla del compagno.
Finalmente Hanamichi alzò gli occhi verso il ragazzo seduto al suo fianco, sereno per la prima volta dopo quella mezz’ora. In effetti però Yohei non aveva assolutamente torto, si era cacciato in una bella situazione innamorandosi proprio della Kitsune malefica! Ma era proprio per questo che ne aveva voluto parlare, aveva bisogno di… sì insomma, il tensai voleva condividere alcune idee con il suo braccio destro! “Yo, ho intenzione di dichiararmi.” Sentenziò serio. “Che cosaaaaa?! Hana, sei sicuro?” “Bè se già tu reagisci così certamente non mi sento incoraggiato… Comunque non so che dirti, se tengo sta cosa così per me sono sicuro che sarà peggio… senza contare che non riuscirei più nemmeno a guardarlo in faccia dall’imbarazzo!” esclamò il rosso. “Capisco… ma non hai pensato invece a come si metterebbero le cose se lui ti….” Mito deglutì forte, cercando di raccogliere il coraggio per pronunciare quell’ultima parola “…rifiutasse?” un sussurro stretto tra i denti. Sakuragi si voltò di scatto verso l’amico, incredulo. “Cosa dici? Non può essere! Il fascino del tensai non perdona!” urlò, solo per non sentir riecheggiare nelle proprie orecchie, pronunciato con la voce del suo miglior amico, lo stesso timore che non lo abbandonava mai. “Ok, ok tensai… ma, fascino a parte, magari Rukawa non è gay….” Hanamichi aveva assunto il colore dei suoi capelli nel sentir pronunciare quell’ultima parola da Mito. Non si era ancora abituato, anche perché oltre alla volpe, nessun’altro ragazzo lo interessava minimamente! “Yo, non è questione di essere… g-gay… o meno” riuscì a dire a fatica “è questione di sentimento! Quello che ci lega sin dall’inizio dell’anno! Io… io… sono certo che anche lui prova qualcosa ecco!” a dispetto delle sue parole, la sicurezza cominciava lentamente a vacillare. “Va bene. Sappi comunque che su di me puoi sempre contare, ok?” rispose serio il moro, guardando l’altro negli occhi.
Sakuragi si era invaghito di innumerevoli ragazze e altrettante volte si era dichiarato. Ma prima di arrivare a quel passo ogni volta era stata un lungo tentennare, fatto di incertezza e ripensamenti. Ora, invece, Hanamichi era serio e… deciso, per quanto la situazione generale lo permettesse. Yohei si era subito reso conto, fin dal sabato precedente quando l’amico era ritornato, che qualcosa in lui era profondamente cambiato e questa ne era solo una prova ulteriore… o forse semplicemente il rosso era davvero, inesorabilmente, completamente cotto, innamorato!
“Credo che ora la cosa a cui pensare sia come ti dichiarerai, no?” incominciò Mito con senso pratico. “…g-già.” Ormai le guance di Sakuragi erano di una tonalità tale che sembrava si fosse scottato per il troppo sole, gli occhi di nuovo fissi sulla sabbia. Dentro il cuore ringraziava Kami, Buddha, tutti gli angeli custodi esistenti e non, chiunque gli avesse concesso di avere al fianco un amico come Yohei. Non solo aveva accettato tranquillamente quel suo sentimento, ma ne parlava con lui, sostenendolo e aiutandolo. “…grazie Yo, per tutto…” riuscì solo a dire per esprimere quello che sentiva. Mito sorrise, di gusto e contento. Poteva capire come quella confessione fosse stata penosa e difficile per l’altro, di quanta fiducia avesse riposto in lui per metterlo a parte di quella verità… e ne era onorato, felice ed orgoglioso. Si avvicinò al rosso, passandogli un braccio intorno al collo e spingendo la testa amaranto vicino al suo petto. Prese a frizionare forte con il pugno destro quella zucca vuota, che poi tanto vuota non era, e ridendo disse “Mica mi devi ringraziare scemo! Sei praticamente mio fratello, credi che sarei fuggito a gambe levate da te? Confessa! Mi hai sottovalutato e ora ne pagherai le conseguenze!” Sotto quella amichevole tortura Hanamichi cominciò a ridere allegro, il peggio era davvero passato. Piano, cercava di svincolarsi dalla presa ferrea dell’altro, anche se con poca convinzione dato che quel contatto era un modo per comunicarsi il reciproco affetto.
