La carezza del diavolo

parte VI

di Lan


. NELL’ABISSO.

Oggi la scuola è in fermento. Le lezioni mattutine sono addirittura saltate. Non che la cosa mi dispiaccia, tutt’altro, qualsiasi evento serva a farmi saltare anche solo pochi minuti di lezione è un grande evento. Però dare tutto questo risalto a una partita di basket mi sembra davvero eccessivo. 

<E tutte queste ragazze che si sbrodolano per qualche spilungone in mutande  e canottiera mi sembrano davvero ridicole!> esclamo pensieroso.

<Eheh, eddai Hanamichi, forse è per questo che hai collezionato 49 rifiuti, forse dovresti (s)vestirti così anche tu> 

 <Certamente no, se pensano che io debba usare la stessa mise per attirare il loro interesse si sbagliano di grosso>

<Ah no?! Io penso che gireresti nudo con una cresta rossa in testa (tanto te la sei già acconciata) gridando “chicchirichì”, pur di impalmare qualche adorabile fanciulla> mi stuzzica quel bastardo di Takamiya. 

Vorrei vedere lui che risposte riceverebbe, se si facesse avanti. Altro che 49 rifiuti! Lui sarebbe la personificazione dei rifiuti, quel rifiuto umano.

<Ti assicuro che non farei nulla del genere> dico con calma.

Ed è la verità. Non mi interessa più l’attenzione di 4 sciocche galline.

Perché so che l’unica persona importante di cui vorrei l’attenzione non me ne darà mai.

Perché non esiste.

Sospiro tristemente… 

<Dai Hanamichi, perché non vieni a vedere la partita di basket?>

<Mi spiace, Yoko, sei gentile ma…> 

<Dai, andiamo!> insiste Okusu

<Su, Hanamichi, così ti distrarrai un po’> butta lì per lì per Mito, con fare distratto, ma attento ad ogni mia reazione.

<Non fare il guastafeste! È da tanto che non ti fai più vedere> dice Noma, un tantino offeso per i miei sempre più frequenti bidoni.

<Allora è risolto!> Yoko mi spinge dietro la schiena in direzione della palestra, mentre gli altri accelerano il passo in modo da lasciarci soli.

<Sono contenta che ti sia “deciso” – mi strizza l’occhio – è da un po’ che ti vedo pensieroso, quasi triste. Lo sai che, se ti fa piacere, puoi parlare con me>

Oh Yoko, se tu sapessi…

Ma nessuno sa, neanche Mito sa, e io non l’ho ancora ammesso a me stesso. 

Se lo facessi, significherebbe arrendermi a una pazzia.

<Ti ringrazio, sei gentile, ma io sto benissimo!>

<Vedrai, oggi ti divertirai molto. La Tomigaoka è una squadra fortissima però si regge sulle forze di un solo uomo, il loro capitano, che pare sia un autentico fuoriclasse. Ma io sono sicura che perderanno perché la Wako ha degli ottimi elementi e Oda… Oda non è pari a nessuno!>

Sorrido dolcemente e, guardandola negli occhi, le accarezzo delicatamente la gota.

<Perché hai quegli occhi così tristi? Ho forse detto qualcosa che non va?> si agita lei.

Si, Yoko, è proprio così. 

Ma non perché,  guardando la felicità sul tuo volto, ho capito quanto tu sia innamorata di lui, bensì perché nei tuoi occhi languidi vedo riflessi i miei quando vedo lui, quando penso a lui, quando sogno lui.

Solo adesso capisco, capisco che non posso più nasconderlo a me stesso: mi sono innamorato di lui.

Ma, a differenza di te, Yoko, il mio amore non sarà mai ricambiato.

Dovrei averci fatto l’abitudine, ma questa volta è diverso.

Il mio cuore brucia di disperazione.

Facendomi largo tra una folla di ragazzine schiamazzanti, che urlano slogan osceni indirizzati a un qualche giocatore della Tomigaoka, mentre una folata di vento gelido mi ferisce la faccia facendomi rabbrividire, vado via senza dire una parola.

Non posso più stare qui.

Devo tornare a casa.

Devo rimanere solo con lui.

Devo confessargli il mio amore.

Devo dirgli che non lo lascerò mai.

Anche se le mie dichiarazioni si perderanno nel vuoto.

Mi dirigo a passo svelto verso casa, al venticello freddo alzatosi all’improvviso poco fa si sostituisce un’aria immobile e marcia. 

