Kabuto Gaiden II - 新生活 (Shinseikatsu)

 

Capitolo 10: 危局 (Kikyoku) (Crisi)

 

di Hana-bi

 


 

Un piccolo tempo shinto.

Era il punto di raccolta che avevamo stabilito mesi prima, in un piano che avevamo creduto perfetto.

Quasi.

Ci ero giunto dopo una fuga da Konoha abbastanza facile, approfittando della confusione, e ancora protetto dal mio travestimento da Anbu. Mentre attraversavo la foresta avevo sentito i tuoni lontani di uno scontro terribile, e avevo immaginato che alla fine Sasuke avesse trovato Gaara, e Naruto si fosse trovato ad affrontare il proprio simile. Il mio istinto di spia gridava forte il desiderio di raggiungere il teatro dello scontro e osservarlo... ma avevo altre priorità.

Qualcosa di terribile, aveva detto Tayuya.

La sua angoscia mi aveva contagiato.

Così non avevo deviato di un passo, correndo per chilometri sotto una pioggia battente che aveva cominciato a frustare la foresta, quasi il cielo stesso si fosse messo a piangere. Una canzone di dolore mi risuonava nella carne ad ogni passo, un bruciore che dal fianco scendeva progressivamente verso la gamba. La ferita infertami di Baki era rimasta aperta, sopra gli organi lesionati e i vasi sanguigni che avevo ripristinato. Ma non avevo tempo di finire di curarmi: preferivo mantenere il mio potere intatto per il mio signore, se gli fosse servito.

Mi ero avvicinato con prudenza al santuario. Non avevo incontrato sentinelle. Gli uomini erano giunti, ma erano disorganizzati, come un branco di fuggiaschi sbandati. Non si erano accampati, né avevano acceso un fuoco: stavano al riparo sotto le tettoie, alcuni feriti, tutti con occhi vacui e incerti.

Avevo tremato, chiedendomi quale fosse il motivo di quell'atteggiamento...

Non siamo noi dopotutto i vincitori di questa battaglia?

Ero avanzato con decisione nel fango, la pioggia che mi scrosciava addosso lavando la tintura dai miei capelli, gli occhiali un mosaico di gocce d'acqua, e il sangue dal fianco colato fin sulla caviglia. Mi avevano visto, e due spade si erano mosse a malapena dai loro foderi; ma un Kidomaru esausto aveva gridato:

"No!... E' Kabuto."

Le spade erano tornate al loro posto, gli uomini avevano distolto lo sguardo.

Perché?

Avevo raggiunto Kidomaru sotto il porticato del tempio. "Dov'è Orochimaru-sama?" gli avevo chiesto, con angoscia.

"Dentro," aveva risposto, e mi aveva fatto cenno col mento. "Se vuoi... vai da lui."

Ero trasalito, a quelle parole.

"Che vuoi dire?"

"Hai mai pensato a... una vita... da nukenin?"

"Konoha mi chiama nukenin. Ma io ormai sono un ninja del Suono!"

"E se il Suono... non esistesse più?"

Avevo sbarrato gli occhi.

"Cos'è successo?" Di colpo, avevo afferrato Kidomaru e gli avevo urlato: "Cos'è successo?!"

Mi aveva guardato con un'amara pietà.

"Prima di morire, il vecchio Hokage ha fatto una potentissima magia. Un patto col dio della morte. In cambio della sua vita, avrebbe inflitto al padrone il sigillo del traditore, perché non potesse mai più fare del male alla Foglia. Lo ha... maledetto..."

"E poi?!"

"Poi... il padrone si è... spento."

Spento.

Precipitosamente mi ero tolto i sandali, i guanti e il mantello, lasciandoli a terra; ed ero entrato nel tempio.

Ci avevo messo alcuni secondi per adattare la vista a quell'oscurità cupa, appena rotta da alcune lampade e da un braciere su cui della legna finiva di consumarsi.