Solo dopo un bel pezzo il moro decise che l’altro ne aveva avuto abbastanza, lasciandolo andare. “Allora?” disse guardando il rosso passarsi una mano fra i corti capelli per sistemarli. “Allora che?” “Come pensi di dichiararti? Lo prenderai da parte in palestra e glielo dirai?” fece Mito ironico “Anzi! Ci sono! Gli lascerai un biglietto con sopra scritto che lo aspetti dopo le lezioni sul tetto, o dietro la scuola dove ci sono i ciliegi! Ah, questo è un grande classico” continuò poi con un tono di chi la sa lunga “anche se probabilmente Rukawa manco lo leggerà il biglietto. Come gli altri che riceve ogni giorno, lo butterà via…” concluse pensoso. Hanamichi guardava imbambolato l’amico fare mille congetture, immaginandosi gli scenari descritti e riassumendo un colore rosso molto simile a quello della sua capigliatura. “…o Kami!” in effetti il biglietto gli era venuto in mente anche a lui, ma non aveva pensato agli effetti collaterali! “Yo, ma come diamine faccio?!” esclamò in preda al panico. “Hey, hey, calma! Ora ci ragioniamo e qualcosa ci verrà in ment…” iniziò Mito, interrompendosi poi di colpo. Il moretto sgranò gli occhi voltandosi di scatto verso il compagno “… ma certo!”. Sakuragi guardava perplesso l’amico… cosa stava macchinando?
“Andando in giro con gli altri, sai i soliti pomeriggi tra Pachinko e sale giochi…” iniziò Yohei “mi è capitato di passare per quel parco a sud, vicino alla spiaggia N…” Mito cercava negli occhi dell’amico approvazione e comprensione per poter andare avanti. In verità il rosso seguiva a malapena quel discorso, non riusciva a capire cosa i pomeriggi di cazzeggio del Guntai potessero centrare con il suo problema! “Va bè, poi ti ci porto e te lo faccio vedere…” concluse spazientito il moro. “Insomma è capitato che ci passassi spesso quest’estate e indovina chi ho visto che giocava al campetto di basket?” …no, Hanamichi sembrava proprio perso in un mondo fatato… meglio andare avanti dritti, senza indovinelli! “Rukawa Hana, ho visto Rukawa! Va spesso lì a giocare con Mitsui e Sendoh, quello del Ryonan, hai presente?”
La spia interna di Sakuragi si accese: allarme giallo.
“O comunque…” continuò Yohei “quando sono passato io era sempre con quei due, magari però ci va anche da solo e magari tu ti potresti far trovare lì… e poi sai, un canestro tira l’altro…” sghignazzò infine. “L’hai visto con Sendoh e Mitsui?” sussurrò Hanamichi. “Uhm? Sì, con loro. Giocavano…” disse distrattamente il moro, perso ancora nella sua favolosa trovata.
La spia interna di Sakuragi cambiò: allarme arancione.
“Allora Hana? Non ti pare un’idea grandiosa? Così sarai lontano da orecchie e sguardi indiscreti! Poi al massimo ti accompagnerò io, così se ci fossero Sendoh e Mitsui li distrarrei. Avresti campo libero!” “Giocavano insieme? Sendoh, Mitsui e… Rukawa?” Hanamichi afferrava solo quello che voleva di quel discorso. “Sì, a basket. Una volta sono passato lì alle tre e giocavano. Sono tornato indietro alle sette ed erano ancora lì! Dimmi se non è fissazione questa… ed era pure domenica!” esclamò il moro, ignaro di quello che stava per scatenarsi.
La spia interna di Sakuragi cambiò: allarme rosso.
“Ora che ci penso, magari si può chiedere a Mitsui una mano. Credo che con Rukawa sia entrato in confidenza ormai, o almeno così mi è parso… Tra l’altro, mi viene in mente di averli visti una sera, loro tre. Io ero dentro ad un pub con gli altri, li ho visti passare dalla vetrata.” “Di sera… insieme?” chiese Hanamichi con voce atona. “Sì, penso andassero anche loro da qualche parte a bere qualcosa o almeno credo. Di sicuro non erano vestiti per andare al campetto di basket.” Rispose l’incosciente e inconsapevole moretto.
Allarme rosso! Allarme rosso di massimo livello!!!
“Coooooooooosaaaaaaaa?!?!?!” proruppe alla fine Sakuragi, con un ruggito che fece scappare in lacrime un bambino poco distante. Yohei, investito a sorpresa da tale furia, si trovò appiattito sulla sabbia, chiedendosi cosa fosse successo e accorgendosi troppo tardi di tutto quello che tranquillamente aveva detto. “Oh Kami!” sussurrò, aggiungendo ad alta voce “Hana, hai frainteso… non è come pensi!” Ma ormai il rosso non sentiva più niente, sommerso dall’impossibile immagine di una Kitsune a caso sorridente e radiosa, circondata da due insidiosi maniaci. “Yo! Come hai potuto lasciare che accadesse! Dovevi tenere lontano da Kaede quelle due sanguisughe!” urlò minaccioso Hanamichi, con gli occhi iniettati di sangue. “Hana, Kami! Ma se fino a due minuti fa manco sapevo che ti piaceva! E poi mica hanno fatto niente di male…” “Questo lo credi tu!” ormai il rossino era convinto delle sue assurde congetture, nulla poteva farlo ragionare quando era in quello stato! “Ora mi sentiranno quei tre. Il frigorifero ambulante per primo, che se ne va in giro a fare lo svenevole mentre io sono in fin di vita!” Yohei guardava l’amico scuotendo la testa rassegnato, era partito per la tangente… “Non gliela darò vinta. Ora che sono tornato segnerò bene il territorio, in modo che nessun avvoltoio si avvicini alla mia volpe! E farò due chiacchiere anche con lui, così che si regoli nel dare confidenza agli sconosciuti!” “Ma… Hana…” tentò Mito, ricevendo in risposta un’occhiata fulminate che lo fece desistere, forse era meglio tentare più tardi.
