Disclaimers: anche se eravate convinte del contrario i personaggi della combricola di Slam Dunk non sono miei :ma di quel brav'uomo di Inoue...che se avesse deciso di fare il venditore di carciofi non mi avrebbe permesso di sbrodolare con i suoi fantastici pg! Keita Taniguchi e pochi altri sono miei. Questo in particolare, però, ha il nome del mio amico di penna giapponese...quindi gli va parte del mio affetto!
Dediche: a Releuse e a Dea73 che hanno promesso di minacciarmi qual ora poltrissi al posto di scrivere (ma lo fanno per il mio bene eh! ) a Hina sensei *___* e a tutte le ragazze che amano Slam Dunk e che non hanno ancora smesso di ricamarci sopra!
Ed ora… ... benvenute nella mia personalissima Kanagawa!
La Cenerentola del Basket
parte III
di Seika
Aveva chiesto alla madre di non dire niente a nessuno. Se Yohei per caso l’avesse chiamata o fosse passato da casa sua, le aveva più volte intimato di non riferire che stava tornando. Voleva essere lui direttamente a dirlo a Mito così come ad ogni altra persona. Voleva farlo nel modo più plateale e d’effetto che gli fosse venuto in mente: presentandosi direttamente a scuola. Un’entrata degna del tensai.
Forse avrebbe dovuto noleggiare anche una banda che suonasse il suo inno però.
Sorrideva. Si sentiva carico, pieno di energie e di aspettative. Il treno, per quanto fosse uno Shinkansen ad altissima velocità, andava troppo lento per riuscire a tenere testa a tutti i suoi pensieri, a tutte le sue voglie.
Era persino riuscito a fare una piccola lista, mentale, di buoni propositi. Sì, perché per lui, anche se non era né Capodanno né il suo compleanno, tornare a Kanagawa dopo quel periodo di fatica e riflessioni, era un po’ come rinascere.
Si sarebbe messo di impegno a studiare… va bè, ci avrebbe quanto meno provato. Avrebbe dedicato del tempo in più ai suoi amici, che si rendeva conto di aver trascurato un po’ per via del basket. Chiaramente si sarebbe fatto in quattro, se non in otto, ad allenarsi per accrescere sempre di più il suo talento innato come giocatore. Il tensai l’avrebbe fatta vedere proprio a tutti! E si sarebbe dichiarato alla volpe.
Certo, doveva studiare tempi, modo, luogo, parole… forse anche abbigliamento non ne era sicuro, ma ce l’avrebbe fatta. O almeno ci sperava.
Per ora, però, aveva saggiamente deciso di affrontare un passo alla volta.
Intanto l’attendeva ancora una settimana fra ospedale, ultime visite al reparto riabilitazione e, ebbene sì ormai sarebbe diventata una seconda attività a tempo pieno, nuotate in piscina.
Il dottor Toshiki era stato molto chiaro in proposito. Avrebbe tranquillamente potuto riprendere gli allenamenti da subito, però solo a condizione di seguire tutte le sue indicazioni alla lettera. Nessuno lo avrebbe in effetti controllato, ma Hanamichi ricordava sin troppo bene il dolore provato per l’infortunio. E non solo quello fisico, anche quello derivante dalla paura e dalle incertezze che lo avevano colto. Per settimane si era convinto di non poter più riprendere a giocare, non seriamente almeno. La notte si contorceva nel letto alla ricerca di una posizione il più possibile comoda per dormire e, agli inizi, persino stare in piedi lo affaticava.
Ora, seduto sul treno che lo riportava a casa, Sakuragi stringeva il foglio con le indicazioni lasciategli dal dottor come fosse una reliquia sacra.
Prima e dopo gli allenamenti avrebbe dovuto eseguire alcuni esercizi di riscaldamento e di stretching appositi per la schiena. Movimenti che ogni volta si sentisse un po’ dolorante o rigido doveva compiere. In più c’era il nuoto appunto. - Niente raddrizza e rinforza schiena e spalle come dedicarsi a questo sport. - gli ripeteva sempre il dottor Toshiki, ogni volta che il rosso si era lamentato della terapia. Così per una o, meglio, due volte alla settimana sarebbe dovuto andare in piscina, anche solo per un’oretta. L’importante era continuare a tenere in allenamento quei particolari muscoli che poi, sempre il dottore gli aveva suggerito ammiccando, sarebbero stati più forti e resistenti anche per il basket.
Quanto gli era stato assegnato di fare copriva un arco di almeno sei mesi. Dopo i quali sarebbe tornato al centro dal dottor Toshiki per un ultimo, definitivo, controllo.
Il treno uscì da un’ennesima infinita galleria e Hanamichi si trovò incollato al vetro del finestrino, intento a rimirare il mare. Ma non era quello che aveva avuto davanti agli occhi negli ultimi due mesi. Ne era certo, era quello di Kanagawa. Da lì a poco sarebbe arrivato a destinazione.
***
Rukawa faceva girare su un dito la sfera rossa, mentre osservava pigro i suoi due amici darsi battaglia per aggiudicarsi l’ultimo punto che avrebbe decretato il vincitore di quella sfida. Quel sabato pomeriggio si erano ritrovati come al solito ad un campetto vicino alla spiaggia, pronti a dar sfogo alla loro voglia inesauribile di basket.
Mentre Mitsui riusciva a smarcarsi da Sendoh e a segnare l’ultimo canestro che lo portava ai venti punti rispetto ai diciotto del compagno, Kaede pensava che sarebbe stato molto più interessante poter fare quelle piccole sfide due contro due, invece di darsi i turni con un giocatore sempre fuori dal campo ad aspettare. E naturalmente sapeva chi avrebbe volentieri invitato per quei confronti. Akira con il fiatone, mani sulle ginocchia intento a riprendere il controllo della respirazione, guardava Hisashi contrariato. - Hai vinto solo perché ero stanco, questa era la seconda sfida consecutiva! - - Sì, sì, trova delle scuse. Ma queste sono le regole e io ho vinto! - lo canzonò il tiratore da tre.- Forza Kaede tocca a te vieni, oggi non voglio levarmi proprio la soddisfazione di batterti. - - Hn. - aveva replicato il moretto.
