Kabuto Gaiden

 

Capitolo 12: 変遷 (Hensen) (Cambiamento)

 

 

di Hana-bi

 

 

 

Ci eravamo ritrovati in una sala dall'alta volta, davanti a una piattaforma sopraelevata dove troneggiava una rappresentazione simbolica dell'arte ninja: due gigantesche mani di stucco dipinto, unite nel gesto dell'attivazione del chakra.

Sulla piattaforma erano presenti i responsabili degli esaminatori. E i jounin presentatori delle squadre vincenti: Kakashi Hatake, Asuma Sarutobi, Gai Maito, Kurenai Yuhi e il Terzo Hokage (che faceva ufficialmente le veci di mio padre) per Konoha, il guercio Baki per la Sabbia, e quell'uomo misterioso col coprifronte del Suono, fissato con fanatica devozione dai suoi genin...

Orochimaru!

Lì, con suprema sfacciataggine, fianco a fianco col suo ex maestro e una ex allieva, ignari del nemico mortale che avevano in mezzo a loro.

Guardavo affascinato quello spettacolo, e capivo che c'era una lezione per me in esso. Non c'era nulla davanti a cui valesse la pena di fermarsi, nessuna impresa impossibile: un ninja era fatto per osare. E la dissimulazione a cui mi ero votato da un anni, portata all'eccellenza, era lo strumento di libertà più potente che esistesse.

Grazie, Orochimaru-sama.

Sette squadre avevano passato la seconda prova. Ventuno candidati soltanto.

E nonostante questo, la vecchia voce di Sarutobi ci aveva annunciato che eravamo troppi.

"La tradizione ci impone che l'esame finale avvenga nell'arena di Konoha, dove i rappresentanti dei daimyo, i jounin e i chuunin di questo e altri paesi potranno osservare le abilità dei candidati uno contro l'altro, e decidere la loro promozione. Ma è questo un evento che per motivi diplomatici deve durare un giorno soltanto. Occorre pertanto che passiate un preliminare della terza prova, per ridurre il vostro numero almeno a dieci."

"Quando?" aveva chiesto Kiba Inuzuka.

"Immediatamente."

"Ma... Hokage-sama!" Sakura aveva fatto un passo avanti. "Chiedo di lasciarci almeno qualche ora di riposo!" Aveva guardato il pallido Sasuke, con aria preoccupata. "Siamo feriti, sporchi, affamati ed esausti dopo cinque giorni in quella foresta..."

"Un chuunin deve essere in grado di trovare le energie anche immediatamente dopo una battaglia," l'aveva interrotta il mio maestro. "Questo, a Otogakure, si insegna fin da bambini." Un'occhiata ironica verso Kakashi. "Ma forse a Konoha le cose sono diverse..."

"No, non lo sono," aveva sbottato lui.

Sarutobi aveva sospirato. "Sakura Haruno, la tua domanda è respinta. Combatterete subito, e gli accoppiamenti saranno fatti a sorteggio, incrociando le vostre squadre. Essendo il vostro un numero dispari, uno di voi dovrà combattere due volte, e questo sarà determinato... ora!"

Aveva fatto un cenno, e uno dei chuunin aveva portato una grossa giara dal collo stretto, che risuonava del suo contenuto di bossoli; si era seduto a gambe incrociate davanti ad essa, aveva combinato una serie di sigilli e aveva posato le mani sulla terracotta.

Dal rumore che si udiva, era chiaro che i bossoli si erano messi a ruotare all'interno della giara.

Sarutobi si era girato verso il supposto jounin del Suono, con un sorriso a denti stretti. "Come ospite per la prima volta nel nostro paese, vi chiedo l'onore di procedere all'estrazione del nome dei duellanti."

Orochimaru aveva annuito, aveva infilato la mano nella giara, lasciandocela quasi indugiosamente. Poi aveva estratto uno dei bossoli. L'aveva consegnato a una nervosissima Anko Mitarashi, che l'aveva aperto srotolando la strisciolina di carta.

"Yakushi Kabuto!"

Ero trasalito, mentre tutti mi guardavano.

