Kabuto Gaiden II - 新生活 (Shinseikatsu)
Capitolo 1: 骨身 (Honemi) (Carne ed ossa)
di Hana-bi
Kaze no Kuni. Il Paese del Vento. Meritava il suo nome. Il vento era ovunque. Orochimaru era radioso, mentre fissava la distesa color ocra dallo sperone di roccia su cui ci eravamo inerpicati. Sotto il mantello ricamato con i nove tratti del kanji oto, vestiva una semplicissima uniforme da shinobi color indaco, una bandana a trattenere i capelli neri che svolazzavano dietro di lui. Un cordone artisticamente annodato gli serrava la veste alla vita; lo stesso cordone che portavano tutti i suoi uomini. Tranne me. Avevo una promessa da mantenere verso mio padre. Così avevo mantenuto la fusciacca Yakushi sopra i miei abiti, e Orochimaru aveva sorriso concedendomi quel privilegio davanti alle facce scure dei suoi fanatici ninja. Kabuto è speciale. Quel che avevo provato a sentirmi dire quelle parole da lui mi ricompensava di tutto. Tutto quel che ho perso diventando un nukenin. Se ripensavo alla mia rocambolesca fuga da Konoha, mi sembrava di aver vissuto in una dimensione irreale. Avevo compiuto l'impossibile in un flusso pazzo di puro presente, fingendo di voler raggiungere le mura per scavalcarle e invece infilandomi nell'antica rete dei cunicoli, ritrovando quello che portava alla torre della Foresta della Morte. Da lì mi ero lanciato in territorio selvaggio, dirigendomi a nord tra pericoli naturali e trappole degli uomini, tallonato dai cani degli Inuzuka e dai segugi magici di Kakashi, e da una torma di guerrieri Anbu decisi a prendermi ad ogni costo. Quella corsa contro la morte era finita ai confini del Paese del Fuoco, dove gli inseguitori avevano dovuto fermarsi. Gli uomini di Orochimaru mi avevano raccolto, completamente sfinito; e mi avevano portato di peso dal loro padrone, che mi aveva guardato corrucciato. Dov'è Sasuke? Avevo chinato il capo, confessando il mio fallimento. Gli avevo raccontato dell'intrusione di Kakashi nei miei piani, del mio duello contro lui e della fuga. Quando avevo alzato la testa avevo visto balenare una luce sinistra in quegli occhi. Mi hai deluso, Kabuto. Avrai la tua punizione, te lo prometto. Avevo tremato. Ma non adesso. Ogni cosa a suo tempo. E mi aveva affidato ad un gruppo di strane ragazze, bellissime e vuote come bamboline, che si erano date da fare per ristabilire in fretta le mie forze. Le loro mani gentili mi avevano spogliato, lavato, medicato, nutrito con abbondante cibo fresco e sano; poi mi avevano massaggiato i muscoli indolenziti, mentre una di loro pizzicava le corde di uno shamisen traendo una eterea melodia. Era uno scorcio di paradiso sensuale di cui non avevo avuto la forza di approfittare... mi ero addormentato in grembo a una di quelle fanciulle, troppo esausto anche solo per pensare. Il giorno dopo avevo indossato per la prima volta il mio nuovo coprifronte del Suono; ed ero stato presentato a tutti come assistente del signore e capo del suo servizio di informazioni. Una posizione che non mi garantiva certo la benevolenza tra i suoi uomini, ma almeno il rispetto. Kabuto, l'ombra di Orochimaru. Non avevo avuto nemmeno il tempo di conoscere la mia nuova patria, e assestarmi nella mia nuova vita: i piani di battaglia incalzavano. Di lì a meno di un mese ci sarebbe stata la prova definitiva dell'esame di chuunin, alla presenza delle autorità di tutto il nostro mondo; ed era in quell'occasione che il nuovo villaggio del Suono avrebbe fatto perdere la faccia a Konoha. Con la collaborazione del suo vicino più potente. Avevamo raggiunto il villaggio della Sabbia