La statua inquietante di un kami mi osservava, in mezzo a un odore di legno umido e incenso vecchio, e polvere di anni. Ai suoi piedi era stata gettata una stuoia, e su quella stuoia c'era il mio maestro. Le vesti da Kazekage impregnate d'acqua e appiccicate al corpo, i capelli sparsi a terra.

Ed un fazzoletto sulla faccia.

Avevo vacillato sulle gambe, sentendomi impallidire mortalmente.

Oh no, no, no...

Tutta quella fatica, tutto quel dolore, tutta quella lotta, tutta quella morte.

Per arrivare a questo?!

"Signore!" avevo gridato, accorrendo al suo fianco e cadendo in ginocchio accanto a lui. Gli avevo tolto quell'osceno fazzoletto dal volto...

"O... Orochi... maru... sama," avevo balbettato, incredulo.

Chi è questa creatura?!

Non l'avevo riconosciuto. Al posto del mio splendido maestro c'era un essere asciutto fino a sembrare rinsecchito, con gli zigomi sporgenti, la bocca una dura riga diritta, le labbra appassite e la pelle opaca e quasi staccata dalla carne sottostante, incisa di rughe che non ricordavo, le palpebre orlate di viola e pesanti, aveva un'aria quasi equivoca, come quella di una vecchia prostituta consunta, lasciata a morire sul ciglio della strada...

E' questo il suo vero aspetto?!

Avevo chiuso gli occhi di scatto, vergognandomi di ciò che avevo visto, e comprendendo l'orrore dei miei compagni.

Copri il suo volto, Kabuto. Coprilo!

Non l'avrei guardato. Non l'avrei guardato mai più.

Voglio ricordarlo per sempre... come l'ho visto alla festa di Sunagakure.

Occhi magici e capelli lucidi, fruscio di seta, sorriso astuto senza tempo, gioia e malinconia, labbra pallide e profumo di incenso, forza e fragilità, figura sinuosa come quella del suo serpente bianco, bianco accecante, bianco luminoso, purezza senza fine, bianco come la luce che tutto rivelava, la luce della mia vita...

Qualcosa in me si era spezzato.

"Orochimaru-sama..." avevo singhiozzato.

Non lasciatemi solo!

Lacrime roventi si mescolavano alla pioggia sulle mie lenti, la mia anima aveva gridato come se l'avessero amputata. Mi ero chinato su di lui, accarezzando quei capelli bagnati che erano sparsi come un mazzo di alghe morte, posando la fronte sulla sua, pregando, implorando.

Aprite gli occhi, maestro, padre, mio vero padre, mio unico affetto... mio unico... amore...

Ma era tutto inutile, lo sapevo. Tutta la mia vita non era stata che un illusione. Tutti i miei sogni e il mio futuro. Orochimaru se n'era andato, dove io non avrei mai più potuto seguirlo.

"Noooo!!!"

Il mio urlo di disperazione aveva incendiato tutto il chakra che avessi in me, avevo posato le mani sul suo petto e istintivamente avevo scaricato un impulso di energia dentro di lui...

Il corpo aveva sussultato, violentemente.

Avevo fissato il vuoto, senza neanche respirare.

Che è successo?

Di nuovo avevo guardato Orochimaru. Era immobile. Cadaverico. Non respirava. Eppure... aveva reagito al mio impulso.

O è stata solo una mia impressione?

Mi ero raddizzato, unendo le mani in grembo. Ero un medico, e nessuno meglio di me doveva sapere come trovare la risposta alla mia domanda. Dovevo recuperare il controllo. Dovevo focalizzare la mia capacità diagnostica, avere la mente lucida.

Calma. Calma. Calma....

Avevo socchiuso gli occhi. Rivivendo uno straziante ricordo del mio maestro, che mi insegnava le sue arti nel giardino dell'ospedale.

Respira, Kabuto. Tre volte yang, tre volte yin, pensa come una roccia, e sii una roccia...

I miei occhi si erano riaperti.

Nessun orrore, nessuna speranza.

Il corpo di Orochimaru non era che un oggetto da studiare. Io non ero che uno strumento per esplorarlo. L'avevo spogliato, con delicatezza, cercando ferite, traumi, un indizio qualsiasi. Non avevo visto altro che dei segni, dei marchi neri a livello delle spalle: opera senz'altro di Sarutobi.

