Kabuto Gaiden
Capitolo 7: 目標 (Mokuhyou) (Obiettivo)
di Hana-bi
"Oggi è il giorno, eh?" "Sì, padre." Eravamo in ospedale, nel settore più famigerato. Non perché fosse brutto, anzi era il più gentile dell'intera struttura. Ma era quello destinato alle lunghe degenze, e l'aria sapeva di speranze perdute. Mio padre ormai era costretto a letto, e il suo tono muscolare stava precipitando, lasciandogli solo la forza di tremare in continuazione. Era assistito secondo la tradizione dal medico che l'aveva sostituito, un segno d'omaggio ma anche un monito per indicare che nella professione non erano ammessi coinvolgimenti sentimentali. La mia domanda di occuparmi di lui era stata cortesemente ma fermamente respinta. Esattamente come mi aspettavo. Così avevo potuto godere della mia libertà di movimento senza generare sospetti o dubbi in nessuno. Anzi, venivo lodato per la mia pietà filiale che mi aveva portato a tentare di sfidare il veto. E quando mi capitava di poter visitare mio padre, facevo sempre qualcosa per dimostrare che mi stava a cuore. Questo tremito... Gli avevo passato le mani sotto la nuca, con gentilezza, e avevo cominciato a introdurre chakra attraverso il principale nodo spinale. Mio padre mi aveva guardato, con occhi opachi. "No, lasciami. Non sprecare la tua energia con me." "La posso ricostruire con una tazza di riso, padre." "Tu devi pensare alla tua prova." "La affronto per te." A volte mi capitava che a mentire mi salisse un sapore dolce in bocca... e quello era il caso. Mio padre si torceva, nervosamente. "Vorrei aver potuto essere con te, come tuo insegnante... era mio dovere!" "Non è necessario, ho il tuo documento sottoscritto dall'Hokage." "Tutto questo... non ha senso, ma non è giusto che ti privi dei tuoi giusti stimoli... devi avere un obiettivo, ora che a causa della mia debolezza li hai tutti perduti. Non ti sto lasciando nulla, Kabuto... se non l'eredità di una famiglia minore." "È una famiglia onorata," gli avevo detto per consolarlo. "Chi hai preso nella tua squadra?" "Yoroi e Tsurugi, padre. Te l'avevo già detto." "Ahhhh... è vero. I tuoi cugini. L'antico scherzo... quando sei entrato nella nostra famiglia." A scriverli in un certo modo, il mio nome e quello dei miei cugini diventava la triade del guerriero: Elmo, Armatura e Spada. E si era fatto dello spirito al proposito, perché l'elemento estraneo in questa triade marziale avrei dovuto essere io, il medico con gli occhiali, il più giovane e inoffensivo dei tre. Avevo accettato lo scherzo senza problemi, dicendo che era vero: il combattimento non era cosa per me, una creatura gentile e pacifica; e il mio nome era meglio lasciarlo scritto nel modo usuale, che ricordava più una pianta medicinale che l'elmo di un samurai. I miei cugini, pieni di boria, avevano ribattuto che la loro massima ambizione era invece diventare grandi guerrieri, degni di entrare nella famosa Squadra Anbu. Non avevano capito il perché del mio sorriso... "Chi è il caposquadra?" "Tsurugi, naturalmente." "Assolutamente no! Non gliela do vinta a mia sorella. Non ti ha mai accettato..." "Stai tranquillo, padre. A me sta bene così." "Sei tu che devi comandare quei due stupidi!... Tu sei... intelligente... e sei mio figlio!" "La cosa più importante è l'armonia della famiglia, no? Non sta bene che il più giovane comandi sui più anziani." Tranne quando lo ordina Orochimaru. Quelli che si sarebbero presentati all'esame con me non erano i miei cugini vanagloriosi, bensì due ninja adulti mandati in segreto dal mio maestro per mettersi ai miei ordini. Cosa che avevano fatto con molta riluttanza, guardandomi sconcertati. Il favorito del nostro signore... sarebbe questo dottorino quattrocchi?! Avevo sorriso amabilmente. E poi avevo ordinato loro di mostrarmi di cosa erano capaci, eliminando i miei cugini in modo pulito e silenzioso e facendo sparire i cadaveri. Sarete voi i miei compagni in questo esame di chuunin. Vi chiamerete Yoroi e Tsurugi. Vi vestirete con gli abiti dei morti, vi maschererete e cercherete di imitarli: un piccolo ritocco da parte mia e sarete delle copie perfette. In pubblico avrò un atteggiamento deferente verso di voi, ma il comando l'avrò io. Non farete nulla di vostra iniziativa, non attirerete l'attenzione, parlerete il meno possibile. Non farete sfoggio dei vostri poteri a meno che non ve lo dica io. Non cadremo nelle provocazioni e non accetteremo sfide. Il prezzo del fallimento lo conoscete. Avevo visto le loro smorfie di disprezzo mutarsi in timore. Avevano letto nei miei occhi la verità... che non ero quel che sembravo. E forse non so nemmeno io cosa sono veramente... Intanto mio padre si era assopito, i tremori calmati. Perché naturalmente avevo ignorato i suoi ordini, e avevo continuato ad annullare i riflessi spinali, bloccando col mio chakra un ganglio dopo l'altro. Non era una cura, solo un palliativo; ma il medico capo mi fissava impressionato. Perché era una tecnica che non avrebbe dovuto essere alla portata di un ragazzo senza esperienza come me. E infatti mi aveva sussurrato: "Non immaginavo che potessi essere così bravo." L'avevo guardato, con tristezza. "Sono uno Yakushi, signore." E stavolta la bugia non era stata dolce nella mia bocca.
