La carezza
del diavolo parte
III - Il signore senza volto
di Lan
Camminiamo verso la
casa sulla collina ridendo e scherzando con leggerezza.
È pomeriggio e ci
vorrà un po’ di tempo perché il sole cali ma io non ho paura. Non sono
solo.
Devo ringraziare
Yohei, è stato lui a dire
<Ragazzi, perché
per una volta non gli diamo ragione? Forse quel fazzoletto è davvero
caduto. Magari è ancora lì. Perché non andiamo tutti insieme? Così
potrete constatarlo di persona e inoltre vedrete i luoghi in cui in cui
abbiamo compiuto un sacco di marachelle durante la nostra infanzia, a meno
che…non siate voi ad avere paura…>
Ovviamente si è
sollevato un coro di proteste e Noma, Okusu e Takamiya si sono uniti. Sono
contento, non perché sia un codardo che ha bisogno degli altri per
sentirsi forte, ma perché so il loro sostegno è frutto di vera
amicizia…anche se per tutto il tragitto continuano a lanciarmi
frecciatine sulle mie ansie infantili.
<E se le sue mani
sbucassero dal pavimento e ti tirassero giù per le caviglie?>
<Tu, Takamiya, non
corri questo rischio, non potresti che rimanere incastrato al
pavimento!>
<Magari potrebbe
strapparti il tuo bel cuoricino>
<E se il
suo grugno ti comparisse davanti?>
<No, sarebbe lui a
correre spaventato, guardando il colore dei tuoi capelli. Ahahah>
e via di questo
passo.
<Chissà, era
davvero così terribile?!> Si chiede Okusu, che si è trasferito da
poco a Kanagawa e non conosce le leggende locali
<Beh, questo non
ci è dato sapere > intervengo io.
< Tutto ciò che
riguarda quest’uomo è andato perduto o distrutto. O quasi. Poche sono
le notizie conosciute: sembra che questo tizio, vissuto nel 1800,
discendesse da una famiglia europea e si dedicasse a quella che in
Occidente definiscono “magia nera”.
Le cronache del tempo
parlano di numerose sparizioni di viandanti e molti attribuirono a lui
questi strani episodi, perciò i contadini del villaggio, ad un certo
punto, stanchi delle sue scelleratezze decisero di rivoltarsi e
ucciderlo.
Non si sa nulla di più
particolare, solo che fu un uomo la cui malvagità fosse pari alla sua
bruttezza, ragion per cui, una volta morto, tutto ciò che potesse
ricordare il suo nome, il suo aspetto, il suo essere, fu distrutto.
Solo la casa rimase
in piedi. Dicono che fu benedetta da un sacerdote e nessuno più provò ad
avvicinarsi temendo la sua vendetta.
È chiaro che poi
sono fiorite le leggende: c’è chi dice volesse trovare il segreto
dell’immortalità, chi dice che fosse un diavolo e volesse raccogliere
quante più anime possibile da portare negli inferi, c’è chi dice
compisse strani sacrifici e che avesse 10 braccia e 20 gambe…insomma,
tutte sciocchezze>
<Però tu hai
paura!> incalza Okusu
<Io non ho affatto
paura> rispondo tranquillo, dopo avergli elargito magnanimamente una
craniata <ma come tutti i bambini ho sempre provato una curiosità
quasi morbosa per le cose che incutono timore. È chiaro il concetto?>
e calco il tono della voce affinché sia chiaro a tutti che niente può
intimorirmi mentre di nuovo, subdolamente, l’inquietudine comincia ad
assalirmi.
<Ah, basta con
questi discorsi> interviene Mito <non dimentichiamoci che la
superstizione è sempre stata una brutta bestia. Chi ci dice che questo
tizio non fosse uno scienziato e i suoi esperimenti, non essendo capiti,
fossero bollati come magie maligne? Probabilmente era un vecchio signore
un po’ bizzarro>
<Si, ma se le
notizie parlano di strane sparizioni…>
<Andiamo, Noma,
bastava qualche brigante pronto ad uccidere per qualche moneta, magari
consapevole che la sua cattiva azione sarebbe stata attribuita ad un
povero innocente!>
conclude Yohei,
sicuro della sua tesi lucida, razionale, frutto di una mentalità moderna
e pratica, che non sa più credere a ciò che non riesce a vedere o a
sentire.
Così arriviamo in
cima. Noma, Okusu e Takamiya guardano curiosi l’edificio e devo
riconoscere che non sono ansiosi come me.
<E adesso che
facciamo?>
<Entriamo, no?!
– dico io con falsa baldanza – ma se non vi va … non avete che da
dirlo>
<Non dire
sciocchezze, Hanamichi> risponde l’indignato coro dei miei amici.