“Bene è deciso!” fece Sakuragi alzandosi e iniziando a spolverarsi i pantaloni dalla sabbia “questo week end mi accompagnerai a quel parco e io farò il resto! Sono o non sono il tensai!” dichiarò in fine partendo con la sua solita risata sguaiata, le mani sui fianchi e la schiena inarcata all’indietro. Solo che la risata, questa volta, era davvero minacciosa. “Ti chiamo!” concluse, prendendo la direzione da cui erano arrivati e lasciando Mito da solo ancora seduto sulla spiaggia, inebetito dalla sfuriata e dalla conclusione finale. “Ha-hana!” chiamò Yohei, ma ormai l’amico era lontano. L’aveva combinata grossa, era stato uno stupido! Eppure doveva sapere come quelle innocenti informazioni potevano sconvolgere la gelosia dell’amico! Ora nessuno davvero l’avrebbe fermato, almeno fino a quando Sakuragi non si fosse ritrovato davanti Rukawa.
“Ci sarà da divertirsi…” disse fra sé Mito sereno e rassegnato, ributtandosi sdraiato sulla sabbia. Ora che il tornado era passato alle sue orecchie arrivavano solo voci e risate lontane e la risacca del mare, con il suo profumo di salsedine “…e pensare che non gli ho ancora nemmeno detto dello spot”.
***
*L’ennesimo noioso sabato mattina a scuola…* pensava una volpe mezza addormentata, varcando i cancelli del liceo Shohoku. Pedalando a occhi chiusi arrivò fino alla rastrelliera vicino all’entrata, dove lasciò la sua bicicletta. Come ormai accadeva da sin troppo tempo, nemmeno quella mattina Rukawa aveva investito nessuno con il suo “bolide”… ma sarebbe stata l’ultima volta! In tutta quella tragedia da inizio giornata, infatti, una nota positiva c’era: il Do’aho sarebbe tornato il lunedì seguente, era l’ultimo giorno di scuola senza quella testa rossa nei paraggi.
Raggiunse sempre ad occhi chiusi la propria classe, ormai conosceva a memoria il percorso dagli armadietti all’aula, e si abbandonò sul suo banco ancor prima del suono della campanella che sanciva l’inizio della prima ora. Il suo dormiveglia, tormentato non solo dal fastidioso brusio dei compagni ma anche da mille immagini di un rossino latitante, fu però bruscamente interrotto dal gracchiare dell’altoparlante, segno che una comunicazione per l’intera scuola stava per essere pronunciata.
“Buongiorno miei cari studenti, sono il vostro beneamato preside, il Signor Taiwaki.” Iniziò una voce pomposa ed impostata. *Io non perdono chi disturba il mio sonno!* aveva pensato Rukawa, alzando il viso dal comodo giaciglio fra le su braccia piegate sul banco. I suoi compagni di classe, conoscendo ormai il suo famoso odio per i temerari che lo svegliavano, erano già tutti a distanza di sicurezza. Kaede alzò allora gli occhi blu cobalto al soffitto, cercando di incenerire con lo sguardo l’oggetto metallico incriminato del rumore molesto ma quello, indifferente, continuò ad amplificare la voce del preside. “Come ormai penso tutti sappiate, il club di basket della nostra scuola ha raggiunto nello scorso Campionato Nazionale un notevole traguardo…” *Notevole? Ma se siamo stati sbattuti fuori alla terza partita?* pensava il moretto sbadigliando sonoramente. “…tanto da interessare una grossa azienda di abbigliamento sportivo, che ha scelto proprio lo Shohoku come soggetto della sua prossima campagna pubblicitaria!” *Tsk!* “E’ arrivato proprio stamattina il nastro con l’anteprima di suddetto spot, quindi le lezioni dell’ultima ora sono sospese per dare modo a tutti quanti di poterne prendere visione… ” *O Kami!* esclamò mentalmente la volpe, non voleva nemmeno immaginarsi i gridolini delle sue ammiratrici estasiate… senza contare l’attenzione molesta generale che la cosa avrebbe nuovamente suscitato. “Perché non è solo la squadra di basket che ne trae vantaggio, ma tutto l’Istituto e la sua immagine. Dobbiamo esserne orgogliosi! Vi aspetto quindi più tardi nell’Aula Magna della scuola. Buono studio!” concluse poi il preside, chiudendo la comunicazione. *Che scocciatura…* pensava Rukawa riaccomodandosi sul banco, pronto a trovare una posizione comoda per le prossime ore *…però forse è meglio così, se ci fosse già stato il Do’aho chissà come l’avrebbe presa…* e si addormentò.
