La carezza
del diavolo parte
IV - Un dio dagli occhi di demone
di
Lan
YAWNNNNNNNNN.
Sbadiglio
rumorosamente, senza neanche avere la buona creanza di mettermi una mano
alla bocca.
Cerco
di tenere ritto il capo ma la lotta è persa: il mio capo si reclina da
solo, lentamente, senza che io possa farci nulla, mentre le mie palpebre
scendono precipitosamente sulle pupille, impedendomi di vedere la
lavagna.
Mah,
in verità non è che stia opponendo una così grande resistenza, il
problema è che ho un sonno feroce e questo è l’unico luogo dove so di
poter dormire…lontano da “occhi indiscreti”.
Finalmente
la campanella suona per l’intervallo di mezzogiorno e io mi dirigo
barcollante sotto il mio albero preferito, anelando un sonno senza sogni,
placido.
<Hanamichi!>
Vana
speranza!
<Yohei!>
Mito
scruta con attenzione il mio volto stravolto, per poi redarguirmi
<Allora,
si può sapere che ti sei messo in testa?>
<YAAWWNNNNNN!!!
Non capisco quello che dici>
<Ti
sei guardato allo specchio? Hai certe occhiaie! Tu stanotte non hai chiuso
occhio>
Non
provo neanche a ribattere, sono stanco, così tanto da non poter opporre
difesa
<Hanamichi,
adesso basta! – scatta lui – Sai
benissimo che noi ridiamo e scherziamo, ma nessuno vuole il tuo
male.
Lo
sai che sei più testardo di un mulo? Perché non lo hai lasciato lì?
>
Dal
tono di voce mi accorgo che Mito è preoccupato, forse anche un po’
spaventato.
Ma
che posso dirgli? Ho agito d’impulso. L’ho sempre fatto…
<Non
volevo essere preso in giro per il resto dei miei giorni!>
<Hanamichi,
ora basta! Basta con i mostri, i fantasmi, le paure> mi dice, mentre i
suoi occhi si fanno comprensivi.
<Io
non voglio dire che non devi avere paura di nulla, anzi, è naturale,
anche avere paura di cose che gli altri possono considerare
sciocchezze.
E
allora? Chi se ne frega!
Ma
non puoi ridurti in questo stato!>
<Oh
Yohei, io non voglio più avere paura di quella figura malefica. È
imbarazzante! Hai visto poi le figuracce che faccio? E intanto le ragazze
scappano mille miglia lontano da me!>
<Oh
beh…tanto scapperebbero comunque….>
<Che
intendi dire?> chiedo io poco amichevolmente.
Ma
poi ridiamo entrambi. Mito sa sempre come farmi tornare il buon umore.
<Allora
combattila, la tua paura!>
<Ma
è proprio quello che voglio fare!!! Se me lo ritroverò ogni mattina
davanti agli occhi, forse mi abituerò alla sua presenza e diventerà una
specie di nonnino inoffensivo!>
<E
fai bene! Ma forse sbagli metodo. Io ti ho già detto come la penso:
secondo me sono tutte sciocche dicerie su un uomo che, ammesso sia
esistito…>
<Ma
il quadro lo hai visto anche tu!> lo interrompo fulmineo. Io sono
SICURO che sia lui.
<…d’accordo,
è lui, però non puoi essere sicuro su tutto ciò che si dice (che tra
l’altro è molto poco). Può darsi che fosse solo un innocuo vecchietto.
Pensa, Hanamichi, un vecchietto triste e solo, un po’ matto magari, ma
innocuo e innocente, additato da tutti per la sua enorme bruttezza e per
il suo carattere forse non molto espansivo, insomma, una persona sola. Che
effetto ti fa?>
Per
poco Yohei non si mette a piangere, pur di rendere più veritiera la
rappresentazione di questo essere che, tutto sommato, è un essere umano,
mi dico, non è certo un demone. I demoni mica esistono, anche questo è
risaputo…
<Forse
hai ragione tu…> mormoro un po’ demoralizzato. Questa storia mi sta
prosciugando tutte le forze.
<Senti,
io avrei un’idea: che ne diresti di raccogliere qualche informazione in
più? Magari in questo modo ti renderai conto che è una leggenda e
nient’altro>
Al
sorriso schietto di Mito non posso far altro che rispondere con un sorriso
schietto anch’io. Eh si, credo proprio che lui abbia ragione, ma questo
non fa altro che minare certe mie fondamentali convinzioni: forse dovrei
avvicinarmi a qualche religione, perché Yohei Mito sembra davvero essere
uno spirito buono sempre al mio fianco, pronto ad aiutarmi.
