Kabuto Gaiden II - 新生活 (Shinseikatsu)
Capitolo 2: 罧 (Fushiduke) (Attirare i pesci con un falò)
di Hana-bi
"Una festa!" Orochimaru mi stupiva, quasi danzando per la stanza in un fruscio voluttuoso di seta. Non aveva cambiato il suo aspetto fisico, ma sembrava lo stesso ringiovanito, avvolto com'era in un ricchissimo kimono dai colori caldi, stampato a immagini di serpenti; con la cintura di studiato contrasto, e delle collane simili a rosari buddisti che tintinnavano sul suo petto. Ci giocava con le dita, e avevo notato che si era infilato un anello al mignolo della mano sinistra. Qualcosa in me era trasalito, come se avesse ricevuto una frustata. L'anello. "Non sono sempre stato quel che sono." Il mio maestro si era contemplato allo specchio, sorridendo al riflesso. "Ho ricordi, in questo spirito, che vanno lontano. Sono stato bambino, e poi ragazzo. Ho riso nella mia ingenuità e ho goduto i semplici piaceri delle bancarelle, dei giochi e dei falò d'estate. Ho amato la danza e la musica, quella che profuma di paglia di riso e di saké." Aveva preso un pettine di legno, lisciando la propria capigliatura lucida di olio di camelia e raccogliendola in una molle coda sulle spalle, e allacciandosi il coprifronte col simbolo del Suono. "Ho amato, anche. Nel buio, tra le felci, sotto la luna." Mi aveva guardato, sornione, attraverso lo specchio. "E tu? Hai mai fatto l'amore nei boschi, Kabuto-kun?" "No, signore." Io non ho mai veramente fatto l'amore. Forse una volta... forse in un sogno. Si era voltato verso di me. Mi aveva fissato, con quegli occhi ambrati che sembravano quasi luminosi di luce propria. "Che ci fa Kimimaro nella tua stanza?" Non avevo battuto ciglio: in qualche modo immaginavo che me l'avrebbe chiesto. "L'ho visitato e l'ho sedato, date le condizioni in cui era." Aveva atteso che gli dicessi di più. E vedendo che non parlavo, un sopracciglio si era arcuato, come l'ala di un uccello. "Bene," aveva sospirato. "Togliti quei vestiti da medico. Stanotte devi essere più elegante." "Signore?..." Aveva indicato un pacco di stoffa neroblu. Mi ero chinato a raccoglierlo: era un kimono bellissimo, fatto di una seta leggera come una garza, con gli orli cuciti in filo d'argento. C'era anche il fundoshi che avrei dovuto mettere sotto: una striscia di cotone nero da portare come perizoma. "Su, muoviti. Visto che ci sarai tu al mio fianco, non voglio che mi faccia sfigurare." Un po' a disagio, avevo obbedito. Mi aveva aiutato vedere l'attenzione del mio maestro concentrata nell'atto di mettersi quel cosmetico nero intorno agli occhi, come facevano molti uomini della Sabbia. E cantava, mentre lo faceva: una sommessa canzone d'amore che non avrei mai immaginato di sentire dalla sua voce. Avevo dovuto reprimere un sorriso, mentre le mie dita annodavano impeccabilmente il fundoshi. Poi avevo infilato il kimono: mi dava una strana sensazione sulla pelle, come se non avessi niente addosso... se non un tepore liquido. Quando Orochimaru si era voltato, mi aveva guardato. E poi aveva fatto una smorfia di disappunto. "Vieni qui." Mi ero avvicinato a lui. Quegli occhi, ora perfettamente contornati di nero, erano ancora più magici. Era bello, il mio maestro, in una maniera antica ed equivoca; ogni cosa in lui era misurata, consapevole, raffinata e sensuale assieme. Non era virile né effeminato, era qualcosa al di là delle distinzioni, e sentivo il peso di quel fascino magico che suscitava in me... Avevo sussultato, a sentire le sue mani che si posavano sulle mie spalle, per aggiustare impeccabilmente la linea delle maniche. "Ecco, così va meglio. Hai addosso la pietra che ti ha regalato il Kazekage?" Mi ero posato la mano sul petto. "Sì, è qui sotto..." Un garbato strattone ad aprirmi lo scollo del kimono, fino a mostrarla. "L'eleganza non è sempre ordine perfetto, Kabuto-kun." Quindi mi aveva sfilato gli occhiali. E poi aveva preso la scatolina del trucco, intingendoci