Immediatamente,
davanti all’uscio, mi rendo conto che tutti i miei timori sono
infondati: la porta infatti è aperta, proprio come l’ho lasciata io
ieri e ne deduco che, se ci fosse stato qualcuno, questi l’avrebbe
sicuramente sprangata per evitare ulteriori visite non gradite.
Entriamo.
I miei tre amici
subito iniziano ad esplorare il pian terreno, mentre Yohei fa un po’ da
Cicerone.
Vorrei soffermarmi
con loro per ridere un po’ di tutti i fantasmi inesistenti di questi
posto, ma prima devo fare qualcosa: devo saldare un conto con me stesso.
<Ragazzi – dico
– rimanete pure qui, io vado al piano di sopra>
li lascio incurante
del coro di proteste per la privazione del loro oggetto di scherno
preferito (IO!) e per la violazione del principio “Tutti per uno, uno
per tutti”.
Ma devo essere solo,
lassù devo chiarire qualcosa.
Mi dirigo con passo
spedito verso la galleria dei ritratti, dove gli antenati del signore mi
guardano storto e dove c’è qualcosa che mi turba.
Ieri mi sono
comportato da vero idiota, ma oggi non sarà lo stesso.
Entro nella galleria
e cammino lentamente, osservando le figure, soprattutto i paesaggi
dipinti, come se la loro vista fosse l’unico antidoto alla strana
inquietudine che si agita dentro di me, permettendomi di arrivare alla
fine.
<Io non ho paura
io non ho paura io non ho paura…> ripeto come se stessi dicendo il
rosario.
Arrivo alla porta
davanti alla quale ho fatto retro – front.
Davanti alla quale mi
sono arreso.
<Arreso? Io non mi
arrendo mai!> ricordo a me stesso.
Afferro risoluto la
maniglia e apro la porta…
<Io non ho paura
io non ho paura io non ho paura…>
Entro.
Una camera da letto,
a giudicare dall’enorme letto a baldacchino che mi si presenta di
fronte.
Ma non è questo che
mi colpisce, quanto il rosso.
Si, perché qui è il
rosso il colore dominante: dalle coltri del letto ai drappi del
baldacchino, dalla cassapanca ai piedi del letto alle due poltroncine che
affiancano il balcone alla mia destra, dal tappeto su cui poggiano i miei
piedi al pavimento.
Lancio un’occhiata
fugace alla tappezzeria e noto che è damascata e di prevalente colore
rosso.
Rosso, rosso,
rosso…
Il tutto ha uno
strano effetto su di me.
Tutto questo rosso mi
fa pensare a qualcosa di dannatamente erotico ma anche spaventosamente
perverso…
Rosso, il colore del
sesso, ma anche il colore del sangue…
In questa esplosione
monocromatica qualcosa colpisce la mia attenzione, qualcosa che stona un
po’ con l’ambiente: una macchia candida sul letto vermiglio.
Mi avvicino e vedo
che è uno yukata di seta che un tempo avrebbe dovuto essere candido come
la neve, mentre adesso presenta qualche alone ingiallito. È posato sul
letto in modo scomposto, come se il suo padrone, spogliandosi, lo avesse
lasciato distrattamente sul letto, sicuro di tornare a rimetterselo o a
riporlo in un armadio da un momento all’altro.
È strano… qui si
soffoca, l’odore della polvere e di chiuso mozzano il fiato, però
questa veste emana uno strano profumo…di fiori, agrumi, fresco e
pungente, come se fosse stato indossato da poco.
Oh, basta, tutto
questo mi sta facendo girare la testa.
Mi dirigo verso il
balcone, alla ricerca di un po’ d’aria pura. La maniglia è
inutilizzata da tempo ma si gira senza troppe storie.
<Ahhh, adesso mi
sento meglio!> mi dico, mentre scruto il paesaggio che si allarga sotto
di me: una veduta panoramica del versante ovest della collina opposto alla
città, in cui è la natura
rigogliosa a fare da padrone: alberi, cespugli incolti, più lontano
scorgo un laghetto di uno strano colore verdognolo che deve aver visto
giorni migliori.
Ehhh! Potenza
dell’incuria e dell’inquinamento!
Dopo aver contemplato
il mondo di fuori, dopo aver considerato che gli uccellini ancora volano
nel cielo, che il sole non è ancora morto, insomma, che è tutto è come
sempre, mi faccio coraggio e torno dentro per continuare ad esplorare la
stanza con lo sguardo, nel caso avessi tralasciato qualcosa.