Essendo loro in tre, avevano stabilito una meritocratica rotazione per le partitelle al campetto. Due iniziavano a sfidarsi in un one-on-one ai venti punti, di solito era la morra cinese a decretare i primi sfidanti. Chi vinceva sfidava il terzo e, di nuovo, il vincitore dell’ulteriore partita giocava contro chi era rimasto fuori in precedenza e così via… finché ne avevano voglia e fiato.
Quel pomeriggio Sendoh e Rukawa avevano dato via al gioco ma, a differenza delle solite sfide agguerrite e dal risultato fino all’ultimo incerto, Akira era riuscito agilmente a battere l’avversario con enorme stupore di tutti.
Kaede contrariato, ma cercando comunque di rimanere calmo fino alla sua prossima occasione di gioco, non aveva risposto alle provocazioni e alle frecciatine degli altri due. Dal canto loro Akira e Hisashi avevano notato una certa “assenza” da parte dell’amico, anche se da qui a non concentrarsi pienamente sul gioco ce ne passava; a memoria non era mai successo che qualcosa potesse distrarre il volpino dal basket, soprattutto se era lui che stava giocando!
Ma ormai, nel bene e nel male, i due erano riusciti a penetrare un minimo quella maschera di indifferenza che Rukawa non si toglieva mai, per abitudine, nemmeno con loro. Sapevano che l’amico, per ogni giorno in cui una certa data si avvicinava, aveva la testa sempre più piena di un solo pensiero.
Rosso. Come il tramonto che ormai aveva allungato le loro ombre sul quel campetto vicino alla spiaggia. Come i suoi capelli. Come la divisa che avrebbe nuovamente indossato al suo ritorno. Come l’amore.
Il fischio di un treno, che sfrecciava a tutta velocità a qualche centinaio di metri verso l’entroterra, fece girare le teste dei tre nella sua direzione. - Do’aho.- sussurrò Rukawa. Anche il rosso sarebbe tornato con un treno, da lì ad una settimana.
Ancora sette lunghissimi giorni.
***
- Hana!!! Hana-chan!!! Tesoro, amore sono qui!!! - urlò una donna sul metro e sessanta, saltando e sbracciandosi per rendersi visibile nella folla che in quel momento si era radunata davanti all’ultimo treno arrivato in stazione. - Mamma! - Appena Sakuragi le fu abbastanza vicino, la donna gli si incollò addosso, abbracciandolo il più forte possibile. La scena era un minimo comica in effetti, considerando che la testa di lei raggiungeva a mala pena metà petto di lui e le sue braccia faticavano a circondare l’ampio torace del ragazzo. Tutto questo senza contare che, in quella felice riunione familiare, della tanto decantata compostezza giapponese se ne trovava davvero poca! Hanamichi era diventato più rosso di un peperone, imbarazzato da quello slancio di affetto che sua madre, come al solito, non aveva trattenuto. Ma ne era anche infinitamente contento, non gli importava affatto degli sguardi e delle risatine della gente intorno.
Cercò a fatica di divincolarsi dalla morsa in cui sua madre lo aveva stretto per abbracciarla a sua volta, da quanto tempo non sentiva il suo profumo? Grande e grosso com’era Hanamichi era attaccatissimo a sua madre e questo, chiaramente, lo si poteva affermare tranquillamente anche per lei. Sara Hamilton Sakuragi, irlandese, capelli rosso fuoco, occhi verdi, lentiggini a ricoprirle il viso, aveva appena ventuno anni quando il piccolo Hanamichi era nato. Era da lei che aveva ereditato il suo particolare colore di capelli ed era da lei che aveva imparato ad essere sempre sincero e solare. I suoi si erano conosciuti durante uno dei tanti viaggi di lavoro del padre, chiaramente in Irlanda nel caso specifico, ed era stato amore a prima vista.
- Kami Sama Hana-chan! Ma come sei cresciuto! Ti sei fatto un uomo lontano da tua madre! Sei diventato ancora più bello! - - Mamma non esagerare, non sono passati nemmeno due mesi dall’ultima volta che ci siamo visti! - - Ma due mesi sono tantissimi! Ho sofferto tanto senza di te amore! - la donna continuava a lamentarsi cercando di assumere un broncio offeso e sofferto, mentre i suoi occhi ridevano dalla gioia. - E poi è vero che sei cresciuto! Scommetto che ti sei alzato e le tue spalle mi sembrano decisamente più ampie. - - Uhm, in effetti nell’ultima visita al Centro, sulla scheda hanno segnato un metro e novantuno di altezza. - rispose il rosso pensieroso - se vado avanti così tra non molto mangerò in testa al Gory! - sghignazzò poi. - Kami Hana, tra un po’ dovremo davvero comprarti un letto nuovo, non esagerare! - scherzò con lui la madre. - Ah ah ah ah! Che ci vuoi fare mamma, sono un genio io! - - Bravo il mio bambino! - - Mamma!!! Non sono più un bambino, sono un tensai! Ah, a proposito. Non hai detto a nessuno che sono rientrato, giusto? - chiese poi Sakuragi sospettoso, ben conscio dell’incapacità della madre di mantenere un segreto. - C-certo Hana, che domande! - rispose Sara girandosi dall’altra parte - ecco la macchina andiamo che se no si fa tardi! - - Tardi per cosa? - chiese il rosso incuriosito. - Niente…niente! Solo….la cena! Volevo cucinarti una buona cenetta! Forza andiamo! - Kami, non era stata convincente nemmeno alle sue stesse orecchie, sperò solo che il suo bambino, ingenuo e fiducioso come ancora fortunatamente era, non avesse mangiato la foglia… e non lo facesse almeno per qualche minuto ancora.
Casa Sakuragi era una piccola villetta famigliare su due piani uguale a tutte le altre di quel quartiere, ma per Hanamichi era diversa ed unica. Non solo perché era casa sua, fatto tanto importante quanto scontato. Ma perché dopo più di due mesi di assenza era come ritornare in un porto sicuro, in famiglia… a Casa.
Quella, infatti, era stata la prima volta che il rosso si era separato così a lungo dai suoi genitori e da quel posto – aveva solo quindici anni d’altra parte! – e non si era accorto di quanto gli fosse caro e importante fintanto che non se ne era dovuto allontanare a forza e per un periodo tanto esteso.
Vedere sua madre aspettarlo al binario era stato già tanto ma ora, varcare il piccolo cancelletto esterno e aprire quella porta di legno che lo conduceva dentro l’abitazione era… la perfezione ecco!