Cos'ha fatto esattamente al mio signore? Che cos'è il sigillo del traditore?

La pelle bianca e tatuata di Orochimaru era come seta stropicciata sotto le mie dita. L'avevo accarezzata, seguendo il profilo dei serpenti che l'adornavano.

Non ho mai potuto toccarlo così, prima...

Sotto la mia disperazione, ammettevo un brivido di perversa eccitazione, l'idea di poter finalmente possedere il mio maestro. Se non nel senso che tanto avevo desiderato, almeno nel catturare qualcuno dei suoi segreti.

Avevo composto i miei sigilli, posato le mani sul suo petto, e avevo introdotto il mio chakra. Stavolta gentilmente, con titubanza, penetrando in quel corpo come in un santuario.

E avevo trovato... l'incomprensibile.

Che... cos'è?!

Il mio chakra disegnava nella mia mente affascinata un circuito energetico impossibile. Era come se ci fossero più circuiti sovrapposti, intrecciati in maniera intricata. Un cuore umano era fermo, ma c'era un altro cuore, più elementare, che pulsava lentissimo e sommesso...

Un corpo dentro un corpo?!

Non c'era nessun Wei Qi né qualsiasi cosa di classificabile come normale in lui: quello che tutti avevano scambiato per un cadavere era una fredda e immota scorza di cellule statiche e congelate, che copriva un nocciolo di energia Yuan così profondo che quasi non si percepiva.

Ma c'è. E questo vuol dire che... è vivo!

Avevo sentito un ronzio nelle orecchie, mi ero reso conto che lo shock era pericolosamente vicino ai miei limiti.

E' vivo, vivo, vivo...

Orochimaru aveva passato la sua vita a cercare i limiti umani per superarli. Ricordavo di colpo i meandri dei suoi sotterranei, carichi di rotoli polverosi, di vasi pieni di alcool in cui erano sospesi animali morti, organi umani e non, e numerosi serpenti di tutti i tipi. Ricordavo le occhiate rubate al suo laboratorio segreto, dove magia e scienza si mescolavano, e dove il mio maestro cercava le fonti più segrete della vita, per procurarsi il tempo per imparare tutto quel che l'universo poteva offrirgli, il nobile scopo a cui tendeva la sua intera esistenza.

Ha usato se stesso per i suoi esperimenti. Ha lavorato sul suo stesso corpo per farne qualcosa di unico al mondo...

Quel corpo sfidava la morte.

E la sua vita e il suo sogno erano nelle mie mani.

 

 

 

Gli uomini avevano reagito con incredulità al mio annuncio che Orochimaru era ancora vivo.

Ma mi avevano obbedito di corsa quando avevo ordinato loro di procurarmi del cibo e degli indumenti asciutti, anche a costo di saccheggiare il deposito del santuario.

"Cosa hai intenzione di fare, Kabuto?" mi aveva chiesto Kidomaru, vedendo che estraevo dal mio bagaglio la borsa medica e mi purificavo le mani.

"Usare tutta la mia arte medica per Orochimaru-sama," avevo risposto, con semplicità.

Devo farlo, dipendiamo troppo da lui. Tutti i suoi uomini sono condizionati all'obbedienza più cieca, e non hanno il minimo spirito di iniziativa personale: sono valorosissimi esecutori di ordini e niente più. Il suo villaggio segreto è troppo recente per avere la capacità di sopravvivere senza il proprio Kokage, come invece faranno Konoha e Sunagakure. E quest'impotenza del mio maestro potrebbe spingere qualche traditore ad approfittarne, per recidere la sua vita ora che è così vulnerabile... e comprarsi il perdono dai nostri nemici.

Dovevo fare in fretta. Avevo preparato una siringa, cercando mentalmente di calcolarne la dose precisa per l'effetto che volevo ottenere.

"Sopravviverà?"