La pioggia inizia a cadere poco dopo, mischiandosi alle lacrime che sgorgano da sole al pensiero del mio triste destino: amare e non essere amato.

Al sicuro tra le mura della mia camera, tolgo il quadro dal suo nascondiglio.

<…Sei bellissimo…>

Le mie dita sfiorano ancora una volta la tela ruvida, che al tatto della mano innamorata  sembra essere morbida come la seta e di scatto lo stringo tra le mie braccia, una stretta che vorrebbe infondergli tutto il mio amore. Le mie labbra sfiorano le sue e io mi sciolgo guardandolo.

<Devo…confessarti una cosa…> 

I suoi occhi cupi mi guardano fisso.

Abbasso lo sguardo, imbarazzato e anche un po’ inquieto.  

<…io mi sono innamorato di te.

Vuoi diventare il mio ragazzo? 

Lo so, so che ho detto questo a tante ragazze ma …

Te lo giuro, non ho mai provato niente di così travolgente per nessuno in tutta la mia vita.

Io…prometto che non ti lascerò mai, che farò per te qualsiasi cosa mi chiederai.

Se solo…se solo potessi averti per un istante…

Se solo potessi parlare per un solo momento e dirmi che anche tu provi lo stesso per me…

Oh, ma perché? Perché non puoi rispondermi?

Perché non puoi parlarmi?

Solo per un secondo…

Solo per dirmi il tuo nome…

Scommetto che è bellissimo…

Mio signore, oh mio signore…io ti amo…>

 

Non so quanto tempo trascorra così, perso nel buio in contemplazione di lui, né m’interessa.

Ora che ho ammesso a me stesso di amarlo, ora che gli ho dichiarato i miei sentimenti, non voglio più nulla, solo restare così, in paziente attesa del magico attimo in cui sentirò la sua voce dirmi che mi ama.

Anche se dovrò aspettare tutta la vita…

Continuo a vagare nel mio sogno allucinato e mi accorgo che qualcuno è entrato nella mia stanza solamente quando una sento una mano poggiarsi sulla mia spalla.

Mi volto di scatto  urlando <Chi c’è?>

<Scusa, non volevo spaventarti ma ho provato a chiamarti e nessuno ha risposto. La porta era aperta e sono entrato. I tuoi non ci sono?> 

Yohei… sarai anche il mio migliore amico, ma a volte sei fastidioso più di una zanzara!

<Hana…>

Il suo sguardo è incredulo.

<Stop alle paternali – già mi infervoro – sono abbastanza maturo da sapere quello che faccio e io…> abbasso lo sguardo <Io voglio tenerlo con me>

<E io non credo alle mie orecchie. Tu mi hai dato la tua parola> Mito freme di rabbia.

<Mi spiace, non posso mantenerla>

<Ma perché?> mi urla in faccia sconfortato.

A me non resta che dirgli la verità.

<Io lo amo>

La mia rivelazione lo lascia di sasso. 

Mi fissa negli occhi come se non li vedesse, come se volesse andare oltre, penetrare il mio cranio, il mio cervello, per capire quale cazzo di ingranaggio si è inceppato.

<Io lo sapevo, l’ho capito nel momento in cui l’ho visto che ti avrebbe rovinato. Quello ti ha fatto perdere la ragione…>

<Non m’importa quello che pensi di me. Io non posso vivere senza di lui>

<Stai dicendo sul serio???> ma non attende risposta <Si…stai dicendo sul serio!> 

Poi  mi trascina di fronte allo specchio <Guardati!> 

Ma io distolgo lo sguardo. 

La conosco l’immagine del mio viso stravolto e stanco, delle mie occhiaie profonde, dei miei occhi arrossati che vorrebbero sfogarsi in un pianto liberatorio, della piega amara delle mie labbra…

<Guardati. 

Sembri un altro. 

Sembri una candela che si consuma lentamente.

Sembra che le tue forze ti stiano abbandonando piano.

Sembra che la tua vita sia svanendo giorno dopo giorno, logorandosi in un’attesa che non avrà mai fine.

Perché lui non arriverà mai.

Perché non esiste.   

Perché non vuoi rendertene conto?

Perché non lo accetti?

Oh, Hanamichi, capisci che non era di quel ritratto che vedemmo la prima volta, di quel viso distorto e maligno, che dovevi avere paura?

Ma è da questo viso delicato e gentile che devi fuggire. 