il pennellino. "No, signore," avevo mormorato. "È l'usanza locale." "Mi sentirei... ridicolo." "Non è affatto mia intenzione che tu sia ridicolo," aveva sorriso lui. "Ti voglio solo... più affascinante." Per voi? Avrei voluto fare quella domanda e mi era rimasta in gola. L'avevo fissato, implorante. "Orochimaru-sama," avevo mormorato. "Se proprio volete..." Dipingetemi gli occhi, e poi prendetemi. "Perché quello sguardo, Kabuto? Trovi me ridicolo?" "No, signore..." Avevo dovuto lottare per tirar fuori la voce. "Siete bellissimo." La sua mano era salita ad accarezzarmi una guancia. "Sì," aveva mormorato, pensosamente. "Anche tu sei bello, per un palato particolarmente raffinato." Aveva riposto la scatola del trucco, con un sospiro. "D'accordo, ti lascio così come sei, candido e... falsamente ingenuo nella tua squisita riservatezza." La mano era scesa sul mio petto nudo. "Il fuoco che hai dentro... bisogna scoprirlo. Non è vero, Kabuto-kun?" Si era chinato al mio orecchio. "Scoprirlo... e sopravvivere all'esperienza." E si era messo a ridere, rimettendomi gli occhiali sul naso e andando a infilare i suoi sandali laccati. Lasciandomi a tremare nel mio kimono profumato.
Non dovevo preoccuparmi di sembrare troppo appariscente, perché alla festa mi ero trovato circondato da persone con vestiti multicolori sgargianti, tra i quali ero forse l'unica figura vestita di scuro: più che mai ero l'ombra di Orochimaru, la cui sontuosa eleganza attirava invece lo sguardo di tutti. Avevano eretto un palco d'onore sulla piazza, lievemente sopraelevato rispetto al resto del pubblico. A me avevano destinato un cuscino di paglia alle spalle del mio signore, e mi ci ero inginocchiato silenziosamente, notando lo sguardo acuto del Kazekage su di me, e salutandolo con un inchino formale. L'aria era fresca, stranamente calma dopo tutto un giorno di vento. Un grande falò era stato acceso al centro della piazza, nel quale di tanto in tanto venivano gettati legni odorosi; e su un altro palco si stava svolgendo una rappresentazione tradizionale di marionette, accompagnata da un'orchestra di semplici strumenti. Delle donne avvolte in kimono color fuoco avevano disposto accanto a noi dei vassoi di legno laccato, con qualche assaggio di delicatezze e saké caldo. Nulla davanti al Kazekage, che non doveva togliersi il velo e quindi non poteva mangiare in pubblico. Orochimaru aveva raccolto tra le bacchette una minuscola pallina speziata, studiandola e riconoscendo in essa una famosa ricetta della Sabbia. Ma prima che la mettesse in bocca, mi ero affrettato a precederlo nell'assaggio, attivando tutte le mie difese interiori e cercando di farlo senza dar l'impressione di temere del veleno. Sul palato mi era esploso un concerto contrastante di sapori violenti che mi era salito fin nel naso, e per un attimo avevo creduto di esser stato avvelenato... Orochimaru aveva sorriso alla mia espressione, e aveva messo in bocca quella pallina, socchiudendo gli occhi. Per almeno un minuto non aveva mosso un muscolo, assaporando voluttuosamente quei sapori, e poi aveva lodato quella preziosa specialità, riconoscendo la presenza del miele che proveniva solo da un'oasi particolare, celebre per il profumo di certi fiori che vi crescevano. I consiglieri del Kazekage avevano commentato con stupore la finezza del suo palato. Mi ero sentito uno zoticone ignorante, mentre sciacquavo quel sapore con una coppetta di saké. Ma anche quello mi aveva stupito: era fortissimo, quasi violento. Tutto in quella terra era portato dunque all'esasperazione, anche l'aroma del cibo e delle bevande... "Delizioso, vero, Kabuto-kun?" Orochimaru mi guardava, e non sapevo se il suo sorriso mi irrideva gentilmente. "Sì, signore. Veramente delizioso." Un cenno del Kazekage, e le donne avevano aggiunto altri piattini strani sul mio vassoio e avevano versato altro saké invitandomi a berlo. Dannazione! Intanto lo tsukai faceva danzare