Era la domanda ansiosa negli occhi disperati che mi circondavano, le cellule di un corpo che si chiedevano se questo sarebbe rimasto decapitato...

Dissimula.

"Naturalmente," avevo detto con un sorriso rassicurante.

E mi ero chiuso nel tempio con il mio signore.

Meglio che nessuno assista a ciò che sto per fare.

La pioggia continuava a scrosciare sul tetto, l'aria era fredda. Il corpo nudo di Orochimaru aveva la stessa temperatura, senza un soffio di calore.

"Abbiamo trovato questi abiti, signore," avevo detto con gentilezza, decidendo di comportarmi come se fosse cosciente.

Ero pratico di assistenza ai malati. Avevo asciugato la sua pelle appassita, poi l'avevo vestito con delicatezza, con il kimono di cotone di un prete. Avevo srotolato il futon consunto che i ninja avevano trovato, e con una manovra abile avevo spostato il mio maestro su di esso.

"Questo è meglio della stuoia, il pavimento è troppo umido."

Nessuna reazione.

Eppure mi sentivo già più sereno. La scena aveva perso un po' del suo desolante squallore. Ora il mio maestro era una figura dormiente ai piedi di una divinità protettrice. L'idea che avrebbe potuto restare così per sempre mi aveva fatto rabbrividire.

"Signore," avevo detto in un sussurro cortese. "La vostra fisiologia mi è completamente sconosciuta. Se foste come me, vi inietterei questo..." e avevo estratto la siringa. "E' il più  potente degli stimolanti a disposizione, e questa è una dose massiccia, capace di mobilitare tutte le forze di un individuo. Ma siccome non so l'effetto che potrebbe avere su di voi, farò diversamente. Mi affiderò al vostro stesso organismo, affinché si curi da solo. E l'energia per far questo... vi verrà da me."

Mi ero stretto un laccio al braccio, e avevo inserito l'ago della siringa nella vena.

Se solo avessi un dio da pregare.

Avevo spinto lo stantuffo.

Fuoco liquido aveva cominciato a percorrermi le vene, disegnando una mappa dolorosa del mio sistema circolatorio... avevo boccheggiato, preparandomi all'impatto finale.

Ti prego, cuore mio, resisti allo shock... non tradirmi proprio adesso!

In pochi secondi avevo sentito il torace esplodermi in un lampo di pura agonia. Mi ero piegato in due, con un ruggito animalesco, e avevo lottato contro il panico del mio corpo, tutti i segnali d'allarme che mandava alla mia consapevolezza.

La dose è troppo alta!

Avevo sentito il mio chakra agitarsi, come impazzito. La fronte a terra, avevo rivissuto in pochi istanti tutte le sofferenze della mia vita, mentre la droga fustigava anche il mio cervello. Le mie dita erano affondate nelle braccia, scavando solchi sanguinosi, mi ero sentito a un passo dalla morte, avevo sentito il mio organismo quasi spezzarsi in due... ma avevo resistito, sforzandomi di contare tra un gemito e l'altro.

"Uno... due... tre... quattro..."

L'agonia era lentamente calata, lasciandomi senza fiato.

Un calore prepotente ora mi circolava nel sangue. Una sensazione di energia, quasi inebriante, un benessere illusorio che sapevo non sarebbe durato a lungo. Mi ero lentamente raddrizzato, respirando a fondo.

Non devo perdere tempo.

Mi ero tolto di dosso i vestiti umidi, rimanendo nudo. La pioggia almeno aveva impedito alla stoffa di attaccarsi alla ferita al fianco. Me l'ero guardata: era infiammata, probabilmente infetta. Potevo sentirmi la febbre nelle ossa, e sapevo che sarebbe cresciuta se non avessi fatto nulla per fermarla.

E non lo farò.

Avevo composto i sigilli per concentrare il mio potere di guarigione nelle mani. Poi mi ero sdraiato al fianco del mio maestro, abbracciando il suo corpo inerte e freddo, e gettandomi addosso una vecchia trapunta maleodorante, l'unica coperta che i ninja avevano trovato nel deposito del tempio. Non importava, l'essenziale era che non facesse sfuggire il mio calore...