Dai suoi occhi cattivi.

Perché è il suo aspetto ingannevole a renderti prigioniero.

Ma fa’ attenzione, amico mio.

Se continui ad isolarti, a vivere ostinatamente nel tuo mondo d’illusione, un bel giorno non riuscirai più ad uscirne e quando urlerai affinché qualcuno possa liberarti…nessuno sentirà più le tue grida.

L’unica cosa che rimarrà nella tua testa saranno i suoi occhi maligni e la sua espressione seriosa e beffarda insieme>

 

<Lo so, mi sto distruggendo.

Oh Yohei… ma io vorrei con tutto il cuore che lui mi amasse. 

Che c’è di folle in tutto questo?

Le ragazze della mia età si innamorano dei cantanti, degli attori, degli sportivi, di gente che vede solo sulle copertine dei giornali e che non conoscerà mai. Ma si dice sia una cosa normale per un’adolescente.

E allora?!

Perché io non posso innamorarmi di qualcuno che non conoscerò mai? Perché sono un ragazzo e devo comportarmi da adulto già prima che lo sia diventato?! 

Perché lui è vissuto ed è già morto?!

O forse perché io sono un ragazzo e anche lui lo è?!>

Per un istante osservo Yohei e il suo sconforto mi stringe il cuore. 

Mi ricorda lo sconforto che lo colse quando suo fratello maggiore morì.

Da allora ci siamo legati moltissimo e io sono diventato il suo nuovo fratello, ed è proprio per questo che farebbe qualsiasi cosa per me, per rendermi felice.

È per proteggermi, come si fa per un fratello, che vorrebbe guarirmi da questa ossessione dolce e maligna che mi divora, ma so anche che nulla può in questo caso. 

<Tu hai ragione, ma io non so cosa fare!>

Si siede accanto a me e mi abbraccia mentre sentenzia </I must fight this sickness/ find a cure!/I must fight this sickness… Solo tu puoi trovare una soluzione. Puoi farlo, Hana, forza!>

Il panico quasi mi toglie il fiato.

<Davvero non ce sono altre?> lo guardo con la speranza di leggergli in viso una soluzione a cui non ho pensato, e la penosa consapevolezza che di  soluzione ce n’è una sola.

Troppo dolorosa.  

Volgo rassegnato il capo verso il mio amore.

Reclino il capo e piango in silenzio.

*******************

Baccano, trambusto, fracasso.

Ecco che cos’è casa mia, ora che i miei genitori hanno deciso di andare a trovare i nonni paterni a Kyoto. Prendi quell’abito, spolvera la valigia, raccogli gli oggetti personali senza tralasciare nulla, telefona in stazione per vedere che sia confermato l’orario del treno, per non trovarsi di fronte alla brutta sorpresa dello sciopero, ricorda di prendere i regalo per i nonni…

Cavolo, che casino.

Ma per fortuna io rimango qui. E dove potrei andare, c’è la scuola!

La mamma veramente non è molto contenta al pensiero di lasciarmi solo. Più volte si è soffermata ad osservare il mio viso sciupato, il mio colorito pallido, le mie occhiaie.

Più volte ha chiesto <Stai bene? Sei sicuro di voler rimanere da solo? Perché non vieni con noi?>

Ho sempre risposto <Si mamma! Si mamma! No mamma!>

Persino mio padre è preoccupato. Talmente preoccupato che ha detto <meno male che ti sei tinto i capelli, almeno ti danno un’aria più allegra!>

Roba dell’altro mondo! Mio padre che ha fatto un apprezzamento verso i  miei capelli. Devo avere un aspetto davvero orribile.

Mio padre mi saluta dandomi una pacca sulla spalla, mia madre mi bacia sulla fronte e poi mi dice:

<Mi raccomando, cerca di non fare a botte, studia, mangia e non ridurre la casa un porcile. Se hai bisogno di qualcosa chiedi alla mamma di Yohei, le ho già parlato e siamo d’accordo che stasera sarai a cena da loro…>

Mio padre la trascina via, altrimenti non la smetterebbe più.

Ora che se ne sono andati anch’io ho qualcosa da fare.

Prendo il quadro che avevo imballato di notte ed esco. 

Sto per riportarlo nella sua legittima dimora.

Ripercorro il tragitto che mi porta sulla cime della collina e ritorno con nostalgia a quel caldo giorno di Maggio, caldo e profumato d’estate, proprio come oggi. 

