Kabuto Gaiden
Capitolo 10: 周章 (Shuushou) (Frustrazione)
di Hana-bi
"Chi è là?" "Bhaishajya." L'incarnazione del Buddha della Medicina. Da lui, Yakushi Ruriko Nyorai, prendeva nome il mio clan di medici. Ma quello che i miei compagni avevano lasciato avvicinare, dopo aver sentito la parola d'ordine, non aveva niente del medico. E niente del Buddha. Ero tremante e senza fiato, schizzato di sangue fino in faccia e sulle lenti degli occhiali. Un kunai sporco nella mano, il guanto macchiato, i calzoni strappati, i capelli impastati di sudore e terra. Con il saio squarciato su un fianco, e una chiazza rossa che intrideva la mia tunica sottostante. I miei compagni mi avevano fissato, attoniti. "Che ti è successo, Kabuto?!" Non li avevo nemmeno guardati. Avevo rinfoderato il kunai, con un sospiro di stanchezza. Poi avevo infilato la mano pulita nel saio, e avevo estratto tre rotoli, uno del Cielo e due della Terra. Li avevo lasciati cadere a terra, sotto i loro occhi esterrefatti. "Dovevo... sfogarmi," avevo mormorato. E avevo voltato loro le spalle. Il campo che avevano allestito era sulla riva del fiume. Ero andato dritto verso l'acqua, sentendo il suo rumore consolante. Mi ero sciolto la fusciacca, sfilandomi saio, tunica e guanti, rimanendo a torso nudo. Poi mi ero tolto gli occhiali, mi ero inginocchiato sul greto e avevo affondato la testa in quel gelo liquido, a occhi chiusi. Orochimaru-sama... Avevo tolto la testa dall'acqua, sentendomela colare addosso, lavandomi il sangue che mi sporcava. Con uno scatto all'indietro avevo proiettato un arco di gocce che mi erano cadute sulla schiena, facendomi rabbrividire. Mi ero spostato la coda di capelli sul davanti, strizzandola tra le dita doloranti. "Sei ferito," aveva detto l'impersonatore di Yoroi, che mi aveva seguito. "Solo... un graffio." Il fianco mi bruciava come se avesse contenuto un nido di vespe. Avevo raccolto dell'acqua nel cavo della mano, lavando il sangue raggrumato. Era il ricordo di un fendente disperato di wakizashi, l'ultimo gesto di un ninja delle Nuvole quando si era reso conto di chi era veramente la preda e chi il predatore. Chi sei?! aveva urlato, l'incredulità nei suoi occhi. Gli avevo sorriso, nonostante il dolore. Un essere imperfetto. E la mia mano destra gli si era posata fulmineamente nel punto giusto. Con un bisturi di chakra attivato. L'aorta si era docilmente aperta, allagando l'interno del suo corpo con un'alluvione di sangue... l'avevo sorretto mentre moriva, mordendomi le labbra e godendomi il suo momento finale di terrore, il boccheggiare disperato del suo ultimo respiro. Guardami, finché puoi. Avevo provato una gioia perversa in quel momento, rivelare almeno per un istante quel che avevo dentro di me. E quando era morto l'avevo lasciato andare, alzando lo sguardo ai suoi compagni, quello sguardo obliquo che tanto piaceva al mio maestro. E voi... volete giocare al dottore con me?... Era stato l'ultimo gioco della loro vita. "Perché hai rubato un rotolo in più?" Perché ero furioso... Vedere quel ragazzino con il Segno Maledetto! E adesso cosa succederà? Se sopravvive a questa ordalia, diventerà anche lui una creatura di Orochimaru. E avrà un grande potere, che a me è negato! Perché, non ne sono degno? Non sono anch'io bello, forte e scaltro? Non sono il ninja migliore, capace di spiare, muovermi e uccidere nel segreto? "Kabuto..." "Sì, ti ho sentito." Avevo sospirato. "Ora sia io che voi abbiamo quanto ci serve per passare l'esame. Un doppio livello di sicurezza." Avevo immerso gli occhiali nell'acqua corrente del fiume. Poi li avevo messi, fissando il vuoto tra le gocce che vi erano rimaste incollate. Forse Orochimaru mi ha scartato per via di questi occhi. Non possono competere nemmeno con quelli normali... figuriamoci con quelli di un Uchiha. "Ti senti bene, Kabuto?" C'era una nota di timore nella voce del finto Yoroi. "Sì." In realtà non sapevo nemmeno io come mi sentivo. "Abbiamo ordini per te." Mi ero girato a guardarlo, la fioca luce della lampada schermata riempiva di ombre il suo sguardo. "Il nostro signore ci ha raggiunto e ci ha lasciato un rotolo sigillato. Solo tu puoi aprirlo, col tuo sangue." Come ha fatto Orochimaru a sapere dove ci saremmo accampati? "Dov'è?" Mi aveva indicato il tronco scavato di un gigantesco albero. Mi ero rialzato, raccogliendo i miei vestiti sporchi, ed ero andato verso quel rifugio improvvisato. Vorrei stendermi lì e chiudere gli occhi, e dormire...
