Continuo a fare pulizia nel computer... ecco un mio vekkissimo (ha più di un anno) racconto originale, che hanno letto in pokissimi... due persone solamente.. ed ora la faccio leggere anche voi...
Il rating, boh... penso nc-13, non di più... non c'è sex, ma solo la storia di un amore inespresso e covato...

 


La carezza nel pugno

di Xel


Camminava tranquillamente verso il bagno con in testa mille pensieri.
Pensavo che dal giorno dopo la scuola sarebbe finita e sarebbe stato ufficialmente in vacanza.
Pensava a quello che lo avrebbe aspettato quell'estate.
Pensava all'imminente festa d'istituto.
Ma nonostante i pensieri non si scordò di buttare un'occhiata alla terza.
Ogni giorno passava davanti a quella classe.
E ogni giorno scrutava al suo interno per cercarlo con lo sguardo, per incrociare anche solo una volta i suoi occhi.
Perché bastava vederlo per riempire il Suo cuore di gioia.
Era Giuseppe, quel ragazzo che era entrato nei Suoi pensieri in modo così improvviso ed imprevisto.
Ricordava ancora quando l'aveva visto il primo giorno di scuola.
Quella figura tarchiata e robusta muoversi con passi sicuri di fronte a Lui nel corridoio.
Non l'aveva mai notato l'anno prima, ma non c'era nulla di strano, la scuola era grande e non poteva di certo conoscere tutti.

Si stupì quando lo vide entrare nella classe vicino alla Sua.
Era della terza, dunque.
Ma si stupì ancora di più nel vederlo in viso.
Due profondi occhi azzurri ed un leggero pizzo castano, incorniciavano delicatamente i tratti rozzi e duri del volto.
Lo vide per un solo attimo, ma Gli rimase impresso nella mente, fu conquistato da quella insolita bellezza al primo sguardo.
Venne poi a sapere a chi era.
Frequentava la terza classe di due anni prima ed era stato bocciato, l'anno successivo non aveva frequentato.
Quell'anno si era invece riscritto ed era nella classe accanto alla Sua.
Lui aveva quattordici anni, mentre Giuseppe ne stava per compiere diciotto, anche se dall'aspetto e dal modo di fare sembrava più maturo.
E più sapeva di lui, più se ne innamorava.
Venne a sapere che faceva parte della squadra regionale di sollevamento peso, ecco il perché di quel fisico, quelle braccia grosse e quel petto ampio.
Venne a sapere dove abitava.
Venne a sapere come andava a scuola e quali erano le sue abitudini. 
Venne a sapere tutto questo senza mai chiedere informazioni dirette ad alcuno, semplicemente origliando conversazioni e sfiorando l'argomento durante i discorsi.
Men che meno aveva chiesto mai nulla direttamente a lui.

Spesso si metteva vicino alla porta, fingendo di essere preso da altre occupazioni, mentre in realtà cercava solo di vederlo passare.
A volte entrava nella sua classe, senza un motivo preciso, intrattenendosi in vane conversazioni, nella speranza di incrociarlo mentre usciva.
Ogni giorno, aveva cominciato ad andare in bagno alla stessa ora, sapendo che quello era il momento in cui ci andava anche lui.
Passava in silenzio davanti alla porta socchiusa della classe, entrava nello stanzino, apriva l'acqua e la lasciava scorrere. 
Misto allo scroscio dell'acqua immaginava di sentire i suoi passi del corridoio, e quando entrava nel bagno, abbassava la testa, mettendola sotto lo schizzo d'acqua, per paura di arrossire.
Ascoltava con discrezione le conversazioni che faceva di fronte agli urinali con gli amici e, mentre usciva, rimaneva fermo, riempiendosi il naso con l'odore morbido e sensuale della sua pelle e trasalendo se con la spalla gli urtava la schiena.
E per lungo tempo, si accontentò di questo, ignorando il sentimento che dal cuore Gli gridava di stringerlo ed abbracciarlo, di toccarlo e baciarlo, e abbandonandosi ad una lasciva contemplazione.
Poi, non riuscì a capire come, un giorno si rivolsero la parola.

Giuseppe era un po' il bullo della classe, e Lui che era sempre da quelle parti, che parlava con tutte le ragazze della classe quasi facendo loro il filo (quando invece lo faceva solo per stare dove stava lui) era un po' come se violasse il suo territorio.
Spinto dai compagni, Giuseppe Lo provocò, prendendolo in giro.
Le parole si affollarono nella sua bocca, quello che voleva dire, quello che doveva dire, quello che poteva dire.
Rispondere in modo gentile, in modo da mostrarsi come amico. 
Stare al gioco e spingere l'intesa su un livello cameratesco.
Oppure...

Le parole invece uscirono dalla bocca senza controllo.
Un'osservazione fredda e distaccata che suonò come un dichiarazione di guerra.
E fu come una piccola guerra, la loro.
Appena si vedevano non mancavano di lanciarci frecciate, e le Sue, era sempre più taglienti, perché se c'era una cosa che sapeva fare bene, era far male con la bocca.
E invece Giuseppe di sicuro sapeva fare male con le mani, e più di una volta L'aveva minacciato, e forse sarebbe passato alle vie di fatto se non ci fosse stato ogni volta qualcuno pronto a fermarlo, ricordandogli che una sospensione per rissa non era quello che serviva al suo curriculum scolastico.
E più era evidente il pericolo che correva nel provocandolo, più lo provocava, inebriandosi del sottile piacere che gli procurava pensare alle sue mani sopra al suo corpo.
Ma non accade nulla.
Fino all'ultimo giorno.