L’Aula Magna era gremita di gente. In effetti, c’erano tutti gli studenti e i professori presenti a scuola quella mattina. Le varie classi iniziarono a prendere posto ordinatamente, nelle numerose sedie disponibili, sembrava di essere alla cerimonia di inizio anno. Per la squadra di basket e i pochi “infiltrati” che avevano partecipato alla realizzazione dello spot, invece, era stata riservata una zona speciale, giusto per attirare un altro po’ di attenzione. Akagi aspettava i membri del club e l’armata Sakuragi in piedi vicino al palco, al fianco di Anzai. “Ci siamo tutti?” chiese dando una scorsa veloce ai presenti “potete sedervi qui, ci hanno riservato dei posti in prima fila…” fece poi ironico. I visi dei giocatori passavano dalla gaia presunzione di Miyagi e Mitsui, alla noia e l’irritazione di Rukawa. “Forza campione” disse proprio la guardia alla volpe, accompagnando l’incoraggiamento con una pacca sulle spalle “vedrai che finirà presto… e poi ormai ti viene dietro tutta la scuola, una ragazza in più o una in meno, che vuoi che cambi?” sghignazzò indovinando i pensieri dell’altro, accomodandosi poi sulla sedia accanto a quella su cui era sprofondato il numero undici. “Tsk! E’ una buffonata!” sentenziò quest’ultimo, cercando di mettersi comodo su quella specie di sgabello su cui dormire sembrava impossibile.
Mito, sedutosi nell’ultima fila di quelle riservate, osservava attento i due giocatori. Da quando due giorni prima aveva avuto quella conversazione sulla spiaggia con Hanamichi non si era dato pace. Sapeva di essere stato a dir poco avventato nel mettere quelle pulci nell’orecchio irascibile ed irrazionale del rosso, ma in fondo si era limitato a raccontare fatti che aveva visto con i suoi stessi occhi. Aveva allora deciso di osservare Rukawa e Mitsui, per capire se in effetti ci fosse quel qualcosa in più che tanto aveva fatto ingelosire l’amico. Voleva scoprire se si era del tutto sbagliato, dando il via a una possibile tempesta ingiustificata o se, in fondo, non si fosse poi tanto allontanato dalla realtà. E poi… e poi ora era davvero curioso di vedere come le cose sarebbero andate a finire!
Come Sakuragi aveva intimato a lui e a tutta l’armata, nessuno di loro aveva messo a parte la squadra circa il suo rientro, né tanto meno Yohei si era lasciato scappare qualcosa sulle confessioni di Hanamichi. Quindi poteva semplicemente osservare la volpe, almeno credeva, nel suo normale comportamento quotidiano. Così colse il gesto amichevole che Mitsui scambiò con Rukawa e le successive parole che, però, non riuscì bene a sentire. Era comunque evidente che fra i due ci fosse un rapporto più profondo di quello di semplici compagni di squadra. Era almeno amicizia, quella sicuramente sì. Mito cercò però di captare qualche altro segnale fra loro, qualche gesto o sguardo, qualsiasi cosa potesse far pensare a un rapporto più… intimo, fra i due. Ma non vide assolutamente nulla. Si comportavano come amici e questo, conoscendo il numero undici, rappresentava già di per sé una grossa novità. Ma, in fondo, anche lui e Hana erano amici e si scambiavano gesti come quelli in quantità. Mica stavano insieme però, giusto? Quindi perché dover sospettare per forza di Mitsui e Rukawa? Forse avrebbe dovuto seguire l’ala piccola fuori dalla scuola, vedere come invece si comportava con Sendoh e capire se fra loro c’era qualcosa di più… Kami, forse si era lasciato un po’ troppo influenzare dall’irrazionale immaginazione di Hanamichi!
Perso in queste congetture Mito non colse nemmeno una parola del pomposo discorso introduttivo del preside, che presentava il loro video. Fu riportato alla realtà dalle luci che si spegnevano per lasciare spazio al luminoso schermo dove apparirono, in un veloce conto alla rovescia, i numeri dal dieci all’uno.
Una musica lenta ma decisa rilasciò le sue prime note.
Cinque volti riempirono lo schermo in rapida successione. Akagi. Kogure. Miyagi.
Mitsui. I lineamenti sempre diversi, ma la luce che animava i loro occhi sembrava identica, era… sfida.
Un sogno…
La scritta in sovrimpressione comparve in chiari caratteri bianchi sullo sfondo nero che sfumava il volto del numero undici verso l’immagine successiva.
I ragazzi del club di basket dello Shohoku si stavano allenando. Indosso avevano una nuova divisa, rosso fuoco, che sanciva con una scritta nera il nome della loro squadra mentre, sul retro, portava il cognome di ogni giocatore. In pochi secondi, veloci cambi di inquadrature e prospettive presentavano l’allenamento di quei giocatori, i corpi atletici e i visi concentrati. Il tutto intercalato da alcune veloci immagine dell’allenatore, della manager della squadra e del tifo sentito di qualche occasionale spettatore.