Se penso alla tremarella che mi colse al pensiero di dover andare a casa sua! 

Se penso al timore che avevo di lui! 

Se penso a tutte le sciocchezze sul suo conto!

Ah, che cosa incredibile. Adesso invece non riuscirei a stare un giorno senza saperlo vicino, eppure… eppure devo separarmene.

La tristezza pervade il mio cuore, ma è addolcita dalla presenza del sole e dall’azzurro del cielo: oggi è il 20 giugno e il sole ravviverà il mio cammino per molto tempo ancora. 

Solo questo mi rasserena.

 

 

Arrivo in cima e mi fermo un momento a guardare il palazzo.

Il sole illumina coi raggi dorati il suo decadente splendore e io non posso che ammirare la grazia dell’erbaccia verde che spunta negli interstizi delle mura; lo brillantezza dei vetri sporchi che sembrano specchi rischiarati dal sole; la solidità della facciata scrostata tinta di rosa dalla luce del sole pomeridiano.

Mi piace questo scenario e se penso che ne avevo così paura mi viene da ridere.

Adesso invece sembra avere un aspetto così romantico…

Bene, devo andare avanti.

Apro la porta ed entro...

Chiudo per un momento gli occhi, e quando mi fermo nell’atrio vedo una figura bianca avvicinarsi a me, fluttuando quasi fosse un fantasma.

Ma io non ho più paura e subito sorrido emozionato al mio signore che è venuto ad accogliermi nella sua casa, oggi più bello che mai, avvolto nel suo yukata di seta bianca, il viso contratto in una smorfietta imbronciata e deliziosa, i lunghi capelli neri appena mossi da un venticello inesistente. 

<Grazie per essere venuto a darmi il tuo benvenuto, mio dolcissimo signore>

Mi avvicino di qualche passo e gli sorrido e subito scompare, ma il mio dispiacere dura un istante perché di nuovo lo vedo comparire nel suo studio, tutto intento a scrivere una lettera.

Basta un movimento delle mie ciglia che di nuovo si dilegua per poi comparire nel salotto. Seduto mollemente su una poltrona, fissa tutto assorto la luce del dorata del tramonto, che gli tinge il viso di rosa.

Torno sui miei passi ed ecco riapparire di spalle la sua figura elegante nel corridoio. Si muove leggero, quasi sfiorasse il pavimento e per un attimo volta la testa e mi fissa con i suoi occhi intensi e nerissimi per  essere certo che io lo segua.

Ma non ha bisogno di certezze. Io lo seguirò ovunque vada…

Saliamo al primo piano e nella sala della musica intona melodie pizzicando le corde dell’arpa con le sue dita sottili, suonando al violino dei motivi romantici e struggenti, poi si siede al clavicembalo e suona la mia preferita: la “danza macabra” di Saint – Saens. 

La musica suona da sola quando lui si alza e piroettando su se stesso si dilegua in un soffio e la musica con lui.

Il mio sorriso di nuovo s’intristisce, ma non devo farmene un cruccio: prima o poi tornerà da me.

Percorro la galleria degli antenati e questa volta niente mi fa paura, il mio sguardo è rapito solo dai dipinti di quei paesaggi idilliaci e da quei tramonti un po’ malinconici, pensando al tempo in cui questa zona non era abbandonata all’incuria e il  signore faceva il bagno nelle acque pulite del lago.

E quando entro nella camera da letto di nuovo ecco il sorriso sul mio volto, perché lui mi ha preceduto qui.

Sorriso che si trasforma in stupore e gioia senza confini alla scena che mi si presenta.

L’ immagine di lui che fa scivolare sensualmente la sua veste è così viva e il sorriso appena accennato è talmente dolce e la mano che mi tende suadente è così reale, che non resisto: allungo la mia mano in cerca della sua, la chiudo piano per stringerla, per un attimo è come se davvero sentissi le sue dita delicate stringere la mia e poi…

Poi la mia mano si chiude su stessa e tutto svanisce nell’aria.

Caccio dentro un urlo di frustrazione: il mio sogno ad occhi aperti è finito.

Purtroppo non è per sognare che sono qui.

Poggio il ritratto su una poltroncina accanto al balcone, cosicché la luce del sole morente possa illuminarlo per me un’ultima volta e mi siedo a terra accanto a lui. 

Chiudo gli occhi e sospiro.

È arrivato il momento di dirgli addio.