Ormai la sala per l'incontro preliminare dell'esame di chuunin cominciava ad essermi fin troppo familiare. Era gremita di candidati di varie età, dai genin di fresca nomina a maturi ninja che cercavano di passare di grado. E molti erano provenienti da altri villaggi, e i loro coprifronte ostentavano i simboli di ex nemici ora in tregua. Era il frutto della diplomazia di Sarutobi, che cercava di evitare che si ripresentasse la situazione dell'ultima guerra segreta. In quell'occasione i daimyo si erano lanciati la sfida, e poi erano rimasti a guardare mentre i ninja si scannavano al loro posto, in onore dei rispettivi contratti. Orochimaru mi aveva spiegato che quella guerra futile in realtà era stata un complotto dei nobili per tenere il potere degli shinobi sotto controllo, facendo in modo che si sterminassero tra di loro. Konoha cercava di schivare il pericolo creando un nuovo equilibrio con la clientela dei ninja, attenuando le inimicizie tra i vari villaggi segreti in modo da formare un fronte più compatto. Orochimaru naturalmente aveva idee più radicali: usare il potere per avere potere. E aveva invertito i fattori, manipolando i nobili in modo da ottenere quel che voleva. Il Paese del Suono. I miei occhi avevano intercettato la sua triade di genin. Due uomini e una ragazza dall'aria pericolosa, guardati con curiosità da chi non aveva mai visto quel simbolo su un coprifronte. La ragazza mi aveva notato e aveva fatto un lievissimo sorriso tinto di ironia. Sa chi sono, e non le piaccio... All'improvviso avevo visto venire verso di me un ragazzino atletico, inguainato in una tuta verde, il coprifronte di Konoha trasformato in una cintura, e una capigliatura nera e lucida quasi perfettamente semisferica. Si era fermato, osservandomi; e poi si era garbatamente inchinato. Si era presentato come "Rock" Lee, e voleva ringraziarmi. Di cosa, faticavo a ricordarlo, finché non mi aveva spiegato che quel ragazzino che avevo curato nella foresta altri non era che lui. Il cambiamento era sbalorditivo, ma Lee mi aveva spiegato di aver sempre avuto un ritardo di sviluppo, magicamente sbloccato dal mio intervento: non solo era tornato a casa camminando, ma da quel giorno aveva cominciato a mangiare ed allenarsi come un indemoniato, crescendo quasi a vista d'occhio. Annuivo, comprendendo che inserendo chakra nel suo circuito interno non avevo soltanto stimolato le cellule, ma l'intero metabolismo dell'organismo. Non potevo dire a quel ragazzo che dietro la mia gentilezza di allora, l'avevo trattato più o meno come la mia prima cavia... Esperimento magnificamente riuscito. Lee non si aspettava di rivedermi tra i candidati dell'esame, ma mi aveva subito riconosciuto; i miei capelli argentei e gli occhiali mi rendevano una figura facile da ricordare. Mentre mi parlava, i membri della sua triade gli si erano avvicinati: una ragazza graziosa e un ragazzo con i capelli lunghi e i tipici occhi pallidi degli Hyuuga. Lee aveva educatamente provveduto a fare le presentazioni, ma il mio nome aveva fatto calare il gelo tra me e il suo compagno. "Kabuto Yakushi, eh?... Dunque sei tu che avresti dovuto diventare il fidanzato di mia cugina." Lee e la ragazza erano rimasti a bocca aperta. Io mi ero mostrato doverosamente imbarazzato. "Non ho nemmeno l'onore di conoscere personalmente la nobile Hinata. Il fatto è che la mia famiglia avrebbe voluto..." "So cosa succede quando una famiglia vuole qualcosa," mi aveva interrotto lui, recisamente. "A noi non resta che obbedire. Vero?" L'avevo guardato, notando appieno il veleno dietro quegli occhi che sembravano schegge di quarzo. "Per questo non ti porto rancore per aver osato questa proposta," aveva concluso, e mi aveva squadrato con freddezza. "Lieto di aver fatto la