"Accidenti," aveva bofonchiato Naruto, a qualche passo da me. "Volevo essere io a combattere due volte!"

Sarutobi si era rivolto di nuovo a Orochimaru.

"Vi prego, estraete anche il nome del suo avversario."

Il mio maestro aveva ripetuto la procedura, e Anko aveva gettato un'occhiata verso Kurenai, per poi esclamare:

"Hyuuga Hinata!"

Era salito un mormorio intorno a me.

Neji si era visibilmente irrigidito. In quanto a Hinata, fissava il vuoto pallidissima, quasi in preda al panico.

"Il primo duello è stabilito," aveva concluso il Terzo Hokage. "Hayate-san, occupati dei preliminari."

Lee mi si era avvicinato: si era accorto, come tutti del resto, che ero rimasto turbato. "Mi dispiace," aveva mormorato in un soffio, prima di ritirarsi.

No, Lee, non puoi capire cosa sto provando.

Avevo una voglia selvaggia di battermi, e farlo davvero. E non contro quella ragazzina che moriva di paura, ma contro l'avversario che tanto desideravo...

Sasuke Uchiha!

E ucciderlo come un cane, in pochi istanti, mostrando la mia assoluta superiorità come ninja: lì, davanti a tutti quelli che mi deridevano perché non ero che un medico imbelle, perché ero miope e avevo i capelli troppo strani, perché ero di sangue straniero; davanti a Sarutobi, Ibiki e Kakashi, che mi avevano visto nel momento della mia maggior vergogna; davanti a Neji Hyuuga, che credeva di aver il diritto di disprezzarmi dall'alto del suo clan di arroganti incestuosi; davanti al terzetto del Suono, che credeva di potermi ferire per un capriccio e non pagarne il prezzo...

Il desiderio frustrato mi aveva fatto tremare, con le lacrime agli occhi.

Non è ancora il momento... non è ancora il momento.

"I due contendenti avanzino al centro della sala," aveva ordinato Hayate, un jounin dall'aria malaticcia.

Hinata, esitando, si era fatta avanti, con l'aria di una vittima destinata al sacrificio.

Ma io non mi ero mosso. Avevo sospirato pesantemente, e avevo alzato la mano.

"Rinuncio a combattere."

Tutti si erano messi a mormorare intorno a me. Avevo visto l'occhio scoperto di Kakashi stringersi con espressione di disappunto. Il mio maestro invece aveva sorriso, alzando appena un sopracciglio. Riconoscevo quell'espressione...

Bravo, Kabuto-kun. Vedo che hai capito.

Mi aveva messo di proposito nella situazione di potermi ritirare onorevolmente dal combattimento!

"Kabuto!" aveva esclamato il ninja che impersonava Tsurugi, recitando magnificamente la parte dello sdegnato. "Non puoi..."

"È una mia scelta, senpai, e non riguarda voi due." Avevo guardato Hinata, paonazza in volto. "Io... non mi batterò contro di lei."

Questo aveva scatenato altri mormorii tra i presenti.

I miei compagni mi avevano immediatamente circondato. "Cosa significa?" mi aveva soffiato all'orecchio il finto Yoroi, in modo che solo io lo sentissi. "Ti sei dimenticato la nostra missione?!"

"Non c'è più bisogno dei miei occhi." Avevo indicato con lo sguardo la piattaforma.

C'è Orochimaru che può vedere ogni cosa di persona.

"Ci lasci dunque a combattere al tuo posto?"

"Su, cugini, non mostratevi così colpiti." Un lieve sorriso. "È la grande occasione di dimostrare il vostro valore davanti al nostro signore..."

La verità è che voi siete sacrificabili, io no.

Li avevo lasciati, e avevo guardato verso l'Hokage.

"Allora?" mi aveva chiesto, cupamente.

"Confermo la mia decisione, signore."

"Se non combatti sarai squalificato e il tuo esame finirà qui."

Hinata mi aveva guardato, come se fosse stata sul punto di dire qualcosa. E invece si era portata un mano alla bocca, spostando gli occhi su Naruto.