dopo un viaggio sbalorditivamente veloce, cavalcando immensi serpenti magici evocati dal mio maestro tramite sacrifici umani: un'esperienza sconvolgente, una dimostrazione di potere che mi aveva lasciato senza parole. Orochimaru è un dio; o almeno, la cosa più simile a una divinità che io abbia mai conosciuto... Ed ora eravamo lì, su quella cresta di roccia bruciata dal sole, così diversa dall'oceano verde in cui ero cresciuto. "Guarda, Kabuto. Non è una vista meravigliosa?" Seguivo il suo sguardo, vedendo una cerchia di mura di pietra digradanti a difesa di quello che da lontano sembrava un mucchio di anfore gettate a caso nella sabbia. Non esistevano angoli nell'architettura di Sunagakure, come se il vento avesse smerigliato sistematicamente ogni cosa che sporgesse più di un'altra. "Così pieno di rabbia, questo luogo." Tanti paesi più fortunati, freschi e umidi; e questo così sterile e inospitale. Solo un senso di superiorità nelle armi poteva motivare l'orgoglio dei ninja della Sabbia; ma la guerra segreta era stata una dolorosa disillusione per loro, quando si erano scontrati con quelli che avevano creduto i molli guerrieri viziati di Konoha. Sakumo Hatake, il padre di Kakashi, aveva impartito loro una dura lezione; ma la più umiliante l'avevano avuta dai tre Sannin, che avevano da soli vinto tre battaglie con l'ausilio delle loro creature magiche. Alla fine la Foglia e la Sabbia avevano firmato un trattato di pace, che valeva solo la carta su cui era scritto: era una tregua tra due comunità che non avevano avuto più la forza di nuocersi a vicenda. Con la guerra. In realtà ora è la pace che ora sta distruggendo Sunagakure. "Per unirsi a noi contro Konoha, questo villaggio dev'essere proprio alla disperazione," ridacchiava Orochimaru, come se avesse sentito i miei pensieri. "Quando qualcuno è disperato commette sempre qualche sciocchezza," avevo mormorato. "Infatti," aveva annuito lui, la faccia nel vento.
Ci eravamo presentati alle porte di Sunagakure in un piccolo gruppo, non più di una ventina di persone in tutto. Niente più di una delegazione, dunque, anche se tra di noi c'erano i cinque ninja speciali, in possesso del Segno Maledetto. Valevano da soli un esercito, ma Orochimaru aveva ordinato loro di mantenere un atteggiamento dimesso e inoffensivo... a meno che non fossimo stati traditi. Li avevo visti agitarsi, ma il loro capo li aveva piegati all'obbedienza con un solo sguardo. Era un bel giovane pallido dall'aria sofferente, totalmente vuoto di ogni pensiero che non fosse una fanatica devozione verso il Sannin, a paragone della quale anche la mia adorazione era solo impertinenza. Kimimaro? E' l'unico che non ti odia, Kabuto. Perché è l'unico a cui posso ordinare di non farlo. Avevo alzato le sopracciglia, pensando che uno così non fosse umano, e che io ero diverso. Un corpo meraviglioso, con abilità uniche al mondo... peccato che queste sue peculiarità lo stiano uccidendo: è l'unico dei miei soggetti che stia subendo una reazione di rigetto al Segno Maledetto, ritardata e irreversibile. Non lo userò ancora per molto, e lui lo sa. Mi consolava sentire che il mio maestro parlava di Kimimaro come un oggetto. Oh, avevo altri progetti per lui... ora dovrò passarli su Sasuke Uchiha. Un'occhiata tagliente verso di me. Se qualcuno non interferirà nei miei piani. Avevo indovinato il senso di quell'occhiata. Cosa c'era dentro quella siringa, Kabuto? Non mi aveva mai rivolto quell'esplicita domanda. E speravo che non me la facesse mai. I ninja della Sabbia ci avevano accolto come ospiti onorati, ma