A
Kanagawa è stata recentemente costituita un’ associazione ad opera di
giovani studenti universitari, che si occupa di riportare alla luce i
vecchi monumenti della città, quelli ormai dimenticati tra le perenni
impalcature dei restauri eterni o nascosti in quei vicoli dove non passa
anima viva. Magari loro si sono occupati di quel palazzo, forse hanno del
materiale sull’argomento.
<Potresti
parlare con qualche membro dell’associazione> mi consiglia Yohei.
…E
perché no?!
E così,
terminata la scuola, lascio Yohei che ha parecchio da studiare e mi dirigo
verso questa associazione, che dovrebbe trovarsi non molto lontano dal
liceo Shohoku.
Finalmente
giungo a destinazione e chiedo alla prima persona che
mi trovo di fronte se hanno libri sull’argomento disponibili alla
consultazione. La ragazza ci pensa un po’ su ma non mi da molte speranze
in proposito
<Quel
palazzo è fatiscente e con tutte le solite sciocche dicerie riguardo le
solite strane apparizioni alla solita mezzanotte del solito 21 giugno
hanno fatto sì che nessuno volesse metterci più piede. Però potresti
parlare con Tetsuya Morisawa. Lui è quello che ha cercato di raccogliere
più informazioni possibili sull’argomento. Forse lui può darti una
mano>
Ringrazio
educatamente e mi faccio condurre da questo signore.
Mi
meraviglio di trovarmi di fronte a un giovane simile. È vero che le
piccole lenti ovali gli danno l’aria di un topino di biblioteca e le
ciocche disordinate provano la sua incapacità di guardarsi allo specchio,
ma è anche vero che i suoi occhi, che mi scrutano attenti e acuti, sono
molto belli e i lineamenti armoniosi.
Ecco
come ci si riduce per pensare troppo alla cultura!
Vorrei
dirgli che io, al posto suo, sarei sulla spiaggia a corteggiare ragazze e
a divertirmi, ma siccome non lo conosco…
<Buongiorno,
mi chiamo Hanamichi Sakuragi, studente del III anno della scuola media
Wako. Sono qui perché ho il compito di fare una ricerca, quanto più
approfondita possibile su un monumento della città. Io avrei scelto il
palazzo sulla collina e vorrei sapere…>
Tetsuya
Morisawa mi guarda pensieroso mentre io ripenso a ciò che ho detto. Ho
sbagliato qualcosa?!?
<Veramente
non è ancora considerato un monumento!>
Ecco
la prima figuraccia.
Merda,
devo stare calmo. Devo scegliere le mie parole con cura, devo fargli
capire che sono uno studente volenteroso, ansioso di imparare e di
prendere un buon voto, altrimenti mi catalogherà come qualcuno che è
venuto a rompergli le scatole per chissà quale strambo motivo e mi
liquiderà senza alcuna informazione utile.
<So…so
bene, signore, che non lo è – dico, cercando di rimanere composto –
ma…proprio su questo si basa la mia scelta. Così tutti i miei compagni
di classe si studieranno cose trite e ritrite… cioè … monumenti
bellissimi, ma già noti, io invece studierò qualcosa di diverso e, grazie al suo
preziosissimo aiuto – come sono lecchino – prenderò un buon voto per
la mia ricerca e gli altri apprenderanno qualcosa di nuovo>
L’avrò
convinto???
<Bravo!
– mi dice – il tuo è un ragionamento esatto>
…e
intanto mi complimento da solo per essermi salvato in corner…
<Peccato
che farai un buco nell’acqua. Non è che ci sia molto da dire
sull’argomento. Almeno… non molto di scientificamente documentato. Per
il resto, supposizioni, intuizioni, dicerie, etc, ne hai quante ne
vuoi>
Cominciamo
bene!
<Quindi
non sa dirmi nulla di più di quanto già non sappia> chiedo
sfiduciato.
Scuote
la testa sconsolato.
<Non
è che le notizie siano in gran quantità, però ho cercato di studiare la
cosa da un punto di vista
razionale ed obiettivo, studiando documenti, parlando con anziani
professori depositari di qualche stralcio della tradizione orale, ho anche
visitato la casa>
<Dunque?>
lo interrompo impaziente.
Morisawa
mi fa cenno di mettermi a sedere su una poltroncina, comoda ma sgualcita.