Non poté trattenersi. Anche sapendo che nessuno, a parte sua madre poco più avanti, poteva sentirlo, non riuscì a frenarsi nell’urlare: - Sono a casa! - Ora sì, finalmente.
***
- Sono a casa! - - Oh Kaede, bentornato. Eri al campetto con i tuoi amici? - chiese un uomo alto e composto. I lineamenti del viso erano rigidi e, ad una prima occhiata, forse austeri. Ma due splendidi e caldi occhi neri conferivano all’intero volto armonia e cordialità, dando a quell’uomo l’immediata possibilità di trasmettere agli altri sia timore che dolcezza. Inutile dire quale sentimento lo permeava quando parlava con il figlio. - Sì papà. Faccio una doccia veloce e poi esco di nuovo. - rispose il volpino. Shuichiro Rukawa, quarantatre anni di età venti dei quali trascorsi a lavorare come consulente di direzione presso grandi aziende, era avvezzo a trattare con uomini importanti che pretendevano di saperla sempre più di lui. Suo compito era, infatti, quello di lasciar credere a queste persone che ciò fosse vero, pilotandole invece verso le soluzioni che lui riteneva migliori. Con suo figlio, aveva capito ormai da tempo, la stessa tecnica funzionava perfettamente. Con Kaede non si poteva ragionare ad imposizioni, regole o restrizioni, ma con la diplomazia e la sottile tattica della psicologia inversa. - Bravo, fai bene a divertirti alla tua età. Poi sono sicuro che tu, essendo un ragazzo in gamba, non mancherai di smentirmi, circa quel nostro famoso discorso…- disse l’uomo con apparente non curanza. - Tsk, papà! Non devi ricordarmelo, gli esami non sono un problema per me! - si arrischiò a dichiarare il volpino. Mai avrebbe mancato di dimostrare al padre quanto valesse la sua parola, a costo di studiare anche la notte… tanto poi avrebbe dormito sui banchi di scuola!
- Deduccio caro! Ci sei per cena? - una donna dai profondi occhi blu e alta poco meno del figlio si affacciò dalla cucina, scoccando un bacio affettuoso sulla guancia del ragazzo. - No mamma, mangio qualcosa con Hisashi e Akira. - rispose la volpe alzando gli occhi al cielo. Quando avrebbe smesso di chiamarlo con quell’imbarazzante vezzeggiativo? Qualcuno oltre a lui e a suo padre avrebbe potuto sentirla!
Guardando il loro unico amato figlioletto salire le scale per dirigersi in bagno, i coniugi Rukawa si scambiarono un cenno d’intesa. - Sono proprio felice che abbia trovato questi amici. Avevo paura che anche al liceo sarebbe rimasto un bambino chiuso ed invece è sbocciato. Oh il mio Deduccio! - esclamò Saori, asciugandosi con un lembo del grembiule che indossava due lacrime agli angoli degli occhi. - Cara, non devi preoccuparti. Kaede è in gamba e sta crescendo bene. Sono proprio orgoglioso di lui. Ultimamente però lo vedo un tantino cambiato… con la testa sulle nuvole. Che esageri con il basket? - si domandò pensieroso Shuichiro. - Tesoro, sei tanto sensibile verso tuo figlio ma sei pur sempre un uomo! - lo apostrofò bonariamente la moglie - non è il basket. Secondo me Deduccio è innamorato! - Il signor Rukawa sgranò gli occhi per lo stupore. - Kaede innamorato? Kami Sama! Come è possibile, com’è potuto succedere?! Ne sei sicura? - - Suvvia non ti pare di esagerare? E’ un ragazzo, un adolescente! Pensavi davvero fosse immune a questo tipo di sentimenti? Io sono sua madre e lo conosco bene, sono sicura di quello che dico. Lui è innamorato e anche molto! Non stupirti troppo se tra un po’ porterà a casa “qualcuno di speciale”. - ammiccò Saori verso il marito. - Oh il mio ragazzo. E’ diventato un uomo! - concluse Shuichiro esaltato. - Ah! Il mio bambino! - gli fece eco la moglie, tornando in cucina.
Nel frattempo, ignaro della conversazione di cui era oggetto, Rukawa godeva del benessere che la doccia dava al suo fisico stanco. L’acqua calda rilassava muscolo dopo muscolo tutto il suo corpo, tamburellandogli sul collo e sul viso disteso.
Inizialmente aveva rifiutato deciso la proposta di uscita che gli era stata fatta. Era stanco, stranamente agitato e malinconico. Avrebbe solo voluto tornare a casa e perdersi in una partita dell’NBA e nelle lenzuola del suo letto. Già, un letto che sentiva vuoto e freddo perché privo di quel calore che ormai gli era divenuto necessario più dell’aria stessa per respirare. E questa necessità si acuiva per ogni giorno in cui veniva disattesa e frustrata. Doveva soddisfare questa suo bisogno fondamentale ma, nella più fortunata delle ipotesi, doveva aspettare ancora almeno una settimana per farlo. La prospettiva di quei sette lunghissimi giorni lo atterriva più di ogni altra cosa. E non riusciva davvero a capacitarsene. Ormai erano settimane se non mesi, quanto meno inconsciamente, che aspettava il momento di potersi dichiarare al Do’aho, di poterlo fare suo … in un modo o in un altro. Ma ora, questa manciata di giorni stava lentamente annientando ogni sua velleità di freddezza ed ogni sua capacità di ragionare razionalmente. Forse, dopo tutto, restare a casa da solo con i suo pensieri non era una così brillante idea. Uscire e stare in compagnia dei suoi amici sarebbe stato il giusto diversivo rispetto a quell’attesa snervante… almeno per qualche ora.