senza entusiasmo. Poco era mancato che pretendessero di disarmarci, e non l'avevano fatto solo perché era vano sperare di renderci inoffensivi. La loro guardia d'onore ci aveva circondato, scortandoci per il villaggio con le mani sulle spade e sorvegliando i nostri movimenti. Avevamo camminato in mezzo a strade desolate e silenziose, tra volute di polvere; i rari passanti erano vestiti in maniera monacale: non si distinguevano gli uomini dalle donne. Tutto dava un'impressione severa e ostile. In mezzo al villaggio sorgeva una costruzione simile a un gigantesco orcio panciuto, dalle minuscole finestre rotonde come oblò, e il kanji del Vento dipinto in azzurro: si elevava sulle case circostanti come una madre sui figli. Era la versione locale del Palazzo del Fuoco di Konoha, il cuore di Sunagakure, e aveva un'aria cruda, quasi brutale. Ma entrandovi, avevo scoperto che era un ambiente meno spartano di quanto non apparisse al di fuori: rivelava un'abilità costruttiva notevole e uno stile esotico e raffinato, segno che quel villaggio dall'aria così squallida aveva avuto un passato glorioso. Ci avevano introdotti in una grande sala dal pavimento rivestito in legno ben lucidato, dove il Kazekage e i suoi consiglieri ci attendevano. Orochimaru aveva già concordato ogni dettaglio della riunione. Il suo seguito era rimasto in fondo alla sala, assieme alla scorta armata. Solo io avrei dovuto accompagnarlo, come suo braccio destro: qualcosa che mi aveva grandemente inorgoglito. Ascolta, Kabuto. Cortesia, efficienza, e rispetto delle forme. Nervi saldi e buone maniere. E attenzione totale e silenziosa. Ricorda che un errore può avere grandi conseguenze: non è detto che ci troviamo in mezzo ad amici. Ho fatto la guerra contro questa gente. Hanno temuto il mio nome e ho ucciso i loro padri. Le loro spade invocano il mio sangue, e solo il vantaggio che sperano di ottenere li ha convinti a questa alleanza. Era avanzato baldanzosamente, con passo elastico da ragazzo, verso il cuscino che gli avevano preparato sulla bassa pedana che dominava la sala. Gli ero andato dietro a debita distanza e a testa bassa, inginocchiandomi poi ai piedi della pedana, in posizione subalterna. Uno scambio di inchini col seguito del Kazekage e mi ero immobilizzato, un anonimo mucchio di stoffa impolverata col cappuccio del mantello calato fino agli occhi. E da quella posizione avevo studiato il signore della Sabbia. Era un uomo maestoso, avvolto in una veste ampia bianca e azzurra, col cappello conico del Kage ornato dal simbolo della sua patria e un velo avvolto alla parte inferiore del viso: la tradizione era che nessuno potesse vederlo in faccia. Sapevo che era stato un antico nemico del mio maestro, e che aveva passato la cinquantina: ma i suoi occhi erano vivi e affilati; e come molti uomini del suo villaggio, li contornava di nero con una sorta di cosmetico all'antimonio. Aveva salutato Orochimaru con una voce scura, profonda. E aveva ordinato di servirgli il té, cosa che era stata fatta immediatamente da una donna tatuata. Il mio maestro l'aveva accettato, spostandosi i capelli sulle spalle e raccogliendo le gambe sotto di sé, in una posizione quasi femminile. Aveva preso la sua tazza con gesti precisi, centellinandola tra le lunghe dita; e aveva iniziato a parlare, in tono basso e morbido. I due capi avevano rinnovato i ricordi della guerra passata che li aveva visti acerrimi avversari, con una cordialità intrisa di reciproca diffidenza. Dai gesti e dalle parole, mi sembrava evidente che il signore della Sabbia avrebbe preferito