Avevo sorriso, tristemente. "Lo so."

Sarutobi aveva sospirato.

"E sia," aveva detto. "Kabuto Yakushi, ti dichiaro perdente. Esci da questa sala."

Nel silenzio, mi ero inchinato.

E adesso pensate tutti quello che volete. Che sono troppo cavalleresco per battermi contro una ragazzina a cui la mia famiglia aveva proposto di sposarmi. Che ho paura del clan Hyuuga. Che sono troppo poco combattente per affrontare due duelli...

Mi ero voltato, incamminandomi verso l'uscita tra le mute occhiate rispettose dei presenti.

"Kabuto-san!..." aveva mormorato Naruto, correndo a raggiungermi e fermandomi un istante. "No... non è giusto! Ci eri giunto così vicino!"

Avevo represso l'istante di disgusto che avevo provato al suo contatto. La Volpe a Nove Code...

"Karma," avevo risposto, in tono rassegnato. "Ti auguro maggior fortuna di me, Naruto-kun."

E me n'ero andato.

Sorridendo in segreto dentro di me.

 

 

 

E così era finito il mio ennesimo tentativo di diventare chuunin.

Ero tornato a casa Yakushi con gli abiti laceri e un kann e mezzo di peso in meno, pieno di graffi e contusioni che non avevo avuto l'energia di curarmi da solo (occupato com'ero a guarirmi dalle lesioni più gravi, e guarire gli altri), la coda di capelli mezza disfatta, gli occhi segnati da giorni di mancanza di sonno, e nulla in mano.

E avevo scoperto che durante la mia assenza mio padre aveva deciso di lasciare l'ospedale per tornare a casa.

L'avevo trovato nell'engawa che profilava il giardino, ridotto quasi al fantasma di se stesso; sprofondato in una sedia a rotelle e affiancato da alcuni parenti che erano venuti a trovarlo. Mi aveva guardato con un'espressione strana, intraducibile.

"È vero quel che mi hanno detto? Che ti sei ritirato dalla prova?"

Avevo chinato la testa. "Sì, padre."

"Perché?"

"Avrei dovuto duellare contro Hinata Hyuuga."

Un lungo silenzio.

"Questo è stato l'ultimo esame di chuunin della tua vita, Kabuto. Non ci parteciperai... mai più."

Avevo fissato la ghiaia bianca del giardino, sentendomi le lacrime agli occhi.

È vero. Non ci parteciperò mai più. Presto non avrà più senso nulla della mia vecchia vita...

Il senso di finalità era una spada che penetrava nel mio cuore indebolito dalla stanchezza. Sapevo di essere vulnerabile, ma questo non rendeva il mio dolore meno autentico.

Povero Kabuto! sentivo mormorare. Non poteva battersi contro la sua giovane fidanzata! Com'è sfortunato quel ragazzo!

"E ora che è tutto finito... non ci resta che dimenticare." La voce di mio padre era quasi un rantolo. "Renditi presentabile, abbiamo ospiti."

Mi ero inchinato. "Sì, padre."

Avevo sentito il cigolio della sua sedia a rotelle spinta verso la sua stanza. Avevo rialzato lo sguardo, guardando quelle schiene vestite di scuro che si allontanavano. Poi, una di quelle schiene si era fermata. Era quella di sua sorella, che si era voltata per rivolgermi un sorriso impostato che non nascondeva il suo disprezzo verso di me.

"Ah, Kabuto-kun... mio figlio non si è ritirato, vero?"

"No, oba-san," avevo detto, educatamente.

Tuo figlio è morto.

Il suo sorriso si era allargato. Mi aveva ringraziato della notizia con un cenno altero della testa ed era entrata in casa.

Per un lungo istante ero rimasto immobile, lì davanti al giardino. In un silenzio pesante, appena rotto dal mormorio del villaggio che filtrava dalle mura, e il suono ritmico e lento dello shishidoshi nel ruscello.