Il calore che serve a rianimare un serpente.

Una mano sul petto di Orochimaru. La fronte sulla sua spalla marchiata.

"Prendete la mia energia vitale," avevo mormorato, ad occhi chiusi.

E avevo cominciato a morire lentamente per lui...

 

 

 

 

Serpenti bianchi. Creature albine dagli occhi dorati, le pupille a fessura che mi studiavano. Li avevo addosso, a dozzine, a centinaia: si contorcevano sul mio corpo.

Non avevo paura, anzi, li abbracciavo, li stringevo a me.

Penetravano nella mia carne, senza dolore.

Ah, Orochimaru-sama...

Una pulsazione ritmica, progressiva. Come quella del sesso. Mi agitavo, ma di colpo il mio corpo diventava di gelo.

Niente serpenti. Solo una trapunta umidiccia che mi scivolava dalle spalle nude, lasciandomi a tremare.

Cercavo di aprire gli occhi. Tutto mi ondeggiava davanti. Il mio respiro affannoso mi assordava.

La febbre è troppo alta, sto delirando.

La mia anima gridava, chiamando aiuto. Ma non potevo. Ero io che dovevo aiutare quella statua immota di fianco a me...

Orochimaru-sama, risvegliatevi.

La realtà si scioglieva di nuovo. Gli occhi dei serpenti. Due occhi dorati. La prima carezza che ricordassi in vita mia. Quella di fredde dita.

Un giorno mi avete richiamato dal nulla. Ora sono io che chiamo voi.

Lottavo per riacquistare il controllo di me e continuare la cura...

No, Kabuto. Lasciami cadere. Prima o poi troverò un fondo e oltre... non potrò andare. 

Ero trasalito, con un brivido.

Orochimaru-sama!

Era un'illusione? O le nostre anime si erano toccate? Ma dentro di me potevo sentire la sua voce, come se mi parlasse. Era un sussurro così lontano.

Non ho paura del vuoto...è un luogo che già conosco.

Avevo tremato.

Nemmeno io ho paura del vuoto, signore. Non è vuoto se ci siete anche voi con me. Lasciatemi lottare insieme a voi...

E' la solitudine che ti fa paura, Kabuto? Vuoi essere come me... e hai paura di rimanere solo?

I miei occhi si erano stretti spasmodicamente.

Così tanta paura da rischiare di morire per salvarmi?

Un singhiozzo dalla mia gola.

Non moriremo, signore!... Insieme non moriremo. Non vi lascerò andare, non vi lascerò cadere. Avete... così tante cose da insegnarmi, ancora. Abbiamo un nuovo mondo davanti a noi, da manovrare e conquistare. Abbiamo nemici da eliminare, progetti da portare a termine, esperimenti da fare, nuove conoscenze da raccogliere, e l'immortalità da raggiungere per acquisire tutte le tecniche del mondo...

Una triste risata nella mente.

Immortalità...

Una visione. Sarutobi, la bocca sporca di sangue, con la spada Kusanagi conficcata nel petto. E un sorriso sulle sue labbra esangui.

Orochimaru, mio stupido allievo, diceva, la voce strozzata dalla morte imminente. Cerchi l'immortalità della pietra, ma la vera immortalità è quella della natura... l'albero che muore lascia i suoi semi, e da quelli nascono altri alberi. Tu invece... sei sterile. Un bell'albero senza frutti. Non lascerai nulla dietro di te. Sei veramente morto... nel momento che rifiuti la morte... mentre io che l'accetto in nome dei figli di Konoha... vivrò per sempre in loro.

Un urlo di disperazione mi echeggiava nella mente...

Mi avvinghiavo al mio maestro, sentendolo scivolarmi via.

Orochimaru-sama!

L'avevo urlato, o l'avevo solo pensato?