*Come mi sono ridotto!* pensò chiudendo il getto caldo dell’acqua e afferrando l’accappatoio poggiato sul lavandino. Con una manica asciugò la superficie dello specchio, inumidita dal calore della doccia. - Do’aho, è tutta colpa tua! - ringhiò al suo stesso riflesso - e giuro che non ti permetterò di sfuggirmi dopo tutto quello che mi stai facendo passare, parola di Kaede Rukawa! -
***
- Sono a casa! - Ma, invece del silenzio che era sicuro di ricevere in risposta, sentì urlare - Sorpresa!!! Bentornato Hanamichi! - da un cospicuo coro di voci. La luce si accese rivelando il salotto di casa sua pieno di gente, raccolta sotto un colorato festone che gli augurava il benvenuto. Su un lato scorse un tavolo stracolmo di cibo e bevande. Con uno sguardo poco raccomandabile il rosso cercò la madre che, cautamente, si era spostato dietro le spalle del marito. - Papà! Pensavo fossi in viaggio! - ormai dimentico della sfuriata che voleva fare, il rosso andò felice ad abbracciare il padre, per una volta contento dell’iniziativa di sua madre. - Figliolo, non potevo certo mancare il giorno del tuo rientro! Non c’è lavoro che tenga! - gli rispose Takeru con un grande sorriso - e poi tua madre mi avrebbe ucciso, sai com’è fatta! - I due si scambiarono un cenno di rassegnato assenso.. - Hey, guarda che ti ho sentito! - gli fece presente Sara dietro le sue spalle. - Ehm, ehm! Dammi qui la borsa Hana, te la porto in camera tua. Tu goditi la festa! - cercò di levarsi d’impaccio l’uomo, fuggendo verso le scale.
Hanamichi si guardò intorno, sua madre aveva avvisato sin troppe persone del suo rientro per i suoi gusti! Per fortuna si era limitata al Guntai per quel che riguardava i suoi amici, tutti gli altri erano infatti parenti e amici dei suoi. - Hana! - gli si avvicinò Mito. - Yohei! Mi ero quasi scordato la tua brutta faccia! - scherzò il rosso abbracciando affettuosamente il suo migliore amico. Ok, in fin dei conti era davvero contento che sua madre avesse per l’ennesima volta fatto di testa sua. Un po’ come faceva spesso lui del resto. - Kami Hana, è possibile che tu sia più grande e grosso di come ti ricordavo? - gli chiese Noma avvicinandosi ai due. - Bè forse qualche centimetro. Poi caspita, ho passato tutto questo tempo a fare esercizi e a nuotare, forse qualche altro muscolo si è andato ad aggiungere a quelli già presenti nel fisico del genio! - si gonfiò il rosso. - E’ per questo che arriva meno sangue al cervello allora, perché mi sembri anche più stupido di due mesi fa! - lo prese in giro Takamiya, infilandosi in bocca l’ennesima tartina. - Come ti permetti scrofa! Tu invece sei più tondo di un mappamondo! Saresti dovuto andarci anche tu in cura, magari ti saresti rimesso in forma! - rispose pronto Hanamichi. - Come ti permetti! Intanto io sono diventato un modello, perché l’altro giorno a scuola noi abbmpffffffffff!!! - non poté continuare quanto stava dicendo perché Okuso, pronto, gli tappò la bocca con entrambe le mani mentre gli altri gli lanciavano occhiate assassine. - Hey, che state facendo? - si informò sospetto Sakuragi. - Che ha combinato Taka a scuola? - E adesso cosa si inventavano? - Ni-niente Hana, cosa vuoi che abbia combinato? Il club di arte l’ha ingaggiato come modello e così si è gasato. Peccato però che gliel’hanno chiesto perché stanno studiando le figure geometriche… lui fa la sfera! - rispose Mito. - Ah ah ah ah! La sfera! Hanno proprio azzeccato il modello giusto allora! - rise il tensai. - Hey! - riuscì solo a dire Takamiya. Uno sguardo fulminante di tre paia di occhi lo fece desistere dal continuare la sua replica. - Hana-chan, tesoro! Vieni a salutare gli zii! - Sara si avvicinò al gruppo. Aveva seguito lo scambio di battute fra il figlio ed i suoi amici, decidendo quindi di intervenire per levare quest’ultimi d’impaccio. Con un occhiolino di intesa a Mito allontanò il rosso. - Ma sei scemo! Ti ricordi cosa abbiamo deciso prima con Sara-san? - Yohei investì Nozomi non appena giudicò le orecchie di Hanamichi a distanza di sicurezza. Per risposta l’altro ingurgitò una manciata di patatine imbronciato. - Sentite, cercate di fare attenzione a quello che dite - iniziò Mito - che a nessuno scappi una parola circa lo spot. Non vogliamo rovinargli la festa. Sara-san ci ha chiesto di tacere, ci penserà lei a raccontare poi tutto ad Hana… e per come la vedo io, se è possibile evitare le sue testate tanto meglio! - Sembrava di assistere ad una discorso di un capo Yakuza verso la propria banda. Gli altri annuirono d’accordo, la minaccia delle testate del rosso aveva sortito il suo effetto.
Dal canto suo neanche la mamma del tensai era certa di quando e come comunicare al figlio cosa si era perso. Sara conosceva abbastanza bene la sua irruenza da riuscire ad intuire le sue possibili reazioni alla notizia. - Sara-san, è sicura di voler dire lei ad Hana tutto quanto? - le chiese Mito avvicinandosi. Anche se la decisione della donna era arrivata un po’ come una manna dal cielo, Yohei le era davvero affezionato e non voleva farle rischiare una possibile commozione celebrale… insomma, quando si trattava di Sakuragi non si poteva mai sapere! - Yohei, te l’ho detto mille volte di non essere così formale con me! Mi fai sentire vecchia! - Mito sorrise. - Comunque no, mi spiacerebbe vederlo rattristarsi o peggio! Anche se poi magari non reagirà affatto male come pensiamo. Voglio dire, a lui non è mai passato per il cervello l’idea di girare uno spot, perché dovrebbe interessargli ora?! - cercò di razionalizzare la donna. Ma la cosa non era minimamente convincente. - Sara-sa..ehm.. Sara - si corresse il ragazzo - conoscendo Hana reagirà male non tanto per lo spot, ma per il fatto che si sentirà escluso rispetto a qualcosa che la squadra ha fatto come gruppo. Non lo dimostra apertamente, ma si vede che è molto attaccato a loro, a lui piace sentirsi parte di qualcosa, della squadra di basket in particolare. Io onestamente credo ci sia ben poco da fare per evitare le sue sicure ritorsioni. - disse poi rassegnato. - Hai ragione - ammise la donna - ma sai cosa ti dico? Che il guaio nasce con e per la squadra… e allora saranno loro a doverglielo comunicare? Che ne pensi? - - Sono d’accordo! - annuì Mito sorridendo. Infondo quella era una questione della squadra di basket, mica loro che ci erano finiti in mezzo per caso. Ok, forse era un minimo da codardi, ma nessuno dei due se la sentiva di intristire Sakuragi con una notizia poco felice, soprattutto ora che l’avevano visto tutto allegro e sorridente dopo quel difficile periodo. La squadra aveva tanto di allenatore e capitano, persone di responsabilità che tale onere si sarebbero dovuto giustamente accollare… e si salvi chi può.