…si raggiunge…
La musica ora si fece più veloce, serrando il ritmo. Di nuovo una scritta in sovrimpressione che sfumava insieme all’ultima immagine per lasciare posto alle sequenze successive.
Ora i giocatori erano impegnati in una partita, dove non era il punteggio ad essere importante, ma l’impegno e lo sforzo che gli atleti stavano compiendo. Numerose inquadrature, infatti, seguivano i passaggi fra i compagni di squadra, i tiri a canestro, le finte, le schiacciate.
…solo volendolo…
Le evoluzioni che i più bravi riuscivano a compiere si susseguivano veloci sullo schermo, accompagnate dal crescere della melodia. Mitsui che insaccava un tiro da tre. Miyagi che scartava veloce un avversario servendo senza guardare un ottimo assist ad un compagno. Akagi che saltava prendendo un rimbalzo. Rukawa che schiacciava elegante una palla a canestro.
D’un tratto lo schermo si fece tutto nero e delle voci, fino a quel momento del tutto assenti perché coperte dalla musica ritmata che costituiva l’unica colonna sonora del filmato, si iniziarono a distinguere.
“Voglio più impegno!” “Forza passa quella palla!” “Non riuscirai mai a passare la mia difesa!” “La volete piantare? Forza datevi una mossa!”
Solo pochi secondi di schermo completamente vuoto e voci che veloci si susseguivano senza poter però essere assegnate a nessuno.
L’immagine tornò, riempiendo l’intero schermo della palestra e dei giocatori che stanchi si riposavano. Alcuni a terra a bere, altri in piedi con delle salviette in mano per detergersi il sudore. Tutti intorno all’allenatore e alla manager, in piedi con viso soddisfatto. Il gruppetto di ragazzi che aveva assistito all’allenamento si era avvicinato, venendo colto nell’inquadratura.
“…meglio di quel che sperassi.” Disse piano il giocatore più alto, di fronte alla squadra.
Una sonora risata generale seguì subito dopo le ultime parole del capitano, con pacche divertite sulle spalle o veloci “cinque” scambiati da qualche ragazzo.
L’immagine di nuovo sfumò nel nero, con in sottofondo le risate e gli schiamazzi gioiosi di quei ragazzi infaticabili.
…sorridi. Just, do it!
Le luci dell’Aula Magna veloci si riaccesero, riportando tutti i presenti alla realtà.
I protagonisti dello spot ancora imbambolati guardavano di fronte a loro, praticamente tutti scioccati nel vedere cosa quel pomeriggio di allenamento aveva fruttato. L’ultima immagine, poi, era stata una vera sorpresa. In quel momento non stavano girando, o almeno così pensavano! Il Signor Taniguchi aveva loro detto che avevano finito, che il lavoro era stato ottimo e potevano andare a cambiarsi. Quello che ne era seguito era stato un loro momento “privato”, colto però dall’occhio indiscreto della telecamera e reso magnificamente all’interno di quel contesto.
Persino Rukawa sentiva crescere dentro di sé un muto orgoglio.
I primi applausi destarono i protagonisti del video dal proprio torpore. Fischi di approvazione e grida di incitamento si levarono numerose, insieme al battito incessante della mani. Sembrava di aver assistito alla prima mondiale di chissà quale magnifico film, invece che ad un spot di nemmeno un minuto!
Il preside, battendo le mani a sua volta, si avvicinò piano al microfono della propria postazione al lato del palco, cercando di riportare un po’ d’ordine in quell’euforia incontrollata. “Bene, sono contento che lo spot vi abbia entusiasmato” iniziò “vi informo che incomincerà ad essere trasmesso sulle reti nazionali a partire da ottobre.” A questa affermazione una nuova ondata di urla eccitate riempì l’auditorium, sommergendo l’ormai incredula squadra di basket… Guntai e sorella del capitano compresi! “Calma ora, calma!” riprese Taiwaki, cercando di riottenere l’attenzione dei propri studenti “le sorprese non sono finite qui!” a quest’ultima affermazione il caos generale si sedò leggermente, dando la possibilità all’uomo di spiegarsi.
Anche il club di basket era sorpreso, nessuno riusciva a pensare quali altre meraviglie li potessero aspettare… forse dovevano girare un altro spot?
“I video girati sono due. Quello che avete appena visto è solo il primo. Parlando con il responsabile della produzione, infatti, mi è stato comunicato che dato che il materiale girato era tanto e molto buono, si è potuto ricavare due diverse pubblicità. Entrambe verranno messe in onda a partire dal prossimo mese! Ora vi lascio alla visione di questo secondo filmato!” concluse poi il preside eccitato.
Eccitati erano anche i giocatori dello Shohoku e chi li aveva accompagnati in quell’avventura. Già tutti tremendamente, qualcuno segretamente, soddisfatti e contenti di quanto visto fino a quel momento, ora non stavano più nella pelle nell’immaginarsi in un secondo video.