le sue marionette a ritmo della musica, e il pubblico applaudiva. A Konoha avevo visto uno spettacolo di Ningyou joururi, ma era stato infinitamente più statico, e noioso. Mi ero permesso di chiedere al consigliere del Kazekage qualcosa su quell'arte, e lui mi aveva risposto con condiscendenza che non esisteva altro luogo nel nostro mondo dove gli spettacoli di marionette fossero così amati. Tutto il teatro di Sunagakure era basato su quella tecnica, da generazioni. I più grandi maestri artigiani costruivano marionette raffinatissime... ... adatte anche come armi da guerra, avevo ricordato. E rammentavo Kankurou, il ragazzo dal volto dipinto che faceva parte della squadra di Gaara. Mi immaginavo altri come lui, ninja che in tempo di pace usavano le loro marionette assassine, mosse da invisibili fili di chakra, per divertire i compagni e i bambini, raccontando le storie tradizionali. E mi rendevo conto di quanto disperato fosse il desiderio del Kazekage di far sopravvivere tutto questo. C'è qualcosa di così profondo in questo villaggio della Sabbia... qualcosa che Konoha ha perduto, barattandolo con la sua efficienza, la sua modernità. È forse questo che il mio maestro vuole riportare nel nostro mondo? Questa dura purezza? Un tuono mi aveva fatto trasalire. Non era il cielo, ma un grande tamburo che era stato scoperto all'improvviso, celato da un gran telo in un angolo della piazza. Attorno ad esso erano stati disposti altri tamburi più piccoli, che si erano messi a rullare. La gente aveva acclamato, e si era separata per far passare un cordone di ragazze che si tenevano per mano, tutte vestite di colori fiammeggianti e con i capelli raccolti attorno a spilloni decorati. Era un bello spettacolo: cantavano con voce acuta un inno al fuoco, agitando le ampie maniche dei loro kimono come se volassero sullo spiazzo, e finendo per formare un anello intorno al falò. I tamburi davano il ritmo al loro canto e la gente batteva le mani, ripetendo il ritornello. A un certo punto, sul canto della folla si era ricamato il suono irrealmente forte di un flauto; dozzine di volti si erano levati a cercare la fonte di quel suono armonioso, che riprendeva esattamente la frase melodica del canto... Tayuya! Si era inerpicata sul balcone del palazzo del Vento, in bilico sul davanzale, la testa avvolta da un turbante, e il corpo tatuato provocantemente semiscoperto sotto un kimono mal allacciato. Solo alcuni tratti della sua figura scanzonata erano visibili, mentre reggeva il flauto traverso che le avevo visto sempre portare alla cintura. "Una donna?" aveva mormorato il consigliere di fianco a me, con disapprovazione. Il flauto era uno strumento maschile. Eppure la musica di Tayuya era perfetta. Faceva venir voglia di danzare. Dopo il primo momento di stupore, infatti, la gente aveva continuato a cantare, e i tamburi a rullare, sempre più forte. Alcuni giovani erano entrati a far parte del cerchio delle ragazze attorno al fuoco, e si erano messi a girarci intorno in una danza più selvaggia. E proprio a ritmo con la musica... qualcosa era schizzato verso l'alto, come un fuoco d'artificio; senza rumore si era espanso in una profumata semisfera di luci, fredde scintille che avevano cominciato a piovere sulla gente stupita. "Opera tua?" aveva chiesto il Kazekage a Orochimaru, e aveva teso una mano per raccogliere una di quelle scintille, che si era immediatamente spenta. "Il mio contributo alla festa," aveva sorriso lui, modestamente. E aveva fatto un cenno. "Kidomaru!" Uno dei suoi ninja aveva annuito, e aveva acceso gli altri fuochi di artificio. Altre cascate di luci avevano riempito la piazza, tra gli ooooh! deliziati dei presenti. Anch'io ero affascinato da quello spettacolo: le luci, i profumi, il pulsare del fuoco, la danza, il battito delle mani della gente, il ritmo dei tamburi, il flauto di Tayuya... "È meraviglioso!" avevo mormorato. "È una danza propiziatoria," mi