Hanamichi si sentiva euforico, mai tutti quei parenti noiosi e pedanti gli erano sembrati tanto simpatici. Però avrebbe voluto scambiare due chiacchiere con i suoi amici finalmente. Sua madre era stata impietosa a separarlo subito dal Guntai per buttarlo in mezzo alla mischia dei cugini e degli zii. Osservando al di là della finestra del soggiorno, scorse proprio Mito fuori in giardino, intento a spegnere di nascosto una sigaretta. Decise quindi di raggiungerlo.
- Yohei! - - Kami Hana! Vuoi proprio farmi perdere dieci anni di vita tu! - disse l’altro che, intento a trovare un buon nascondiglio per il mozzicone che aveva in mano, non si era accorto di chi gli sopraggiungeva alle spalle. - Hai la coda di paglia eh? - lo schernì il rosso. - Bhà! Sto smettendo lo giuro. Fumo solo tre sigarette al giorno io! E poi mica sono un’atleta come te, mica devo correre tutto il giorno! - scherzò Mito. - Nemmeno io corro tutto il giorno. Comunque fai bene a smettere, te l’ho sempre detto. Ma non sono mica venuto qui per questo! - - Ah no? Pensavo volessi farmi la tua solita predica, come se non avessi già un padre! - lo guardò storto Yohei - Comunque ti vedo proprio bene Hana, sono contento tu sia tornato. - - A chi lo dici, non stavo più nella pelle! Volevo vedere tutti e tornare ad allenarmi. Mi è mancata persino la scuola tu pensa! - rise il rosso gonfiando il petto. - Torni già lunedì? - gli chiese l’amico. Hanamichi appoggio entrambi i gomiti sul muretto basso che delimitava il suo piccolo giardino, guardando la strada di fronte - No, ho ancora delle questioni da sbrigare. Dovrò passare un paio di giorni a fare qualche terapia in ospedale, non so bene. Poi andrò in piscina ad iscrivermi. Mi toccherà andare a nuotare anche qui! - Al suo fianco Yohei lo guardava sorridendo. - Kami Hana, ti hanno messo proprio sotto. Comunque si vedono i risultati, mi pare che la tua schiena vada meglio e anche fisicamente mi sembri irrobustito. - - Sì, non ho più dolore. Non hai idea di come ho sofferto, ma ora va meglio proprio grazie a tutti questi esercizi. Per questo ho intenzione di continuarli - rispose Sakuragi sorridendo - potresti venire anche tu con me in piscina. Se, come mi dicono tutti, ha fatto miracoli con me potresti sfruttarlo per farti venire un bel fisico…per le ragazze. - - Io un bel fisico già ce l’ho! E comunque non credo di essere tagliato per lo sport, se non quello da strada - ammiccò Yohei - Ah, a proposito di ragazze, Haruko ti ha più scritto lettere? - Mito sapeva, grazie ad una delle tante telefonate che lui e il suo miglior amico si erano scambiati, che la cotta di Hanamichi per la ragazza era ormai passata. Ma voleva tastare con mano la cosa. - Qualcuna - rispose distrattamente il rosso - non erano poi nemmeno troppo interessanti. - borbottò. Yohei si fermò ad osservare attentamente il rosso mentre, imbarazzato, si passava avanti e indietro una mano sui corti capelli. - Uhm, ho la sensazione che vorresti dirmi qualcosa Hana, mi sbaglio? - indagò Mito. Ormai conosceva quella testa matta da una vita e il loro legame era forte e profondo, non poteva certo sperare di nascondergli qualcosa… sperava piuttosto di essere lui capace di farlo!
Dal canto suo Sakuragi voleva confidare i sentimenti da poco scoperti al suo migliore amico. Farlo lo avrebbe fatto sentire più leggero, ne era sicuro. Però temeva il modo in cui la sua confessione poteva venire colta. Sapeva che la signora Sawa non era l’unica persona al mondo dai pensieri abbastanza aperti da non condannare la sua scelta, ma poteva dire questo di tutti? Non era così ingenuo da crederlo. Però a sua madre e a Mito avrebbe davvero voluto confessarlo, aveva bisogno di sostegno da parte delle persone care nel caso in cui la kitsune non avesse voluto… bè, sì insomma, bisognava prendere ogni possibilità in considerazione no? Anche quelle negative. Anche se remote e lontane, impossibili da avverarsi!
- Sì, però non ora. Ora sono stanco. Uno di questi giorni ci facciamo una bella uscita e parliamo un po’. Anche tu poi devi raccontarmi tutto quello che è successo negli ultimi tempi. Ci siamo sentiti due settimane fa quasi, mi devi aggiornare! - disse tutto allegro il rosso. Sì, si sarebbe confidato con Yohei e con sua madre. Non poteva farne a meno e poi, era sicuro, avrebbero capito. *Speriamo.* Mito si sentiva un po’ in colpa, lui chiedeva e Hanamichi era pronto a parlare e a confidarsi. In cambio, invece, gli stava nascondendo una cosa abbastanza significativa. Forse gliene avrebbe parlato però, prima del suo ritorno a scuola e prima che la squadra si fosse ritrovata fra le mani questa patata bollente da gestire. Uno dei prossimi pomeriggi appunto, durante una delle loro famose uscite.
***
La musica quella sera gli era sembrata più alta del solito. Per una volta che aveva deciso di assaggiare uno di quei coloratissimi intrugli, invece di prendersi la sua solita birra, gli avevano servito qualcosa di talmente dolce da sembrare melassa fusa. Era stato abbordato quattro volte e aveva ricevuto tre palpatine, una anche pericolosamente insistente, stabilendo un nuovo record personale. Ma tutto sommato non era stata affatto una brutta serata. Sentire i discorsi di Akira e Hisashi sui ragazzi presenti nel locale lo divertiva. Alle volte poi partecipava, aggiungendo un aggettivo alla lunga lista che i due riuscivano a tirar fuori o solo approvando o meno il loro giudizio con un mugugno.