Non come la notte prima, che avevo trascorso nel campo dei genin di Konoha. Avevo vegliato, medicando tutti con gentilezza, e raccontando le mie precedenti esperienze all'esame di chuunin. Avevo sentito la diffidenza di quei ragazzi, tutti più giovani di me, svanire poco a poco, come mi aspettavo; in quanto a Naruto Uzumaki, per lui ero passato addirittura a "fratello grande". Come ninja non vale nulla, si fa comprare da un sorriso. Sasuke era in preda alla febbre, ma rifiutava tutti gli aiuti. Gli avevo chiesto a proposito del segno che aveva sul collo: era scattato a dirmi che non era nulla. Sakura aveva atteso che si riaddormentasse, per venire di nuovo da me a dirmi che le aveva imposto di tacere con tutti su quel segno. "Ma tu sei un medico, vincolato al segreto, e quindi con te posso parlare..." E mi aveva raccontato del duello tra il suo amico e un misterioso ninja dell'Erba che evocava serpenti e si muoveva in modo inumano. Così avevo saputo tutti i dettagli di quello scontro. Il mio maestro aveva messo duramente alla prova Sasuke: per provocarlo, gli aveva sottratto e distrutto il rotolo che possedeva, e l'aveva sfidato a prendere il proprio in un duello alla morte. Voleva vedere come avrebbe combattuto sotto stress, pronto a ucciderlo se non fosse stato all'altezza. All'inizio Sasuke si era comportato da vile e con molte esitazioni. Ma poi, scosso dal folle coraggio di Naruto, e soprattutto dalla frustrazione ai riferimenti sarcastici sugli Uchiha, aveva reagito mostrando di avere tutte le capacità di quel clan... compreso il potere oculare dello Sharingan. La visione di quegli occhi che cambiavano colore aveva fulminato Orochimaru, che aveva sconfitto facilmente il ragazzo, lasciandolo però vivere. E prima di andarsene, l'aveva marchiato con quel Segno Maledetto. Mi sei piaciuto, giovane Uchiha. Sei forte, sei bello, sei scaltro... sei degno di me. Ti do quel che cerchi con tanto ardore, il potere. Giocaci pure, e un giorno verrai da me a chiederne ancora... per la tua vendetta. Sasuke era subito stato male. Il suo corpo aveva reagito violentemente all'agente mutageno, con convulsioni e dolori intensissimi. E poi era crollato nell'incoscienza, facendo compagnia a Naruto che era svenuto a sua volta nel corso del combattimento. Sakura era rimasta sola e terrorizzata a vegliare sui suoi compagni, finché non erano apparsi i ninja del Suono che avevano dichiarato di avere un compito ben preciso. Uccidere Sasuke Uchiha. Capivo che era quella la loro missione originaria; ma non avevano saputo che il loro signore aveva cambiato idea nel frattempo. Se n'erano accorti confrontandosi con la loro vittima, che nel pericolo aveva ripreso i sensi: e non era più il ragazzo di prima, ma un mostro potente e crudele che li aveva sconfitti e aveva sottratto loro il rotolo, rimediando così alla distruzione del proprio. Era stata la prima esperienza di Sasuke col potere del Segno Maledetto, e Sakura mi aveva mormorato che era stata spaventosa... "Che cos'è successo a Sasuke, Kabuto-san?" L'avevo tranquillizzata, dicendole che probabilmente era stato intossicato con qualche droga violenta. "Anche Naruto, allora," aveva mormorato lei. "C'è stato un momento in cui l'ho visto combattere e... non mi sembrava neanche lui..." Naruto? Perché mai Orochimaru avrebbe perso tempo con una nullità come lui? Avevo ricordato le cinque ustioni suo suo ventre. Sembravano una tecnica di sigillo. Sigillo di cosa? Sakura mi fissava, ansiosamente. Le avevo sorriso, e le avevo detto che il villaggio dell'Erba aveva una solida tradizione nell'uso dei veleni. Ma non doveva preoccuparsi: Naruto si era perfettamente ripreso, e in quanto a Sasuke, il malessere era una normale reazione allergica, ma sarebbe passato una volta che la droga fosse stata metabolizzata. "A volte mi piacerebbe essere un medico come te," aveva mormorato la ragazza, più serena. E si era addormentata, lasciandomi a meditare cupamente sulle sue rivelazioni. Cosa devo fare, adesso?... Alle prime luci dell'alba, Lee mi aveva