aveva spiegato il consigliere del Kazekage. "Sarà simile alle vostre danze nel paese del Suono..." "Kabuto conosce solo quelle di Konoha," l'aveva interrotto Orochimaru. Il Kazekage l'aveva guardato, perplesso. "Hai preso con te un traditore, dunque?" Mi ero sentito impallidire... "Non è un traditore, perché non è mai appartenuto alla Foglia." Un'occhiata tagliente verso di me. "Per quanto gli abbiano indorato la pillola... per quel villaggio è stato sempre e soltanto un prigioniero di guerra." Quella definizione di me mi aveva trafitto come una coltellata a tradimento. Prigioniero di guerra. Era vero, naturalmente. Nessuno, nemmeno la mia stessa famiglia, aveva mai mancato di farmi notare la mia origine straniera. E sapevo che era a quell'origine che dovevo alcune delle ingiustizie che avevo subìto. Dopo avermi sradicato dal mio mondo, Konoha mi aveva semplicemente concesso la sua pietà, e il diritto di portare il suo coprifronte da genin; appropriandosi peraltro delle mie abilità, dandomi in cambio la sua istruzione che mi avrebbe comunque reso un medico e basta, se non ci fosse stato Orochimaru a ricordarmi che ero anche un ninja. Non avevo debiti con la Foglia, non ero un traditore... Ma per mio padre non sono stato un prigionero di guerra. Sono stato un figlio. Non voluto, un ricordo bruciante era tornato nella mia mente. Di un uomo gentile che aveva raccolto tra le braccia il mio corpo indebolito da settimane di coma, e mi aveva portato fuori dall'ospedale avvolto in una coperta. Io attaccato al suo collo, a guardare stupito quel mondo sconosciuto, quella gente che mi sorrideva con pena, benvenuto, Kabuto, questa è la tua nuova casa... I miei pugni si erano stretti sulle ginocchia. La casa che ho lasciato nel lutto e nella vergogna. Avevo sentito all'improvviso le lacrime agli occhi. Dentro di me, lo sapevo, c'era sepolto il ricordo di un'altra casa. Altre braccia attorno a me. Altri amici. Ma nei miei occhi sarebbe rimasta solo quell'immagine, quella della vita a cui avevo voltato le spalle... "No, giovane ishi-san." Avevo rialzato lo sguardo, a sentirmi chiamare dottore in quel tono semiserio. Il Kazekage mi fissava. "Niente tristezza, oggi; d'accordo?" Gli avevo fatto un sorriso confuso, riprendendo il controllo. "Certo, signore. Nessuna tristezza. La vostra festa è bellissima." "Sono lieto che ti piaccia." Si era voltato verso i danzatori, aveva battuto le mani e aveva fatto un gesto. Alcune belle ragazze erano accorse davanti al palco, inchinandosi. Lui si era limitato a fare un cenno sornione nella mia direzione... E in men che non si dica mi ero trovato circondato da loro, che mi avevano allegramente preso per le braccia. "Cosa volete?" avevo chiesto, sconcertato. "Che tu venga a danzare con noi!" "Ma io... io non so danzare!" avevo protestato, resistendo. "Orochimaru-sama, devo restare accanto a voi e..." "Vai e divertiti," aveva tagliato corto lui, con un sorriso. "La gioventù ha i suoi diritti." Un gesto con la mano. "Via, Kabuto. Via, via!" Le ragazze mi avevano letteralmente trascinato giù dal palco, ridacchiando. Non mi ero immaginato tanto abbandono in quelle fanciulle che mi erano sembrate così severe di giorno: erano bellezze dalla pelle scura e dal corpo asciutto e nervoso, i capelli lucidi che sfuggivano dalle acconciature solenni che si erano fatte. Mi avevano fatto togliere i sandali ed entrare nel cerchio di ragazzi che si tenevano per mano, in quel folle girotondo a piedi nudi intorno al fuoco... Ero imbarazzato, perché tutti mi guardavano: ero decisamente diverso da tutti gli altri partecipanti a quella danza! Così evidentemente straniero. Ma dopo un po' la musica mi aveva catturato e mi ero lasciato andare anch'io, smettendo di vergognarmi della mia goffaggine, e cercando anche di cantare le parole del ritornello, benché non avessi nessuna fiducia nelle mie doti vocali; ma nel clamore generale nessuno ci avrebbe fatto