È quasi mezzanotte. 

Mentre aspetto, il mio sguardo fissa vacuo uno squarcio tra le nuvole che coprono il cielo stellato. Osservo così l’ultimo spicchio di luna calante che questa notte ha assunto un inusuale colore rossastro. 

Osservo il cielo, e penso che non sarebbe male se piovesse un po’. 

Io non amo la pioggia, ma almeno spazzerebbe via questo caldo soffocante, quest’aria immobile, quasi malaticcia. 

Innaturale per questo periodo.

 

È quasi mezzanotte. 

Mentre aspetto, stanco di stare in piedi, mi siedo sulla pietra fredda. 

Purtroppo nulla illumina il paesaggio che si stende sotto di me e tutto ciò che ho di fronte si amalgama in un denso colore nero, come se il mondo fosse scomparso all’improvviso.

Come se fossi in un’altra dimensione. 

La mia mente vuota inizia a ondeggiare da un punto imprecisato a un altro fino a quando, per inerzia, si spinge nel mare della memoria, lasciandosi cullare dolcemente.

È quasi mezzanotte.

E mentre mi lascio sommergere dai ricordi, io aspetto… 

la carezza del diavolo

By Lan

 

1.    ONORA LE SCOMMESSE.

 

Oggi è il 10 maggio ed è uno splendido pomeriggio. L’aria è immobile, il caldo è scoppiato all’improvviso ed io già pregusto il momento in cui mi tufferò dallo scoglio più alto nel mare cristallino di Kanagawa. 

Ma la cosa più bella è osservare il sole che resta alto nel cielo ogni giorno  per più tempo, per pochi piccoli minuti che si accodano l’uno all’altro, rimpicciolendo la notte. Questo mi rende davvero felice, forse perché non sono molto amante del buio. 

Sono le 18,00 e ho ricevuto la telefonata che mi da il via.

Bene, è ora di andare. 

Esco dal cancelletto  e percorro per un centinaio di metri la strada che si apre proprio di fronte. Abito in un bel posto: pochi passi ancora e potrei raggiungere la strada più affollata della città, piena di vita, di gente che passeggia, di ragazzi e ragazze che chiacchierano allegramente o che scorrazzano spensierati sui motorini. 

Ancora pochi passi…

Ma non è questa la mia direzione.

Immediatamente alla mia sinistra, si diparte un lungo e largo viale alberato che si allontana dalla strada maestra e dalla città, frequentato dai fanatici dello sport: gente sfrecciante in bicicletta, qualcuno fa jogging, c’è anche un malandato campetto in cui hanno piantato due pali ai quali hanno appeso due canestri, per chi desidera dedicarsi al basket. 

Ma a me non interessa. Non è per fare sport che sono qui…in realtà non ne ho mai praticato alcuno, tranne qualche riss…ehm… sano scontro corpo a corpo.

Dopo mezz’ora di cammino, di nuovo, sulla sinistra, una stradicciola solitaria e semi nascosta dagli alberi si stacca dal viale e arriva sino alla cima della collina. 

È questa la direzione che prendo.

È sulla cima che sono diretto.

 

Il sole continua a farmi compagnia, ma, considerata l’altezza e il colore che ha assunto,  deduco che non sarà qui ancora per molto.

“Non avrai mica paura?!?!” penso, mentre sento le gambe tremare leggermente. 

 <NO! CERTO CHE NO!>

dico ad alta voce a me stesso per incoraggiarmi, ma non posso fare a meno di imprecare contro Yohei e quegli altri 3 scalmanati dei miei amici, se così si possono chiamare, dal momento che gli amici non dovrebbero gioire con tanto sadismo sulle disgrazie che capitano ai loro compagni.

E non posso fare a meno di imprecare contro la mia dannatissima cattiva sorte.

<Mayu, oh Mayu, perché anche tu mi hai abbandonato?> piagnucolo al vento, consapevole del fatto che qui non passa anima viva.

Ebbene sì, anche lei mi ha detto “no” con la sua vocetta gentile, soffocando una risata ironica.