Lo vide, passando davanti alla classe andando in bagno.
Giuseppe gli lanciò un'occhiataccia.
Anche quel giorno non gli aveva risparmiato i suoi commenti sarcastici, forse ancora più sarcastici del solito dato il pensiero che per un'estate non li avrebbe più potuti fare.
Sospirò avvicinandosi alla porta del bagno.
D'un tratto sentì un tonfo, la porta della terza era stata chiusa con violenza.
Si voltò e vide Giuseppe che avanzava a lunghi passi verso di Lui.
Lo prese con una mano per la manica della maglietta e Lo spinse nel bagno, chiudendosi la porta alle spalle.
Forse i commenti di quel giorno erano stati ancora più sarcastici del solito.
Giuseppe esigeva delle scuse.
Lo ripeté più volte, sottolineando ogni parola con una stretta sulla spalle.
La mente era confusa, aveva ricevuto troppi stimoli, il dolore, il piacere, si andavano mischiando in un'unica sensazione, piena e appagante.

Negò le scuse.
Giuseppe lo chiese un'altra volta e poi colpì.
Il pugno chiuso, rapido e preciso colpì la parte bassa del naso.
Socchiuse gli occhi mentre la mente sembrava esplodere.
Preso da un'estasi quasi mistica, vide turbinare di fronte ai Suoi occhi luci e colori.
Tornò alla realtà sentendo il rivoletto di sangue caldo colargli lungo il labbro.
Aprì gli occhi e vide Giuseppe col volto contratto dalla disperazione.
Si era già pentito di quello che aveva fatto, non voleva fargli male, e tra ogni giustificazione cadeva ritmato uno "scusa".
Ma non se la prese, l'aveva spinto Lui a quell'azione, forse perché era proprio questo che desiderava.
Passò la lingua sulle labbra macchiate di rosso e il sapore del sangue gli riempì la bocca.
Gli sembrava che tutto il corpo stesse bruciando: il volto, la testa, la gola, il petto, l'inguine.
Un'unica fiamma che lo avvinghiava.
Spiegò a Giuseppe che non aveva nulla da scusarsi.
Poi si avvicinò e allungò le braccia, pose le mani sui bicipiti, sentendo sotto i polpastrelli la perfetta rotondità dei muscoli.
E lo baciò.
Prima fu solo il contatto tra le labbra.
Giuseppe fece un po' di resistenza.
Poi spinse la lingua nella sua bocca e Giuseppe si lasciò andare.
Si avvinghiarono in quello scambio di sangue e saliva, strofinandosi l'uno sull'altro.
Sentì i pettorali di Giuseppe vibrare in sintonia con i colpi della lingua, mentre i membri eretti si sfioravano attraverso la stoffa dei pantaloni.
Le mani stringevano reciprocamente i glutei e le gambe strofinavano con foga l'una contro l'altra.
Le bocche non si allontanarono nemmeno per un attimo, finché, sazi l'uno del sapore dell'altro, i due corpi si separarono.
Guardò Giuseppe, aveva la fronte rossa e i capelli scompigliati dal sudore, ed un'espressione confusa, dubbiosa.
Forse voleva dire qualcosa , ma Lui non glielo permise, si mosse rapido verso la porta e lo salutò, uscendo dal bagno.
Giuseppe non uscì subito.

Lui rimase alcuni secondi sulla porta, forse per riprendersi dal turbamento che sentiva nel cuore, forse perché sperava che uscisse, ad abbracciarLo, a dirgli che Lo amava, che Lo voleva.
Ma non accade.
Una lacrima scivolò sul Suo volto.
Portò la mano alla bocca e si ripulì dal sangue che era rimasto.
Poi infilò un dito tra le labbra e succhiò avidamente, assaporando di nuovo l'aroma dell'anima di Giuseppe.
E se andò.

Passò tutta la giornata in preda ai dubbi, pensando a quello che aveva fatto e a quello che avrebbe potuto fare.
Alla fine si pentì di non avergli detto niente, di non aver cercato di capire cosa aveva significato per lui quell'atto.
Ma la scuola era finita, e non lo avrebbe rivisto fino al nuovo anno.
Passò tutta l'estate fantasticando su di lui, su quello che si sarebbero detto quando si sarebbero visti, su che rapporto avrebbero avuto.
E si convinse che sarebbero potuti essere una coppia, che tra loro sarebbe potuto nascere un amore vero.
Giunse il primo giorno di scuola, dopo un'estate passata a pensare a lui.
Lanciò un'occhiata rapida alla classe ma non lo vide.

Pazienza, lo avrebbe cercato alla ricreazione.
Ancora non sapeva che Giuseppe si era trasferito
Ancora non sapeva che non si sarebbero mai più rivisti...



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