allearsi con chiunque piuttosto che con un ex nemico indisioso come Orochimaru: ma non aveva scelta. "I nostri ninja devono ormai vendere la loro spada per una tazza di riso," si lamentava. "E andare sempre più lontano, in luoghi da cui troppo spesso non tornano più. La Foglia ci ruba tutti gli incarichi, anche quelli del nostro stesso daimyo! Mantiene i prezzi più bassi dei nostri perché ha tanti shinobi. E noi sempre di meno." "Questo perché Konoha ha un sistema scolastico efficiente," spiegava il mio maestro. "Così addestra un gran numero di bambini, mentre voi seguite la tradizione e trasmettete il mestiere per via familiare." "Questa è la via dei ninja!" esclamava uno dei consiglieri. "Già, ma così basta che un capoclan muoia in missione, e una linea di shinobi si interrompe per sempre. Pochi contratti, poca ricchezza; perché a parte i servigi dei ninja Sunagakure non ha altre risorse... se non qualche minerale e pochi manufatti, e quel che producete di alimentare basta a malapena a sostentare voi stessi. Così le case si svuotano, una ad una, e il vostro tasso di produzione di nuovi guerrieri cala ulteriormente. Non è servito nemmeno ripristinare gli antichi usi poligamici per avere più discendenti..." Un'occhiata maliziosa al Kazekage. "Se non l'hai fatto per accontentare invece la tua celebrata lussuria." Lui era esploso in una risata secca e acida. "È il mio karma, Orochimaru. Godermi i piaceri del cuscino e avere molti figli." La risata si era interrotta. "E vederli morire, o doverlo... sperare." Nella memoria avevo rivisto lo sguardo vuoto del ragazzino con capelli rossi, quello che aveva affermato di uccidere per esistere. Gaara. Il mio maestro mi aveva raccontato la sua storia, durante il viaggio. Molti anni prima il Kazekage aveva dovuto affrontare la minaccia del demone a Una Coda, Shukaku. Per fermarlo aveva sacrificato il suo ultimo nato e sua madre. La donna era stata immolata in un rito arcano, e il piccolo era diventato un Jinchuuriki. Il bambino si era dimostrato da subito una creatura instabile, pericolosa, con un potere istintivo di controllo della sabbia che lo rendeva pressoché invulnerabile. Ma il controllo non era cosciente, e bastava un'emozione qualsiasi a scatenare quel potere in maniera distruttiva. Dopo alcuni gravi incidenti nel villaggio, la gente aveva preso a temere ed isolare il bambino, che era stato lasciato solo a crescere con l'unica compagnia della sabbia e di uno zio, quest'ultimo con l'ordine di ucciderlo nel caso che diventasse troppo pericoloso. E alla fine era toccato invece allo zio essere ucciso, nel momento che il potere istintivo del fanciullo aveva percepito l'intento omicida. A quel punto la natura psicotica del Jinchuuriki era diventata un problema serio per il villaggio. E mentre il Kazekage si arrovellava a pensare a come eliminare il proprio stesso figlio, Orochimaru aveva fatto la sua proposta di alleanza. Il nuovo villaggio del Suono e quello della Sabbia avrebbero ridimensionato severamente la Foglia, riportando in equilibrio i potentati ninja come in passato. Non una lunga guerra segreta, ma un solo rapido attacco in modo che a tutti gli altri stati non restasse che accettare il fatto compiuto. I contratti sarebbero di nuovo stati distribuiti anche al di fuori di Konoha e Sunagakure avrebbe riconquistato una speranza di futuro. In quanto al Suono, avrebbe esteso la propria influenza territoriale sull'ampia zona a nord del Paese del Fuoco. O almeno questo è ciò che Orochimaru ha fatto credere ai suoi interlocutori. Il piano era molto