raggiunto, completamente ripreso. Mi aveva visto stanco e affamato, e aveva fatto per porgermi una delle sue razioni di cibo secco. Ma Neji l'aveva fermato. "No, non dargli da mangiare." "Perché?" "Sarebbe cibo sprecato." Un silenzio teso era calato tra i ragazzi. Neji era l'unico di loro che aveva mantenuto un atteggiamento distaccato verso di me. E la storia del tentativo di fidanzarmi con sua cugina era circolata tra di loro, giustificandolo. Ma quelle parole sottintendevano qualcosa di più: un'ostilità aperta. Vuole uccidermi? "Il cibo non è un problema," aveva detto Lee, scandalizzato. "Posso procurarmene dell'altro! Kabuto-san ha usato la sua energia per curarmi..." "Ti ha curato perché non gli ho lasciato scelta, non per generosità." "E con questo? Mi ha curato con competenza, impegno e gentilezza. E poteva anche non farlo, se avesse ragionato come te." La critica implicita nelle parole di Lee aveva fatto oscurare il volto di Neji. "Il mio ragionamento, cioè quello di catturare l'unico medico che potevamo trovare in questi cinque giorni, ti ha consentito di rimetterti in piedi dopo che hai rischiato impulsivamente di compromettere il successo di tutta la nostra squadra!" Lee aveva incassato il rimprovero abbassando gli occhi... per poi rialzarli con sfida. "Al mio posto avresti lasciato che facessero del male a una ragazza del tuo villaggio?" Dietro al suo evidente senso di inferiorità, questo Lee ha carattere da vendere... Mi aspettavo uno scontro aperto tra i due. Ma Neji mi aveva sorpreso: aveva esitato, in un modo che mi aveva rivelato il rispetto che dopotutto provava verso quel ragazzo dalla testa tonda così diverso da lui. "Non intendo litigare con te," aveva risposto alla fine. "Quel che è stato è stato, ma quello che deve ancora essere è affar mio. Non voglio che aiuti questo genin. Devi considerarlo un nemico, come tutti gli altri. Non mi interessa se ha fame o se è debole, tanto la mia intenzione è di legarlo di nuovo, in modo che non possa fare nemmeno un passo... e abbandonarlo qua." Un mormorio indignato si era levato tra i ragazzi. "Senza cibo, senza potersi muovere?..." La voce di Lee si era abbassata. "Ti rendi conto di cosa vorrebbe dire per lui?" "Sì. Che avremo un nemico di meno." La capigliatura lucida di Lee si era scossa in un cenno di diniego. "Sono spiacente, ma non sono d'accordo..." "Aspetta, Lee-kun," l'avevo interrotto. Tutti si erano voltati verso di me. "Il tuo caposquadra ha ragione," avevo detto, con un sorriso triste. "Non devi discutere con lui a causa mia." "Ma... Kabuto-san..." "Ho perso le mie speranze di diventare chuunin nel momento in cui mi sono lasciato catturare." Avevo teso i polsi a Tenten, con un sospiro di rassegnazione. "Avanti. Se è questo che avete deciso..." Ma persino lei aveva esitato, guardando Neji con aria turbata. "Non è giusto," aveva mormorato Sakura. "Ha curato tutti noi, non soltanto Lee." "Sono d'accordo," aveva detto Shikamaru Nara. "Gai-sensei ci ha insegnato che la solidarietà tra di noi è la nostra arma più forte," aveva rincarato Lee. "Kabuto-san è un genin di Konoha, un abitante del nostro stesso villaggio. Ci ha aiutato ed è giusto che ricambiamo il suo favore." Una pausa. "Ha fatto quel che volevi, Neji-kun... lascialo andare dai suoi compagni." "Più che altro lo lascerai andare dai suoi compagni, faccia da pesce lesso," aveva detto Naruto, piantandosi al mio fianco con aria bellicosa. "O ti batterai con me!" Neji l'aveva squadrato dall'alto al basso con aperto disprezzo, e non gli aveva nemmeno risposto. Poi era tornato a fissare Lee. "Fate come volete." E se n'era andato. Così avevo potuto nutrirmi a spese dei ragazzi, perché mi avevano letteralmente costretto a mangiare e bere dalle loro razioni, senza bisogno di toccare le mie. E con un sorriso di gratitudine li avevo lasciati, non prima di augurare loro di passare tutti la prova, e sperando di rivederli alla torre, se avessi avuto fortuna anch'io... Dopo mezz'ora di marcia nella foresta, mi ero fermato. E mi ero messo a urlare di rabbia.