Sfioro il suo collo, la sua guancia, le sue labbra e la tela ruvida sembra la pelle più delicata  e la sua bocca imbronciata sembra già sapere ciò che ho da dirgli e i suoi occhi sembrano attenti ad ogni mio movimento.

Proprio per questo inizio a parlare come se potesse realmente ascoltarmi.

<Io ti amo.

Ti amo davvero. 

Ti amo così intensamente, così profondamente, che ogni briciola del mio cuore, della mia anima, del mio essere, pulsa, batte, vive per te.

Nella vita mi sono dichiarato a tante ragazze credendo ogni volta che sarebbe stata quella giusta, che sarebbe stata quella che mi avrebbe reso felice per sempre, ma quando ti ho visto…>

La voce si incrina e le lacrime spuntano sul mio viso, ma devo essere forte.

<…Nel momento in cui ti ho visto ho capito che non avrei mai potuto sottrarmi a te. Non momento in cui ti ho visto il mio cuore si arreso ed è diventato tuo schiavo senza che me ne accorgessi. E questo dovrebbe essere più che evidente, dal momento che sono qui, a fare questo inutile discorso ad un ragazzo inesistente…>

Gli accarezzo la mano immaginando di intrecciare le mie dita con le sue.

<…Se avessi avuto la possibilità ti avrei reso felice in qualunque modo…> 

Sfioro i suoi capelli cercando di immaginarne la morbidezza.

<…Se avessi avuto la possibilità sarei stato con te per sempre…> 

Tocco il suo petto cercando di sentire il battito del suo cuore.

<…So di avertelo promesso, so di averti promesso tutto questo, ma…>

I miei occhi appannati e tristi accarezzano i suoi occhi cupi, che adesso sembrano fissarmi con disappunto.

<…chiamami vigliacco, codardo o bastardo, insultami come preferisci, offendimi come ritieni giusto, ma io non posso più tenerti con me.

Ti amo troppo per poter ancora sopportare il tuo sguardo fisso e immobile senza vita…

Ti amo troppo per poter ancora sopportare la mancanza di un gesto premuroso…

Ti amo troppo per poter sopportare il tuo ostinato silenzio…

…Io non ce la faccio…

Vorrei che tu mi stringessi forte, che mi toccassi piano, che sussurrassi il mio nome…

Oh, quanto vorrei conoscere il tuo…

E io… io vorrei fare di tutto per dimostrarti i miei sentimenti ma tu…

…Tu sei solo un dipinto…>

Allontano la mia mano, rassegnato.

<…E io…io sto qui a confessarti il mio amore come l’ultimo degli schizofrenici…>

Il sole è appena tramontato.

L’ultimo barlume dei suoi raggi rossi tinge l’orizzonte di rosa, di arancio, di indaco, ma già è visibile la luna nel lembo blu del cielo.

Il sole è appena tramontato, portandosi via il tempo concessomi di restare in questa casa.

È ora di andare.

È straziante dover lasciare lui qui, da solo, ma…

È ora di andare. 

Devo salutarlo per l’ultima volta.

Devo dirgli addio.

Sembra quasi non abbia più voce, schiudo le labbra ma le parole non vogliono uscire.

Avanti, Hanamichi, devi dirgli addio…

<……………………………………………………………………amore mio……ad……addio……

…mi dispiace così tanto…

……io……io……

…io avrei voluto amarti…>

Prendo il ritratto e lo stringo tra le braccia.

<…avrei tanto voluto amarti…>

Chiudo gli occhi illudendomi di stringere il suo morbido corpo.

<…avrei solo voluto amarti…>

Lo bacio carezzando le mie labbra sulle sue, piano, poi intrufolando la lingua, all’inizio dolce, ma poi sempre più sensuale, sempre più passionale, sempre più insistente, fino a quando…

Fino a quando …

Fino a quando… 

Io non resisto più. 

Di scatto apro gli occhi e lo guardo. Una forza violenta esplode dentro di me.

<IO VOGLIO AMARTI! ADESSO!>

In preda a una frenesia isterica butto il quadro sul letto e io su di lui.

Lo bacio, lo bacio, lo bacio, con ardore, con rabbia, senza freni, fregandomene di tornare alla ragione e di comportarmi da persona assennata.

Io non resisto più.