Le luci si spensero per la seconda volta.
Una panoramica mostra la palestra di una qualsiasi scuola dall’alto, dove il parquet lucido riflette ogni oggetto presente. I due canestri da basket ai lati. Una cesta colma di palloni arancioni a ridosso di una parete e quello abbandonato apparentemente a caso, vicino all’area di tiro sulla destra. La grande porta che dà sul cortile, chiusa. Il tutto è immerso nella calda e avvolgente luce delle primissime ore del mattino che, con il suo abbraccio, intensifica ed espande i colori caldi propri dell’ambiente: il nocciola chiaro del campo da gioco, il color crema delle pareti, l’arancio dei palloni.
E’ l’alba, la nascita di qualcosa.
Tranquillità, questa è la prima sensazione che si percepisce. Forse la quiete prima della tempesta… Il silenzio è totale. Nessun rumore, nessun suono. E’ come essere sospesi nel tempo e nello spazio. C’è attesa nell’aria, ciò che avverrà dopo può essere tutto… e può essere niente.
L’inquadratura cambia in un battito di ciglia, cogliendo ora solo una porzione di quanto osservato fino a prima. La corda bianca di uno dei due canestri riposa pigra in alto a destra del campo visivo. Allungando un braccio, ci si illude quasi di poterla toccare. I suoi contorni però non sono nitidi, ma sfuocati. L’attenzione infatti è tutta per la porta d’ingresso, leggermente spostata a sinistra rispetto al centro dell’immagine messa a fuoco dall’obbiettivo.
La pace spezzata dal cambio di prospettiva viene ora interrotta nuovamente. Una delle due grandi ante che compongono la massiccia porta di ferro, oggetto dell’attenzione, si sta aprendo lentamente. Nuova luce entra ora prepotente attraverso l’accesso appena creatosi. La porta continua a scivolare verso destra, lasciando gradualmente intravedere la “causa” del suo movimento.
Sembra di assistere ad una visione, al lento manifestarsi di una qualche importante divinità. Un braccio. Una spalla. Un corpo maschile, alto e slanciato. E’ solo una sagoma nera però, la luce alle sue spalle impedisce di vederne colori e dettagli.
Il ragazzo fa un passo in direzione della sua ombra, entrando nella palestra e socchiudendo senza voltarsi la porta che si è lasciato dietro. Rischiarato e non più offuscato dalla luce del mattino, il nuovo soggetto cattura tutta l’attenzione. In un secondo l’occhio è ora capace di coglierne più particolari possibili, per rimanerne poi completamente coinvolto ed affascinato. Le gambe lunghe, sode e scattanti. Il petto dalle spalle ampie, fiero e muscoloso. Le braccia tese, dai muscoli tonici. Il viso è nascosto da un raggio di sole che non permette di intuirne i lineamenti, ma che lascia tuttavia intravedere una chioma purpurea, che alla luce risplende infiammandosi di mille riflessi rubino.
Il misterioso ragazzo indossa una divisa, anch’essa rossa. Il numero che la contrassegna è il dieci e la scritta a grandi lettere nere rivela un nome, Shohoku.
Di nuovo l’inquadratura cambia, andando ora a cogliere le spalle della misteriosa figura, in un campo lungo che ci mostra la palestra da canestro a canestro. Sakuragi, dice una scritta posta sul retro della divisa. Dopo un attimo di esitazione il ragazzo compie un passo e poi un altro ancora, fino ad arrivare alla palla abbandonata in mezzo al parquet, raccogliendola.
L’aria è immobile e carica di attesa. L’unico suono percepibile è quello leggero delle scarpe da basket, nere e rosse, che attutiscono i passi del ragazzo sul legno lucido.
Il rossino, sempre di spalle, è immobile. Con entrambe le mani stringe la sfera arancione. Sembra quasi stia raccogliendo le proprie energie. Sembra quasi si stia concentrando al massimo. Sembra quasi stia pregando…
E poi è un attimo.
Rimbalzo. La palla tocca terra con un rumore sordo ma rassicurante, familiare. Alla stessa velocità l’inquadratura cambia, riproponendoci la visuale completa della palestra dall’alto.
Rimbalzo. Il ragazzo è ora al centro di un’inquadratura che oltre a lui coglie buona parte della superficie di legno lucido, mostrandoci la già alta figura ancora più imponente a causa dell’inclinazione dell’obbiettivo, che sembra quasi abbandonato a terra.
Rimbalzo. E’ la volta ora del dettaglio del braccio e della mano, uniche parti del corpo del ragazzo a muoversi, che accompagnano la sfera arancione nel suo lento e costante movimento.
Il suono del palleggio satura completamente l’immagine e, insieme a questa, ogni singola emozione che suscita.
E’ il battito di un cuore che ha appena ripreso a funzionare.
Rimbalzo. Ed è vita.