Era la mia casa, quella. Il posto dove avevo trascorso gli anni della mia vita senziente, dopo che avevo perso il ricordo di quelli dell'infanzia. Conoscevo ogni angolo, ogni sfumatura del legno, ogni pietra di quel giardino. Avevo mille ricordi dei miei giochi, e dei miei studi, e delle gioie e dei dolori che avevo provato tra quelle pareti. Lì era racchiuso tutto quel che possedevo al mondo...

E tuttavia all'improvviso sentivo che una certa magia si attenuava, come se una nebbia si fosse interposta tra le mie emozioni e quanto stavo vedendo.

È il mio cuore che comincia il distacco.

"Kabuto-sama, venite." La vecchia cameriera della casa mi si era avvicinata, con voce garbata e comprensiva. "L'acqua del bagno è già calda, e avete bisogno di mangiare."

 

 

 

Sì, avevo bisogno di ristabilire i miei equilibri fisici, prima di quelli psicologici.

E così mi ero lasciato lavare, curare e massaggiare dalle mani esperte del personale di casa, quindi mi era stato posto dinanzi un pasto che non si poteva definire banchetto solo per l'assenza di un'atmosfera di festa. Nessuno mi faceva compagnia (ero di nuovo in disgrazia, tra i miei parenti), ma non mi dispiaceva quella solitudine, quel silenzio: dopo giorni passati all'erta volevo illudermi di poter mangiare senza dovermi guardare alle spalle, o controllare la mia faccia e le mie espressioni. Non avevo lasciato un grano di riso nei piattini, avevo sciolto nel té una miscela di farmaci che mi ero preparato da solo, e me l'ero bevuto cercando di non far caso al sapore.

Ho bisogno di dormire. Dormire veramente, almeno una notte intera...

Avevo sentito il sedativo cominciare a fare effetto. Allora ero andato nella mia stanza, dove già avevano srotolato il futon. E mi ero lasciato andare a un sonno ristoratore, abbandonandomi con gratitudine a quell'istante di pace che mi sembrava sempre più... una bolla d'aria nell'acqua tumultuosa di un torrente.

Scoppierà, ma per il momento esiste. E sembra infinita.

Al mattino mi aveva svegliato il grido di una donna. E la casa era stata percorsa da passi affrettati, esclamazioni di sgomento.

Mio padre?...

Mi ero alzato di scatto, stringendomi in vita lo yukata e inforcando gli occhiali, ed ero uscito sul corridoio. Mi ero diretto di corsa verso la sua stanza, preparandomi al peggio...

E invece l'avevo trovato vivo, steso sul suo alto letto dallo schienale rialzato, una fleboclisi nel braccio e gli occhi brillanti come schegge di ossidiana.

"Padre!" avevo esclamato. "Che succede?!"

"Tsurugi... e Yoroi." La sua voce tremava. "Un Anbu è venuto a darci la notizia. Sono morti."

Ero impallidito.

Maledizione! Avevo detto a quei due di sbarazzarsi dei corpi!...

Se li avevano ritrovati, ero nei guai perché qualcuno si sarebbe chiesto come mai non mi fossi accorto di aver vissuto una settimana fianco a fianco con due impostori.

E non ci vorrà molto perché Ibiki si ricordi di me, e sarà ansioso di farmi quella domanda... in qualche segreta del quartier generale degli Anbu.

Mio padre aveva correttamente interpretato la mia espressione inorridita.

"Neanch'io riesco a crederci, figlio mio... è qualcosa di terribile. I tuoi cugini erano stati sconfitti nella prova a cui tu hai rinunciato..."

Un lampo di luce nella mia disperazione.

Allora... no, non si riferisce ai miei veri cugini. Ma ai ninja di Orochimaru!

"Erano rimasti feriti, ed erano nell'infermeria per ricevere le prime cure. Ma prima che fossero trasferiti in ospedale... c'è stata un'esplosione. Da un primo esame sembra che entrambi nascondessero tra i vestiti delle carte-bomba. Non si sa come o perché, ma si sono attivate... e li hanno dilaniati, innescando poi un incendio che ha carbonizzato i loro poveri corpi."

 

 

 

"Si sono suicidati dietro mio ordine," mi diceva Orochimaru: un'elastica figura appoggiata a una delle antiche colonne del Tempio del Fuoco, dove ci eravamo trovati in segreto.