Avevo riposato, nel cavo di quell'albero. Non era granché ma mi aveva protetto dall'umidità e avevo potuto illudermi, per qualche minuto, di essere sotto le coltri nella mia stanza. Stupida illusione. Questa sarà probabilmente gran parte della mia vita futura. Ma l'avevo scelta io. Comprendendo che un letto comodo e una solida posizione sociale altro non erano che una forma di prigione. Diversa, certo, dalla segreta in cui mi avevano rinchiuso gli Anbu tempo prima. Ma non meno insidiosa nel mettere le catene ai miei pensieri, invece che al mio corpo... Ricorda, Kabuto-kun, che la via per la perfetta libertà passa dalla perfetta disciplina. Paradosso per paradosso, io avevo rinunciato a me stesso per sentirmi libero. Orochimaru-sama... Prima di chiudere gli occhi avevo ricordato l'ultima riga del suo messaggio per me. Vergata con squisita calligrafia, come se invece che nel mezzo di tanti pericoli, lui fosse stato seduto al tavolino della sua casa elegante, una mano a tenere il pennello e l'altra a reggere la manica del suo kimono. Mi rivedrai nella Torre. E nonostante tutto, il mio cuore aveva pulsato di gioia al pensiero. Sarai contento di me, maestro... Mi ero svegliato all'alba, sentendomi molto meglio. L'aria era fresca e meno umida di quanto mi aspettassi. Ero andato al fiume per pulire i miei vestiti, allo scopo di non lasciarmi dietro il rivelatore odore del sangue. La stoffa bagnata mi aveva aderito al corpo, raggelandolo fastidiosamente, ma mi ero detto che ero una katana, e quello era il mio fodero. Mi ero riscaldato con una tecnica tapas, avevo mangiato pesce crudo ed erbe di fiume, e quindi avevo dato gli ordini ai miei due compagni lasciando loro una coppia di rotoli. "Vi recherete in questa direzione e poi di qui," avevo detto, disegnando la mappa al suolo. "E stazionerete intorno alla torre finché non vi raggiungerò. Non dovreste incontrare problemi a difendere i vostri rotoli, io mi porterò dietro i miei." Avevo sorriso. "Può darsi... che mi tocchi regalarne qualcuno." Gli ordini di Orochimaru erano stati molto semplici. L'Uchiha mi piace, se sopravvive al Segno voglio che arrivi alla terza prova. E non ero sicuro che ci sarebbe arrivato con le sue sole forze. "Ci separiamo ancora, dunque?" aveva detto il finto Tsurugi. "Sì. Devo incontrarmi con qualcuno... da cui voialtri dovete tenervi alla larga." Qui ti indico dove troverai i ninja della Sabbia. Recherai loro il mio desiderio. Consegnerai inoltre un messaggio segreto per il loro jounin Baki. La parola d'ordine per farti riconoscere da loro è Nam Myoho Renge Kyo. E sotto l'involto del rotolo lasciatomi da Orochimaru ne avevo trovato un secondo, sigillato col kanji del Suono. Il mio futuro villaggio.