Tutto era filato liscio fino a quando, scrutando la pista da ballo, Rukawa non aveva notato un ragazzo alto con i capelli di un rosso familiare. Il cuore gli era cominciato a pulsare impazzito nel petto e la salivazione gli si era del tutto azzerata. Con uno scatto balzò in piedi, spaventando i suoi amici seduti tranquilli a chiacchierare, con l’intento di dirigersi verso il ragazzo. Akira e Hisashi seguirono lo sguardo di Kaede scorgendo colui che aveva attirato l’attenzione del volpino, rimanendo immobili nell’attesa della sua prossima mossa. Ma questo non fece che due passi in direzione della sua meta che l’oggetto del suo desiderio si voltò, rivelando un volto sconosciuto e nemmeno particolarmente attraente. Le spalle erano larghe e l’altezza forse c’era, ma al posto di addominali scolpiti una pancetta poco sensuale rigonfiava sopra i jeans la maglia bianca. Non era sicuramente Sakuragi.
Con un sonoro sbuffo Kaede si girò immediatamente, lasciandosi andare scomposto sulla sedia fino a poco prima occupata. Maledizione! Ora quel maledetto rosso tarocco gli aveva fatto ritornare in mente la sua ossessione!
Hisashi e Akira si scambiarono uno sguardo d’intesa. - Kaede… - iniziò Mitsui. Un’occhiata inceneritrice del compagno di squadra, però, gli fece perdere la voglia di continuare. Era evidente che quello fosse un discorso difficile da affrontare per il diretto interessato. - Su dai non fare quella faccia - intervenne Sendoh - fra una settimana sarà di nuovo qui, giusto? Così almeno potrai finalmente fare qualcosa! - - Hn. - rispose solo il moretto. - Sette giorni non sono poi molti, passano in fretta sai? - continuò poi la guardia. Kaede non sembrava ascoltarli. - Uhm, forse è meglio prendere una boccata d’aria. Vi va di fare due passi? - propose poi il giocatore del Ryonan alzandosi. - Per me va bene - acconsentì Hisashi con uno sguardo complice all’amico - tanto qui sta sera è una noia. - - Hn. - rispose solo Rukawa, grato ai due per quella decisione che gli permetteva di allontanarsi dalla causa dei suoi infausti pensieri.
Akira si incamminò per strade che ormai conosceva a memoria, conducendo i suoi amici vicino al mare, sul molo dove era solito rilassarsi con una canna da pesca in mano. Solitari lampioni illuminavano fiocamente la banchina, lasciando gli avventori godere dello splendido panorama solo grazie alla luce delle stelle e della luna. Una dolce brezza accarezzava i visi dei tre amici, portando con sé le prime avvisaglie della stagione fredda imminente. Era davvero rilassante stare lì a vedere quella immensa distesa nera. Il lieve e costante rumore delle onde che si scontravano sui frangiflutti del molo era ipnotico e rilassante. Kaede chiuse gli occhi e, per un lungo ed infinito attimo, gli sembrò davvero che l’ansia e le preoccupazioni si sciogliessero dalla sua testa per abbandonarlo, portate via dalla brezza marina. Sentì la presenza di qualcuno che gli si affiancava sulla destra ed una voce familiare sussurragli all’orecchio - Hey, ragazzo innamorato. - Si voltò aprendo gli occhi e scorgendo i lineamenti del suo compagno di squadra. - E’ bello qui eh? Anche se preferisco venirci con il sole alto nel cielo. - affermò invece Akira, avvicinatosi alla sua sinistra. Il volpino tornò a guardare il mare. Stare lì, in mezzo a due persone che avevano imparato a capirlo e ad accettarlo, per quanto ancora introverso si dimostrasse anche con loro, era rincuorante. Si sentiva in pace, lontano dal frastuono e dal caos del locale e dai visi di tanti sconosciuti, in mezzo a chi gli aveva dimostrato interesse ed affetto. Loro e il mare. Per la prima volta in vita sua ebbe realmente voglia di sfogarsi con qualcuno, che non fosse una palla da basket. - Questi ultimi giorni sono quasi impossibili da far passare - sussurrò - Io… è un’ossessione! - - Sono solo gli ultimi giorni di un periodo ben più lungo. - rispose Akira. - Lo so. Ma ora è più difficile - ammise il volpino - io….. - - Hai paura? - indovinò Mitsui. - Hn. - rispose indifferente Rukawa, sussultando comunque per quella verità svelata. - Eh, è normale sai? Mica c’è da vergognarsene. - Sendoh sfoderò nel dirlo uno dei suoi migliori sorrisi - comunque secondo me non ci devi pensare, non troppo almeno. - - Hn, fosse così semplice. - rispose il volpino - fosse per me non sprecherei tempo utile in mille congetture ma… - - Non puoi farne a meno, eh? - concluse per lui Mitsui. - Hn. - si limitò a confermare l’ala piccola. - Dai non fare così! Ti daremo una mano noi a conquistare Sakuragi, vero Hisa? - - Eh? - rispose l’interpellato. - Non ci pensate neppure! - cercò di stroncarli subito Rukawa. - Ma come? Non ti fidi di noi? Va che hai davanti un rubacuori di prima categoria sai? Potrei darti ottimi consigli! La mia tecnica e la tua bellezza, il tensai capitolerà stanne certo. - insisté Sendoh, ricevendo in risposta un’occhiata di sbieco dall’amico. - Se, la tua tecnica! Ma fammi il piacere! Sono più quelli che appena ti sentono parlare scappano ridendo che quelli che restano! - lo schernì Mitsui. - Guarda che per fare certe cose non c’è bisogno di parlare. - gongolò l’altro. - Sì, ma per arrivarci invece è necessario! - replicò la guardia. - Sentiamo allora, tu che suggerisci?! - disse allora spazientito Akira, posando le mani sui fianchi e voltandosi verso Hisashi in attesa. - Innanzitutto - iniziò questo con l’aria di chi la sa lunga - la migliore strategia è l’attacco! Non può aspettare che quello scemo si accorga del suo interesse, deve andare da lui ed affrontarlo. - - Tsk, questo avevo già intenzione di farlo! - rispose il diretto interessato, dimostrando di stare incredibilmente seguendo quel delirio a due, messo in piedi dai suoi amici. - Bravo! - si compiacque Mitsui nel constatare che quanto diceva veniva approvato. - Sì, però questo non assicura il risultato! - insinuò il giocatore del Ryonan facendo una smorfia compiaciuta al numero quattordici dello Shohoku - ed è proprio qui che entrano in gioco le mie tecniche! - concluse poi rivolto al volpino. Rukawa alzò gli occhi al cielo esasperato. - Basterà. E se non sarà così, vorrà dire che lo incatenerò ad un muro finché non si convincerà del contrario. - disse deciso il moretto tornando a guardare il mare, lasciando interdetti gli altri due. Akira si voltò verso Mitsui scoprendo che, come lui, anche l’amico stava trattenendo a stento una risata. Non una risata di scherno o incredulità, non c’era da prendere alla leggera certe uscite di Rukawa, soprattutto se fatte così seriamente. No, la loro risata era di felicità. Kaede era in tensione come una corda di violino ma, si poteva capire ogni volta che lo si osservava quando si parlava di Hanamichi, era anche felice. E se era felice, loro lo erano di riflesso per lui. Qualcosa di nuovo brillava infatti negli occhi della volpe quando il rosso veniva nominato. Era la fiamma di una sfida dall’esito incerto, ma che voleva giocare e vincere. Assolutamente. - Bè, allora dovremmo procurarci un paio di manette e delle corde robuste - ironizzò Akira - solo nel caso in cui il piano A non vada in porto - si giustificò poi allo sbuffo spazientito di Kaede. - Meglio essere previdenti. - gli diede manforte l’ex teppista.