Il ragazzo fa un velocissimo scatto in avanti, che riscuote bruscamente dallo stato di torpore ipnotico in cui si era caduti. Solo l’occhio della telecamera, sempre attento e veloce, ci permette di catturare l’immagine magnifica di un corpo perfetto che si avvicina al canestro, con l’intento di accompagnare la palla al suo interno dopo un fluido tre tempi.
Ma prima che questo possa avvenire ecco un ulteriore cambio di prospettiva.
Ora osserviamo con gli occhi di un tabellone da basket tutto il campo di fronte a noi. La particolare “soggettiva” ci permette di distinguere le corde bianche del canestro in alto e, meno di un attimo dopo, una mano dorata e sicura che insacca la sfera arancio al suo interno.
In una frazione di secondo vediamo il ragazzo rispuntare dal nulla al margine destro dell’immagine. Corre veloce verso di noi per poi fermarsi di botto, saltare sul posto e infilare un bel canestro poco più avanti del limitare dell’area di tiro.
Di nuovo la figura sfuma scomparendo per poi riapparire quasi sotto canestro, nell’esibizione di un altro terzo tempo riuscito.
La palla non ha ancora finito di cadere oltre la nostra visuale che ricompare di nuovo il ragazzo solo un po’ più lontano, sulla sinistra, intento a scartare un avversario immaginario che vorrebbe sottrargli la sfera.
L’azione non fa in tempo a terminare che, sulla destra, troviamo nuovamente lui, intento ad eseguire un tiro in sospensione.
E poi ancora, sempre lui. Una nuova immagine che si sovrappone alla precedente, per poi essere sostituita da un’altra ancora e così via… in un continuo rincorrersi di scatti, salti e canestri.
In questo finto piano sequenza tutto avviene in meno di una manciata di secondi. Un attimo.
La vista è completamente satura della pelle bronzea del ragazzo, dei suoi capelli rosso fuoco, del suo fisico scattante. L’udito è invece totalmente impegnato dal costante rimbalzare della palla sul parquet, dal leggero fruscio delle corde del canestro, dal continuo stridere delle scarpe da basket che accompagnano ogni azione.
Ma non se ne è ancora sazi. Si intuisce che il costante incalzare del ritmo sta portando velocemente all’apice, dove non si potrà far altro che trattenere il fiato, attenti.
Ci vuole nuovamente solo un attimo, il tempo di un respiro… l’ultimo, fino alla fine.
Le diverse immagini del ragazzo spariscono, per lasciare il posto ad una soltanto. Che sta correndo. Verso di noi. Salta. Un salto incredibile e potente, dovuto allo slancio e alle capacità fisiche di chi lo sta compiendo.
Per poterlo seguire meglio lasciamo il nostro punto di osservazione per ritrovare l’immagine del ragazzo ormai in volo, ad un metro o forse più da terra. Ne osserviamo il profilo destro mentre il sole nascente, la cui luce filtra dagli imponenti finestroni proprio di fronte a noi, disegna intorno al corpo un’aurea dorata, magica, quasi ultraterrena.
La palla è saldamente ancorata alla mano destra. Il braccio è teso, leggermente indietro rispetto al corpo, pronto a sferrare un colpo micidiale. La bocca è aperta, spalancata in un urlo muto. Gli occhi sono sgranati, fissi sul loro obbiettivo.
Tutto è luce. E, per un infinito attimo, tutto è nuovamente silenzio.
Il rumore sordo del tabellone da basket, scosso dalla potente schiacciata del rossino, riscuote dal precedente momento di contemplazione. Il ragazzo rimane un attimo appeso al ferro del canestro, mentre la palla rotola pigra di lato.
La mano, fino al momento prima salda e decisa, lascia ora la sua presa. E, nell’attimo stesso in cui sentiamo il rumore sordo del corpo che atterrà sul parquet, l’obbiettivo gli si è nuovamente avvicinato. La telecamera, infatti, sta mostrando il particolare della scarpa destra, per poi lenta risalire lungo la gamba tornita.
E’ bronzo e oro. E’ sudore. E’ consapevolezza di aver raggiunto un importante traguardo. E’ soddisfazione.
L’obbiettivo continua la sua costante risalita fino al fianco destro dove poi, sempre lentamente, vira verso sinistra disegnando una diagonale sul petto del ragazzo che si alza e si abbassa veloce, al ritmo serrato del respiro.
Ed è questo l’unico suono che ci raggiunge. Il suo respiro. Che rimbomba nel cuore. E’ l’adrenalina entrata in circolo. Sono i brividi lungo la schiena per quanto affrontato.
Il braccio sinistro è rilassato lungo il busto. La spalla accompagna il petto nel suo movimento alla ricerca di ossigeno.
Il collo. Una parte del volto. Mille goccioline di sudore si rincorrono spinte dalla gravità verso il basso. Gli occhi sono chiusi. Ma non facciamo in tempo a rammaricarcene che si aprono di scatto. Nocciola e oro, ecco quello che le palpebre celavano.