<Dunque…il
palazzo è stato costruito intorno al 1700 da un certo Richard Rokeby, un
lestofante al servizio di sua maestà britannica. Dicono fosse fuggito da
queste parti per sottrarsi alla pena di morte, reo di aver rubato dei
preziosissimi gioielli della corona. Sta di fatto che si fermò in
Giappone e fece costruire il palazzo, ma lui non stette quasi mai,
preferiva girare tra Cina, Thailandia, Corea. Per farla breve, credo che
fosse un pirata… L’unica cosa certa che sappiamo sul nostro famigerato
Signore è la sua discendenza da questo tizio, evidentemente la
delinquenza doveva averla nel sangue…
Rokeby
si sposò con una nobile cinese, se non erro, ed ebbe un figlio: il nonno
del signore, il quale si sposò con una giapponese di cui si è perso il
ricordo. Da lei ebbe un figlio che si sposò con una giapponese di cui non
si conosce il nome (in realtà è probabile che le famiglie di queste
donne, successivamente ai fatti, abbiano negato che ci fosse un
coinvolgimento di parentela), da cui ebbe un figlio che fu l’ultimo
discendente di questo ramo della famiglia Rokeby.
Vedi,
la mancanza di informazioni sta nel fatto che, per una serie di
circostanze, nessuno ha voluto avere a che spartire con questa gente,
ragion per cui è stato più facile dimenticarsi di loro>
<E
poi?>
<Mah…sai,
il palazzo sulla collina era all’epoca un po’ lontano dal villaggio di
Kanagawa e, benché fossero molto ricchi grazie probabilmente ad illeciti
commerci, loro non ci tennero mai a governare, insomma, non erano loro i
signori del paese. Tra l’altro erano piuttosto schivi e ritrosi di
natura, preferivano la tranquillità, il silenzio, l’anonimato.
Pensa
che avevano pochissimi fedelissimi servi, si dice periti anch’essi quel
giorno, mentre altri venivano assoldati solo temporaneamente o per
determinate commissioni, ma spesso non mettevano neanche il piede a
palazzo>
<Quindi
è per questo che è stato accusato: è molto più facile prendersela con
chi è solo, lontano da tutti, senza amici> dico, pensando con
tristezza che forse ha ragione Mito: è tutto frutto di un equivoco.
Ma la
voce di Morisawa mi riporta alla realtà.
<Non
è proprio cosi, Hanamichi, posso chiamarti così? Si dice che fu suo
nonno ad iniziarlo a strane pratiche esoteriche, il padre non credo si
occupò della sua educazione perché morì giovane, ma del coinvolgimento
dei suoi ascendenti in quegli strani avvenimenti che si diceva accadessero
in quel periodo e da quelle parti, prove non ce ne sono.
Invece
per lui si: qualcuno lo vide!>
<Cosa?>
<Un
testimone: un contadino, un pastore, forse un nobile, insomma, un pinco
pallino qualsiasi di cui si sono perse le tracce denunciò il fatto al
sacerdote del villaggio, disse di averlo visto compiere un delitto
cruento. Vedi, in quel periodo scomparvero alcuni ragazzi, qualcuno di
Kanagawa, ma soprattutto viandanti che passavano per le vie vicine al
palazzo. Si iniziò a vociferare che fossero stati uccisi dal Signore che
si diceva fosse dedito a strane e malvagie pratiche religiose occidentali.
Ovviamente senza prove nessuno si sarebbe mai sognato di accusarlo
apertamente, erano ricchi, discendevano da nobili inglesi, erano
considerati una specie di inavvicinabili extraterrestri. Però erano
antipatici, chiusi, vivevano in un mondo tutto loro, ed è probabile che i
nobili giapponesi covassero odio nei loro confronti. Forse
erano invidiosi della loro ricchezza, forse avevano paura di essere un
giorno spodestati dal loro potere… Sta
di fatto che bastò la testimonianza di un solo uomo per far sì che la
popolazione gli si rivoltasse contro e questo avvenne senza che alcun
nobile si opponesse>
<Ma
non poteva essere stata opera di briganti? In fondo sarebbe stato facile
addossare la colpa a chi è senza difese!>
<Mah,
tu hai ragione…qui si entra nel campo delle supposizioni, cose che per
la tua ricerca non servono, però io dico che c’è qualcosa di strano:
in quel periodo girava una leggendaria banda, i 5 Dragoni erano
soprannominati, e le loro nefandezze erano note a tutti. E
questo è il punto: rapine, omicidi o altri misfatti erano da tutti
conosciuti, questi si vantavano della loro forza, addirittura osavano
sfidare il feudatario locale. Io invece ti parlo di giovani scomparsi i
cui cadaveri, almeno a detta delle cronache, non furono mai trovati. Forse
qualcuno non voleva fossero trovati. Non
ti sembra strano?> chiede Morisawa.