Un'altra visione, di un grande albero con le radici affondate in innumerevoli cadaveri, riconoscevo Dosu, Kin, Zaku, Yoroi, Tsurugi, bambini, vecchi, uomini forti, ninja, mutanti, nobili, donne graziose, un lago di sangue che nutriva quella creatura, il vento che faceva cantare le foglie, le faceva stormire, le mie mani sulla scabra corteccia, guardavo in alto, verso la luce del sole frammentata da tutti quei rami, da quella forte bellezza in cui si era convertita tutta quell'energia vitale.

E abbracciavo quel tronco immenso.

Non gettate via la vostra immortalità, maestro. Perché è anche la mia. Voglio vivere in voi... per sempre!

Mi aveva risposto soltanto il silenzio, e il fruscio delle foglie era diventato il suono della grandine sulle tegole del tetto...

 

 

 

 

All'alba del giorno dopo, mi avevano destato le porte del tempio che si aprivano.

I nostri ninja? O nemici?

Avevo tentato di muovermi, di allungare una mano al pugnale. Ma tutto quel che ero riuscito a fare era stato aprire gli occhi.

E avevo visto quelli di Orochimaru che mi fissavano.

Maestro!

Non era più la figura appassita della sera prima. I tratti nobili del suo volto si erano coagulati in qualcosa di molto più riconoscibile. Pallido come la luna, con ombre violacee sotto gli occhi semiaperti, quegli occhi che catturavano la luce per restituirla in uno sguardo senza tempo.

Era rimasto perfettamente immobile come l'avevo lasciato, solo la testa era voltata dalla mia parte. Ma era cosciente. La mia mano era ancora sul suo petto, dove l'avevo tenuta per tutta la notte. Sentivo il battito forte del suo cuore.

Avevo sorriso, stremato.

Erano i ninja del Suono che erano entrati, a vedere se fosse vero che il loro signore era ancora vivo. Sentivo passi precipitosi, mormorii sorpresi, esultanti, qualcuno anche scandalizzato, e immaginavo il perché. Ma non mi importava. Non mi importava niente.

Orochimaru mi guardava, e tutto il mondo poteva andarsene all'inferno.

 

 

 

 

Quel che era seguito mi aveva fatto capire perché Orochimaru non avesse mai voluto veramente fare di me il suo vassallo.

I suoi uomini, valorosissimi in battaglia, erano smarriti come bambini. Avevano ripreso spirito a vedere il loro signore vivo, ma aspettavano supinamente ordini, come del resto lo facevano i quattro ninja col Segno Maledetto. E non facevano che fissare il mio maestro, immobile e taciturno.

Io, addossato a una colonna del tempio e con addosso soltanto la trapunta del futon, debilitato dalla febbre e da tutto quel che avevo passato, e con la forza sufficiente appena a parlare, mi ero trovato ad essere la loro autorità.

"Costruite una portantina del tipo Kago, e portate al più presto Orochimaru-sama al sicuro a Otogakure. Mandate in avanscoperta un messaggero, affinché siano pronti. State all'erta perché non è escluso che delle bande di ninja di Konoha non siano sulle nostre tracce per un contrattacco. La protezione... del nostro signore è prioritaria..."

Avevo vacillato, rischiando di crollare. Tayuya mi aveva afferrato per le spalle, sostenendomi.

"Kabuto, dobbiamo portar via anche te. Non ti reggi in piedi."

Avevo scosso la testa.

"Sarei un peso per voi. Resterò qui, e vi seguirò... quando avrò ripreso un poco le mie forze."

Nessuno aveva fatto obiezioni. Per i ninja del Suono, abbandonare un compagno non era un problema.

Mi avevano lasciato la mia sacca, del riso bollito e del cibo secco. E poi se n'erano andati, senza voltarsi indietro. In pochi minuti era stato come se non fossero mai esistiti.

Ero rimasto solo, sentendomi completamente svuotato.

Devo ritrovare le forze. Entro domani dovrò andarmene anch'io, o la situazione per me si farà veramente pericolosa.

Avevo mangiato, a fatica. Ardevo ancora di febbre e la ferita cominciava a suppurare. Dovevo curarmi, o sarei stato in pericolo di vita. L'avevo fatto con le poche medicine che mi erano rimaste. Poi la stanchezza mi aveva vinto, e mi ero appallottolato nella trapunta, lasciandomi andare lì, ai piedi della colonna.