caso. Era la prima volta in vita mia che facevo qualcosa del genere, e l'avevo trovato stranamente inebriante... sentivo il rombo dei tamburi dentro di me, il ritmo delle mani battute. Era qualcosa di magico e sensuale, un rito collettivo che travolgeva le inibizioni, mi ero messo a ridere mentre partecipavo a quel pazzo girotondo attorno al fuoco, prima di accorgermi che c'era qualcosa di strano negli odori che percepivo... Che sta succedendo? Il flauto aveva smesso di suonare. Avevo guardato in alto, per scorgere la sagoma di Tayuya avvinghiata appassionatamente a quella di un uomo accanto a lei. Non avevo idea di chi fosse, se uno dei nostri ninja o uno della Sabbia. Mi ero voltato intorno. Altre coppie si erano formate, figure che si tenevano per mano e scivolavano tra le ombre dei vicoli. C'è tensione erotica nell'aria... quasi un'atmosfera orgiastica. Quasi a un segnale segreto il cerchio dei danzatori si era rotto, e la gente era sciamata intorno alle fiamme. Nella confusione, le due ragazze che tenevo per mano mi si erano appiccicate addosso, e ridacchiando mi avevano sospinto verso il palco dello spettacolo di marionette. "Vieni!" mi sussurravano, così vicine che potevo vedere dentro i loro kimoni in disordine, scoprendo la linea dei loro seni in un modo che mi aveva turbato. Eravamo finiti in una stanzetta polverosa, illuminata da una luce fioca, ingombra di inquietanti parti di marionette, e di altre complete che sembravano uomini impiccati. Non appena la porta era stata chiusa, una delle due ragazze mi aveva sottratto gli occhiali, e l'altra aveva preso a mordicchiarmi il collo, accarezzandomi il petto. "Ehi..." avevo mormorato, stupito da tanta foga. "Che bei vestiti che hai, straniero..." Mi aveva messo le dita sulla cintura del kimono, per slacciarmelo. "E che bella pelle! Sembri una donna..." La sua compagna aveva messo le mani nel posto giusto. "Sembra," aveva ridacchiato. Era chiaro cosa volessero da me. Avevo afferrato per i capelli quella che mi mordicchiava, rovesciandole la testa e baciandola sulle labbra, mentre con una mano le palpavo un seno. Lei aveva mugolato, e poi si era staccata, passandosi il dorso della mano sulla bocca. "Che perverso!" aveva ansimato. "Per un bacio?" Mi sembrava strano dare a me del perverso, mentre la sua compagna era impegnata a slacciarmi il perizoma... ero sussultato piacevolmente, quando ci era riuscita. "Da noi lo fanno solo le... le..." "Prostitute," aveva completato la sua compagna. "Da noi no," avevo detto, infilando le mani tra i loro vestiti. "Ci piace baciare... lingua contro lingua." Avevano ridacchiato. "Lo fate anche... tra uomini?" Mi ero eccitato ancora di più e avevo baciato ancora la prima ragazza. Lei stavolta non si era ritirata. La sua compagna ci aveva guardato, invidiosa, e poi ci aveva diviso quasi a forza. E sotto ai miei occhi esterrefatti... si era messa a baciare l'amica, nello stesso modo. Eh no, questo è troppo! Le avevo rovesciate con me in un mucchio di fondali dipinti da palcoscenico. Avevo alzato i loro kimono, sotto i quali naturalmente non portavano nulla; e le avevo sculacciate a turno, facendole emettere risate e gridolini scandalizzati. Poi mi ero fatto perdonare, baciandole dove le avevo colpite, mentre loro finivano di spogliarmi commentando la durezza dei miei muscoli, e di altre parti del mio corpo. Non avevo neanche notato che fine facessero i nostri vestiti, né avevo fatto caso a quale delle due ragazze avessi trafitto per prima, avendo la faccia affondata tra i seni nudi dell'altra. La piccola stanza si era riempita di ansiti, gemiti di piacere e implorazioni sommesse. "A me, straniero. A me, a me, tocca a me..." E mentre mi agitavo ritmicamente tra quei due corpi nervosi e sudati che premevano deliziosamente il mio, avevo rovesciato la testa all'indietro in cerca di aria... ... per incontrare gli inquietanti occhi di vetro di una marionetta che mi fissavano.