<Perché
credere a queste a tutte queste sciocche supposizioni? E poi, come si fa a
credere a un testimone per noi inesistente? Non ha lasciato traccia, se
fosse stato un benefattore, se fosse stato un benemerito il suo nome
sarebbe passato agli annali e invece…NIENTE! Non c’è nulla.
Sicuramente era un poveraccio che si è venduto per chissà quale prezzo
per dire tutte quelle cose!!!> non so neanch’io perché lo difendo
così pur avendo sempre impresso nel cervello il suo sguardo sinistro, pur
sapendo che uno sguardo del genere può compiere le peggiori atrocità,
ma…perché non credere a Mito?
<Mah…
forse hai ragione tu, sono
tutte supposizioni. In fondo tante sono le domande senza risposta: dove è
stato ucciso, perché la casa è rimasta in piedi, chi era colui che lo ha
denunciato, se era davvero brutto, che cosa intendeva fare
uccidendo…>
<Brutto?
– qui c’è qualcosa che non mi quadra – Perché, non era brutto?>
<Guarda
che io non l’ho mica conosciuto!!! – esclama Morisawa – i vecchi
dicono che fosse bruttissimo e cattivissimo, ma io non so se
mettere la mano sul fuoco. Sappi
che sono rimasti pochi accordi di famiglie nobili in cui si specifica che
il Signore ha chiesto la mano di una delle donzelle della famiglia,
proposta sprezzantemente rifiutata a causa della cattiva fama di lui. Però
io non ci credo, lui era ricco e…>
<…e
quindi almeno il padre di una avrebbe dovuto accettare la sua proposta,
giusto?>
<Bravo!
Secondo me questi nobil’uomini hanno cambiato le carte in tavola
affermando il contrario di ciò che avevano fatto e chissà, forse il
signore aveva già rifiutato tutte le proposte>
uhm…meno
male che sono venuto solo, altrimenti gli altri mi avrebbero canzonato con
la storia che neanche l’uomo più brutto della terra sì è beccato 49
rifiuti.
<E
poi c’è la strana storia della principessa Fujiko>
<E
sarebbe?>
<La
principessa morì nel 1810, per una polmonite, all’età di circa 14
anni. Era una ragazzina ribelle, che amava comportarsi come un uomo e
spesso usciva accompagnata solo da un servo. Purtroppo a gennaio di
quell’anno, durante una delle sue passeggiate, fu colta da una terribile
bufera di neve e lei perse il servo che l’accompagnava. La ritrovarono
alle porte del suo palazzo semi assiderata. La storia dice che quella sera
un urlo squarciò il silenzio di quel palazzo: l’urlo della principessa
che, riavutasi dal suo stato semicomatoso, raccontò di essere stata
salvata da un essere incontrato sulle rive del lago ghiacciato, di quanto
quest’essere fosse bellissimo, i capelli più neri delle ali di un
corvo, la pelle più candida della neve, lo sguardo più freddo del
ghiaccio. Urlò e
gridò la sua dannazione eterna per essersi innamorata di… lei lo definì
“il dio dagli occhi di demone”, poi sprofondò nel delirio, la febbre
aumentò, le condizioni si aggravarono e lei morì>
<Lei,
signore … pensa davvero che sia … lui?>
Come
può pensare una cosa del genere? Non è possibile…
<E
chi può saperlo? Posso
pensare che quasi nessuno si avvicinasse al lago, era di proprietà di
quel casato tanto temuto. Considerato il tempo e luogo forse (e ribadisco
il forse) era lui>
<M…ma
avrebbe potuto essere un altro, un viandante capitato per caso…>
Morisawa
scuote la testa, perso nelle sue elucubrazioni.
<No,
un viandante non era. Con quel tempaccio, giunto al palazzo della
principessa avrebbe chiesto di fermarsi un po’. Ma soprattutto: era uno
del luogo, la conosceva, l’ha condotta a palazzo senza chiederle nulla
perché, stando alle farneticazioni della giovane, lei non gli ha parlato.
Inoltre doveva essere un nobile perché lei lo chiama “dio”, quindi,
almeno dall’aspetto esteriore, si trattava di un giovane curato,
raffinato, ben vestito. Oh, insomma io penso che potrebbe essere lui. In
fondo…nessuno l’ha visto, quindi nessuno può dire una cosa o
un’altra con certezza >
Nessuno
può dirlo?!?!
Cavoli,
io posso dirlo!
Quello
era un mostro, un essere terribile, spaventoso, rivoltante. Io il quadro
l’ho visto e essere più brutto non può che essere lui.