tua conoscenza." E se n'era andato, senza inchinarsi, seguito dalla ragazza. Lee era confuso. "Scusa, Kabuto-san," aveva mormorato. "Neji è... uno Hyuuga, e non se lo dimentica mai." "Non vedo perché dovrebbe," avevo sorriso, sdrammatizzando la situazione. "D'altra parte è il ragazzo più forte di tutta Konoha. Veramente." Le sopracciglia foltissime di Lee si erano unite. "Non riesco a immaginare qualcuno che sia alla sua altezza." "Ma tutti parlano di Sasuke Uchiha, il miglior neopromosso di quest'anno..." "No, Kabuto-san, Sasuke non è all'altezza di Neji. Io concentro la mia abilità nel taijustu, eppure non ho mai potuto mettere a terra il mio caposquadra. Sasuke, invece... l'ho appena affrontato là sotto, tanto per metterlo alla prova, e l'ho battuto." "Ah..." Non un inizio promettente, per la gemma sul tronco bruciato degli Uchiha. E in quel momento, le porte d'ingresso si erano aperte per fare entrare altri candidati. "Eccolo lì," mi aveva detto Lee, con un cenno del mento. "Il tipo coi capelli neri." Riconoscerlo non era difficile, portava una casacca col simbolo del ventaglio ricamato sulla schiena. Era un ragazzo dalla fredda e altera bellezza, il fisico di un adolescente appena sbocciato e squisitamente proporzionato, con occhi intensi e un'espressione introversa che dicevano chiaramente quanto poco ridesse in vita sua. Con lui c'era un ragazzino biondo che fissava tutto con occhi sgranati, e una bella ragazza vagamente impacciata. "Lei si chiama Sakura," aveva detto Lee, trasognato. "Non è un nome meraviglioso?" Era chiaro che la fanciulla lo interessava. "Lee, vieni." Neji aveva fatto un gesto secco al suo compagno, come per invitarlo a non parlarmi più. E Lee, imbarazzato, gli aveva obbedito, dopo avermi rivolto un ultimo saluto. Altri giovani genin si erano riuniti attorno ai nuovi arrivati. Erano evidentemente compagni di corso, si conoscevano e si salutavano con qualche ostilità. Tra di loro non avevo potuto fare a meno di notare quella che, nei desideri di mio padre, avrebbe dovuto diventare la mia sposa quando ne avesse avuto l'età. Hinata Hyuuga non aveva nulla della superbia del cugino, era una graziosa bambolina timidissima, dai capelli corti e neri e gli occhi color malva perennemente sfuggenti. Si muoveva impacciata e costantemente nell'ombra dei suoi compagni di squadra, osando guardare soltanto il ragazzino biondo: un tipetto basso e spavaldo, con la faccia ornata da sei scarificazioni simmetriche sulle guance: non conoscevo alcun clan a Konoha che praticasse quel barbaro marchio sui propri discendenti. Uno straniero come me... e neanche adottato. Eppure portava il coprifronte di Konoha con evidente orgoglio. E Hinata lo guardava con evidente ammirazione, e la scelta del soggetto più scarso del gruppo mostrava quanto poca considerazione di sé avesse: evidentemente non pensava di poter puntare a niente di più elevato. Che una fanciulla del genere fosse riuscita a diventare genin era abbastanza stupefacente, ma era pur sempre l'erede di un clan guerriero. Capivo però perché mio padre si era illuso che potesse sposare un semplice ninja medico, e forse non avremmo formato una brutta coppia... Inutile pensarci. Guardavo Sasuke, il suo atteggiamento distaccato e superbo. Se ne stava appartato, con le braccia conserte, senza partecipare alle conversazioni, che erano sempre più animate sul mormorio generale della stanza. Notavo l'irritazione generale per quel comportamento infantile, e l'ottimo pretesto che mi dava per farmi avanti. "Abbassate la voce, ragazzi." Nove teste si erano voltate verso di me, tra stupore e irritazione. "Forse pensate di essere ancora in accademia," avevo continuato. "Ma in quest'esame, la promozione è frutto di una selezione feroce tra i