<No, Hanamichi, mi spiace, ma non sono innamorata di te> dico, imitando la sua voce che adesso suona scialba alle mie orecchie.

E come al solito quei bastardi ne hanno approfittato!

Hanno scommesso sul rifiuto di quella sciapita e adesso mi tocca pagare.

Non hanno tenuto conto del mio dolore, delle lacrime versate, né del fatto che adesso mi piace Yoko.

Ed io che era sicuro che questa sarebbe stata la volta buona! Mi sono detto: “è la 49esima a cui lo chiedo, non può darmi due di picche, è contro la legge delle probabilità!” 

…beh…forse questa volta ho fatto male i conti, è la 50esima che non può dirmi di no, cioè Yoko!

Sta di fatto che sto diventando lo zimbello di tutta la scuola media Wako, nonché mi tocca anche pagare. 

Accidenti! C’è qualcuno più sfigato di me?

 

Ahahahah, ma sai chi se ne frega? Sarebbe stato peggio se quegli idioti mi avessero chiesto soldi, no? Invece devo solo fare un servizio facile e veloce 

<CHE NON MI FA ALCUNA PAURA!> urlo ad un anonimo interlocutore. 

La stradicciola prosegue tortuosa per la collina e io la percorro a passo sostenuto, incurante di un fastidioso sassolino che è entrato nella scarpa. 

Non importa. Importante è arrivare più in fretta possibile a destinazione, fare quello che devo fare e tornare in città, lì dove la strada brulica di vita, le voci sono reali e ogni vicolo illuminato dalla romantica luce dei lampioni.

Chissà, potrei incontrare anche Yoko, se solo si decidesse ad uscire e a non stare sempre schiaffata in palestra per vedere quei cretini che giocano a basket.

Volgo lo sguardo al cielo e vedo il bellissimo spettacolo del sole che si avvicina sempre più alla linea dell’orizzonte, spargendo nel mare cristalli di luce dorata.

“E’ magnifico” penso. 

Ed è magnifico che ci sia ancora il sole ad illuminare il mio cammino, così mi sento più tranquillo. 

<Tranquillo? Perché, quando mai mi sono preoccupato?!?  Ahahahahahaha> rido ancora più fragorosamente, guardando timoroso la mia meta.

<Timoroso? NON è ASSOLUTAMENTE COSì!>

ora inizio ad incazzarmi seriamente con me stesso. 

 

Giunto  sulla cima della collina, mi fermo a contemplare il panorama per un po’, giusto per riempire i polmoni d’aria pura prima di entrare, giusto per ricordare a me stesso che tra 5 minuti sarò fuori e potrò contemplarlo di nuovo, ma devo muovermi: se non mi sbrigo il sole calerà e io devo finire il prima possibile.

 

Mi volto e vedo la casa. 

È un banalissimo palazzo a 3 piani, continuo a ripetermi, solo un po’ in rovina. 

Ma che fare? Nessuno vuole più dargli una sistemata.

Si, perché tutti hanno paura del Signore Senza Volto.

 

Bene, adesso non devo far altro che entrare, salire sulla soffitta e appendere alla finestra questo fazzoletto rosso, così stasera quegli idioti potranno vedere che ho avuto il coraggio di arrivare fin quassù.

Ma di nuovo mi assale la rabbia

<Maledetti bastardi, mica lo constateranno personalmente, no, useranno un telescopio. Brutti vigliacchi imbecilli!! Ma io sono più coraggioso di voi, vedrete, così la smetterete di prendermi in giro!>

Con un calcio apro la porta e mi trovo nell’atrio. 

A destra la porta a due ante è chiusa, ma, se non ricordo male, dovrebbe esserci una sala che era lo studio del padrone di casa; a sinistra c’è quello che un tempo era un salotto, solo che adesso è pieno di mobili ammucchiati e coperti di ragnatele, oltrepassato il quale si dovrebbero spalancare le porte della sala da ballo.

Percorro il lungo corridoio con fare circospetto, senza soffermarmi nelle altre stanze, cercando solo di arrivare fino all’ultimo piano, ma sbircio qua e là, se le porte sono aperte. 