semplice: Konoha avrebbe aperto il suo esame per diventare chuunin ai ninja degli altri paesi, secondo il progetto diplomatico di Sarutobi. La Sabbia avrebbe mandato il ragazzetto in una squadra, come un genin qualsiasi. E in questo modo avrebbe semplicemente esportato il pericolo nel cuore stesso del villaggio nemico. Pronto a scatenarlo al momento dell'attacco finale. "Povera Konoha," sogghignava Orochimaru. "Proprio quando si renderà conto che l'ingenuo sogno di pace di Sarutobi è finito, balzerà alla difesa contro di noi...per essere devastata dall'interno." "Rivivranno l'incubo dell'attacco del Nove Code!" Il Kazekage era divertito all'idea. "Quale forza potrà mai fermare un Jinchuuriki?" "Ahhh... solo un altro Jinchuuriki." La risata del Kazekage si era interrotta di colpo. "Esiste?" Naruto Uzumaki... Orochimaru si era rivolto brevemente verso di me. "Che dici, Kabuto-kun? Esiste un altro Jinchuuriki a Konoha?" Stavo per rispondere d'impulso... ma avevo ricordato la lezione della mia vita intera. Dissimula. "No, signore," avevo mormorato. "Non esiste." Gli occhi del Kazekage si erano posati su di me, come se la mia voce gli avesse finalmente fatto notare la mia presenza. "Chi è questo tuo sottoposto?" "Kabuto?" Orochimaru aveva fatto un gesto distratto con la mano. "Oh... il mio medico personale." "Un medico, eh?" Di colpo aveva allargato le braccia, facendo svolazzare le ampie maniche della sua veste. La mano destra era apparsa, con due dita tese e rigide cariche di chakra. Kimimaro e i suoi quattro ninja erano scattati in piedi. "L'Arte del Vento!" Dieci spade erano uscite a metà dai foderi... Ma io ero rimasto perfettamente immobile: ero troppo vicino alla scena, avrei potuto violare le regole dell'incontro e provocare una reazione non voluta. Fissavo attentamente il mio maestro, non la minaccia davanti a lui. Dalle sue reazioni avrei capito se avrei dovuto intervenire. E lui non aveva battuto ciglio. Guardava la scena con aria languida, vagamente interessata. "Sempre un piacere vedere un maestro come te all'opera." "Non ti chiedi a che scopo?" "Non certo uccidermi," aveva sorriso lui. "Per quanto... so benissimo che non ti fidi di me, e che ti illudi che ora che Gaara è a Konoha tu non abbia più bisogno del mio aiuto." "Forse sei tu che pensi di non aver più bisogno di me," aveva risposto il Kazekage. "Una piccola prova mi chiarirà quanto sei sincero." Aveva alzato l'avambraccio sinistro per far scivolare indietro la manica. E senza battere ciglio, si era sfiorato il polso con le due dita della mano destra. La pelle si era separata immediatamente, come se avesse usato un bisturi. E il sangue scuro era uscito mollemente, colando e cadendo a grosse gocce sul prezioso tappeto. I suoi consiglieri attorno a lui avevano emesso un mormorio di sgomento. "E adesso, Orochimaru, ordina al tuo medico di curarmi questo graffio." Ero trasalito. Mi crede qualcos'altro! Il mio maestro l'aveva guardato, ad occhi stretti. E aveva ridacchiato. "D'accordo. Kabuto-kun, guariscilo." Mi ero inchinato in segno di assenso, quindi mi ero rialzato ed ero salito sulla pedana, con movimenti lenti e controllati, inginocchiandomi davanti al Kazekage e gettando all'indietro il cappuccio del mio mantello. I suoi occhi truccati si erano dilatati lievemente. "Sei... giovane!" Gli avevo sorriso lievemente e mi ero tolto i guanti, sempre con movimenti molto lenti, posandoli di fianco a me. "Prego, signore. Datemi il vostro braccio." I consiglieri avevano mormorato tra di loro, e uno era avanzato fin quasi ad affiancarsi al