Mi ero addormentato. Un sonno agitato, pieno di incubi. Man mano che la mia energia si ricostruiva, istintivamente faceva reagire il mio corpo. Sudavo.

Pericolo. Pericolo!

Non sapevo più distinguere il sogno dalla realtà. Mi vedevo a combattere contro nemici senza volto, che mi circondavano e ridevano. Li tenevo lontani agitando una kodachi immaginaria. Che pesava sempre di più... finché il mio braccio non riusciva più a reggerla.

"Ehi, guarda qua cos'ho trovato."

Ero stanco. Così stanco da non poter nemmeno più muovermi. Ero impotente, non potevo più difendermi.

Allora una figura mascherata mi afferrava e mi schiacciava a terra...

"No," gemevo, sapendo cosa mi avrebbe fatto. "No!..."

I miei vestiti. Non c'erano più. Mi avevano tolto quel che avevo addosso. Mi contorcevo, nudo, sul pavimento.

Non farlo, Kakashi, non farlo...

"E' un ragazzo. Delira, dev'essere malato. Metto fine alle sue sofferenze."

"Aspetta, Kisame."

Era una voce reale?

Non era quella di Kakashi.

Avevo aperto gli occhi, a fatica. Vedevo dei sandali accanto a me. Piedi maschili dalle unghie laccate. E accanto a quei piedi, qualcosa che sembrava una lama gigantesca, avvolta in bende. E un mantello nero, dall'orlo schizzato di fango, che si confondeva con...

... nuvole rosse.

Il mantello di Sasori? Sto sognando...

"Perché?" una voce scura, aspra. "A che ci serve?"

"Chiediti piuttosto cosa ci fa qui."

"Si sarà rifugiato dalla tempesta..."

"Guardalo meglio. E' ferito."

La lama si alzava, la punta fasciata premeva sul mio fianco. Gemevo di dolore.

"Già. Questo è interessante, Itachi. Un bel taglio."

Itachi?!

Un'altra figura si avvicinava a me, più gracile ed elegante. Si chinava, posando un ginocchio a terra.

"Chi ti ha ferito, ragazzo?"

Ansimavo, cercando di mettere a fuoco le immagini dietro i miei occhiali sporchi. Vedevo un volto scavato, con occhi impassibili, circondato da capelli neri. Portava un coprifronte della Foglia, con un'incisione che lo sfigurava.

"Chi... siete?" avevo chiesto, a fatica.

Un colpo... un calcio al fianco, quello ferito. Mi ero contorto a terra con un urlo soffocato.

"Le facciamo noi le domande!"

E mentre lottavo per riprendere a respirare, avevo sentito una mano delicata e forte sul mio braccio sinistro.

"Ahhh... guarda qua, Kisame. Ha il tatuaggio."

I miei occhi si erano sbarrati. Quel tatuaggio era falso, appena inciso sottopelle, e mi ero dimenticato di cancellarlo.

"Un ninja," mormorava l'uomo con lo spadone, impressionato.

"Già. Un Anbu di Konoha."

"Lo uccido," aveva detto l'uomo con lo spadone, e l'aveva sollevato.

"No." La figura più piccola aveva una voce calma e piena di autorità. Mi aveva messo una mano sotto il mento e mi aveva fatto voltare la faccia. "Forse ha qualcosa di interessante da raccontarci."

I suoi occhi... cambiavano colore! Le iridi passavano dal nero profondo al rosso più cupo...

Un Uchiha!

Era la conferma che quello era proprio il famigerato fratello maggiore di Sasuke.

Itachi, lo sterminatore del clan, un criminale di classe S.

"Che ci fa un Anbu ferito così a nord?" mi aveva chiesto, con voce tranquilla e perentoria.

Aveva lo Sharingan. Sapevo che aveva poteri ipnotici. Se avesse voluto usarlo contro di me, non avrei avuto difese...

La verità. Gli darò quanta più verità possibile.