E se
Morisawa ha visitato la casa non può non essere d’accordo.
…Ha
visitato la casa…
PER
LA MISERIA!
Qui
c’è qualcosa che deve essere puntualizzata.
<
Mi scusi…ma lei… ha visitato la casa? Cioè…TUTTA la casa?>
<Si,
l’ho visitata una volta per conto del museo dove lavoro part – time.
L’ho visitata da cima a fondo…>
Inizio
leggermente a tremare.
<A…anche
la cantina?>
<ahahahah
ho capito cosa vorresti chiedermi: se è vero che in cantina compiva i
suoi misfatti, giusto? Beh, in cantina non è stato trovato nulla e,
qualora qualcosa ci fosse stato è stato distrutto. Ci sono vetri rotti,
qualche alambicco, ma da qui a dire che si compissero chissà quali atti
malvagi…ce ne vuole! In fondo è per questo che la casa va in malora:
non c’è nulla che avalli le poche dicerie, per cui quasi a nessun
turista interessa ‘sta storia. Tra l’altro i mobili sono fatiscenti,
molte stanze quasi vuote, forse depredate già tanto tempo fa, ripulirla
costa, per non parlare della strada che conduce a palazzo che è piena di
erbacce e senza luci e lavori da quelle parti non se ne fanno. Poi
tutte quelle chiacchiere sulle strane apparizioni…manco fosse un
castello scozzese! Ed ecco svelato perché la casa è abbandonata>
<Però
la stanza rossa è rimasta così com’è!>
<Tu
hai visto la stanza rossa?!>
mi
sembra di sentire goccioline di sudore freddo scivolare lungo tutto il mio
corpo.
<Beh…si…quand’ero
piccolo…non vado da una vita lassù, sa… ehm…quand’ero
bambino…le marachelle…>
l’ultima
cosa da fare è dire a ‘sto tizio che ci sono andato di recente, onde
evitare attribuzione di furto di quadro di inestimabile valore storico.
<Allora?
Anch’io l’ho vista. Dovrebbe essere la sua stanza, dal momento che, si
dice, fosse il rosso il suo colore preferito>
<E
poi?> incalzo io.
<E
poi cosa?> ma lui sembra non capire.
<Non
ha visto altro?>
<Non
capisco…>
Come
no? E il quadro?
<Mi
scusi, ma una qualche immagine, un’effige, un quadro raffigurante il
signore?>
<Un
quadro? Si, ce ne sono nella galleria. Credo che siano i suoi
antenati…>
Continua
a parlare ma io non lo ascolto più perché nella mia mente lampeggia un
solo pensiero :
IL
QUADRO NON L’HA MAI VISTO, DUNQUE NON C’ERA.
E se
non ha visto il quadro non ha visto neanche lo yukata, quindi manca anche
lo yukata.
E CHI
CE LI HA MESSI?
Improvvisamente
inizio a ridere come un isterico, pazzo, folle, mentre Morisawa mi guarda
sempre più shockato.
Ma
che potrei fare?
Dirgli
che ho rubato il ritratto di un uomo dallo sguardo sinistro e malefico?
Dirgli
che lo credevo il Signore Senza Volto?
Dirgli
che sono stato così sciocco da farmi raggirare da qualcuno che voleva
forse fare uno scherzo o che magari intendeva così attirare
l’attenzione dei turisti?
No no
no, è tutto troppo comico, mi dico, mentre mi sento come spaccato in due,
come se una parte di me esplodesse sentendosi sollevata e confusa per
essere cascato come un allocco a questa bella pensata di qualche
buontempone; mentre un’altra resta sopita ma sempre timorosa e
consapevole che quello che ha visto è troppo orribile, che quell’uomo e
troppo abietto, che quegli occhi sono troppo vivi e sinistri per poter
essere solo uno scherzo.
<Hanamichi,
va tutto bene?>
Morisawa
sembra perplesso dal comportamento di un presunto alunno modello della
scuola media Wako.
<Oh
si, si davvero. Grazie per la chiacchierata. È stata utile>
Ma io
non posso certo rivelargli la storia delle angosce segrete di Hanamichi
Sakuragi.