Kazekage. "Signore, questo straniero è pericoloso. Non lasciatevi toccare da lui!" "Oh, non siamo scortesi," aveva risposto lui, facendo un cenno. "E' una prova di fiducia verso i nostri nuovi... alleati." Uno dei suoi ninja si era messo al mio fianco. Lentamente, aveva estratto dal fodero la katana. Mi ero immobilizzato, i capelli che mi si drizzavano sulla nuca. "Procedi," mi aveva invitato il Kazekage, con maligna gentilezza. "Non aver timore." Avevo visto con la coda dell'occhio l'uomo al mio fianco alzare la spada. Un movimento falso, un errore, e mi avrebbe staccato la testa. Per un istante avevo spostato lo sguardo sul mio maestro. Mi fissava con un sorriso vagamente eccitato: gli piaceva vedermi sul filo della morte... Avevo provato un brivido di calore segreto. E a me piace che mi guardi mentre la sfido. Anche il Kazekage mi studiava, intensamente. C'era una tensione quasi sensuale nel suo sguardo: voleva vedere come mi sarei comportato sotto quella minaccia. L'avevo ignorata, ostentando un'assoluta serenità. Avevo unito le mani in grembo, cominciando a raccogliere la mia energia, rallentando il respiro. Quindi avevo formato la sequenza dei sigilli che Orochimaru mi aveva insegnato, pronunciando a fil di labbra i loro nomi in una sorta di mantra. E le mie mani cariche di energia avevano circondato lentamente il braccio ferito del signore della Sabbia, senza toccarlo. Sigilliare i capillari... ricostruire le cellule... moltiplicazione. Era facile. La ferita era più superficiale di quel che sembrava. Le fibre muscolari erano intatte. Contando lentamente fino a cinquanta, avevo ritirato le mani, posandole sulle ginocchia e respirando profondamente. "Ho finito, signore." "Acqua!" aveva ordinato. Immediatamente un servo l'aveva portata, assieme a delle pezzuole pulite. Il Kazekage aveva teso il braccio verso di lui per farselo lavare. Un mormorio stupito si era levato intorno a noi: la ferita era suturata, meglio che con dei punti. Solo una riga biancastra rivelava il tessuto appena riformato. Nessuna traccia di sanguinamento. Il Kazekage se l'era guardata, con compiacimento, e aveva ridacchiato. "Dunque è vero, sei proprio un medico. E anche un ragazzo dai nervi saldi, a quanto ho visto." "Sono un ninja, signore. La morte è la mia vita." Di nuovo mi aveva fissato, con una strana intensità. "Ben detto. La morte è la vita di ogni ninja. Ma è stato bello vederti mentre la sfidavi." Si era sfilato dal collo una stringa di cuoio, a cui era legata un'adularia dalla forma irregolare. "Un medico deve essere pagato per i suoi servigi. Questa pietra di luna ha il colore dei tuoi capelli, ed è stata scolpita dal vento del deserto. Te la dono in ricordo di questo momento." Mi ero voltato verso Orochimaru. "Accettala," aveva ordinato lui. "Grazie, Kazekage-sama." Avevo raccolto la pietra tra le mani nel gesto di riconoscenza, e me l'ero messa al collo. E in quel momento Orochimaru aveva fatto una cosa che non mi aspettavo assolutamente. Era scivolato con un fruscio di vesti dietro di me, come un bambino curioso, posando una mano sulla mia spalla sinistra, e circondandomi con il braccio destro. "Fammi vedere, Kabuto-kun." Era un gesto di confidenza fisica che non mi aveva mai fatto in pubblico... i miei occhi si erano dilatati in un'espressione sorpresa. "Ahhh... il riflesso di questa pietra è affascinante," aveva mormorato lui, con voce roca, quasi al mio orecchio. "Ed è vero, ha il colore dei tuoi capelli..." Orochimaru-sama! Ero rimasto immobile, turbato da quel contatto, da quella vicinanza. Lo sentivo incombere dietro a me, quasi avvolgendomi. Le sue dita bianche accarezzavano la pietra, come per goderne la perfetta superficie liscia; e così sfioravano il mio petto. Cercavo di mantenermi impassibile, ma la faccia mi ardeva... Avevo guardato davanti a me, imbarazzato. E avevo visto gli occhi del Kazekage stringersi in un sorriso innegabilmente malizioso.