candidati. Ognuno dei ninja che vedete qui è un vostro concorrente, motivato a giocarsi il tutto per tutto in questa prova... ed eliminare i rivali. Non vi conviene attirare così l'attenzione, c'è molto nervosismo nell'aria. Se volete rendervi conto dell'atmosfera... smettete di parlare tra di voi e guardatevi intorno." La mia ammonizione aveva fatto effetto, i ragazzini si erano azzittiti come una covata di uccelli spaventati. "Tu chi sei per parlarci così?" Il tono gelidamente aggressivo di Sasuke teneva a informarmi che lui non era parte del gruppo e non accettava l'autorità di nessuno. "Un genin come voi, solo un po' più grande... e che ha già affrontato quest'esame più volte." "Fallendo, a quanto vedo." "Un'eventualità tutt'altro che rara... Sasuke-kun." "Sai il mio nome?" "Certo. Come il nome di tutti voi, i neopromossi che a sorpresa sono stati nominati per quest'esame. Tutta Konoha ne parla, è un evento che non succedeva da anni. Normalmente i nuovi genin vengono lasciati a impratichirsi e svolgere missioni per almeno un anno, prima di pensare soltanto ad avvicinarsi a questa prova." "Siamo così famosi?" aveva esclamato il ragazzino biondo, con entusiasmo. "Qual'è il tuo nome?" mi aveva chiesto Sasuke, gelidamente. "Per educazione dovresti dircelo, dato che tu conosci i nostri." "Nessun problema. Mi chiamo Kabuto Yakushi." Un singulto femminile aveva salutato il mio nome: Hinata doveva averlo sentito a casa propria, perché era corsa a nascondersi dietro la schiena di un suo compagno, un ragazzo alto intabarrato fino alle orecchie e con le mani affondate nelle tasche. "Visto che sei un veterano, sai in cosa consiste questo esame?" "Le prove cambiano ogni anno, ma sono test per valutare le varie capacità dei genin, comprese quelle di combattimento." Mi ero aggiustato gli occhiali sul naso. "Purtroppo per me, che essendo un medico non sono particolarmente dotato per... questo tipo di attività." "Sai dirci qualcosa dei ninja del Villaggio della Sabbia?" Sasuke era intenso nella sua domanda... teneva molto alla risposta. "Questa è la prima volta che quel villaggio ha mandato i suoi genin a Konoha. Come dovreste sapere, le relazioni tra i nostri paesi sono state fredde per anni... visto che durante l'ultima guerra eravamo nemici. Si dice che i tre candidati mandati dal Kazekage siano fortissimi: hanno già svolto missioni di classe B." "Come dei chuunin? Impossibile!" "Non lo escluderei, Sasuke-kun. Il Kazekage in persona sarà presente alla prova finale, e vorrà mostrare il valore della Sabbia dominando quest'esame... e proprio a Konoha." Un sorriso. "Credo che abbia preparato quest'evento in maniera molto speciale." "E chi se ne frega?!" aveva tuonato all'improvviso il biondino, con una voce così alta che tutti si erano voltati verso di noi. "Facciano quel che vogliono, nessuno di tutti questi buffoni qui può battere me, Naruto Uzumaki, il ninja più tosto di tutta Konoha, e quello che diventerà il più grande Hokage di tutti i tempi!" Era seguito un istante di bizzarro silenzio. E poi mi ero messo a sogghignare a tanta spavalderia, mentre mormorii ostili e scandalizzati si levavano dappertutto. Però! Ardito, il piccoletto... Sakura si era perfettamente accorta della figura fatta dal compagno. "Naruto!" aveva strillato, accorrendo per tappargli la bocca e trascinandolo indietro. "Ma che ti salta in mente?!" Aveva sorriso intorno a sé, inchinandosi nervosamente a tutti. "Scusatelo... è un idiota senza speranza... stava scherzando, naturalmente..." "Questo deficiente," aveva mormorato uno dei ragazzi, col simbolo del clan Nara sulle spalle. "Come se avessimo bisogno di farci degli altri nemici!" "Guarda che se te la fai addosso puoi anche andartene, Shikamaru!" "Ho più paura di mia madre