<Grazie
per l’attenzione e, mi raccomando, fa’ un bel compito>
<Può
giurarci!>
Mi
allontano di qualche passo quando mi ricordo di una cosa importante
<Scusi
sig. Morisawa, ma cosa sa delle strane apparizioni del 21 giugno?>
<Il
21 giugno? Ah si, i ragazzini impavidi che si sono avventurati lassù dicono che il 21 giugno a mezzanotte lo spettro del signore
vaghi inquieto nel palazzo, altri dicono di averlo visto sulle rive del
lago. Tutte sciocchezze, ragazzo mio!>
<E
come fa a dirlo?>
<Dimentichi
che anch’io sono curioso. Sono andato a vedere ma non ho mai trovato
nulla di interessante>
<E
perché proprio il 21 giugno?>
<Fu
il giorno in cui morì>
La
rivelazione mi lascia un po’ perplesso.
Che
peccato, morire il 21 giugno! A me
dispiacerebbe da matti, proprio il 21 giugno, proprio il mio giorno
preferito!
Così
allegro, nel pieno dell’estate. La luce dura più che in ogni altro
giorno dell’anno, donando calore e tanta allegria.
Mi
piace perché sembra simboleggiare
l’ottimismo, ma mi piace anche per la sua velata malinconia, perché da
è quel giorno in poi che il sole rimarrà in cielo sempre meno, lasciando
spazio al buio che porta via la luce, l’allegria e, dopo ciò che
ho saputo, anche la vita.
Ringrazio
nuovamente e vado via, quando Morisawa mi chiama
<ehi!>
<Si?>
<Scusa
… volevo chiederti … a te piace il basket?>
<eh?>
<Sai,
vedendoti così alto ho pensato fossi un giocatore di basket>
<No,
il basket non m’interessa>
<Peccato,
potresti avere un futuro, non ci hai mai pensato?>
Che
palle con questa storia!
<No,
io preferisco ilJudo> mento spudoratamente
<Ah,
quand’è così…Bhe, in bocca al lupo>
<Grazie
e arrivederci>
Sono
tornato a casa confuso e frastornato da tutte le informazioni che ho
ricevuto. Certo una parte di me è raggiante al pensiero di essere stato
vittima di uno scherzo che, per quanto stupido e per quanto rivelatore
della mia insensata paura, era e resta pur sempre lo scherzo di un idiota;
ma una altra parte di me non è proprio convinta da tutto questo,
continuando a rimuginare sul fatto che il quadro non può che essere
autentico e soprattutto, rabbrividendo con orrore, su chi abbia potuto
dipingere una cosa simile.
<Hanamichi,
non hai mangiato nulla stasera, perché non scendi, ti prep…>
<No, grazie mamma, non ho appetito>
<Dimmi
la verità, hai preso un brutto voto a scuola?>
<No,
mamma, te l’ho già detto di quella insufficienza e di quella nota>
<Si,
ma sappi che la prossima settimana andrò a parlare con i tuoi professori,
soprattutto con la professoressa di disegno!>
Sentire
tutto ciò dovrebbe scuotermi, dovrei urlare e dire che i professori ce
l’hanno tutti con me, che se prendo delle insufficienze non sono io
quello impreparato, sono loro che hanno la capacità di chiedermi tutto
quello che non so, che mi odiano perché odiano il mio nuovo look… ma
continuo a rimanere in silenzio, pensando che è giunta nuovamente la
triste ora di andare a letto.
<Buona
notte, mamma>
<……buonanotte,
tesoro……>
Salito
in camera, do nuovamente inizio al mio tormento, io, sadico torturatore di
me stesso: tiro fuori il quadro da dietro l’armadio e lo posiziono di
fronte a me, nel vano tentativo di reggere il suo sguardo.
Se
solo stanotte potessi dormire…
Continuo
disperatamente a girarmi e voltarmi alla ricerca di una posizione più
comoda per poter prendere sonno, ma anche questa notte devo dichiarare la
mia resa.
Non
per colpa dei quest’afa soffocante sono ridotto a un ammasso di carne e
sudore.
La
finestra! Devo aprire la finestra!
Devo
avere aria pura perché nella mia stanza l’aria è diventata
irrespirabile.
Procedo
ad occhi chiusi, tastando l’ambiente intorno a me e soffocando una
bestemmia disperata per aver sbattuto la coscia contro lo spigolo della
mia scrivania. Devo arrivare alle persiane e aprirle, ma è cosa che
faccio con una certa difficoltà dato che il mio cervello sovreccitato non
riesce ad imporre la propria volontà sulle mie gambe, impedendo loro di
tremare.
Comunque
riesco nel mio intento e lo spettacolo della luna piena che splende sulle
tante villette anonime della zona mi conforta.
È
un’immagine quotidiana e osservarla mi fa pensare ad un mondo usuale,
ordinario, scandito da ritmi immutabili, che si sveglia al mattino e va a
dormire la sera, senza che niente possa turbare queste consuetudini
scolpite nel tempo.