Adesso i ricordi si fanno più nitidi: di là la sala da pranzo semi – distrutta, in quella direzione dovrebbe esserci un piccolo corridoio che porta alla dispensa, alla cucina e… alla cantina.

 

Avanzo lentamente e sorrido a ogni passo avanti, ricordando i giorni in cui io e Yohei ci avventuravamo qui, entravamo di corsa e subito scappavamo verso l’ingresso, alla ricerca della luce genuina del sole. Si, perché qui anche i raggi del sole che entrano dalle innumerevoli finestre dalle persiane ormai cadute, assumono un non so che di malsano.

 

Arrivo alle scale, la linea di confine.

E di nuovo mi assalgono i ricordi di me e Yohei, ostinati esploratori che giorno dopo giorno, un passo in più ogni volta, riuscimmo a visitare tutto il primo piano, ma di salire ai successivi non era proprio cosa. Certo, anche allora ero un bambino borioso e se qualcuno avesse fatto leva sul mio orgoglio smisurato sarei arrivato fino in cima. Ma Yohei è sempre stato mio amico e non ha mai fatto una cosa del genere. 

 

E invece adesso ci sono cascato!

 

<La prossima volta mi farò legare, invece di andare alle stupide festicciole organizzate da queste ragazzine delle medie che non hanno niente di meglio da fare.

Ahhh… - sospiro – ma c’era anche Mayu, come potevo dire di no?>

 

Salgo cautamente le scale. 

Gli scricchiolii mi fanno sobbalzare, ma salgo ugualmente. Non lo avevo mai visitato, e non ho nessuna intenzione di farlo adesso, però la porta a due ante di fronte a me è aperta, lasciandomi scorgere un’arpa e un clavicembalo: evidentemente deve trattarsi di una sala in cui si tenevano concerti. 

Mi accorgo che per giungere al piano superiore posso usare la rampa di scale che si trova alla estremità del corridoio, a destra. Sapere di dover percorrere il corridoio in tutta la sua lunghezza comincia a darmi fastidio.

<Gambe – dico – volete muovervi o no?> cercando mi metter fine a questa stupida tremarella.

Camminando rigido come un robot, mi accorgo che ormai è quasi buio e uso la torcia che ho previdentemente portato.

 

Salgo al secondo piano. Ancora uno sforzo e troverò quella maledetta soffitta.

<Era un bel giorno, pioveva a catinelle

andavo in giro senza le bretelle

e di lontano vidi un cimitero

com’era buio, mamma mia, com’era nero…>

porca vacca…che cavolo faccio?

Per cercare di tenere la testa sgombra da pensieri cupi ho iniziato a canticchiare la prima cosa che mi è venuta in mente, cioè quella filastrocca cretina che mio cugino insegnò a me e Yohei quando eravamo piccoli, ma non credo che sia ciò che ci vuole per allentare la tensione.

È che sto facendo di tutto pur di non urlare che ho una paura assurda. Non è tanto il fatto di ammettere la mia vigliaccheria, quanto il timore di risvegliare strane creature dal loro oblio.

 

Arrivo finalmente al secondo piano. 

Proprio di fronte a me è si apre una porta a due ante. A giudicare dai pochi libri rimasti sui numerosi scaffali deduco che deve trattarsi di una biblioteca, un tempo molto fornita, ma chissà che fine hanno fatto tutti gli altri volumi. 

Rosicchiati dai topi? Probabilmente bruciati…forse è meglio così. 

Non sembrano esserci scale che portano al piano di sopra, ma il corridoio, sia che mi diriga a destra, sia che mi diriga a sinistra, svolta rispettivamente a sinistra e a destra. 

Perdermi nei meandri di questa casa non è cosa a me gradita, mi sembra più grande di quanto sembrava fuori e io ho paura di smarrirmi e di non trovare più l’uscita, ma il pensiero delle risa di scherno dei miei (pfui) compagni non mi lascia scelta.

Testa o croce?

Testa. Destra.

Cammino piano e, svoltato l’angolo, trovo una porta. Chiusa. 