Non doveva esser passato tanto tempo da quando ero entrato in quella stanzetta, ma quando ne ero uscito la situazione era decisamente più calma. Il fuoco cominciava a esaurirsi e molte persone avevano lasciato la piazza. Sul palco delle autorità erano rimasti soli i due capi, che conversavano sommessamente tra di loro: il Kazekage sempre dignitoso nella sua veste bianca e azzurra, e Orochimaru al suo fianco impegnato a fumare languidamente da una pipa col lungo cannello. Mi ero aggiustato alla bell'e meglio i vestiti, riavvicinandomi al palco quasi di soppiatto. "Ebbene, Kabuto-kun?" Mi ero immobilizzato. Naturalmente Orochimaru mi aveva notato, e si era interrotto, per guardarmi con aria sarcastica. "Domando scusa, signore." "Sei sparito dopo la danza, lasciandomi solo. Ti sei divertito?" "Sì, signore," avevo risposto, con un filo di voce. "Alza la testa quando mi parli." Avevo obbedito, imbarazzato. "Non essere troppo severo con lui," era intervenuto il Kazekage, cordialmente. "È la gioventù... ed è un'età meravigliosa. Quanti anni ha?" Orochimaru aveva fatto un sorrisetto, e si era chinato a sussurrare qualcosa al suo orecchio. "Davvero?" Una risata sommessa e si era alzato, con una fluidità di movimento che non mi aspettavo da un uomo così solenne. "Bene, per stasera abbiamo discusso abbastanza. Voglio riflettere su quanto mi hai detto." "Rifletti pure," aveva detto Orochimaru. "Ma... non troppo a lungo." Aveva alzato lo sguardo. "Il tempo stringe." "Lo so." E se n'era andato, mentre tutti i presenti si inchinavano, me compreso. Orochimaru era rimasto solo sulla pedana, fissando il fuoco. Ero salito da lui, inginocchiandomi alle sue spalle, e chinando la testa. "Perdonatemi, signore," gli avevo sussurrato. Avevo intravisto un sorriso remoto sulle sue labbra. "E di che? Tutto è andato... magnificamente." Aveva aspirato voluttuosamente la sua pipa, soffiando il fumo aromatico nell'aria. "Abbiamo concordato gli ultimi dettagli dell'attacco. La Sabbia ci darà tutto il supporto di cui abbiamo bisogno, secondo il piano originale." "Quali sono i vostri ordini?" Si era voltato a guardarmi, con una smorfia. "Innanzitutto fai un bagno, sei in uno stato deplorevole." Era tornato a fissare il fuoco. "E poi preparati a vegliare. Credo che dovrai lavorare per me, stanotte." Un brivido di adrenalina. "Sì, signore." "Mi manca ancora una piccola informazione, e tutto sarà perfetto... questo cocciuto Kage della Sabbia è dibattuto tra la necessità di fidarsi di me, e l'istinto che gli dice di non farlo." Un sorriso. "Come se avesse scelta, al punto in cui è." "Gli eventi sono ormai inarrestabili," avevo annuito. "Tra poco Gaara affronterà Sasuke Uchiha." "E il mio Sasuke, armato col suo nuovo Segno Maledetto, sarà un innesco perfetto per scatenare la furia distruttiva del Jinchuuriki." "Signore, ma... se fossi riuscito a rapire Sasuke, chi avrebbe preso il suo posto a questo scopo?" "Dosu Kinuta, il mio ultimo genin rimasto in gara... quell'uomo dal volto mascherato che ti ha colpito all'orecchio." "Non avrebbe resistito che pochi secondi contro Gaara!" "Sì... se fosse stato veramente Dosu Kinuta. E se fosse stato invece qualche altro dei miei ninja? Per esempio, uno che non avesse nulla da perdere, e che non avesse più nulla da offrirmi, assolutamente devoto e... anche lui con la forza del Segno Maledetto?" Ero ammutolito. Kimimaro? "Non mi sono mai affidato a una carta sola per vincere le mie partite, Kabuto. Gaara perderà il controllo in Konoha, e questa è una certezza. Sarutobi non avrà scelta che immolarsi o immolare i migliori dei suoi per sigillare lo Shukaku, e anche questa è una certezza. E nel frattempo Suono e Sabbia devasteranno il suo villaggio, e questa è un'altra certezza. E dopo Konoha... toccherà alla Sabbia mostrare la gola al mio coltello, perché il villaggio più forte al mondo sarà il mio." Un sorriso duro."E questa è l'ultima delle certezze." E con un abile colpo di polso aveva gettato dal palco la brace della sua pipa, mandandola a spegnersi nella polvere.
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