Un
vero peccato però che tutto questo sia fuori dalla mia stanza, fuori dal
mio mondo.
Perché,
quando mi volto, due occhi neri sembrano fissarmi con tanta, troppa
insistenza per essere finti, e la mano adunca che si leva contro di me
sembra promettermi un sacco di guai.
Oddio,
che stupido sono stato!
Non
volevo dimostrare agli altri di essere un ragazzo coraggioso, volevo
dimostrarlo a me stesso! Ma l’ esame mi sembra completamente fallito,
nonostante mi ripeta come un
disco rotto che questo quadro è fasullo e, anche se non lo fosse, questo
tizio è un inoffensivo mucchietto di cenere e questo non è che uno
stupido quadro.
Ma più
lo guardo, più mi fa paura.
Eppure
i miei occhi non riescono a staccarsi dai suoi…
Oh,
perché, perché mi fissi con tanta insistenza?
La
vuoi finire di guardarmi così?!
Smettila!
Basta!
<ADESSO
MI HAI PROPRIO ROTTO!!!>
BONK!!!
Oh
porca vacca, che casino!
Aver
scaraventato a terra quest’ affare non è stata una buona idea!!
Mi
precipito nel corridoio e già sento la sua voce
<Hanamichi,
che combini???>
<…ehm…scusami
papà, stavo andando in bagno…sono inciampato…torna a dormire>
La
voce di mio padre mi scuote, facendomi tornare con i piedi per terra.
Riprendo pieno possesso delle mie facoltà mentali, come se mi fossi
svegliato da uno stato semicomatoso.
<Certo
che sono davvero un imbecille!!!>
E
mentre risollevo il quadro, questa volta
senza fare storie da donnicciola, penso alle ore di sonno che ho
perso inutilmente, che dormire sul banco è scomodo, che non ho finito di
studiare.
Vabbe’,
pazienza.
Ma
mi accorgo che ne ho fatta un’altra delle mie
<Porca
miseria! Che ho combinato?!?!>
A
terra ci sono piccoli frammenti di pittura, staccatisi col violento
impatto sul pavimento.
Oh,
merda! È vero che probabilmente nessuno è a conoscenza dell’esistenza
di questo quadro e che se domani lo porterò nella sua dimora nessuno potrà
attribuirmi nulla, ma è anche vero che non sono un vandalo e questa è
pur sempre un’opera…d’arte?…mmmh…beh, non lo so, però sembra
antica e non avrei dovuto rovinarla, almeno per rispetto a
colui che ha avuto la pazienza (e il fegato) di dipingerla.
E se
provassi con la colla stick? Sono sicuro che riparerei il danno in modo
talmente perfetto che non se ne accorgerebbero i pittori più esperti.
Convinto
della buona riuscita dell’operazione, mi appresto ad eseguire la mia
impresa certosina, borbottando parolacce e pensando alla notte che se andrà
sicuramente a puttane.
Ma
qualcosa non è come dovrebbe…
Le
piccole scrostature lasciano intravedere la tela su cui erano stesi i
colori, ma da una di queste il piccolo pezzo di tela pende, strappato
dalle mie dita maldestre e sotto di questa compare qualcosa…qualcosa di
chiaro, molto chiaro…
<E
questo cosa sarebbe?> mi chiedo.
Il
mio cuore che batte troppo velocemente nel mio petto ha già risposto, ma
la risposta è troppo pazzesca perché possa davvero crederci.
In
preda ad una curiosità intensissima strappo la tela anche in un altro
punto e sotto vedo qualcosa di scuro, molto scuro…
<Non
è possibile!>
Eppure
è così.
Incredibile…
C’è
dipinto qualcos’altro qua sotto, ne sono sicuro, poi qualcuno ha posato
un’altra tela e ci ha dipinto sopra.
Benché
la mano adunca si levi ancora innanzi a me, benché il suo ghigno ancora
mi urli mute minacce e suoi occhi sembrano ora fissarmi intensissimi,
incredibilmente vivi, prendo la mia decisione.
No,
nessuno può mettermi paura, figuriamoci uno sciocco ritratto inanimato!
E così,
il mio lavoro certosino che doveva ricostruire, ora distrugge…
Sono
stanco, ma sono anche curioso…
Esausto,
insonnolito, le palpebre si chiudono, ma io continuo imperterrito, il mio
cervello invece è sveglissimo, in preda ad una curiosità che diventa via
via più febbrile.
E
senza accorgermene arrivo quasi all’alba, il cielo si va lentamente
schiarendo quando posso finalmente ammirare il risultato della mia opera.