La telecamera stringe ulteriormente l’immagine, andando a catturare ora solo la parte sinistra di quel volto, da metà naso fino a poco più giù del mento. L’ansimare del respiro è ancora il solo suono che si percepisce. Ed è sempre più alto. Ed è sempre più ovattato. E’ come se fosse il nostro stesso respiro. Che rimbomba nelle nostre stesse orecchie.
Le labbra carnose e rosse attirano lo sguardo, è lì che l’obbiettivo sta portando. L’angolo sinistro di quella bocca si inarca sornione verso l’alto, disegnando su quel volto, che non è dato vedere totalmente, uno sfrontato atteggiamento di sfida. Anche se non si possono vedere, si è sicuri che le sopracciglia sono tirate verso l’alto, a rinforzare l’atteggiamento di superiorità. Anche se non si possono vedere, si è sicuri che gli occhi sono accesi ed illuminati dalla voglia di primeggiare.
Mi hai sfidato. Ho gareggiato. Ho vinto. Sono il migliore.
E mentre l’ultimo respiro si fa ancora sentire prepotente, mentre i colori caldi ed accesi lentamente affievoliscono, ecco comparire lo slogan che chiude la pubblicità, per poi accompagnare la bellissima immagine di quel volto tanto espressivo nello sfumare verso il nero finale.
Just, do it.
Le luci dell’auditorium si riaccesero accompagnate però, contrariamente a poco prima, dal silenzio generale. Il preside si avvicinò al microfono, cercando di capire e di infrangere quello stato di sbigottimento che sembra avvolgere l’intera Aula Magna. “Non vi è piaciuto?” si informò titubante, non riuscendo davvero a capire come questa frase potesse essere vera. Dal canto suo trovava lo spot davvero unico. Altri attimi di silenzio assorto seguirono alla sua domanda, poi un primo applauso a cui se ne aggiunsero altri, tanti altri. Urla e grida, fischi e apprezzamenti. Un’ovazione ancora più forte di quella precedente sommerse completamente il posto.
La squadra di basket dal canto suo era incredula. Avevano pensato di fare un torto al rossino girando quel video, non potendo in verità fare altrimenti, invece le cose si erano in qualche modo capovolte. Lo spot che lo vedeva unico protagonista era a dir poco esaltante, eccitante… faceva venir voglia di andare a recuperare una palla da basket e giocare. Sakuragi poi, non sembrava nemmeno lui; era bello, forte, atletico… forse molto era merito delle inquadrature ma, non era del tutto così. Quei mesi in riabilitazione lo avevano cambiato in meglio, sotto molti punti di vista. E tutti se ne erano accorti.
Rukawa era scioccato. Settimane a rincorrere un’immagine e poi… e poi quello! Una presentazione pubblica della fiera bellezza del Do’aho, palese di fronte a tutti. Quello scemo era tornato, senza dirgli nulla, senza farsi vedere e se ne saltava fuori con una sorpresa simile! Il suo cuore martellava furioso nel petto; si era eccitato nel vedere quelle immagini ma, dolorosamente, si rese conto che come lui ne erano state colpite molte, moltissime altre persone. Nelle sue orecchie ronzavano commenti che sentiva provenire da ogni dove, apprezzamenti poco casti e decisamente eccessivi. Ragazze che iniziavano ad interessarsi un po’ troppo a ciò che fino a quel momento avevano stupidamente ignorato, pur avendolo sempre avuto sotto il naso, e ragazzi che ammiravano ciò che non avevano mai nemmeno lontanamente considerato.
La rabbia frammista alla gelosia lo accecarono; non vedeva niente, sentiva solo il rombare del suo sangue nelle proprie vene e quei commenti e fischi, che lo portavano ad un pericoloso punto di non ritorno.
“Kami Sama, quello sarebbe Sakuragi?” sentì pronunciare da una voce a fianco del suo orecchio. Mitsui si era appena ridestato dalla sorpresa. Rukawa si girò di scatto verso la fonte di quelle parole, riversando sull’amico con uno sguardo tutta la rabbia e la frustrazione che in quel momento sentiva. “Hey, vacci piano con me!” cercò di sedarlo subito la guardia, a bassa voce però per non farsi sentire dai compagni vicini “Siamo amici e non mi sognerei mai di soffiarti il ragazzo che ami, lo sai… però, Kami Sama! Ora avrai sicuramente qualche rivale! Sakuragi è… incredibile!” concluse poi, incapace di trattenersi nonostante sapesse che pericolo stava correndo pronunciando quelle parole. Il volpino si alzò di scatto, ringhiando minaccioso. “Quel demente! Questa me la paga… o se me la pagherà!” uscendo poi dalla fila in cui era seduto e dirigendosi all’esterno, per non sentire più quei commenti che lo stavano facendo impazzire.
A Mito non era sfuggita la reazione del numero undici, anche se non era certo di come poterla interpretare. Vedendolo però dirigersi fuori dall’auditorium, con passo deciso e lo sguardo di un potenziale serial killer, pensò “Kami Hana, che hai combinato?”
Ultimo disclaimer: gli slogan degli spot non sono chiaramente miei!
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