<Ti amo ti amo ti amo ti amo ti amo ti amo ti amo ti amo ti amo…>

Le mie mani lo accarezzano ansiose di sentire i morbidi rilievi della sua carne, stuzzicano il suo capezzolo che mi sembra delicatissimo per trasmettermi piacere, lo bacio sul collo e sul petto, poi in un lampo mi sfilo la camicia e strofino il mio petto contro il suo viso, immaginando le sue labbra baciarmi e tormentarmi eroticamente. 

Mi muovo convulso, ansioso, sfrenato, in preda a sensazioni che non avevo mai provato prima, che mi agitano e mi squassano l’anima e soprattutto il corpo, cercando qualcosa, qualcosa, qualcosa che possa placarmi, fermarmi, stordirmi…

Ma sento che non è la strada giusta, che non mi basta, voglio di più…

Allora capisco e con morboso sorriso che stento a riconoscere come mio,  sfilo scarpe, slaccio cintura, abbasso cerniera e via pantaloni e slip.

Sono nudo di fronte a lui.

<È la mia prima volta. Spero tanto di piacerti…>

Mi rotolo sul letto col mio amante di carta, pazzo di gioia per poter godere di quell’unione cui anelano tutti gli amanti del mondo, colmo di terrore per aver compreso in un momento di lucidità che sto cadendo in un abisso senza fondo, movendomi prima frenetico alla ricerca di piacere, poi fermandomi ansimante per ascoltare il consiglio di un cervello a brandelli.

Ed è qui che mio raziocinio soccombe e il mio destino si compie…

Perché è in una di queste ragionevoli pause, steso su queste coltri rosse trasudanti erotismo, che avverto un movimento lieve…

Una brezza, un venticello leggero, una scia di aria fredda sfiora il mio corpo sudato.

Sulle prime non ci faccio caso, ma poi la sento lambire i miei piedi, risalire sulle mie cosce, poi sfiorare il mio ventre, il mio petto, le mie braccia. 

La sento indugiare sul mio viso, rinfrescare le mie labbra, infine insinuarsi tra le dita della mia mano.

Ed è strano quanto sia gradevole, è strano quanto sia seducente, come se volesse farmi sognare il paradiso da raggiungere a condizione di non smettere...

E io chiudo gli occhi e mi lascio andare, mi lascio prendere e inarco la schiena e mi muovo dolcemente, piacevolmente sorpreso da quella frescura che asciuga il mio corpo sudato e lo sfiora gentilmente, come se fosse una languida carezza.

Si, proprio una carezza…

Una carezza gentile che mi rinfresca il corpo… 

Una carezza infuocata mi accende l’anima…

Una carezza che mi tormenta piano piano, che mi eccita sempre di più, 

che mi istiga a esplodere di passione, a chiedere soddisfazione… 

Allora con innovato impeto una voglia sfrenata dirompe dentro di me. 

E mi lancio di nuovo sull’oggetto del mio amore, della mia ossessione.

Mi stendo supino sul letto strofinandomi incessantemente addosso il quadro, prima sul petto poi sul ventre poi più giù, più giù, mentre la scia di aria fredda mi accarezza ancora, sento la frescura baciare le mie labbra, entrare nella mia bocca, poi il gelo sui capezzoli, sul mio sesso,  facendomi dimenare sempre di più.

<Ba…basta… Non po…sso res…resistere!>

Stanco di sopportare ancora questo supplizio e desideroso di soddisfare i miei sensi roventi, butto il quadro sul letto e io subito sopra di lui, e senza attendere oltre muovo convulso e voglioso il mio sesso, mentre sento la glaciale scia sfiorarmi le membra, lisciarmi la schiena, fino a insinuarsi tra le natiche, e io, sempre più sconvolto, scalpito ancora e ancora e ancora… 

fino a quando la sua immagine si materializza illusoria sotto di me…

… e mi persuado che sia la sua carezza…

… e mi si annebbiano i sensi…

… e raggiungo il mio totale appagamento…

 

Giaccio sul letto semi incosciente, tra le coltri polverose e sgualcite, intirizzito dal freddo che mi ha avvolto poco fa e di cui adesso non c’è più traccia.

Piango la mia felicità per aver raggiunto il mio primo orgasmo con colui che amo, muoio al pensiero che lui con me non c’è mai stato, soffro sapendo che  lui con me non sarà mai.

Tremo atterrito dalla visione di ombre che si staccano dagli angoli bui per gettarsi su di me, afferrandomi le braccia, ghermendomi le caviglie, tirandomi per i capelli  e trascinandomi giù nell’abisso.

Nell’abisso della follia…

 

CONTINUA…



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