Anche
questa volta rimango paralizzato, ma lo stupore ha ben altri colori…
Mi
avvicino.
E
inizio a scrutare senza batter ciglio ciò che si presenta ai miei occhi,
osservandolo a destra, sinistra, allontanandomi per avere una maggiore
visione d’insieme, avvicinandomi per cogliere maggiori particolari.
Mi
metto anche a testa in giù.
Ma
neanche per un attimo i miei occhi si staccano dal ritratto.
Perché
anche questa volta ai miei occhi si presenta un ritratto.
Ma il
soggetto è decisamente diverso da quello che ha tormentato il mio sonno.
Perché
si tratta di un uomo.
Cioè,
di un ragazzo.
Il
mezzobusto di un ragazzo occupa totalmente l’intera superficie della
tela.
Un
ragazzo la cui mano sinistra sembra voler scostare dalla sua spalla
una…cosa potrebbe essere? Una camicia?…no, non sembra avere
bottoni…forse una vestaglia, forse uno yukata…
Qualunque
cosa sia è bianchissima.
Bianchissima
come la pelle del suo petto che il suo gesto lascia nudo, esposto al mio
sguardo turbato, mentre il capezzolo è di un pallidissimo color rosa.
La
sua mano è lunga e sottile…
Poi
il collo slanciato, il mento affilato, le labbra rosee come i capezzoli,
così…delicate, piegate in un broncio appena accennato.
La
guance smunte, prive di un qualsiasi colorito…
I
capelli, lunghi e nerissimi, incorniciano la candida figura e sottolineano
ancor di più la delicatezza dei lineamenti, la soavità di tutta la
figura.
Sembra
una figura eterea, impalpabile, inafferrabile…
Ma
subito i miei occhi si incatenano ai suoi.
Profondi.
Sinistri. Nerissimi anch’essi.
L’unica
cosa che il pittore ha tralasciato di ricoprire dipingendo la mostruosa
creatura.
Che
sono diventati gli occhi sinistri della mostruosa creatura.
E mi
vengono in mente le parole pronunciate da una ragazzina tanto tempo fa:
…il dio dagli occhi di demone…
Improvvisamente
ritiro la mia mano, come fosse stata scottata.
La
mia mano???
Si,
la mia mano…
Stupefatto
dalla mia scoperta, totalmente rapito dalla visione, non mi sono accorto
che la descrizione mentale che illustravo a me stesso veniva accompagnata
dalle dita che sfioravano delicatamente il dipinto. Me ne rendo conto
tutt’a un tratto, quando sento qualcosa di freddo sfiorarmi il
palmo.
Non
riesco a capire…
Come
può essere, se in questi giorni l’aria è tanto calda quanto immobile?
Evidentemente
è tutto frutto dei miei nervi sovraeccitati.
Dimentico
l’accaduto e continuo ad osservare con insistenza il quadro.
<…Sei
bello…>
Dico,
incantato da quella creatura.
<…Sei
davvero bello…>
Affascinato
da quella visione quasi sovrannaturale.
E
mentre troppe domande si affollano nella mia testa alla ricerca di una
risposta, mentre in un lampo mi torna in mente la leggenda del perfido del
Signore che nessuno conosce, mentre osservo rapito i suoi occhi cupi,
dico:
<…sei
bello da far paura…>
Si,
perché il suo aspetto è davvero meraviglioso ma se il mio sguardo sfiora
il suo sguardo non può fare a meno di ritrarsi intimorito.
E
subito divengo consapevole: non so come, non so quando, non so perché, ma
questo ragazzo sarà la mia rovina.
Lo
so.
Lo
sento.
CONTINUA…
***********
A
questo punto della storia i DISCLAIMERS sono doverosi, non tanto per
ricordare che Hana & co. non mi appartengono (lo sa il mondo intero!),
quanto per dichiarare che Richard Rokeby NON è un personaggio di mia
invenzione, ma appartiene alla penna dello scrittore Patrick Redmond e al
suo romanzo”The wishing game” (“L’allievo”). Se ho scelto di
chiamare in causa questo personaggio lo devo al fatto che, in un certo
qualmodo, ho iniziato ad affezionarmi all’anime Slam Dunk proprio dopo
aver letto questo libro. Certamente non si parla di basket,
l’ambientazione è differente (un collegio inglese, Rokeby non è un
pirata e non ha nulla a che vedere col Giappone), così come il tempo in
cui si svolge l’azione (1954). Eppure il mio cervello contorto ha
trovato un sottile filo che unisce queste due belle storie…
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