"Konoha... è stata... attaccata," avevo detto, distogliendo lo sguardo.

"Da chi?"

"In... infiltrati della Sabbia... e... Orochimaru."

"Quel pazzo dagli occhi di serpente?" aveva borbottato Kisame.

"Sono qui perché inseguivo... i suoi uomini in fuga... ma ci hanno teso un'imboscata."

"L'Hokage ha dato un ordine tanto sciocco?"

"Sarutobi-sama... è morto..."

Un silenzio profondo aveva seguito le mie parole.

"Morto? Sei sicuro?" Kisame si era rannicchiato di fianco a me. "L'Hokage è morto?!"

Itachi mi aveva preso di nuovo per il mento, costringendomi a guardarlo negli occhi.

"Sì, Kisame. Il ragazzo ha detto la verità." Avevo visto un'ombra in quello sguardo inquietante. "Chi l'ha ucciso?"

"Orochimaru." Avevo preso fiato. "Ha ucciso il Kazekage e ne ha... preso il posto e poi... a tradimento..."

Non avevo continuato la frase, avevo chiuso gli occhi come per nascondere delle lacrime. Non mi era difficile fingere di piangere, terrorizzato com'ero...

"Incredibile," aveva esclamato Kisame. "Ha decapitato d'un colpo due delle Cinque Nazioni!"

Un lungo silenzio, come per considerare l'enormità dell'accaduto. Poi Itachi si era di nuovo chinato su di me.

"Ragazzo, conosci un genin che si chiama Naruto Uzumaki?"

Naruto! Cosa vogliono da lui?

"Sì."

"E' ancora vivo?"

"Non... lo so. C'era... tanta confusione nel villaggio... gravi danni..."

"E Sasuke Uchiha?"

"Stava... combattendo contro i genin della Sabbia, quando sono partito."

Itachi aveva esitato, sempre fissandomi con quello sguardo cremisi. Poi aveva emesso un sospiro.

"Dunque le cose stanno così..."

Aveva preso la trapunta che Kisame mi aveva strappato di dosso, e mi aveva ricoperto. Un gesto assurdamente gentile.

"In cambio delle tue informazioni, ti lasciamo vivere."

"Itachi," aveva detto Kisame, con rimprovero.

"Che male vuoi che ci faccia, questo ragazzo febbricitante che non ha neanche la forza di mettersi in piedi?"

"Non ti piace uccidere i tuoi ex colleghi, eh?"

Un'alzata di spalle. "In questo caso non ne vale neanche la pena."

Si erano andati a sedere attorno al braciere, e avevo respirato di sollievo.

Mi risparmieranno!

Li avevo guardati, attraverso le palpebre socchiuse, stringendomi addosso la trapunta e cercando di calmare il mio tremito. Avevano abbassato la voce ad un sussurro, ma io sapevo leggere le labbra da ogni angolazione... era parte del mio addestramento di spia.

Dobbiamo modificare il piano. Non possiamo andare a Konoha proprio ora.

No. Saranno tutti in stato di massima allerta.

Speriamo che non abbiano danneggiato il nostro obiettivo!

Questo avremo presto modo di saperlo.

Quel dannato Orochimaru! Cos'ha in mente? Lanciare una guerra totale per conto proprio?

Così intelligente... e nello stesso tempo così stupido. Un fattore in più di cui tener conto.

Hai fatto bene a farmi risparmiare il ragazzo. Sei sicuro che abbia detto la verità?

Sì. Ha anche taciuto molte cose, ma è il suo addestramento di Anbu. Ed è troppo debole per ottenere dell'altro, anche con i miei mezzi.

A questo punto non abbiamo tempo da perdere.

No, infatti. Dobbiamo tornare subito a riferire ciò che abbiamo saputo.

Quando il ragazzo tornerà a Konoha, dirà di averci visto.

Quando e se riuscirà a farlo, l'informazione sarà inutile, perché saremo da tutt'altra parte.

Avevo chiuso gli occhi.

Anch'io sarò da tutt'altra parte... Akatsuki.

 

 

 

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