Infatti…
Preso com’era dalla
luce che proveniva dal balcone, a destra della stanza rispetto alla porta
d’entrata, non avevo fatto caso alla parete sinistra che ora, invece, mi
trovo di fronte.
…uhm…nulla di
particolare, solo un camino, un orologio a pendolo tutto dorato e più
sopra…
…più sopra…
Rimango paralizzato,
non credendo a ciò che vedono i miei occhi, ma…
mi avvicino di
qualche passo per guardare meglio.
E poi non so…è
come se fossi fuori dal mio corpo e mi vedessi urlare, urlare, urlare…
Perché di fronte a
me c’è un uomo. Ed è spaventoso.
Non è tanto per la
mano adunca che leva innanzi a me, come se volesse ammonirmi di stare
indietro, non è solo per quel viso rugoso, deforme e raccapricciante,
quanto per la crudeltà, la perversione, l’odio che sembra schizzare
fuori da tutto il suo essere e da quegli occhi, bui come la notte, neri
come l’inferno.
<AAAAAAAAAHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHH!!!>
Rimango ancora
paralizzato, mentre in lontana, arrivano echi di voci che quasi stento a
riconoscere.
<…ichi…>
<…amichi…>
<…Hanamichi…>
<HANAMICHI!>
Mi volto verso al
porta e vedo Yohei, Noma, Okusu e Takamiya che corrono verso di me.
<Che succede, che
hai fatto?>
Sono preoccupati e il
fatto che non riesca a parlare li inquieta ancora di più.
Riesco solo ad
indicare ciò che ho davanti.
I ragazzi osservano
il dipinto (perché è di un dipinto che si tratta) e rimangono pensierosi
anche loro. Ma la loro reazione non è pari alla mia.
<Certo che è
proprio brutto!>
<Si, davvero!>
<Sarà lui il
Signore Senza Volto?>
<Beh, a differenza
delle altre stanze questa è l’unica che non sia stata depredata,
tutt’altro, sembra proprio che nessuno ci abbia mai messo piede! Eppure
è così bella!
Ma quello ha una
faccia talmente brutta e cattiva da allontanare qualsiasi
malintenzionato.
Per me è lui! E
probabilmente questa è la sua stanza>
Gli altri annuiscono
alle parole di Okusu, non troppo sconvolti dalla scoperta.
<Ma, Hanamichi,
perché sei venuto qui?>
È possibile?
È mai possibile
quello che odono le mie orecchie?
È possibile che
siano così ciechi?
<Ma perché non
vedete? – esplodo,
totalmente fuori di me – perché non vedete quello che vedo io?! Non
vedete l’orrore? Non vedete la malvagità? Non vedete quanto
quest’uomo sia abietto e spietato?
E quegli occhi!
Oddio, guardate i
suoi occhi! Così tetri. Così empi…>
Ma non riesco a
finire perché il coro delle risa sovrasta la mia voce.
<Andiamo,
d’accordo, è brutto, ma è solo un quadro> dice Noma
<Hanamichi,
abbiamo trovato uno che sicuramente in vita sua sarà stato scaricato
almeno 100 volte>
<Si, qualcuno che
supera il tuo personale record> incalza Takamiya
<Ehi amico –
dice Mito, mettendomi una mano spalla con fare protettivo – è solo un
ritratto. Niente di più e niente di meno>
Solo lui ha capito
quanto sia profonda la mia angoscia, ma questo mi fa star male perché so
che hanno ragione, capisco che la mia è una paura irrazionale che mi
porto dietro da quando ero piccolo, per qualcosa o qualcuno che non c’è,
che non esiste, che non è reale, per un essere che probabilmente è
frutto di una mentalità arcaica, ignorante e superstiziosa, come dice
Mito.
E la mia faccia
spaventata dev’essere davvero comica perché quei 4 imbecilli non la
smettono più di ridere, ma è un bene, perché questo mi fa tornare alla
realtà.
Dopo una serie di
testate che dimostrano come abbia ben ripreso padronanza di me,
annuncio:
<io non ho paura
di niente. È solo che mi gira la testa perché qui manca l’aria.
Figuriamoci se questo vecchiaccio può spaventarmi. AHAHAHAHAH!>
<Ehi, Hana,
scommetto che stanotte non riuscirai a dormire> mi provoca Takamiya
<Già, è meglio
che tu rimanga sveglio…i brutti sogni potrebbero trasformarsi in realtà>
lo incalza Okusu
<Nightmare 1, 2,
3, 4, 5, tutti insieme>
<Dai, Hana, non
dirmi che ti lasci sconvolgere così da un brutto muso. Scusa, non ti
guardi allo specchio tutte le mattine appena sveglio?>
…uhm…riconosco
che le loro risate mi hanno risvegliato da uno stato di shock ed è anche vero che sono di nuovo in me.