Avevo raggiunto il terzetto della Sabbia in una radura rocciosa, dopo mezza giornata di cammino faticoso. Per qualche tempo li avevo spiati di soppiatto, non fidandomi di approcciarli in maniera diretta. Erano tre giovani di varia età, due maschi e una femmina. Il più vecchio di loro vestito di nero, ed era occupato a dipingersi il viso come una maschera da teatro, assumendo lineamenti feroci. La ragazza era una dura bellezza bionda che sembrava scolpita nella selce, e ripuliva con un panno quella che sembrava essere la propria arma: un enorme ventaglio dalle stecche metalliche. In quanto al ragazzo più giovane, era un inquietante adolescente dai capelli rossi, con una doppia giara a tracolla, occhi pesantemente orlati di nero e il kanji Ai bizzarramente tatuato sulla fronte. Non hanno un graffio! Dopo due giorni e mezzo nella Foresta della Morte, sembravano freschi come rose. I loro abiti erano in ordine, e avevano raccolto tra di loro diversi zaini di varia provenienza, da cui traevano tranquillamente cibo e acqua. Supponevo che i precedenti proprietari di quegli zaini non ne avessero più bisogno... E' certo che hanno anche i rotoli, questi sono combattenti di gran lunga superiori alla gran parte dei partecipanti a quest'esame. All'improvviso avevo avuto la netta impressione di essere osservato. I miei occhi si erano dilatati lievemente. Alle mie spalle?... Non mi ero mosso dal mio nascondiglio, avevo cercato di espandere la mia aura, il mio hara. Ma non avevo percepito nulla. Davanti a me, i tre ragazzi sembravano non essersi accorti di niente. Eppure difficilmente il mio istinto si sbagliava. Per lunghi istanti ero rimasto immobile, all'erta. Non pensavo a nulla, registravo solo tutti i suoni, i profumi, i dettagli intorno a me, con il massimo della concentrazione che avessi. Poi... uno scricchiolio lieve, alle mie spalle... Via! Senza un'esitazione ero balzato da dov'ero, con tutta l'energia che potevo mettere nelle gambe: un salto mortale all'indietro che mi aveva fatto ricadere a livello della biforcazione di un tronco d'albero. All'ultimo momento avevo corretto l'atterraggio per prendere nuovo slancio e saltare ancora, stavolta di lato. Senza un rumore, ero già in fuga... Destra. Sinistra. Sinistra. Avanti. Destra. Zigzagavo tra i rami degli alberi, senza un ordine preciso. Il pericolo urlava alle mie spalle e non avevo il tempo di guardarlo in faccia. E all'improvviso... un sibilo, e una fitta di dolore acuto in un braccio. Mi ha colpito?! Avevo cercato di ignorare il dolore, di andare avanti. Ma i miei occhi erano andati immediatamente fuori fuoco, e al salto successivo ero caduto in malo modo, scivolando nel mare di foglie secche. L'impatto mi aveva strappato il fiato dai polmoni, ma con quel che restava delle mie forze ero riuscito a voltarmi supino, il kunai pronto in una mano per la mia ultima, disperata difesa... Avevo visto una faccia inumana sopra di me, una figura grottesca avvolta in stracci... gli occhi strabici di vetro, i denti di metallo seghettato, la pelle color del legno. Che mostro è?! Avrei urlato, se avessi potuto. Ma non ci ero riuscito. La paralisi che si irradiava dal mio braccio era arrivata al petto, mi sembrava di avere una pietra sul cuore. Non avevo potuto fare a meno di fissare quella figura con orrore. "Chi sei?" mi aveva chiesto una voce distorta, roca. E' lui che parla?... Questa cosa parla? Le labbra mi formicolavano. "Chi sei?" aveva ripetuto, impaziente. "Ka... buto Ya...ku...shi." Le mascelle meccaniche sopra di me erano schioccate, a pochi millimetri dal mio coprifronte. "Konoha, eh?" Un artiglio gocciolante si era alzato sul mio volto. "Nel Paese del Vento, le spie come te... le uccidiamo lentamente." Ormai non potevo più muovermi. E davanti a me avevo la morte. In preda al panico avevo balbettato: "Nam...Myoho Renge... Kyo." L'artiglio si era fermato. "Dunque... neanche tu sei ciò che sembri," aveva esalato quella voce. Tutto per me si scioglieva in vortici di colore. "Ho aspettato anche troppo quest'occasione." I vortici... erano come vapore acqueo che condensava, e si arricciava in nuvole. Nuvole rosse su un cielo nero. "E io non amo aspettare, Kabuto Yakushi... ricordatelo bene."
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