Il tramonto, a Sunagakure, era spettacolare. Bande di polvere soffiata in alto dai venti si tingevano di vividi colori in un cielo di cristallo. E il villaggio che mi era sembrato tanto desolato si svegliava alla vita, ora che il sole spietato era scomparso oltre l'orizzonte. Le case si erano riempite di luce e le strade di lampade multicolori. E la gente aveva preso a camminare per le vie, il loro chiacchiericcio gaio saliva fino a me. "Che posto schifoso." Tayuya, una dei ninja col Segno Maledetto, guardava con me lo spettacolo dal parapetto. "Ha la sua bellezza," avevo replicato. Ruvida, dura; ma ora la comprendevo. E mi chiedevo se era una terra come questa, la casa del mio vero clan, e non le verdi distese in cui ero vissuto... "Per quanto tempo il signore ci terrà in questo buco di culo?" "Smettila," aveva detto Jirobo, un massiccio guerriero capace di una forza sovrumana anche senza usare il proprio marchio. "Non sta bene che una signora parli così." "Muori, ciccione di merda!" Tayuya si era avvicinata a me, premendo maliziosamente il suo fianco contro il mio. "Parlo come mi pare. Vero, dottore?" "Lascialo stare," aveva brontolato Jirobo. "Gli ordini del signore li sai." "Già... nessuno di noi deve toccare il suo coniglietto grigio." Un sorrisetto melenso. "Ma se non è impegnato a scaldare il letto del signore... potrebbe passare per la mia stanza e scaldare il mio." Le sue dita erano salite a spostarmi una ciocca di capelli. "Un po' di carne fresca per la povera Tayuya, sempre costretta a sbattersi dei brutti mostri..." "Ora basta, Tayuya!" La voce di Kimimaro alle nostre spalle l'aveva raggelata. "Via, tutti. Dovete prepararvi per la festa di stasera. Farete da scorta al signore Orochimaru." Mi ero voltato verso di lui. "Festa?" Aveva annuito. "Siamo giunti in occasione di una ricorrenza, e il villaggio la trasforma in una festa in nostro onore." Aveva atteso che i suoi quattro ninja uscissero. "Devi aiutarmi, Kabuto-san. Vorrei essere anch'io al fianco del signore Orochimaru..." Mi ero accorto che tremava. "Vieni nella mia stanza," gli avevo mormorato, comprendendo. Ero stato alloggiato in una minuscola ma confortevole camera a lato di quella più lussuosa destinata al mio maestro. Mi avevano fornito di un semplice futon steso su un sostegno rialzato, e su quello avevo fatto stendere Kimimaro, dopo averlo fatto spogliare. Era bello. Bello da togliere il fiato. Quasi disumano nella perfezione della pelle e delle proporzioni. Una fredda statua d'alabastro con lo sguardo fisso al soffitto, un tempio abbandonato da qualche divinità. "Aiutami a vincere il dolore, Kabuto-san. Almeno per stanotte." Avevo fissato il marchio che gli adornava il petto... il Segno Maledetto della Terra, la controparte dei tre tomoe di Sasuke. "Devo saperne la causa, prima." Un vago sorriso. "Non posso darti un farmaco adatto o agire senza sapere cosa ti sta succedendo." Mi piaceva, quella sensazione di potere su tutta quella forza, quella bellezza... Kimimaro aveva spostato lo sguardo a me, implorante. "Non dire nulla al signore Orochimaru." "No, certo." Avevo posato le mani su di lui, introducendo gentilmente... avidamente il mio chakra. Avrei imparato molto dall'esame