che di tutti i genin che ci sono qui... se torno a casa senza neanche averci provato, mi ammazza." Aveva sbadigliato. "Uaaaaahh... che palle." Sakura aveva smesso di tentare di strozzare Naruto, e si era ricomposta. "Kabuto-san, quanti altri villaggi hanno mandato rappresentanti?" "Ho visto i coprifronte col simbolo della Pioggia, dell'Erba, della Roccia, delle Nuvole e del Suono." "Il Suono?... Non ho mai sentito parlare di questo villaggio." "È soltanto un piccolo insediamento, in un paese troppo recente per aver anche una storia." Movimento... Non avevo spostato la testa, ma avevo esteso istantaneamente il mio hara, inglobando tutta la stanza. Sasuke era trasalito. Ha percepito anche lui l'attacco? Uno dei tre ninja del Suono era già davanti a me! Senza neanche pensare ero balzato all'indietro, vedendo l'inizio del movimento di un pugno. Una torsione all'indietro del busto, e la mano del ninja mi aveva soltanto sfiorato. Troppo lento. Un lieve sorriso mi era salito alle labbra mentre riprendevo la posizione difensiva... Crack! Le lenti dei miei occhiali erano andate in pezzi... e nello stesso istante un dolore spaventoso all'orecchio sinistro mi aveva strappato un urlo. Che cosa?! Il mondo era impazzito intorno a me, avevo provato una vertigine così intensa da farmi quasi vomitare... ero caduto sulle ginocchia, in preda a secchi, violenti conati. Ma avevo schivato il colpo! "Kabuto-san!" La voce furibonda di Naruto era risuonata nel mio orecchio sano, e l'avevo visto interporsi tra me e il mio attaccante. "Che gli hai fatto, stronzo?!" "Ho dato a questo saputello della Foglia una lezione sul paese del Suono, visto che non aveva nulla di interessante da dirvi." "La vuoi anche tu una lezione sui ninja di Konoha?!" "Naruto-kun," avevo ansimato, lottando contro il dolore. "No." In realtà avrei voluto vederlo combattere. Giusto per vedere se meritava la sua brutta fama, o avesse davvero qualche capacità degna di questo nome... Ci aveva interrotto l'arrivo rumoroso del primo esaminatore. "Zitti, feccia!" Quella voce... l'avevo riconosciuta benissimo. Ibiki Morino. Avevo stretto i denti, reprimendo il desiderio di uccidere. La sofferenza me l'acuiva, ma dovevo mantenermi mansueto e passivo... "Che succede, qui?!" Si era avvicinato, notandomi a terra. "Ancora tu, eh? Ce l'hai proprio, il talento per metterti nei guai." "Non ha fatto niente di male!" aveva esclamato Naruto, continuando il suo strano atteggiamento difensivo verso di me. "Ci stava parlando, e quello lì l'ha attaccato a tradimento..." "Silenzio!" Persino Naruto aveva taciuto davanti a quel ruggito. "Non ammetto duelli o risse durante l'esame. È chiaro?!... E ora andate tutti dentro l'aula ai posti che vi verranno indicati, e preparatevi alla prova scritta!" "Prova scritta?!" aveva gridato Naruto, con voce terrorizzata. I suoi compagni l'avevano trascinato verso l'aula, lui che ancora protestava. Sentivo qualcosa di caldo che mi scivolava sul collo, me l'ero terso con due dita vedendo che si trattava di sangue. Dovevo esser stato colpito con un'onda sonora ad alta frequenza, estremamente concentrata. Il mio timpano era rotto, ero completamente sordo dal lato sinistro, e il danno all'apparato dell'equilibrio era abbastanza serio, le vertigini non volevano smettere. Perché questo ninja del Suono mi ha attaccato? Eppure sa che siamo dalla stessa parte... "Allora, chiacchierone?" La sua voce era suonata sarcastica. "A quanto vedo, sei un medico. Curati, allora, se ne sei capace!" Avevo alzato la testa, a fatica, incontrando i suoi occhi. E avevo capito. La gelosia doveva essere un sentimento che Orochimaru suscitava in molti dei suoi sottoposti: io non ero affatto un'eccezione.
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