***
Gli ultimi parenti se ne erano andati dopo mezzanotte, ma lui si era trattenuto ancora un po’ a parlare con la sua armata e dopo ancora solo con Mito. Non avevano affrontato argomenti importanti, essendosi già ripromessi di farlo prossimamente, a mente fresca. Così avevano parlato del più e del meno, di ricordi e di vecchie risse ed alla fine si era fatta l’una e mezza. Constatando che i suoi genitori erano già andati a dormire, il rosso si diresse in bagno deciso a farsi una doccia veloce per poi mettersi a letto. Era stata una giornata lunga fra preparativi di partenza, saluti, viaggio e festa, ma nonostante questo non era particolarmente stanco. Più che altro si sentiva agitato ed impaziente. Solcata la porta di camera sua, con un asciugamano al collo e con indosso solo un paio di pantaloncini sportivi per dormire, Hanamichi si fermò un attimo a rimirare la propria stanza. Fino a quel momento non si era accorto di come quel piccolo luogo, da sempre il suo personalissimo rifugio, gli fosse mancato. Ormai si era abituato a considerare la propria camera quella stanza che al centro gli era stata assegnata e che, in breve, aveva personalizzato con poster e con il caos dei vari oggetti ammucchiati e lasciati ovunque. Di fronte all’originale, però, si rese conto di quanta nostalgia avesse nutrito in tutto quel periodo di lontananza forzata per il suo mondo e si trovò a chiedersi cosa avrebbe provato nel rivedere lo Shohoku, la palestra, la squadra… ….e lui.
Si diresse al letto con l’intento di spostare il bagaglio che suo padre vi aveva appoggiato sopra quando si bloccò. Nascosta fino a quel momento alla sua vista, piegata e lasciata sul cuscino, c’era la maglia della divisa del club di basket. Si fermò un attimo nell’osservarla, mille immagini gli passavano veloci davanti agli occhi impedendogli di muovere un solo muscolo. L’afferrò con entrambe le mani alzandola, per rimirarla bene in tutta la sua fierezza. Il grande numero dieci stampato spiccava sulla superficie rosso fuoco della maglietta, sotto la scritta arcuata Shohoku che lo sovrastava. Se la rigirò fra le mani, attento a cogliere ogni dettaglio di quella maglia che era rimasta in tutti i suoi sogni ogni notte di quei lunghi mesi e di nuovo si bloccò. Sul retro, sopra al familiare numero, torreggiava a grandi lettere nere il suo nome, scritto in caratteri occidentali: “Sakuragi”. Il rosso restò interdetto davanti a quella novità, tornando ad osservare attento la maglia convinto si trattasse di un regalo da parte dei suoi genitori. Ma non poteva sbagliarsi, quella era proprio la sua divisa da basket, solo con una personalizzazione del tutto inaspettata. Tra l’altro, ora che ci faceva caso, sul fronte notò un’altra novità che prima gli era sfuggita. Il simbolo di una nota marca di abbigliamento sportivo era stampato nero con bordi bianchi in alto a sinistra, proprio sopra il cuore. Un altro uguale invece occupava una posizione centrale sul retro, proprio sotto il numero. *Caspita!* pensò *La scuola deve aver apprezzato i risultati ottenuti dalla squadra grazie al genio del basket e ha deciso di fare un regalo al club!* dedusse il rosso, posando la maglietta sulla sedia della sua scrivania. - Certo che è proprio bella così! Con il mio nome stampato in caratteri cubitali! Così tutti sapranno come si chiama il genio sublime! - rise poi ad alta voce. Spense la luce e si mise sotto le coperte.
Dalla finestra chiusa, la tapparella leggermente alzata faceva filtrare il chiarore dei lampioni esterni che illuminava fiocamente la stanza. Sakuragi si trovò incapace di slegare il proprio sguardo dalla maglia rossa posata sulla sedia, da quel numero dieci che con tanta evidenza contrastava con lo sfondo. Aveva una voglia matta di indossarla e andare da qualche parte a fare due tiri a canestro, non fosse stata notte fonda probabilmente niente l’avrebbe fermato, nemmeno i buoni propositi circa la fisioterapia! Tentò invano di dormire. L’immagine della sua divisa e quel forte desiderio impossibile da scacciare via, infatti, non abbandonavano Hanamichi, che continuava a rigirarsi nel proprio letto incapace di addormentarsi. Provò di tutto, dal contare le pecore a trattenere il fiato – anche se non era proprio certo centrasse qualcosa con il sonno – ma niente, per quanto stanco si sentisse i suoi occhi restavano sbarrati. Spazientito si alzò, gettando di lato le coperte e andando alla finestra, scoprendo incredulo che il cielo si stava già lentamente schiarendo. Aveva passato insonne tutta la notte!