Stavo in ginocchio davanti a lui, a qualche metro di distanza, immerso nell'ombra.

Un giorno lo ordinerete anche a me?...

Scoprivo però di non avere paura. Anzi: l'idea acuiva il mio senso del presente.

"Sono stati sfortunati," aveva continuato lui, senza alcuna emozione. "Uno ha dovuto battersi contro il mio nuovo Sasuke col Segno Maledetto... l'altro contro quel marionettista della Sabbia che è nientemeno del figlio del Kazekage. Hanno salvato la vita, ma non era loro di nessuna utlilità: feriti com'erano, sarebbero stati scoperti e mandati nelle mani degli Anbu come agenti nemici. Come hai imparato anche tu a tuo tempo... è meglio finirla molto in fretta. E loro l'hanno fatto salvando almeno la tua copertura, come avevo ordinato loro."

"Vi erano molto devoti," avevo mormorato.

"Tutti i miei sottoposti mi sono devoti." Un sorriso remoto. "E perché non dovrebbero? Prometto sempre loro... la cosa che più desiderano al mondo."

Sì, è vero. A me avete promesso la libertà di essere... me stesso.

Orochimaru si era voltato, mostrandomi il suo profilo contro la luce del sole che sorgeva.

"È bello, qui, non è vero?"

"Sì, signore. "

Era davvero bello. Il tempio era isolato, immerso in un boschetto su un'altura a qualche chilometro da Konoha. Lontano si vedevano i tetti di alcune case del villaggio, la montagna col volto degli Hokage. Il cielo era roseo e tutto era smagliante.

"E mentre Konoha riposa su quest'illusione di pace, altri paesi adoperano ogni stilla di energia per aumentare la loro capacità militare. Gli equilibri di potere che da qui sembrano inattaccabili vacillano. La tensione tra i diversi villaggi di ninja cresce..."

"Secondo i vostri piani, signore."

Si era voltato di nuovo a guardarmi, con aria incuriosita.

"Immagino che abbiate mandato messaggeri di vostra fiducia a riferire degli esiti di questo esame di chuunin. A cui partecipano le migliori squadre di tutti i villaggi, ma guardacaso in finale la parte del leone spetta... a quattro matricole inesperte di Konoha!" Avevo sorriso. "Questo offenderà molti villaggi storici, che si sentiranno tagliati fuori. Un interessante... effetto collaterale delle nostre azioni di disturbo per permettere ai ragazzi di casa di arrivare a questo traguardo." Mi ero sistemato gli occhiali sul naso. "O forse quella che era la vostra intenzione principale, quando mi avete dato in pratica l'ordine di proteggerli e scortarli."

Orochimaru si era messo a ridere, sommessamente.

"Riesci sempre a sorprendermi, Kabuto-kun."

"Anche voi, signore," avevo ribattuto. "Non c'è mai un fine univoco alle vostre azioni, i vostri piani ne contengono sempre altri, e non vi fate scrupolo nemmeno a mettere i vostri sottoposti uno contro l'altro. Avete ordinato al vostro terzetto del Suono di uccidere Sasuke Uchiha, ma quando l'hanno trovato aveva già il vostro Segno Maledetto. E a me che dovrei essere il vostro braccio destro, avete ordinato di portarlo fino alla finale, senza informarmi di tutto questo." Avevo chinato la testa. "Sembra che voi non vi fidiate ancora di me..."

"Al contrario," aveva detto lui, in tono malizioso. "Perché altrimenti ti avrei affidato la vita di un ragazzo... che smani per uccidere?"

I miei occhi si erano dilatati.

Lo sa!

"E te l'affido ancora. Perché qualcuno ha interferito con i miei piani, e devo cambiarli." Aveva incrociato le braccia sul petto. "Durante quest'esame ho valutato appieno il potenziale di Sasuke. La purezza dei suoi geni Uchiha è eccezionale. Sarutobi lo sta coltivando con l'attenzione di un giardiniere, scegliendo accuratamente le sue compagnie. E quindi ecco che gli dà il miglior jounin che abbia, un veterano come Kakashi, per istruirlo sul suo Sharingan. Una ragazza chiaramente infatuata di lui, per la sua autostima. E un ragazzo solo e traumatizzato, proprio come lui, per creare un legame di solidarietà tra due sfortunati..."