Ma conferma di ciò e
del fatto che a volte, ma solo a volte, mi comporto da autentico idiota,
dico
<Figuriamoci, è
solo uno stupido ritratto. Potrei contemplarlo tutta la notte e non mi
farebbe alcun effetto >
<Stai forse
dicendo che Rimarresti qui tutta la notte in compagnia del
vecchiaccio???>
Improvvisamente sento
che sudore inizia a colarmi dappertutto. In quale cavolo di pasticcio mi
sono lasciato trascinare?
Ma non posso più
tirarmi indietro.
<Sss-ss-ssssì,
certo che si!> dico, mentre nella mia testa lampeggia un solo pensiero
“oggi muoio di crepacuore!”.
Io non sono religioso
e delle religioni non me n’è mai importato un fico secco, ma credo
molte siano accomunate dalla previsione di qualcuno sempre vicino a noi,
che ci accudisce e ci protegge.
Forse dovrei essere
più credente, perché anch’io credo di avere qualcuno che veglia su di
me.
Colui che veglia
sempre su di me è Yohei Mito.
Mito, che ha capito
quanto sia rimasto sconvolto, interviene dicendo
<Suvvia, ragazzi,
la torcia l’abbiamo trovata, quindi abbiamo avuto la prova che Hana è
stato qui. Non vi basta?
E poi domani c’è
scuola, a che ora dovrebbe svegliarsi per tornare a casa, lavarsi e
prendere i libri, prendere il treno…va a finire che trascorrerebbe la
notte girovagando per la città…>
Il suo discorso non
fa una grinza. Ma io oramai sono stato colpito quasi a morte nel mio
orgoglio e solo un atto estremo potrebbe guarirlo.
Un atto incosciente.
Per cui decido: se
Maometto non va alla montagna, la montagna andrà da Maometto.
<Porto il quadro
con me> annuncio solenne.
<Cosa vuoi
fare?>
<Lo porto via>
non è molto grande, sono sicuro che ce la farò a trasportarlo fino a
casa.
Ancora Mito cerca di
proteggermi <Hana, non hai bisogno di dimostrare niente a nessuno.
Andiamo, lascialo dove si trova>
Ma io sono testardo e
questa volta lo sono di più.
È come se la mia
testardaggine mi urlasse dentro e io non possa fare a meno di obbedire al
suo comando.
<NO. Lo porto via
con me. E vedremo chi sarà il codardo>
Ci incamminiamo verso
casa, ridendo e scherzando con leggerezza.
Porto il ritratto
sotto il braccio.
Benché il caldo sia
insopportabile e l’aria immobile, mi sembra quasi che la sua vicinanza
tanto stretta mi stia gelando il fianco.
E anch’io mi sento
strano.
Come se avessi
acquisito un senso in più.
Camminiamo, ridiamo,
scherziamo, ma ogni percezione in me si amplifica e si
distorce, come se scorgessi nelle cose che vedo altre strane
visioni, come se alle rumorose voci dei miei amici si mescolino altre
tremila voci…
Adesso sento le ombre
nell’oscurità urlare il mio nome a squarciagola.
Dio, mi scoppia la
testa…
****************
Continuo ad agitarmi
e a rivoltarmi nel letto, sudando come un dannato in questa notte afosa,
cercando inutilmente di sprofondare in un oblio ameno e senza sogni.
I miei occhi sono
chiusi, li stringo forte, non vorrei vedere, non vorrei sapere, ma è
inutile: non riesco a dimenticare che in un angolo della mia stanza altri
due occhi mi fissano, gelidi e terribili.
Continuo ad agitarmi
e a rivoltarmi nel letto, terrorizzato e impaurito, attendendo
spasmodicamente la luce del giorno che cancelli ogni mia ansia e ogni mia
paura, consapevole di aver perso la mia battaglia e il sonno in premio.
Basta! In un estremo
moto d’orgoglio mi alzo, deciso ad affrontare le mie paure.
E mi pianto di fronte
a lui, incatenando il mio sguardo prima intimorito, ora risoluto, al suo e
la vedremo, vedremo chi riuscirà a spuntarla, vedremo chi abbasserà gli
occhi per primo!
Resto così per il
resto della notte, fissando i suoi occhi neri e infernali, mentre cerco di
convincermi che non sono altro che un disegno, mentre cerco quasi di
assuefarmi alla loro presenza, cercando addirittura rendermeli familiari,
mentre (finalmente!) un filo di aria fredda in questa notte soffocante
accarezza la mia pelle…
CONTINUA…
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