di quel corpo. "Il tuo Wei Qi è praticamente azzerato. E i tuoi muscoli sono sul filo della contrattura spastica. Che succede alle tue ossa?" "È la mia abilità innata. Io posso creare altre ossa nel mio corpo ed estrarle come armi. Posso anche modificarle col pensiero. Ultimamente però sento come se... il mio potere volesse prendere il sopravvento dentro di me. Devo lottare contro di esso per non creare ossa inutili e consumare la mia energia, e costringermi ad estrarle..." Avevo alzato un sopracciglio. Disgustoso! "Dunque è questo che ti tormenta," avevo detto. "Se ti lasci andare... vieni ucciso dal tuo stesso potere." "Morire non mi interessa," aveva replicato lui. "Ormai vivere per me non ha più senso. Ho deluso le aspettative del signore Orochimaru: dovevo essere l'indegno contenitore del suo spirito..." Contenitore? "Sono stato cercato, trovato e allevato per questo scopo. E ora... sono solo un corpo inutile." Nella mia mente tanti dati si univano uno all'altro. Il Segno Maledetto. Il corpo perfetto. "La nobile anima che speravo di ospitare in me... quale scopo poteva essere più alto, per l'ultimo sopravvissuto del clan Kaguya? Ma è stato tutto un sogno dentro un sogno. E ora Orochimaru cerca un altro corpo come sua casa, uno che abbia abilità innate come me. Voglio vivere abbastanza per aiutarlo a trovarlo, Kabuto-san. Voglio che trovi il migliore che esista al mondo." "Oh sì. Il migliore, senz'altro." Sasuke Uchiha. "E tu mi aiuterai a restare al suo fianco." Quasi un ordine. Avevo sorriso a quel bel fanatico. "Voltati." Aveva obbedito prontamente. Le mie dita avevano percorso la curva della sua spina dorsale. Potevo sentire quasi fisicamente l'eco del dolore terribile con cui quel ragazzo doveva convivere. "Da quanto tempo non dormi, Kimimaro?" "Un vero sonno? Ho dimenticato il significato di quella parola..." Avevo attivato il mio chakra, formando i sigilli col sorriso sulle labbra. "Forse è il caso che la impari di nuovo." E di colpo avevo introdotto la mia energia nel suo midollo spinale. "No!" aveva esclamato lui, trasalendo. "Non voglio dormire! Voglio stare... a fianco del signore..." "Ci sono già io, a fianco del signore." Forse solo in quel momento Kimimaro si era accorto dell'errore che aveva commesso. "Non c'è spazio per te, stasera." La mia energia ascendeva prepotentemente, bloccando via via tutti i gangli: la tensione in lui era tale che bastava alterare un percorso nervoso perché i muscoli collassassero uno a uno. "Orochimaru non ha bisogno di un eroe moribondo, un essere che rischia in ogni momento di trasformarsi in un ributtante ammasso d'ossa. Vuoi che perda la faccia davanti a questa gente, mostrando che la sua sicurezza dipende da un... patetico ammalato?" L'avevo sentito tremare. Resisteva. "Su, su... rassegnati. Lo dico per il tuo bene. Domani starai meglio. Ma adesso sei stanco, terribilmente stanco. Convinto che la volontà basti per tutto. Ma non è così, come vedi... dalla gloria del tuo Segno Maledetto sei sprofondato in quest'inferno di esistenza, e questo a prescindere dalla tua preziosa volontà. Stanotte dormirai perché io lo voglio. Io, Kabuto Yakushi, il nuovo braccio destro del signore Orochimaru." Un sorriso. "E a lui dirò... niente di più di quanto già non sappia." Cioè, che per te è finita. Un rapido frugare tra le siringhe pronte nella mia borsa alla cintura, e avevo piantato l'ago nella natica inerte di Kimimaro. Era appena trasalito. "Sogni d'oro," gli avevo sussurrato, soavemente. E mi ero spogliato.
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