"Naruto Uzumaki."

"Già, l'esuberante ragazzo-volpe. Sarutobi vuole recuperare anche lui a una certa normalità. Vuole che tra queste due enormi potenzialità belliche nasca una grande amicizia, che li renda entrambi, ahhh... come dire? Caratterialmente più morbidi e controllabili."

"Non sono sicuro che Sasuke provi qualcosa per Naruto," avevo obiettato.

"Ma tu non l'hai visto mentre combatteva contro di me." Un breve passaggio di lingua sulle labbra. "Gli avevo fatto capire che per lui non c'era scampo, che contro di me avrebbe trovato solo la morte. E siccome sapevo che viveva unicamente per la sua vendetta, mi aspettavo che tentasse di fuggire, per preservare la sua preziosa vita. E invece... l'ho visto guardare verso il corpo inerte di Naruto, e poi concentrarsi ed attaccarmi! Oh, è stato così... delizioso vederlo combattere! E cosa gli dava quel coraggio, se non qualcosa che aveva messo la sua vendetta personale... al secondo posto dei suoi valori?"

Il sole ora era abbagliante, e gli uccelli cantavano.

"Ma io voglio che Sasuke pensi alla vendetta, perché è la chiave per incatenarlo a me. Voglio che ritorni ad essere lo scopo principale ed egoistico della sua vita. Per questo gli ho dato il Segno Maledetto: rendendolo così forte, ho vibrato un colpo tremendo contro il paziente lavoro di Kakashi sul gioco di squadra. Non si cerca l'aiuto di un amico quando si ha la forza sufficiente per ottenere il proprio obiettivo da soli... e se si fallisce, si cerca semplicemente più potere!"

"Allora avete già vinto."

"Non proprio." Una smorfia. "Purtroppo Kakashi non è un jounin ordinario: ha lo Sharingan e ha avuto per maestro il Quarto. Deve aver copiato una delle sue tecniche segrete di sigillo, simili a quella che ho utilizzato io per isolare il chakra del Kyuubi da quello di Naruto. Lui ha fatto lo stesso con Sasuke, cercando di isolare il Segno Maledetto dal suo corpo, circoscrivendolo con una barriera mistica."

"Quindi ora Sasuke... è tornato allo stato primitivo!"

"Questo è quel che Kakashi spera." Orochimaru aveva alzato un dito. "Ma Sasuke è un Uchiha autentico, e il suo Sharingan è un potere abbastanza forte da oltrepassare molte barriere magiche anche di alto livello. Quando Sasuke si riprenderà da quest'intervento sul suo chakra, sarà comunque in grado di superare il sigillo del suo maestro... se lo vorrà, e se avrà la determinazione per resistere al dolore." Orochimaru aveva guardato verso la foresta, con un sorriso. "Sarò io a dargliela, finalmente per lo scopo giusto, e senza ulteriori... disturbi, magici o sentimentali che siano. Lontano da Kakashi e da Naruto Uzumaki. Lontano... da Konoha."

Ero trasalito.

"Dunque volete che io..."

"...  che tu rapisca Sasuke Uchiha, approfittando di questo momento in cui l'intervento di Kakashi l'ha così debilitato. È in ospedale, incapace di muoversi; e tu sei un medico di casa tra quelle stanze. Non ti sarà difficile trovare l'occasione per portarlo via da lì... e condurlo al sicuro nella vostra nuova patria."

Otogakure, il Villaggio del Suono.

Mi ero rialzato, le braccia lungo i fianchi. Il sangue che se n'era andato dal mio volto, il battito del mio cuore lento nelle orecchie.

"E' questo il vostro ordine, dunque?"

"Sì."

"Sapete cosa significhi per me."

Non era una domanda.

Orochimaru aveva annuito.

"Un cambiamento."

 

 

 

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