Entro. 

È una specie di galleria.

Sulla parete sinistra una teoria di quadri, sulla destra i quadri si alternano alle finestre. Osservo i dipinti procedendo cautamente e non posso fare a meno di notare che si tratta di una strana combinazione di generi: a romantiche vedute di ciliegi in fiore e vedute del palazzo sotto la luna, si alternano ritratti di gente che, a giudicare dalla foggia degli abiti e dalle acconciature, deve essere morta da un pezzo.

Il tutto mi mette i brividi…non so…è che ho la vaga sensazione che quei visi tetri e severi mi stiano silenziosamente suggerendo di darmela a gambe il più in fretta possibile.

 

<Merda!> 

ancora una porta. Chiusa. Poggio la mano sul pomo per aprirla quando…

un’ombra…un rumore…la finestra…

<mpfhhhhh> soffoco un urlo con la mano.

Qualcosa alla finestra…

Mi avvicino e vedo qualche piuma nera librarsi nell’aria.

Mhhh…sono proprio uno sciocco! Evidentemente qualche uccellaccio deve essere andato a sbattere contro il vetro.

Riprendo il controllo di me stesso…e mi do indietro. 

Troverò un altro accesso per la soffitta.

Detesto doverlo ammettere, ma queste facce mi mettono a disagio.

Ripercorro il corridoio in tutta la sua lunghezza, svolto a destra e trovo un'altra rampa di scale. 

Salgo. 

Solo una porta, la apro e mi trovo in soffitta. 

Fiuuuu, finalmente!

Non c’è molto da dire, è molto grande, piena di polvere, ragnatele, mobili e cianfrusaglie che mi ostacolano il cammino e che sposto senza far rumore, mentre mi avvicino alla grata di ferro che chiude la finestra.

Comunque mi piace. 

Mi ricorda la soffitta della casa di mia nonna e tutte le volte in cui l’ho messa sottosopra, alla ricerca di chissà quale tesoro.

Accarezzo la grata come se fosse preziosa, poi, annodando ad essa il fazzolettone rosso, riacquisto tutta la mia baldanza e inizio a dichiarare:

<Avete visto, maledetti bastardi? Hanamichi Sakuragi onora sempre le sue scommesse. Voi non sareste mai riusciti ad arrivare fin quassù, invece io non mi fermo di fronte a nulla! Sono superfantasticoincredibile! Ahahahahaahaha> rido a lungo e fragorosamente. 

Ma di colpo mi blocco. Un pensiero nella testa mi colpisce come una sassata

<E se mi qualcuno mi avesse sentito?>

Sarà la suggestione, sarà che la torcia non è potente e non illumina come dovrebbe, sarà che sono tornato bambino, ma mi sembra che negli angoli le ombre si muovano silenziose sussurrando il mio nome.

 

Allora inizio a scappare come se fossi inseguito da cento demoni. 

Il mio peso in corsa rompe uno dei gradini di legno, rotolo a terra, la torcia vola chissà dove e per poco non mi spezzo l’osso del collo. Ma non m’importa. 

Devo uscire.

Devo assolutamente uscire da qui.

 

Scendo, scendo, scendo, e, pur essendo al buio, vedo un tenue chiarore laggiù, in fondo che mi indica il cammino. La porta d’ingresso è aperta e mi fiondo fuori. 

Se non fossi così agitato mi fermerei ad ammirare lo scenario che si apre avanti a me: ammirerei un cielo tinto di verde all’orizzonte, per poi diventare di un azzurro sempre più cupo volgendo lo sguardo verso l’alto, ma non posso perdermi in pericolose contemplazioni.

 

Corro, corro, corro, nell’oscurità, veloce come un treno, incurante dei cespugli che graffiano le mie braccia, cantando filastrocche senza senso per non gridare di paura, seguendo il mio istinto che mi condurrà lì dove esplode l’allegria, la luce, la vita, mentre, negli oscuri meandri della campagna, le ombre continuano a sussurrare il mio nome nel silenzio.

 

 

CONTINUA… 



 
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