In meno di un secondo aveva preso la sua decisione. Se non riusciva a dormire perché la sua mente era occupata da un unico impellente bisogno, allora avrebbe cercato di soddisfarlo, per potersi finalmente calmare. Indossò sopra i pantaloncini la maglia rossa della squadra ed uscì dalla stanza di corsa, senza preoccuparsi di lasciare un biglietto ai genitori perché non si preoccupassero della sua imprevista assenza. Infilò al volo le sue scarpe da gioco nere e rosse e, appena fuori casa, si fermò un attimo a respirare a pieni polmoni l’aria frizzante di quelle primissime ore del mattino. Constatò contento che il sole avrebbe accompagnato anche quella giornata ma, ciononostante, il freddo pungente cominciava a farsi sentire e decise quindi che era meglio muoversi e scegliere dove andare, ora che il primo passo era stato fatto. Si accorse però di non aver preso con sé il suo pallone da basket. Non aveva certo voglia di tornare nella propria stanza a recuperarlo anche perché, tra l’altro, si era dimenticato anche le chiavi di casa oltre che la sfera rossa. Pazienza, tanto gli era venuto già in mente un posto dove oltre ad un campo da basket avrebbe trovato anche dei palloni con cui giocare. Si mise quindi a correre, con un’andatura decisa e sostenuta, per riscaldare i muscoli freddi e per risparmiare tutto il tempo possibile nel percorrere il tragitto che lo separava dalla sua meta.
Solo giunto davanti ai cancelli dello Shohoku Sakuragi si fermò. Non era la prima volta che il rosso entrava di soppiatto nella propria scuola; era abituato a considerare quel luogo il suo personalissimo campo di allenamento. Con pochi gesti esperti scavalcò infatti il cancello esterno, per poi dirigersi verso la palestra. Davanti alla pesante porta di ferro verde si fermò, preso da uno strano timore. Se rivedere la maglia della squadra aveva provocato in lui un tumulto tale da fargli passare completamente il sonno, ora cosa sarebbe successo? Hanamichi però aveva ormai deciso e non aveva alcuna intenzione di tirarsi indietro proprio ad un passo dal concludere. Meditando su cosa utilizzare per scassinare la serratura della porta, il rosso tentò ugualmente di aprirla, giusto per vedere se per caso fosse stata lasciata aperta. Con suo immenso stupore l’anta cominciò effettivamente a scorrere di lato rivelando ai suoi occhi, centimetro dopo centimetro, quel luogo così tanto agognato. Si accorse che il sole aveva percorso altri passi nel cielo dallo stagliarsi netto della sua ombra sul parquet. Decise quindi di entrare e socchiudersi la porta alle spalle.
Era tutto identico a prima, come se non se ne fosse mai andato. Come se al posto di aver trascorso gli ultimi mesi a chilometri di distanza li avesse passati lì, a Kanagawa, andando ad allenarsi allo Shohoku tutti i giorni. Il suo cuore martellava impazzito dall’emozione, poteva sentire il sangue pulsare nelle sue vene. Scorse in mezzo al campo un pallone abbandonato e, come calamitato da esso, si avvicinò e lo raccolse. Ne saggiò attento la consistenza fra le mani. La ruvidezza della superficie e la resistenza alla pressione. Nelle ultime settimane aveva iniziato dei piccoli allenamenti, aveva già ripreso in mano un pallone ma… ma quello era diverso, sapeva di vittoria. Perché lui era stato male. Aveva sofferto, ma si era impegnato per migliorare. E alla fine era tornato. Preso da un impulso irrefrenabile, Sakuragi iniziò a far rimbalzare la sfera sul parquet. Ecco, quel suono proprio gli era mancato. Aveva ripreso ad allenarsi a canestro, era vero, ma solo in campetti esterni in cemento. Non metteva piede su un vero campo da più di due mesi ormai e quel suono sordo, ma familiare, gli diede finalmente il benvenuto che più agognava. Senza nemmeno accorgersene Hanamichi fece un velocissimo scatto in avanti, con l’intento di eseguire un “tiro dei poveri”, come spesso lo aveva definito, con il fine di scoprire se il suo corpo aveva ancora impressi i giusti movimenti. Con suo stesso stupore la palla si insaccò nella rete senza difficoltà ed un largo sorriso illuminò il suo viso, fino a quel momento rimasto sorprendentemente serio per la concentrazione. Sakuragi andò a recuperare la palla, deciso a provare ancora ed ancora quel tiro, che mai come prima aveva sentito appartenergli. Che mai come prima lo aveva fatto sentire vivo. Ai canestri a tre tempi cominciò ad alternare qualche scatto veloce e qualche finta, per poi fermarsi ai margini della lunetta di tiro e provare qualche lancio in sospensione. Si mise ogni volta in un’angolazione diversa, come mesi prima l’allenatore Anzai gli aveva imposto per il suo allenamento speciale. Non tutti i tiri andavano a buon fine, poco meno della metà rimbalzavano sul ferro pronti a finire fuori. In alcuni di questi casi il rosso correva, con tutta l’agilità di cui era capace, per saltare e recuperare il rimbalzo così creatosi. Il tempo passava e l’energie del rosso sembravano inesauribili. Dopo aver recuperato la sfera in seguito all’ennesimo rimbalzo, con successivo tiro da sottocanestro, Hanamichi allentò un poco il ritmo, andando a posizionarsi qualche passo prima della metà campo. Con la destra strinse forte la palla, mentre i suoi occhi erano totalmente impegnati a fissare il canestro metallico, che con la sua sfrontata immobilità sembrava nuovamente sfidarlo. Deciso Sakuragi prese una poderosa rincorsa e, con poche grandi falcate, si trovò alla distanza giusta per spiccare un salto fenomenale e insaccare, con tutta la forza di cui era capace, uno dei suoi micidiali slam dunk. Restò così per qualche secondo, appeso con la destra all’anello metallico, per poi lasciarsi andare a terra. Il battito del suo cuore lo stava assordando. Oltre a quello percepiva solo la frenetica ricerca d’aria dei suoi polmoni. Alzò nuovamente lo sguardo al tabellone, che solo in quel momento stava smettendo di vibrare.
Quel lungo periodo di degenza non l’aveva reso meno abile. Il suo corpo non aveva scordato quei movimenti che così duramente aveva imparato. Nessuno, ora, avrebbe più potuto fermarlo. Una nuova sicurezza si infuse in lui, rendendolo davvero determinato a raggiungere ognuno di quegli obbiettivi che si era così a lungo prefissato.
Dopo tutto, lui era un tensai.
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